Un altro Nepal
La tongba tibetana è calda e acidula come doveva essere la birra fermentata che beveva anche Mosè in Egitto. È una sorpresa di Tshiring per il compleanno che festeggiamo con la sua famiglia. Atmosfera rilassata dopo la camminata in Naar che si è conclusa felicemente ed i compagni di viaggio hanno il Nepal nel cuore e negli occhi. Nasce una proposta: “venite nei villaggi del Basso Khumbu, non quelli più famosi sul cammino per l’Everest, ma quelli dove vive la maggior parte dei portatori”. E così, puntuali ci ripresentiamo a Kathmandu dopo dodici mesi. Un percorso per noi nuovo, nel paese degli Sherpa, fuori dai sentieri battuti. Colline di tremila metri tutte da scoprire.
3/11/19 (Sulla Everest Highway) - Kathmandu - Mulkharka.
Niente volo di avvicinamento. Ci contavo, ma non troppo. Inoltre i velivoli per Lukla non partono più da Kathmandu ed occorre raggiungere un aeroporto minore. Quindi ci infiliamo sulla Everest Higway, che forse sarà chiamata Nim Dorje Sherpa Tourist Road, dal nome del politico sherpa che l’ha fortemente voluta come molti conterranei, ma contestata da ambientalisti soprattutto occidentali. Il Nepal aspira probabilmente ad ottenere dalla “highway” gli stessi vantaggi della Cina sul versante nord: facilitazione del trasporto di beni e persone, con aumento delle entrate economiche rese dal comparto turistico e come in Kali Gandaki ed in Mustang, la strada sarà un sollievo per i villaggi.
In realtà il trasferimento è molto più lungo di quanto previsto ed arriviamo con il buio a Salléri il capoluogo amministrativo del distretto. Dopo un tè ed un consulto fra guida, autisti e gestore dela guest house, ripartiamo nella notte. La prima parte del percorso è su asfalto. Dopo l’insediamento tibetano di Jalsa, indistinguibile nell’oscurità, il fondo stradale cambia e le 4x4 superano con difficoltà alcuni tratti dove le ruote sprofondano nel fango. La sistemazione prevista a Mulkharka (2.736m) si rivela molto meno confortevole delle successive. È una malga di montagna composta dalla abitazione con cucina e dall’edificio dove dormiremo; strutture in pietra molto semplici, direi basiche. I portatori ci raggiungeranno domattina. Al momento di spegnere la luce, non trovo l’interruttore. Unica soluzione è svitare la lampadina.
4/11/19 (Ospiti dei Kalinga) - Mulkharka - Khastap
Notte un po’ disagiata, ma non troppo. Dopo colazione consegnammo i sacconi ai portatori che si avviano allegramente sul sentiero in ripida discesa. A Sarima (2.224m) passiamo accanto ha una parete rocciosa ove un tempo si trovavano degli alveari, ma il raccolto del miele non viene più effettuato e gli alveari sono stati abbandonati. Gli sciami trasferiti presso degli alveari costruiti dall’uomo, è un peccato perché era una pratica abbastanza diffusa e molto fotografata, tant’è che sono stati pubblicati alcuni libri e girati documentari su i “cacciatori di miele”. Appena sistemati nella comoda homestay di Khastap (1.800m), siamo invitati ad un “cultural show” organizzato in nostro onore. Non amo queste esibizioni, ma gli abitanti sono molto orgogliosi di mostrarcelo, per questo attraversiamo il villaggio - sparso sul pendio - e nell’aula insegnanti della Kanku Higher Secondary School, sotto le coppe ed i trofei sportivi, la Preside espone come sia difficile vivere a Khastap per i problemi di comunicazione, igiene, assistenza sanitaria inadeguata, assenza e indisponibilità di macchinari, crescente scarsità di terreni adatti alla coltivazione, disboscamento, accesso a combustibili alternativi per cucinare. Sono difficoltà comuni a tutti i villaggi sia della pianura che delle colline.
"La sopravvivenza di più dell’80% del popolo nepalese dipende dall’agricoltura tradizionale e dal mantenimento di un minimo di bestiame. Gli abitanti del villaggio sono di etnia khaling e, ovviamente, parlano kaling."
In primavera, nel corso della festa detta wass, si esibiscono in danze con una gestualità che mima le fasi della semina e del raccolto. Raggiunto il maidan della scuola, davanti alla nostra tribuna, viene sistemato un cesto di vimini ed infisso nel terreno un paletto. I danzatori entrano in corteo nel pratone preceduti dai musici vestiti con un abito bianco e le donne con il costume caratteristico khalinga. Il capo dei danzatori mostra agli altri ballerini i movimenti da eseguire. I gesti che sicuramente comprendiamo sono quelli della piantumazione del riso e della raccolta del grano. Altri, come l’atto di impastare il pane e del disporre i fiori, devono spiegarceli, ma ogni cultura ha la sua gestualità spesso differente dalle altre. Al termine, la cerimonia prevede che ognuno di noi riceva un’altra sciarpa bianca e ricambi pubblicamente con una piccola donazione. L’evento è stato organizzato da Jash Rai, rappresentante del vicino villaggio di Waku che vuole promuovere il turismo fra queste valli lontane dal flusso turistico del Khumbu. Dopo il terremoto, il suo villaggio è stato scelto dalla Monviso Nepal Foundation proprio perché fuori dai percorsi di trekking ed è stata ricostruita ed ampliata la scuola secondaria.
5 /11/19 Khastap - Jarsandi
Jash Rai si unisce alla nostra brigata e ci accompagnerà per tutta la giornata ed anche la seguente. Il sentiero scende verso Losku (1.570m) e prosegue attraverso una piantagione di aranci, qua e là spunta qualche banano. I frutti hanno la buccia verde e la polpa gradevolmente dolce e succosa. Ne raccogliamo qualcuna, giungendo infine ad un passerella metallica da cui inizia una lunga e - per me - faticosa risalita. La guida Aajay cerca una scorciatoria attraverso i campi dove è in corso il raccolto, poi si sale, sale, sale fino a giungere una cascata poco sotto il villaggio di Sundar Jharana (1.800m). Ci sistemiamo nella guest house, un bell’edificio in pietra e legno. Al primo piano c’è lo stanzone dove dormirà la maggior parte del gruppo. Al pian terreno invece c’è il teashop che guarda verso la vallata e i pendii attraversati ieri e stamane. Chiedo a Rai come si sviluppi la rete stradale che in alcuni punti squarcia i pendii. Purtroppo non esiste un piano regolatore. Le frazioni si consorziano e noleggiano un escavatore: la strada è fatta, poi, dopo il monsone, si vedrà se il pendio ha retto od è franato… Quando cala la sera, ci rendiamo conto di quanto sia popolosa la valle perché le luci che si accendono ci fanno individuare le casupole che altrimenti non avremmo visto perché nascoste dagli alberi.
6/11/19 Jarsandi - Jhareni
La tappa successiva è breve. Dal lodge proseguiamo su sentiero in mezzacosta tenendoci sempre su questo versante. Giornata ancora di sole, cielo con qualche nuvola. Il gruppo del Numbur è sempre in vista. Lo sterrato rimane parallelo al sentiero, ma più in basso e quando entriamo nel bosco scompare ai nostri occhi. Lungo il percorso ci sono pochissime malghe, non giungono rumori né di aerei né di trattori, solo il fruscio delle foglie sotto i nostri piedi. Era possibile allungare la tappa di ieri ed arrivare a Jhareni (2.447m), ma la programmazione è stata fatta in questo modo perché la tappa seguente non offre alcun punto di appoggio ed è relativamente lunga. Forse mi sarei affaticato e Tshiring, che mi conosce, ha fatto questa scelta. Oppure perché due portatori che erano stati assenti da casa parecchio perché in Rolwaling con Luca D’Intino, sono corsi a casa in un villaggio vicino a Losku. Il lodge di Jhareni è una casa su tre livelli con i gabinetti sia a pian terreno, sia al nostro primo piano. Siamo pochi ed occupiamo due stanze. Dove mangiamo, c’è una corrente d’aria perché vi sono porte sia sulla strada che sul retro della casa che si affaccia sulla valle. Il paesello offre poco: un tempietto buddhista ed una fattoria che produce miele. Non c’è molto da visitare o da fare. Chi ha un reader o un libro li sfrutta, rimanendo all’aperto finché c’è il sole. Wi-Fi non c’è e il cellulare ha campo solo spostandosi un po’ dal lodge. Al tramonto qualcuno si rifugia in cucina per stare al caldo.
7/11/19 (Profughi, montagne e formaggi) - Jhareni - Jalsa
Giornata di sole e di grazia con un ampio panorama sulle colline meridionali del Solu. Scrivo colline ma in realtà sono montagne di poco superiori ai tremila metri. Il percorso si sviluppa in mezza costa verso sud fino a quando il sentiero aggira il costolone di questa cresta e si affaccia ad ovest verso Salléri. È il giro di boa della prima parte del nostro trek. Da qui in sali scendi si prosegue attraverso un’area che figura essere abbandonata infatti incontreremo solo alcune malghe isolate e completamente vuote, prive di alcun segno che indichi un uso recente. Alla mia domanda, Aajay risponde che i proprietari sono emigrati tutti a Kathmandu. Il sentiero si snoda fra pascoli abbandonati e boschi. Superiamo un dosso con i ruderi di chorten, forse è un luogo sacro. Potrebbe essere stato un piccolo eremo, ma la mia è solo supposizione. Il cielo continua ad essere privo di nubi e la traccia è poco frequentata: l’arrivo della strada e dei mezzi motorizzati a Jhareni favorisce l’uso di jeep che giungono da un altro percorso. Il sentiero diviene una mulattiera più larga fino alle case di Talléri (2789m), costruite interamente in pietra e con una struttura differente dalle malghe. Sono passate le dodici, mi fermo a prendere qualche cosa in un teashop. Mentre sorseggio il tè, percepisco delle voci all’esterno ma la porta è stata chiusa dalla nostra ospite e quindi sento solamente la parlantina di due ragazze francesi che stanno passando. Sono le prime turiste che incontriamo! È veramente un percorso fuori dai sentieri battuti, non sono sentieri selvaggi - non ci apriamo la strada con il machete - ma qui proprio non giungono ecursionisiti… E finalmente l’insediamento tibetano di Jalsa (2.765m) compare alla vista. Non c’è vento ed il sole riscalda il prato prospicente al lodge. È piacevole accomodarsi sulle poltroncine di plastica - universali testimoni del mercato globale - e trascorrere il tempo guardando la valle. Da quando ne ho spaccata una a Tamanraset, scomparendo dalla tavolata, ogni volta che mi siedo controllo che resista al mio peso. Dopo il “59, Jalsa divenne un Tibetan Refugee Camp, ora gli esuli si sono insediati altrove, rimangono i numerosi conventi ed una scuola frequentata dai ragazzi dei dintorni e nel cortile della Sagarmatha Secondary School, annessa al gompa di Thubten Shedrup Ling, un lama ci racconta - in lingua inglese - che è stato ospite del Centro Ghe-Pe-Ling di Milano. Su una collinetta visitiamo il Guru Lhakang, dedicato a Padmasambhava. Una anziana tibetana sta completando i suoi 108 giri attorno all’edificio, ma la porta ci viene aperta un mastodontico monaco guardiano che non parla inglese e che orgoglioso nomina ed indica le varie effigi. Il monastero femminile di Tsepri Lopan sembra vuoto: le monache sono quasi tutte alla cerimonia nel tempio principale. Sulla strada un paio di bancarelle espongono frutta, dolci e giocattoli, quelli che possiamo considerare prasad cioè offerte da presentare al tempio e deporre davanti alle statue. Ovviamente vendono anche kata da offrire alle divinità. Il gruppo entra ed assiste alla puja in prima fila. Non rimane che tornare “lento pede” al nostro lodge al caldo, al wi fi, alle docce, ad un aperitivo di birre in attesa della cena. La Mandala GH è anche il bar del paese. Infatti, un gruppetto di allegri tibetani, uomini e donne, al ritorno dalla puja al tempio, entra e consuma qualche birra brindando assieme a noi.
8/11/19 Jalsa - Chinakpu
Ripartiamo per una giornata di trasferimento. A lato della strada ecco i segni della religiosità tibetana, sono rocce incise con mantra e piccoli muri mani, Poi ci tuffiamo per sentierini nel bosco. La traccia è esigua, mi chiedo se i portatori conoscano bene il perrorso o vadano a naso. Ricordo poco del tragitto, se non questa massa di verde che ci avvolge e i rametti dei cespugli che ogni tanto frustano il viso. La tappa si conclude in homestay a Chinakpu (2.765m).. Al secondo piano, dove ci sono anche le prese elettriche, sono accatastati sacchi di cereali: qui dorniranno i portatori. Noi disponiamo materassini e sacchi a pelo nella grande sala comune con l’altare di famiglia e panche lungo i muri con bassi tavolini. Nel prato c’è anche una casupola con la cucina e più in là ecco le latrine. L’ospite è un gurka in pensione e indica con orgoglio una albero di mele giunto da un vivaio italiano. La cucina funge da refettorio ed è una serata calda e piacevole con il nostro ospite che fra un bicchiere di ruksi, distillato d’orzo, ed uno stuzzichino, suona una sorta di banjo.
9/11/19 Chinakpu - Ringmo
Oggi breve tratto sulla camionale, futura Everest Hwy. Sosta tè di mezzogiorno, nell’insediamento di Phera, quasi a metà tappa. Il traffico è quasi scomparso, passano ancor meno pickup e trattori. Entro due anni tutto verrà asfaltato e le 4x4 arriveranno sotto Lukla. Sulla strada troviamo una sorgente sacra adorna con bandiere di preghiera messe in omaggio alle lhu, ninfe o divinità delle acque, entità di superficie o sotterranee, che risiedono nei fiumi e nelle sorgenti, collegabili anche ai naga, cioè ai serpenti delle acque. Quando arrivo, il gruppo è al sole attorno ai tavoli all’aperto. Qualcuno ha già pranzato, altri sono in giro nell’agglomerato di Ringmo (2.720m). Ordino un piatto di “tuna macaroni” e poi vado a sistemarmi. Il lodge è collegato ad un caseificio. Ne abbiamo visitato uno anche a maggio in Gosaikund. Il formaggio in stile alpino prodotto con latte di yak (in realtà di nak) è nato molto tempo fa con il lavoro dello specialista svizzero Werner Schulthess, inviato dalla FAO. Dopo un lavoro iniziale nella valle di Kathmandu, Schulthess si spostò più in alto in Himalaya dove trovò un’enorme eccedenza di latte, ma troppo lontana dalla capitale per spedire il latte senza rovinarlo. Allora ebbe la brillante idea di trasportare il latte sotto forma di formaggio. Mentre i pastori da secoli usavano il latte di yak per produrre il chhurpi, formaggio secco da succhiare, quello di Schulthess era abbastanza diverso dal gusto di molti nepalesi e ci volle molto tempo perché le loro papille lo accettassero. Dopo le vicende incerte della guerra civile e il terremoto del 2015, la produzione era crollata e molti caseifici andati in rovina. Ora sono stati ristrutturati e riaperti. In questo 2019, nel distretto di Rasuwa che comprende Langtang e Gosaikunda, gli allevatori hanno venduto formaggio di yak per un valore di quasi 500 mila euro e 100 mila di burro.
10/11/19 Ringmo - Moping
Risalendo i pendii aldlà del torrente, la vista si apre su fattorie e altri insediamenti. Con l’aiuto di Aajay riesco a localizzare i villaggi che avevo studiato sulla carta N505. Più saliamo, più la vista spazia sulla valle. Sosta per un tè a Salung (2843m circa, dipende in che punto sei del villaggio…), con diverse case quasi tutte trasformate in lodge. Seduto ad un tavolo, guardo il pendio sopra Ringmo che è più dolce del fondovalle incassato, ad occhio nudo si scorgono le case ed il valico di Taksindu. Oltre questa collina di tremila metri, la Catena Himalayana mostra il suo punto più alto: l’Everest è lì, quasi a portata di mano con la fantasia perché è pur sempre piccolo. Per individuarlo l’unico sistema è ricorrere ad una applicazione che ho installato e che fornisce la posizione di un monte anche atttraverso le nubi. Ripreso il cammino, un bel chorten alto circa otto metri da poco riverniciato in un bianco candore, segna il punto panoramico sulla sottostante valle e riesco anche a scorgere la pista dell’aeroporto. Girato l’angolo in breve siamo ai tremila metri di Purteng. Pranzo all’Everest View Sherpa Lodge & Rest. Mentre spazzolo il dal-bhat, ecco arrivare i primi escursionisti della giornata. Siamo sulla tappa Jumbesi - Nauthala dell’Everest Trail da Jiri, il percorso della spedizione di Hunt nel 1953. Lunga discesa sul versante occidentale del solco vallivo del torrente Jumbesi. Cammina cammina, arriviamo ad un paio di case presso un meleto ed infine siamo sulla strada che risale la valle. Il cellulare funziona e reccomando al gruppo, tramite il capo dei portatori, di non aspettarmi per salire al monastero. Se lo desiderano è meglio che vadano perché io sono in ritardo di un’ora. La comunità di Thupten Chöling venne fondata negli anni ‘60 da Trulshik Rinpoche stabilitosi nel Khumbu dopo essere fuggito dal Tibet. Il monastero è stato ammordernato da Michael Schmitz ed Helen Cawley che hanno ricostruito quello di Tengboche dopo l’incendio di alcuni anni fa. Thupten Choling accoglie un centinaio di monaci e monache e l’immigrazione di questo gran numero di persone sta destabilizzando l’ecologia della valle e alla fine mette i religiosi in competizione con gli abitanti dei villaggi per le scarse risorse. Il conflitto è già in atto ed è inevitabile. La homestay a Moping (2.864m) - non c’è un vero e proprio villaggio, il termine indica l’area nord della valle - è la casa di un parente di Tshiring, la cui famiglia è originaria di qui. Come due sere fa, la sistemazione è nella grande sala comune: panche sui lati e all’estremità il grande mobile con libri, statue ed altarini ma... grande sorpresa! Proprio dalle scansie sotto l’altare vengono estratte le bottiglie da 640 cl di San Miguel: birra santa da un mobile sacro?
11/11/19 (Sciamani, puje e panoram) Mopung - Pikey Peak
La Compagnia dell’Anello si divide. Chi parte per la vetta si alza prima dell’alba, fa colazione e si incammina. Danila R., Antonella A. ed Alessio F. assieme a Dawa ed altri tre portatori hanno scelto la variante con la salita Pikey Peak, un quattromila sacro agli Sherpa e balcone panoramico sulla Grande Catena Himalayana. Il tragitto è lungo, nel pomeriggio le nubi avvolgono il pendio ed alla luce delle torce raggiungono il caldo del rifugetto del Pikey B.C (3.650m), gestito da gentilissimo Janbu Sherpa. Ed il gruppo? È in una guest house a Tamakhani (2.400m) dove non siamo gli unici ospiti: la luna piena di novembre è celebrata nel vicinissimo tempio di Jwalamai Devi Mandir, dedicato a Shiva ed alla sua consorte, e molti emigrati sono tornati al villaggio e dormono in questo alberghetto. La cerimonia è in corso, i sacerdoti in tunica arancione cantano infinite nènie riprese ed amplificate dagli altoparlanti. Ogni tanto scuotono i cimbali ed ogni fedele, uscendo dal tempio, scuote la campana per ricordare lassù che ha compiuto il rito prescritto e l’offerta è stata inviata. Tappi nelle orecchie e dormiamo, incuranti o quasi della festa che si protrae tutta notte con momenti di esaltazione collettiva in cui tutti declamano ad alta voce la lode a dio. L’Hinduismo ha milioni di dei, ma in fondo è un credo monoteista perché anela all’Uno
12/11/19 Pikey Peak – Salléri
L’alba in vetta è il momento magico. Per viverlo, bisogna alzarsi prestissimo e compiere l’ultimo balzo. Poi occorre scendere fino a Loding dove una macchina attende per trasferirli a Salléri e cenare con il gruppo. Elencare tutte le vette del panorama è difficile. Di sicuro si vedono: Gauri Shankar (7.134m), Ramdang Go, Melungtse (7.181m), Tsoboje, Bigphera-Go Nup, Angole, Numbur, Khatang, Karyolung, Arakam Tse, Pumori (7.184m), Likin (7.026m), Everest (8.848m), Lhotse (8.499m), Thamserku, Kusum Kanguru, Kyashar, Kali Himal, Mera Peak, Makalu (8.485m) e Naulekh. Noi intanto ci siamo incamminati a piedi. Incontriamo numerosi gruppi di fedeli che salgono verso Jwalamai. Provengono dai villaggi hinduisti della vallata del Suru, specialmente dalle “colline” ad est di Salléri. Ogni processione è guidata da un jhàkri, uno sciamano che indossa una tunica bianca e porta piume di pavone infilate nel turbante in guisa di corona. Li ho visti a Kathmandu muoversi e danzare in gruppo nel corso di varie cerimonie. Oggi, ne passa uno per gruppo, come un prevosto in pellegrinaggio o in gita parrocchiale. Accanto al jhàkri camminano uno o più adepti, forse discepoli o allievi, che sembrano più rumorosi e suonano piccoli cimbali e tamburelli. Lo sciamanesmo jhàkri è praticato tra numerosi gruppi etnici del Nepal e dell’India nordorientale. In Nepal, lo sciamanesimo esisteva prima dell’arrivo dell’Hinduismo e del Buddhismo. Prevalente è la fede negli spiriti, quindi anche la paura del possesso spirituale. Da secoli è integrato in entrambe queste religioni che hanno influenzato le pratiche dei jhàkri come gli ancestrali riti dei Mon e del Bön. I rituali sciamanici non hanno una forma monolitica e cambiano a seconda del credo di una particolare comunità. I jhàkri sono persone comuni che lavorano come agricoltori o in qualche altro lavoro quotidiano, e talvolta praticano lo sciamanesimo, generalmente di sera al ritorno dai campi.
13/11/18 (Maschere, preghiere ed elicotteri) Chiwong Gompa
Chicca finale di una bella camminata: la festa del Mani Rimdu, celebrazione che si svolge anche a Tengboche, ma che al gompa di Chiwong vede una minore presenza di turisti e curiosi occidentali. Partiamo per il monastero con le 4x4. Anche quando imbocchiamo la deviazione, gli autisti non sanno fin dove potremo salire. Con loro e nostra sorpresa, lo sterrato arriva fino al gompa. Ma lo stupore maggiore è trovare una piazzola per elicotteri dove sosta il chopper, giallo e molto piccolo, di uno sponsor del monastero, un folkloristico personaggio che avanza sulla scalinata indossando calzettoni, braghe corte ed una pelliccia, a in compagnia di una eterea e bellissima ragazza. Come gran parte dei cham (pr. ciam), la cerimonia inizia in tarda mattinata. Ho appuntamento con Bruno Zanzottera, compagno di viaggio in Tchadar che è qui con un interprete procurato da Tshiring. Ha in progetto un servizio sul cham ed uno su i Raule, una delle ultime popolazioni nomadi della giungla. Il rituale del Mani Rimdu è lungo due settimane. I giorni più interessanti sono gli ultimi tre, specialmente quello di oggi in cui vengono eseguite le danze sacre. Ieri era il giorno delle offerte. Una cerimonia monotana - a detta di chi vi ha assistito - con centinaia di famiglie che presentavano le loro offerte al tempio e venivano benedette. Le donne in abito tradizionale tibetano, quelle sposate con il grembiule a strisce orizzontali. Gli uomini con giacche e piumini spesso abbelliti dal logo vistoso della marca. La balconata ci accoglie, ma ogni tanto, un po’ stanchi delle scenografia e della musica abbastanza ripetitiva, ci spostiamo nel cortile. Pranzo nell’intervallo: poco prima delle 13: raggiungiamo il prato dove è stato approntato un ristorante che serve noodle con vegetali e frittatine. Le danze procedono e il loro significato è riassunto in un opuscolo stampato a cura degli organizzatori. Incuriosito cerco di seguire e comprendere quanto vedo. Dopo una ventina di feste cui ho assitito e varie letture, riconosco le coreografie e significati, ma pur sempre dall’esterno. Il buddismo lo si vive e pratica, altrimenti è semplice studio. “Cuius regio, eius religio” ha detto - in inglese - il Dalai Lama. Aldilà di queste spiegazioni, il laico che assiste al ‘cham non usa le stesse categorie dei tibetologi e non fa distinzioni fra vajrayana tantra, riti bön, pratiche yoga, che forse non sono conosciute neppure dai monaci. Gli spettatore, sopratutto i più anziani, si immergono, fra una preghiera ed una danza, fra un sorso di tè ed un dolcetto, nei rituali e ne sono permeati, facendone parte. Noi turisti siamo solo la coreografia. Verso le tre e mezza, monachelli e laici passano con bicchieri di carta e piattini, poi con teiere fumanti e secchi di zinco colmi di riso dolce con uvetta sultanina, versano una mestolata nel piattino e passano allo spettatore accanto. Ancora alcune danze e poi scendiamo a Salléri, inizio del lungo ritorno verso l’Italia. Siamo tornati per l’ennesima volta in Nepal, molti di noi hanno battuto tutti i sentieri più o meno classici e qualcuno assistito anche al Mani Rimdu di Tengboche, tornando per questo di Chiwong. Qui abbiamo vissuto un altro Nepal Sconosciuto e ne è valsa la pena!