Aprire gli occhi su un altro mondo
L’arrivo in Zimbabwe
Il primo impatto con il mondo zimbabwiano mi ha fatto capire che non bisognerebbe dare nulla per scontato: nei bagni dell’aeroporto in Zimbabwe mancava l’acqua. Ovviamente sapevo che ci sarebbero potuti essere problemi di questo tipo, ma lì per lì non me lo aspettavo. Anche le pratiche doganali hanno un loro fascino soprattutto quando di trovi che per fare una cosa semplice come apporre un visto e ritirare 30 US$, occorrono 3 persone: la prima verifica se hai compilato bene il format, la 2° ritira i soldi e attacca l’adesivo e la 3° lo compila. A dimenticavo ci sarà poi la 4° che mette il timbro. Siamo usciti dall’aeroporto, ad attenderci come concordato, il nostro pulmino che ci ha portato al Shoestrings Backpackers, l’ostello in cui abbiamo passato la nostra prima notte in terra africana. La strada sterrata con alberi secchi a destra e a sinistra. Di tanto in tanto passavamo accanto a qualcuno che si girava incuriosito, questa volta eravamo noi l’attrazione o meglio quelli fuori contesto. Dovevo ancora abituarmi al fatto di essere in un altro continente, ma allo stesso tempo non riuscivo a staccare gli occhi dal finestrino per cercare di cogliere ogni dettaglio di questo ambiente così diverso dalla mia trafficatissima Milano. Nemmeno il tempo di posare le valigie nelle nostre camerate e via di corsa a vedere “sua maestà †le cascate Vittoria. Di fronte all’ingresso, dall’altra parte della strada, l’immancabile mercatino di prodotti più o meno locali in cui lo “sport nazionale†era di vendere ai turisti qualunque cosa, compreso il noleggio del K-Way per non bagnarsi con gli spruzzi delle cascate. All’ingresso, ci hanno accolti un gruppo di scimmie molto prese dal farsi i dispetti a vicenda, giocare e saltare da un albero dall’altro, mentre in sottofondo si poteva già sentire il rumore incessante e fragoroso delle cascate.
Percorrendo il sentiero per arrivare alle cascate, la vegetazione si faceva sempre più fitta e verde, un po’ come quella di una giungla, il profumo di erba secca si era piano piano trasformato in un odore più fresco, “muschiosoâ€. I rumori erano tanti e confusi tra di loro, come un’orchestra senza direttore. Occorreva una certa concentrazione per isolarli e riconoscerli; il vento, il canto degli uccelli, qualche piccolo roditore, le foglie sui rami, il tutto con il fragore della cascata a fianco. Una breve passeggiata su camminamenti ben segnalati, accompagnati anche da locali molto disponibili, gentili e sorridenti con i quali abbiamo scambiato due parole e fatto qualche foto, le abbiamo viste, eccole, mistiche e imponenti, la manifestazione della potenza e allo stesso tempo dell’eleganza della natura, ma in quel momento non sapevamo che il meglio doveva ancora arrivare. Proseguendo, ho capito pienamente il motivo per il quale vengono anche chiamate “Mosi-oa-Tunya†(il fumo che tuona†in lingua Tonga). Mano a mano che mi avvicinavo alle cascate le goccioline d’acqua portate dal vento mi inzuppavano i vestiti, ma questo spettacolo della natura visto con sole serale ormai basso e gli arcobaleni facevano passare in secondo piano ogni fastidio. La tranquillità del fiume Zambesi che a un tratto cade precipitosamente per 180 metri genera un contrasto inspiegabile, una fusione perfettamente bilanciata di serenità e agitazione. Pensavo a chissà quale forza, potenza, maestosità potesse avere questo luogo durante la stagione delle piogge con lo Zambesi al culmine della sua piena. Dopo l’incantevole pomeriggio passato in questo luogo idilliaco, ci siamo scontrati con una dolorosa realtà , la seconda faccia della medaglia, spesso ignorata dai turisti superficiali ossia la condizione di estrema povertà e disagio sociale.
Penso sia imperativo porre l’attenzione e dedicare qualche riga a questo tema che mi ha un po’ turbata. Ci sono persone che passano le loro serate per strada, sperando di incontrare il maggior numero di stranieri possibile per cercare di vendere loro dei dollari zimbabwiani in cambio di un paio di dollari statunitensi. La valuta locale è molto svalutata tanto che per i pagamenti si usano principalmente dollari americani, non c’è neanche bisogno di dire quanto poco valga la valuta locale. Con il tempo, ho notato come tutte le volte che un locale conclude un affare con uno straniero, è sempre felice, fiero di averci (forse) fregato. La contrattazione come da prassi è parte della vendita, ma se il prezzo contrattato scende iniziano ad avere dei modi un po’ più bruschi, sono quasi contrariati, nonostante sappiano che probabilmente il valore di quell’oggetto che ci hanno venduto è addirittura inferiore al prezzo che è stato concordato e pagato. Un altro fatto preoccupante è stato che, in neanche 12 ore di soggiorno in questo paese, già due persone mi hanno chiesto di rimanere lì con loro e di sposarle. All’inizio può sembrare un qualcosa di simpatico e divertente, nel mio immaginario ingenuo stavano scherzando, ma in realtà è tutto vero. È triste ahimè, il fatto che queste persone rinuncino alla loro vita e alla possibilità di incontrare qualcuno di speciale, pur di ottenere un visto per l’Europa in un mondo, forse, più facile.
L’emozione intensa di aver visto una giraffa
Il nuovo giorno ha previsto una nuova visita alle Victoria Dalls, ma questa volta da un diverso punto di vista: dall’alto. All’ingresso dell’ostello già ci aspettavano due fuoristrada che ci hanno portato all’eliporto, così chiamato solo perchè da li partivano gli elicotteri, ma per il resto si tratta di una capanna come ufficio, un centinaio di metri quadrati di cemento per la pista e poi tutta prateria.
Era mattina presto con il sole ancora basso, i colori dorati del cielo contrastavano con il blu delle cascate, la luce forte, trasversale, illuminava tutto il percorso dello Zambesi. avrei continuato a volare sopra quella meraviglia della natura per ore ed ore. È stata un’esperienza nuova, non avevo mai provato delle sensazioni simili, oltre a questo meraviglioso spettacolo che la natura ha voluto donarci, sono comparsi improvvisamente anche una giraffa e un elefante, erano così piccoli visti dall’alto, ma bellissimi.
Tornati in ostello dopo una colazione con “tempi africani†abbiamo caricato il rimorchio del pulmino e siamo partiti in direzione Botswana. Lungo la strada i primi avvistamenti di Impala, nulla di che per chi ha gia avuto modo di visitare l’Africa, ma per me una grande emozione. Il primo pensiero è stato “se li vediamo a bordo strada, cosa mai potremmo vedere all’interno dei parchi??†e le aspettative alte sono state ripagate.
Arrivati al border, pronti a lasciare lo Zimbabwe ed entrare in Botswana, non prima di avere effettuato le verifiche documentali e spostato i bagagli da un bus all’altro disinfettiamo le suole delle scarpe, si sa mai che camminando portiamo delle biodiversità da uno stato all’altro. Arrivati all’aeroporto di Kasane troviamo i nostri pic up che ci avrebbero accompagnato per le prossime 2 settimane. Giusto il tempo di trasbordare i bagagli e con la nostra guida siamo sulla sponda del fiume Chobe: prima escursione fluviale. Siamo saliti tutti sulla nostra barca per fare una lunga navigazione sul fiume Chobe, un luogo dove la natura è perfettamente in equilibrio, stormi di uccelli volano, facendo da sfondo a grandissimi elefanti, coccodrilli, gnu…
Quando il sole era ancora alto eravamo pervasi da un’eccitazione travolgente, soprattutto per chi come me sta scoprendo il regno animale. Ogni piccolo dettaglio era nuovo e, per questo motivo, tutto era stupefacente. Verso sera, il tramonto ha dipinto il cielo di colori arancio brillanti che sono diventati lo sfondo su cui abbiamo osservato volare enormi stormi d’uccelli. Ora comincio a capire la bellezza e la poesia dei grandi tramonti africani.
Dopo 3 ore di navigazione, centinaia di foto e con il cuore gonfio di emozioni riprendiamo i nostri pic up e ci dirigiamo al nostro campsite dove completamente al buio riusciamo a montare il nostro primo campo tendato.
I ritmi della natura
Verissimo che vivere l’esperienza del campeggio ti permette di entrare in simbiosi con la natura, ma gli uccellini sopra la tenda che improvvisano un concerto polifonico alle 4 di mattina anche no. Prima colazione con cucina da campo, i miei genitori hanno portato la moka da 6 quindi più che la fila al bagno si è creata la fila alla caffettiera. Abbiamo smontato tutto, ricarichiamo le 3 macchine e siamo partiti per il nostro primo game drive del viaggio.
Il percorso è stato un misto tra asfalto sterrato e sabbia. Prima esperienza in off road: abbiamo sgonfiato parzialmente le gomme per avere più trazione e poi come a scuola guida, ascoltando un paio di dritte da chi aveva già guidato su sabbia, siamo riusciti a ripartire. Dopo poche decine di metri eravamo già tutti fermi per fare attenzione a quello che succedeva attorno a noi, ci siamo trovati circondati da centinaia di animali e vicino alle pozze d’acqua. Abbiamo assistito a spettacoli incredibili con protagonisti branchi di diverse specie come zebre, impala, giraffe, elefanti, babbuini e molti altri, ognuno intento ad abbeverarsi ma nello stesso tempo guardingo con quello che gli stava succedendo a fianco. La bellezza della natura in quel luogo era semplicemente straordinaria.
È davvero impossibile trasmettere a parole le emozioni che suscita soprattutto perché quando regna il silenzio, l’istinto di prendere un telo, sedersi, e osservare per ore diventa irresistibile. In Botswana i campeggi non sono in zone recintate, quindi sono accessibili anche agli animali; da un lato è qualcosa di molto adrenalinico, dall’altro è spaventoso, soprattutto nel preparare la cena pensando di poter essere noi la cena di qualcun altro. Abbiamo montato il campo con un pò più di abilità del primo giorno e messo sul fuoco la legna per fare la brace, ci aspettava una serata BBQ.
A fianco della reception c’era una pozza in cui al tramonto abbiamo assistito all’arrivo delle giraffe, bisonti e zebre che si sono fermati a bere. E a seguire un gruppo di elefanti al chiarore del tramonto. Bellissimo spettacolo. Di notte, quando calava il silenzio, qualsiasi rumore anche modesto veniva sentito distintamente, i passi degli elefanti, l’avvicinarsi di animali di dimensioni più piccole, addirittura si sentivano i ruggiti dei leoni in lontananza.
In quel luogo, le notti sono magiche, miliardi di stelle si accendono nel cielo più nero, la Via Lattea si estende imponente. Man mano che lo sguardo si perde nell’infinito, le stelle appaiono sempre più piccole, ma non spariscono mai. La croce del sud è sempre ben visibile, la si riconosce da una piccola stella che sta al centro delle due stelle inferiori. Sapevo già che le notti in quella terra magica sarebbero state indimenticabili: guardare quelle stelle ha avuto il potere di rischiararmi la mente e donarmi la possibilità di una connessione profonda con la natura e con l’immensità dello spazio.
La mattina nella volta celeste è presente Orione, magari voi lo darete per scontato, ma per me è stato qualcosa di incredibile poterlo vedere così chiaramente completo di pugnale e arco e circondato da decine di stelle. La giornata è iniziata molto presto, e sebbene il trasferimento sia stato breve in termini di chilometri, si è protratto per molte ore.
Siamo partiti alle ore 6 e siamo giunti nel nuovo campeggio alle ore 18. Arrivati, abbiamo aperto il bagagliaio e abbiamo notato che alcune taniche d’acqua si erano rotte, ma le uova no… il primo pensiero è stato quindi che la colazione era salva! Questa lunga tratta ci ha regalato l’opportunità di avvistare alcune creature che non avevamo ancora incontrato, come gli struzzi e addirittura un leopardo che si muoveva furtivo mentre cacciava. Ci siamo spostati verso il fiume abbiamo finalmente potuto ammirare da vicino degli ippopotami sornioni e rumorosi, splendidi sia in immersione con solo le narici fuori dall’acqua, che borbottanti a bocca spalancata a dare sfoggio di se. Lungo la strada abbiamo cercato un posto tranquillo e sicuro per uno spuntino, avuto l’OK dalla nostra guida ci siamo fermati sotto un grosso albero, abbiamo aperto i cassoni dei nostri pick up e tirato fuori gli scatoloni con cibo e suppellettili e abbiamo improvvisato uno dei tanti pic nic del viaggio. Abbiamo ripreso il nostro game drive, e passiamo dalle radure alle pozze, dallo sterrato alla sabbia, da alberi spogli a piccoli corsi d’acqua e sempre con lo sguardo curioso che cerca qualcosa in tutte le direzioni, siano arrivati al nostro nuovo “campeggio†molto essenziale e spartano. La nostra area per l’accampamento era a pochi passi da un fiume, e la possibilità che coccodrilli e ippopotami possano emergere è sempre presente (quella notte infatti abbiamo sentito molti ippopotami). Anche il sistema per riscaldare l’acqua per la doccia era di tipo rustico, focolaio a legna con un recipiente per l’acqua tipo boiler per intenderci, ma era esattamente come volevamo. Sul colore dell’acqua potremmo discuterne, ma ce lo siamo fatti piacere. Campo e cucina montati e ci mangiamo una bella pasta al tonno, cucina Wildlife 5 stelle, ma prima aperitivo con parmigiano e salame che avevamo portato dall’italia. La sera poi ci siamo radunati attorno al fuoco a raccontarci le tante emozioni della giornata.
Cos’è davvero importante? Quali sono le priorità ?
La nuova giornata di game drive prevedeva in primis trovare il leone, ma purtroppo era già troppo tardi per avvistarlo, tuttavia, la nostra guida ci ha offerto una lezione preziosa mostrandoci le impronte e spiegandoci come distinguere quelle dei felini da quelle dei canidi, nonché come determinare la direzione di movimento dei leoni. Continuando il nostro giro di avvistamento, siamo giunti in un luogo incantevole, seppur un po’ tetro, caratterizzato da vallate infinite di alberi morti o abbattuti, era come se ci trovassimo all’interno di un quadro. Ci siamo fermati e la guida ci ha raccontato un aspetto affascinante della vita selvatica, di come gli elefanti si nutrono della corteccia degli alberi, staccandola in modo circolare alla base. Dato che il nutrimento della pianta scorre attraverso le venature nella corteccia, una volta che l’elefante ha rimosso la corteccia della circonferenza, l’albero inevitabilmente muore. Successivamente, gli elefanti usano gli alberi morti per grattarsi e liberarsi dal fango, e alla fine li abbattono per consumare tutto ciò che resta alla base del tronco. Era una giornata ventosa ed il nostro programma dell’escursione a Mokoro era in forse. In attesa di capire come si sarebbe evoluta metereologicamente la giornata, la nostra guida ci ha portato verso l’unico villaggio della zona: Khwai. Si tratta di un villaggio molto povero, dove le abitazioni sono costruite principalmente con fango e paglia con tetti in lamiera, dove i più fortunati possono vantare case di mattoni, ma non di quelli a cui siamo abituati noi. Abbiamo notato la presenza di una scuola e un pò per curiosità , ma perlopiù stimolati della possibilità di interazione con i locali, abbiamo chiesto il permesso di entrare. All’interno abbiamo trovato circa 50 bambini e due maestre che ci hanno spiegato che la scuola era stata costruita per fornire un’opportunità educativa ai bambini del villaggio che, in precedenza, trascorrevano il loro tempo per le strade senza fare nulla. Ci hanno anche informato che la scuola era gratuita e sponsorizzata dalle agenzie di safari. I bambini si sono dimostrati estremamente affettuosi e ci hanno persino deliziato con alcune canzoni.
Ci hanno fatto riflettere profondamente: erano tutti felici nonostante avessero così poco, ridevano e giocavano. In cortile alcune giostre, un paio di palloni e tanta polvere, ma era tutto ciò che bastava a farli felici. Come sempre quando si incontrano persone meno fortunate ricompare in noi quel senso di compassione e un pò di “vergogna†nell’avere tutto e nonostante ciò non essere mai contenti. Naturalmente sto estremizzando ma il senso che in quel momento ci ha pervaso è stato quello. Felice in un momento semplice della vita, come un sorriso o un abbraccio genuino di un bambino. Quei bambini sono figli di una piccola società determinata nel dare loro tutto ciò che è necessario per far sì che perseguano i propri sogni, nonostante le avversità . “Cos’è davvero importante?â€, “Quali sono le priorità ?†Penso siano le domande che ci siamo posti tutti quando è arrivato il momento di ripartire. Fin dall’infanzia, ci raccontano, seppur in modo forse superficiale, che i bambini in Africa e in altre parti del mondo affrontano sfide molto più spaventose rispetto alle nostre, tuttavia, l’esperienza diretta ha conferito un significato ancora più profondo a tali parole, almeno per quanto mi riguarda. È un’esperienza che tocca il cuore e l’anima, e ti lascia una profonda impronta che ti accompagnerà per il resto della vita, che ti insegna a vedere il mondo con occhi diversi, ad essere più grati e a lavorare per un futuro migliore per tutti.
Tornando al tour, vedendo migliorare il meteo, abbiamo riconsiderato l’idea del giro in Mokoro. Cos’è il Mokoro? È una canoa ricavata dal tronco di un albero per la navigazione nelle basse e tranquille acque dell’Okavango che si conduce come una gondola. In passato, la canoa era l’unico mezzo di trasporto in questa zona, dove le persone vivevano e commerciavano lungo il delta del fiume. Logicamente per motivi di sicurezza le attuali canoe sono in vetroresina ma la navigazione, sia per il suo contesto naturalistico che per la pace che trasmette rimane un must del viaggio. Dopo una breve introduzione sull’escursione siamo saliti in 2 per ogni canoa, ognuno con il suo gondoliere e abbiamo iniziato una lenta e rilassante navigazione, ammirando per lo più famiglie di elefanti intente a mangiare e bere. Il delta dell’Okavango è diviso in cinque rami, il primo e l’ultimo sono separati da 600 km di distanza. Durante il nostro giro, abbiamo avuto la fortuna di avvistare i rari nidi del buffalo red bird, uno degli “small 5â€, un’aquila dalla testa bianca e un gruppo di elefantesse con i loro piccoli. Durante il ritorno invece, un gruppo di elefanti ha iniziato ad attraversare il fiume bloccando il nostro passaggio. I gondolieri hanno iniziato a fare rumore per spaventarli, fischi, schiamazzi e batter di mani, noi abbiamo fatto lo stesso a turno, il timore è diventato gioco. La nostra guida a terra, che non era venuta con noi in canoa, ci ha raccontato quanto fosse divertente e buffo vedere tutti noi lì a cercare di allontanare gli elefanti ed effettivamente lo era.
Ci siamo svegliati all’alba ancora una volta con l’obiettivo di avvistare un leone. Abbiamo seguito le sue orme per decine di metri, ma purtroppo si era nascosto davvero bene. In ogni caso, seguire le sue tracce è stata un’esperienza molto emozionante, mi ha dato l’adrenalina di cui avevo bisogno per iniziare la giornata. Abbiamo avuto la fortuna di avvistare due licaoni, probabilmente dopo aver concluso una sessione di caccia e in attesa degli altri membri del loro branco. I licaoni sono animali rari, tanto che nel pomeriggio ho notato un cartello che invitava a segnalare avvistamenti al numero indicato, specificando la posizione, l’orario e il numero di individui. Lasciate le piste sterrate siamo tornati sulle strade asfaltate e ci siamo diretti verso Maun, grossa cittadina in cui abbiamo ritrovato il traffico e tanta gente. Abbiamo montato e siamo subito partiti per il secondo volo incredibile di quel viaggio: il giro in elicottero sul delta dell’Okavango. Un elicottero portava 5 persone più il pilota. Il paesaggio era spettacolare nonostante la poca acqua nel delta, eravamo pur sempre alla fine della stagione secca. Sarei voluta andare un po’ più vicino agli animali, eravamo davvero molto lontani, ma suppongo fosse per non dare fastidio. La ricerca di nuove specie stava diventando sempre più complicata, ma comunque gli animali che abbiamo osservato hanno continuato ad incantarci.
Una strada infinita
Abbiamo lasciato il Botswana per varcare il confine e addentrarci in Namibia. 700 km di strade e piste. Al mattino presto, la città era ancora addormentata, con i negozi chiusi e guardando fuori dal finestrino, ho notato dei piccoli negozietti fatti con lamiere ondulate, concepiti in modo tale da poter aprirsi verso il basso, creando una sorta di bancarella. Le case circostanti erano estremamente piccole, non superavano i 10 metri quadrati e erano costruite principalmente con mattoni, mi sono chiesta come fosse possibile vivere in spazi così ristretti. Lungo la pista polverosa abbiamo incontrato diverse persone che a piedi si dirigevano in Namibia con in mano una bottiglia d’acqua e poco più.
Un pò per compassione, un po’ perché ci sembrava giusto, abbiamo distribuito un po’ della nostra acqua ai vari viandanti. Una volta giunti al confine, un border nel bel mezzo del nulla che anche i navigatori non conoscono, o forse, la prima macchina della carovana non lo ha guardato attentamente tanto che abbiamo sbagliato strada. All’uscita dal Botswana non abbiamo trovato nessun agente al punto di guardia, ma dopo poco ne vediamo arrivare uno in bicicletta che svogliatamente ci timbra i passaporti e ci fa proseguire. Poche decine di metri e siamo al punto di controllo per l’ingresso in Namibia, qui i controlli sono un po più attenti anche se alla fine la compilazione dei registri d’ingresso lo fanno compilare a noi, immigrazione fai da te? Direi di sì, loro si limitano a fare il timbro sul passaporto. Espletate le formalità doganali abbiamo chiesto agli agenti se potevamo fermarci all’interno del border per fare una merenda veloce, nessun problema, come sempre allestiamo i cassoni e via di tramezzini e frutta. Mentre mangiavamo siamo rimasti incuriositi da alcuni agenti doganali che stavano giocando a un gioco insolito, simile al tris ma apparentemente più complesso. La “scacchiera†era tracciata su un pezzo di cartone, e le pedine erano costituite da tappi di bottiglia. È stato un momento strano, ma affascinante che ci ha permesso di osservare un aspetto della cultura locale e di poter parlare con le persone del posto. Nelle terre africane (almeno dove siamo stati noi), le dogane non seguono il consueto scenario europeo, ma si presentano come quattro piccole casette sperdute in mezzo al nulla, inoltre, ad ogni passaggio da uno stato all’altro vi è la necessità di “disinfettare†le suole delle scarpe e le gomme delle automobili immergendole in una soluzione d’acqua mescolata a disinfettante. Col passare del tempo, questa soluzione acquosa diventa via via più marrone e non gradevole da vedere, ma paese che vai regola che trovi.
Appena siamo entrati in Namibia, la strada si è estesa diritta di fronte a noi, per centinaia di chilometri, sotto un sole cocente.
Anche in questo tratto di strada abbiamo notato molte persone che cercavano un passaggio, acqua o cibo. Non riuscivo a immaginare come fossero in grado di intraprendere un viaggio così lungo, sfidando le difficoltà del clima e delle risorse. Senza dubbio, mentre ci avventuriamo in Namibia, era difficile non notare che questo paese sembrava godere di una maggiore prosperità rispetto al Botswana. Le strade erano meglio mantenute e ben segnalate. La transizione tra i due paesi ha offerto un’interessante prospettiva sulle differenze culturali ed economiche della regione.
Arriviamo a Grootfontein, cittadina di medie dimensioni a tramonto avvenuto, ad accoglierci al Bambi Lodge 2 giovani ragazze locali che dopo averci dato un caloroso benvenuto ci accompagnano dal “capoâ€.
Manco a dirsi un “uomo bianco†che ha da poco acquistato il sito e lo sta sistemando, lo abbiamo visto fare un po' di tutto, dall’intrattenitore al saldatore, andare a caccia e coltivare il suo bel campo di cavoli che ci mostra con orgoglio. Dopo una buona cena ad hamburger e patatine, non avevamo voglia di rimetterci in auto, ci buttiamo sui letti che da diversi giorni non vedevamo.
Il “clickâ€
Dopo una abbondante colazione carichiamo i pickup e ci dividiamo in 2 gruppi, coordinatore, cassiere e altri 2 a fungere da guardie del corpo vanno da un conoscente del “capo†per cambiare i nostri euro in valuta locale visto che ieri e oggi le banche sono chiuse. Entriamo in un bar, ad accoglierci quello che sarebbe potuto essere il capo, un omone di 2 metri e 120 kg, ci porta nel retro e lì un altro omone, stesso peso ma 40 cm in meno di altezza. Ci guardiamo negli occhi un po ‘perplessi, sul grosso freezer tantissime banconote sparse, ci dicono che sono cassieri della banca e che possono farci il cambio. Una volta scoperto a quanto avrebbero cambiato proviamo a contrattare ma senza risultato, ringraziamo e salutiamo e ci dirigiamo al supermercato per raggiungere il resto del gruppo andato per fare acquisti. Prendiamo d’assalto i vari ATM per recuperare un po' di valuta poi con il pranzo appena acquistato al supermercato ripartiamo in direzione Hoba meteorite.
Altra attrazione super turistica ma anche qua il ricavato dell’ingresso serve per mantenere attivo il sito e pagare le guide. Questo meteorite è il più massiccio al mondo, è composto principalmente di ferro e si trova nella regione di Otjozondjupa, nella Namibia settentrionale.
Ci dicono che è caduto sulla Terra 80.000 anni fa, anno più anno meno e la sua scoperta è stata un caso fortuito. Un contadino mentre scavava lo ha ritrovato e ha fatto analizzare un frammento. Sorprendentemente, il meteorite non ha causato un cratere significativo poiché il suo impatto non è stato verticale, ma piuttosto obliquo, causando più rimbalzi simili a un sasso lanciato sull’acqua. Questa traiettoria ha lasciato numerosi piccoli crateri che, nel corso del tempo, sono scomparsi. Durante la visita, mentre ci arrampicavamo sulla sua superficie, abbiamo notato un effetto eco insolito e abbiamo sperimentato un’anomalia magnetica che ha reso inutilizzabili le bussole. Durante la visita, la nostra guida ci ha raccontato i dettagli più affascinanti sul meteorite, e ci ha persino introdotto ai suoni delle lingue locali, noti come “clickâ€. Questi suoni sono rappresentati graficamente tramite simboli, come il punto esclamativo, e nel parlato vengono prodotti con quattro differenti schiocchi della lingua. Ciò che abbiamo trovato più coinvolgente in questo viaggio è stata l’interazione con le persone del luogo, che con entusiasmo hanno condiviso con noi aspetti della loro vita quotidiana e della cultura. Qui, durante il nostro viaggio, abbiamo sempre trovato ospitalità e volontà di scambiare due parole, di scattare foto insieme a noi o di spiegare aspetti che non comprendevamo.
Il Parco Nazionale dell’Etosha
Ci siamo rimessi in viaggio direzione nord, per entrare nel parco nazionale dell’Etosha. La situazione era completamente diversa rispetto ai parchi del Botswana: piste segnate, campi recintati, un pò già ci mancava quel brivido dei campeggi wild, ma qualche attraversamento “delle strisce pedonali†lo abbiamo documentato. Dopo un primo controllo al gate del parco ci siamo diretti verso l’Halali Camp in cui avremmo passato le successive notti. I campeggi qui all’Etosha sono costituiti da strutture ricettive in stile europeo, negozi, ristoranti, casette per chi preferisce un letto e un tetto e tanti servizi accessori, tutti ben tenuti, e anche la WiFi. Noi nello spirito dell’avventura, e per spendere meno, ci siamo sistemati nella nostra area destinata a piazzola. A differenza del Botswana dove si poteva girare liberamente (in auto) nell’Etosha c’erano orari precisi di entrata ed uscita dai campeggi, sempre che non si esca con le guide locali. Alle 7.00 siamo saliti in macchina aspettando l’apertura del cancello prevista per le 7.15. Ci eravamo fatti un’idea del giro da fare, obiettivo il maggior numero di pozze con il ricordo di quelle viste qualche giorno fa. Abbiamo percorso 80 km in 3 ore circa, ma senza avvistamenti particolari, o meglio rivedendo alcuni degli animali visti in Botswana anche perché è l’ambiente che è molto diverso. Nei giorni scorsi il territorio era ricco di arbusti, alberi e molta più acqua, in Namibia invece abbiamo scoperto una savana più bassa, caratterizzata principalmente da erba secca. Nel parco nazionale di Etosha, potremmo dire che ci siamo sentiti un po’ annoiati all’inizio, poiché l’ambiente non sembrava volerci meravigliare di altri animali, le pozze erano quasi tutte secche. Tornati al campo abbiamo smontato tutto e siamo ripartiti in direzione Okaukuejo. Lungo la strada il nostro interesse è stato improvvisamente riacceso quando abbiamo avvistato un rinoceronte, il primo del nostro viaggio.
Siamo entrati nella zona recintata, altro camp super attrezzato con pure la piscina. Montate le nostre tende abbiamo deciso che questa sera si va al ristorante, e così sia. Chi è andato di brodino, chi di hamburger e chi di filetto di kudu o impala. Per me e qualcun altro la giornata è finita dopo cena poiché la stanchezza si è fatta sentire, corpo e mente mi hanno richiamato in tenda. Alcuni sono rimasti a fare 4 chiacchiere sotto il portico altri sono andati verso la pozza per vedere se ci scappasse qualche bel avvistamento. Lo spettacolo è stato davvero avvincente. Alla fine ci siamo trovati tutti alla pozza: vediamo alcuni elefanti, qualche bufalo e ben 4 rinoceronti tra cui un esemplare di maschio adulto. È ormai mezzanotte, per me è l’ora di andare a dormire, ma qualcuno rimane ancora e racconterà di un accoppiamento tra elefanti, questa volta riuscito.
Carne di Orice
Ci siamo divisi in due gruppi, alcuni relax in piscina e altri in una macchina dopo colazione si sono diretti a Kamanjab per trovare una banca e cambiare euro in valuta locale. Dopo ore di ricerca finalmente troviamo una banca, ma ci viene detto che non effettua cambi valuta e che la banca che fa cambi più vicina è a 150 km. Disperati, mentre pensiamo al da farsi e al fatto he nel pomeriggio avremmo dovuto pagare il campeggio, la cena e la visita al villaggio, arriva un angelo custode. Un’agente della sicurezza della banca che in via “confidenziale†ci dice che lì vicino c’è un resort dove è possibile fare un cambio valuta. Risolviamo la situazione cambio soldi, approfittando di alcuni minuti della WiFi disponibile ci dirigiamo al Duncan’s Campsite che sarà la nostra destinazione odierna. Dopo alcune ore è arrivato anche il resto del gruppo e con una donna tedesca con cui mi ero organizzato dall’Italia, organizziamo la visita al villaggio Himba per il giorno seguente. Verso sera, poco prima del tramonto, abbiamo deciso di arrampicarci su una sorta di collinetta composta da sassi impilati, da cui abbiamo goduto di una vista spettacolare del tramonto. Abbiamo trascorso una serata indimenticabile in compagnia degli abitanti del luogo, che hanno preparato per noi una cena composta di prelibatezze tradizionali. Ci hanno servito pane dolce, una varietà di polenta, insalate e verdure cotte molto saporite, carne di orice tritata e condita con spezie, oltre al pollo e altri piatti tipici della loro cucina. I cuochi, poi, ci hanno cantato delle canzoni tradizionali e fatto un ripasso sul “clickâ€. Dopo la buona e abbondante cena ultime chiacchiere attorno al fuoco e poi tutti a nanna.
Il Villaggio Himba
Con una guida locale abbiamo svolto la visita al villaggio Himba. Dai precedenti racconti di viaggio avevo letto che oramai di autentico c’era rimasto poco ma la realtà è stata ben diversa. Quando siamo giunti al villaggio Himba, siamo stati avvolti da una forte atmosfera di imbarazzo. La nostra accoglienza è stata tutto fuorché calorosa: le donne Himba non hanno mostrato molto interesse alla nostra visita, soprattutto quelle più anziane alle quali è stato veramente difficile anche solo strappare un sorriso. Anche l’approccio con i più piccoli è stato più difficile del solito, di norma sono vispi con tanta voglia di giocare e invece nulla, un colpo al cuore anche per un “duro di cuore“ come me che con i bambini si scioglie. Sebbene l’esperienza sia stata educativa, permettendoci di osservare da vicino il loro modo di vita molto diverso. Di ritorno, strada facendo, abbiamo avuto la possibilità di visitare la scuola per i bambini Himba. Per le famiglie, rappresenta una scelta opzionale, in quanto possono decidere se mandarli o meno. La scuola, come sempre, si distingue per la sua semplicità , composta da una piccola aula, una sola maestra che copre tutte le materie e una classe di massimo 16 bambini. A differenza del campo, la nostra visita alla scuola ha suscitato molta emozione tra i piccoli studenti, che ci hanno accolto con entusiasmo. Dopo che ci siamo presentati uno per uno, i bimbi hanno intonato alcune canzoni per noi, abbiamo scambiato qualche parola con la maestra e, dopo aver condiviso questo breve e prezioso momento, abbiamo ripreso il nostro viaggio.
I colori del deserto
Proseguendo il nostro cammino siamo arrivati alla foresta pietrificata, un luogo quasi mistico che offre un’incredibile finestra sulla storia geologica della regione. La foresta è caratterizzata da tronchi d’albero fossili che risalgono a 280 milioni di anni fa, sempre anno più anno meno, preservati grazie a un processo di mineralizzazione del legno. Questo processo ha regalato al legno una straordinaria varietà di colori e sfumature, marroni, rossi, arancioni e persino viola. La regione è stata un tempo una vasta pianura alluvionale inondata da piene periodiche. I tronchi d’albero presenti sono stati trasportati dai fiumi e sepolti sotto vari strati di sedimenti e, nel corso di milioni di anni, il legno si è pietrificato grazie all’assorbimento di minerali contenuti nelle acque di questo luogo. Oltre agli alberi fossili, la foresta pietrificata e la Namibia in generale sono note per ospitare una pianta unica, la Welwitschia mirabilis. Alcune delle sue caratteristiche distintive sono l’aspetto e la longevità , cresce molto lentamente e consiste in un paio di foglie allargate e piatte che si estendono dal suo fusto centrale. Alcune piante di Welwitschia sono state stimate essere millenarie, alcune superano addirittura i 2000 anni. Da qui, il paesaggio è iniziato davvero a diversificarsi. Arrivati all’Aba Huab camp incontriamo un altro gruppo di Avventure nel Mondo che ci permette di usare anche la loro cucina da campeggio visto che sarebbero andati al ristorante. Veniamo poi coinvolti in danze e canti locali; naturalmente non ci siamo limitati a essere spettatori, ma ci siamo buttati e divertiti nei loro balli tradizionali, sperimentando la loro gioia e l’energia contagiosa.
La Skeleton Coast
Con la nostra attrezzatura da cucina, anche senza l’ausilio della luce, prepariamo la colazione e, dopo aver smontato e riposto le polverose tende, abbiamo ripreso il viaggio. Un’altra giornata di trasferimento, ma fortunatamente i paesaggi mozzafiato ci hanno accompagnato lungo il percorso.
Man mano che avanziamo nel percorso, i canyon sono diventati sempre più bassi, quasi a filo dell’orizzonte, trasformandosi gradualmente in un deserto vero e proprio che si estendeva fino al margine dell’oceano. Il paesaggio era composto da una vasta pianura desertica, punteggiata qua e là da dune di sabbia, ma la magia ha raggiunto il punto più alto nel momento in cui il deserto ha incontrato l’infinito dell’oceano. Siamo finalmente giunti alla Skeleton Coast, purtroppo non siamo riusciti a vedere i famosi relitti delle navi, in quanto campeggiavano divieti di accesso e noi avevamo il permesso di solo passaggio. Nonostante questo, siamo riusciti a trovare un tratto costiero dove era possibile scendere e farsi trasportare dal vento. Abbiamo trovato frammenti di navi naufragate e ossa, tra le quali un teschio di balena, sparpagliate sulla spiaggia, lì a testimoniare il passato burrascoso di questa costa.
Proseguendo il nostro cammino siamo arrivati a Cape Cross dove risiede una colonia di un numero indefinito di otarie.
Lo spettacolo è un mix tra disagio e divertimento in quanto, questi mammiferi molto lenti ed impacciati, per tutto il tempo quando non dormono emettono un verso greve e anche un po’ comico, ed un odore tendente al nauseabondo. Nonostante ci fosse un po' di vento il nostro naso è stato messo duramente alla prova, ma era una sosta da fare. Lasciando l’oceano e ci siamo diretti verso l’interno. Da un paesaggio completamente piatto, sono emerse tutto d’un tratto delle montagne e abbiamo subito capito di essere arrivati al Parco Nazionale dello Spitzkoppe. Queste montagne sono uniche nel loro genere e sorgono solitarie nel cuore del deserto, senza una singola traccia di vegetazione. Il loro caratteristico colore arancio, con sfumature di rosa, e la loro forma che sembra disegnare profili di rose giganti, danno alle montagne un tocco di romanticismo. Al tramonto, la magia di questo luogo raggiunge il suo apice, i colori delle rocce e dell’ambiente circostante si trasformano in una tavolozza di tonalità calde e fredde molto avvolgenti e creano un’atmosfera fiabesca.
Senza dubbio, posso dire che lo Spitzkoppe è stato il luogo che ho amato di più in questo viaggio. La sua bellezza, unita all’atmosfera romantica e incantata del tramonto, hanno reso questo luogo una tappa che rimarrà sempre nei miei ricordi. La sera è stato veramente difficile andare a dormire, il mio spirito ed il mio cuore erano su un altro livello di beatitudine, non riuscivo a staccare gli occhi dal cielo. La mattina, dopo aver fatto la corsa alla moka con il caffè caldo e alle uova nel tegame, abbiamo smontato il campo e ci siamo diretti allo Small Bushman paradise.
Le pitture rupestri sulle pareti rocciose delle montagne dello Spitzkoppe sono davvero insolite agli occhi di un’europeo, abituato a vedere cavalli, mammut, mucche, cervi ecc. Qui, le popolazioni più antiche, non si limitavano solo a rappresentare animali e scene di caccia, ma utilizzavano determinate simbologie per lasciare messaggi alle popolazioni nomadi che sarebbero passate di lì in futuro o come promemoria per quando sarebbero tornati. Un esempio è la rappresentazione di rinoceronti ed elefanti (animali che tendono quasi sempre a dirigersi verso le pozze), che dipinti nelle varie direzioni, puntavano verso le fonti di acqua, indicandole chiaramente. La guida ci ha raccontato qui molti aneddoti, le storie di queste tribù e ci ha fatto sentire ancora una volta il bizzarro linguaggio dei click. Ringraziato e salutato il nostro ranger abbiamo ripreso l’auto e dopo pochi minuti siamo arrivati al Bridge, un arco di pietra molto particolare dove quasi tutti sono saliti per le foto di rito.
Subito dopo abbiamo la Rock Pool, di cui non era rimasto altro che una piccola vasca scavata su una grossa roccia piatta, usata per raccogliere l’acqua. Più che l’interesse per lo scopo di quel sito, in noi è scattato qualcosa per cui a prescindere di cosa fosse e a che cosa servisse dovevamo raggiungere la cima e così è stato, ognuno con i suoi tempi e ritmi. Dalla cima una visuale a 360° veramente bella, sarà anche stato faticoso, soprattutto perché fatta sotto un sole forte, ma ne è valsa la pena. Nonostante il divertimento, Igor ci ha richiamato con il suo ormai più che conosciuto “andiamooooo†e abbiamo ripreso il nostro viaggio anche se con una lacrimuccia sul viso vista la bellezza del posto.
Un po' di Germania e un mare di fenicotteri rosa
Ci siamo nuovamente diretti verso la costa con destinazione Swakopmund, cittadina turistica con profonde origini tedesche che si riconoscono sia dall’architettura che dal nome sulle insegne delle varie attività . Persino il chiosco ambulante in cui abbiamo mangiato, posizionato a ridosso del piccolo acquario, era gestito da una signora tedesca. Dopo un’abbondante mangiata di pesce ci siamo concessi una passeggiata lungo la spiaggia fino a raggiungere le nostre auto attentamente custodite da parcheggiatori locali a cui abbiamo lasciato una piccola mancia.
La nostra tappa successiva ci ha portato a Walvis Bay famosa per la folta colonia di fenicotteri rosa, per l’estrazione di sale e per le sue dune spazzate dal vento. È una località turistica, caratterizzata da una gran quantità di case vacanza e dal nostro Lagoon Chalets in cui un’amabile “vecchietta tedesca†con cui avevo preso accordi pre partenza ci ha accolto e dato le chiavi delle nostre camere. La stanchezza è iniziata a farsi sentire, qualcuno ha accusato un po' di malessere ed ha passato la serata a riposo. Quella sera non abbiamo avuto da montare tende, cucina o altro e ciò ci ha fatto sentire più liberi tanto che abbiamo deciso di girovagare e cercare un pub non troppo turistico.
Tropico del Capricorno ma non solo
Come primo stop abbiamo avuto cartello del Tropico del Capricorno. Successivamente ci siamo fermati a Solitaire, ridente tavola calda con annesso distributore nel bel mezzo del nulla famosa per quella che dovrebbe essere la migliore torta di mele della Namibia. Abbiamo ripreso il nostro peregrinare nel nulla fino ad arrivare a Sesriem, percorrendo 330 km. Mentre io mi sono occupata delle incombenze burocratiche il resto del gruppo ha montato le tende, acquistato legna per il falò e allestito la cucina da campo per l’ultima volta. Abbiamo assaporato il nostro ultimo risotto e ci siamo bevuti le ultime birre. Ultima notte in tenda con una temperatura che è scesa fino a 4°C, la nottata più fredda del viaggio.
Dune dipinte
La notte nel deserto (anche l’ultima in tenda) è stata la più fredda di tutte. Non sono riuscita a dormire per quanto facesse freddo, nonostante il mio sacco a pelo avrebbe dovuto riscaldarmi abbastanza bene fino ai -4 gradi. Fortunatamente non è durata molto, in quanto ci siamo svegliati molto presto per andare a fare un’escursione sulle dune. Alle ore 06.15 siamo una delle prime auto a uscire dal campo per raggiungere la nostra destinazione finale: il Big Mama a circa 60 chilometri di distanza.Prima sosta al km 45 che dà il nome alla duna (duna 45). Era lì davanti a noi altissima e bellissima. Con non poca fatica, l’abbiamo salita, siamo arrivati in cima e seduti ci siamo goduti lo spettacolo. Non ero mai stata in un luogo così affascinante, le dune del deserto della Namibia, sotto i colori dell’alba, si sono tinte di sfumature intense tra il viola e l’arancione scuro, creando un paesaggio senza pari. L’imponenza delle dune è stata travolgente, tanto che sarei voluta rimanere ancor più a lungo per ammirarle. Qualcuno ha proseguito, altri si sono rotolati giù su una sabbia sofficissima. All’inizio sembrava un po’ spaventoso perché la pendenza era ripida, ma una volta iniziato, ho provato un grande senso di libertà che mi ha pervasa completamente. Abbiamo poi continuato verso la “Death Valley,†(Deadvlei) una vallata dove alberi morti di circa 900 anni, hanno creato un’atmosfera surreale. Subito dopo abbiamo raggiunto la Big Daddy, un’altra maestosa duna da scalare, ma purtroppo il tempo è stato poco per vivercela come volevamo. Abbiamo ripreso l’auto e siamo tornati verso il campeggio, questa volta con qualche problema in più visto che una macchina si è arenata. Con un lavoro di squadra, alla fine anche divertente, siamo riusciti a tirarla fuori. Arrivati al campo abbiamo attuato una vera e propria catena di lavoro: c’era chi ha smontato tende e attrezzature, chi ha preparato dei panini con quel che ci era rimasto nella cambusa, chi ha gonfiato le gomme che avevamo precedentemente sgonfiato per il tratto nella sabbia e chi ha caricato le macchine. Tutti perfettamente organizzati. Una mattinata carica di emozioni intense perché il nostro viaggio stava giungendo al termine. Così, ci siamo diretti verso la capitale, Windhoek.
Se credevate che il viaggio fosse finito dobbiamo deludervi, perché ad un centinaio di chilometri dalla destinazione, su una delle tante piste abbiamo incrociato una famiglia su un carretto trainato da un asino. In auto c’erano rimaste alcune cose che abbiamo offerto e che hanno accettato molto volentieri, bombola del gas compresa. Dopo questa buona azione, pronti per ripartire ma… c’è una gomma a terra. Abbiamo cercato il manuale di istruzione, smontiamo, montiamo, gonfiamo e ripartiamo. La giornata è stata lunga e intensa, la notte trascorsa al freddo, le poche ore di sonno, i tanti chilometri per alcuni passati al volante, la stanchezza ha iniziato a farsi sentire e vedere. Ci siamo ritrovati per cena, una buona mangiata e una birra fresca e siamo ritornati alle nostre camere per l’ultima notte del viaggio.
E così, in un battito di ciglia, si è concluso il nostro viaggio. Con me porterò non solo i ricordi dei luoghi coloratissimi e bellissimi che abbiamo visitato, ma anche le lezioni apprese attraverso le sfide affrontate durante questa esperienza. Queste difficoltà hanno arricchito il mio bagaglio non solo in termini pratici. Ogni viaggio ci aiuta ad aprire un po’ di più gli occhi sul mondo, ma credo che questo l’abbia fatto in modo particolare. Ringrazio tutti coloro che hanno condiviso questa esperienza con me e auguro loro una vita piena di viaggi ed avventure; una vita dove la parola “confort†prende un significato diverso da quello a lei assegnato. Una vita dove coltivare la curiosità e la voglia di incontrare persone diverse in tutti gli aspetti. Ricordiamoci sempre che la diversità è ricchezza. Apriamo gli occhi e le orecchie e accogliamo ciò che ognuno ha di più unico da offrire.