Tra mari e monti
Siamo in 15, tutti over 50 , e partiamo da Milano sabato pomeriggio 15 febbraio 2020. Il Covid non fa ancora paura e l’Oman è segnalato con pochissimi contagi. L’Oman, con 4 milioni di abitanti, occupa la parte più orientale della penisola Arabica e noi ne visiteremo solo la parte nord, ove sono concentrate le peculiarità del paese. Alle 3,25 atterriamo a Muscat, la capitale, che conta la metà dell’intera popolazione del Paese. Saleem ci aspetta all’aeroporto con le tre auto, Pajero Mitsubishi 3600 di cilindrata a benzina con cambio automatico. Dopo le spiegazioni ci guida all’albergo e non avendo valuta locale ci diamo appuntamento per il pagamento del noleggio alla mattina del lunedì. Dormiamo 2 ore e alle 8 svegli per la colazione. Andiamo subito alla Grande Moschea Al Qaboos, fatta costruire dall’omonimo Sultano che ha regnato per 40 anni ed è morto un mese fa’, amatissimo dal suo popolo poiché ha trasformato, cambiato e modernizzato il Paese, pur conservandone lo spirito e senza stravolgerne l’anima. la Moschea va vista con calma al mattino e vale un quarto del viaggio. E’ un capolavoro dell’architettura islamica moderna che l’ ha saputa armonizzare con i simboli della tradizione. Impressionante è la magnificenza della sala di preghiera principale ricoperta dal più grande tappeto mai fatto, 70x60 metri, dall’enorme lampadario, dai marmi intarsiati e dalla grande cupola. E’ circondata da un grande e curatissimo parco, pieno di colorati fiori. Quindi al vicino supermercato Lulu ove cambiamo la cassa comune, la cassa viaggi e i soldi personali. Compero anche una scheda Sim locale che si rivelerà utilissima. Poco distante vi è il porto di Mutrah dove ammiriamo la corniche, gli edifici in stile coloniale, il grande incensiere, il Forte Portoghese e il Souq, non tanto grande ma che conserva la tipica atmosfera pittoresca dei mercati arabi. Qui, GB (Gianbattista) ed io, comperiamo il tipico abito omanita, il bianco Dishdashah, comodo e fresco, che indosseremo per tutto il giorno. Ci spostiamo quindi nella cosidetta città vecchia di Muscat, che di vecchio non ha nulla. Tutti gli edifici sono modernissimi con linee semplici ed essenziali, circondati da spazi verdi pieni di fiori multicolori. Qui hanno sede i Ministeri, il Museo Nazionale e il Palazzo del Sultano. Non una carta per terra ne una scritta sui muri e alcuni pavimenti sono di marmo lucidato a specchio! Ceniamo infine all’aperto con piatti Omaniti e vista sul mare.
Oggi 17 febbraio partiamo presto, dopo aver pagato Saleem. Primo stop a Barka ove assistiamo alla caratteristica Asta del pesce e quindi al mercato. L’Asta è gestita da due anziani che assegnano i lotti in silenzio e con semplici gesti. A fianco vi è il Mercato con grandi varietà di pesci e anche degli squaletti che sembrano di plastica. Spiccano i tonni ridotti in grossi cubetti rossi che ti mettono l’acquolina in bocca. Più in là la lavorazione, la squamatura e il taglio dei pesci fatti con semplici gesti e affilati maceti, un vero spettacolo. Intanto dal mare continuano ad arrivare barche cariche di pesce che a spalla, in grosse ceste, portano al mercato. Proseguiamo e in un’ora siamo al ben conservato Forte di Nakal costruito su uno sperone di roccia che possiamo solo aggirare, senza entrare, poiché in ristrutturazione. Nel palmeto adiacente assistiamo all’impollinazione manuale delle palme da dattero fatta da un ardito giardiniere che sale in cima alla palma a piedi nudi con l’ aiuto di un semplice anello di corda teso tra i suoi fianchi e la palma stessa. Vicinissime ci sono le sorgenti di acqua calda di Al Towarah. Ne approfittiamo per un bel pediluvio con pulizia delle pelli morte, fatte da famelici pesciolini che ti solleticano i piedi. Entriamo quindi nel grande Wadi Bani AWF e con strada sterrata raggiungiamo il Little Snake Kanyon ove ci inoltriamo nello stretto pertugio fino a raggiungere uno sbarramento invalicabile. Siamo nel nulla sulla catena dei monti Hajar su strada sterrata, la più impegnativa del nostro viaggio. Incredibile: poco prima di Bylad Sayt hanno costruito, spianando il terreno tra i sassi, un campo da calcio con erba sintetica che spicca col suo verde intenso tra le grige rocce. Bylad Sayt è una piccola oasi con coltivazioni terrazzate e le vecchie case fatte con mattoni di fango essicati al sole e sembra disabitato pochè incontriamo solo qualche bambino. La strada, sempre più dura e con pendenze incredibili, mette a dura prova i nostri tre potenti Pajero, tanto che dobbiamo fermarci per far raffreddare i motori. Al tramonto siamo sul passo a 2000 mt dopodichè una bella strada asfaltata ci porta a Bahala. Stamattina siamo diretti al Grande Canyon d’ Arabia. Una breve sosta per ammirare, al di là della valle, un paesino con le case e i muretti rigorosamente a secco, senza malta. La strada, sempre in salita, termina quasi sull’orlo del Canyon, dove lasciamo le auto per iniziare la lunga camminata sul bordo del Jebel Sham. Il sentiero pianeggiante e ben tracciato, si snoda per chilometri e noi lo percorriamo per circa un’ora e mezzo ammirando la cima a 3000 mt, il volo delle aquile bianche e nere, il profondo Wadi Ghul sottostante e il grandioso spettacolo delle rocce a picco. Al ritorno troviamo le nostre auto circondate dalle capre che mangiano di tutto e sono tanto intraprendenti da rubarci dal baule un sacchetto di mandarini. Qualche acquisto alle povere e misere bancarelle gestite dalle donne del posto. Ritorniamo quindi a Bahala per la visita del forte, patrimonio Unesco. Fu costruito nel XII secolo dalle tribù locali ed era abitato da parecchie famiglie tanto da essere considerato un piccolo paese autonomo. E’ stato completamente ristrutturato e di originale sono rimaste solo le forme della struttura. Il rifacimento in cemento, seppure criticabile, è giustificato dal fatto che essendo costruito ordinariamente in argilla, questa si sarebbe nel tempo completamente consumata o meglio erosa dagli agenti atmosferici. Poi in mezz’ora raggiungiamo il Castello di Jabrin del 1600 e molto ben conservato. Da ammirare il cortile interno, con le finestre graticolate e i balconi in legno, e Il magazzino dei datteri, il cui succo veniva convogliato, tramite scanalature nel terreno, nel pozzetto per la raccolta. C’è anche la stanza che ospitava il cavallo del sultano e ai piani superiori le camere coi soffitti in legno decorati e la grande terrazza panoramica terminale. Al tramonto arriviamo a Nizwa, la seconda città dell’Oman, dominata dal grande forte con la tozza torre circolare alta 40 mt. Simboli della città sono il ricurvo pugnale Khanjar e i vasi traforati di terracotta. Nel Souq c’è la via delle gioiellerie che risplendono e abbagliano per la grande profusione d’oro giallo. All’interno colpisce il fortissimo contrasto tra le donne completamente in nero e gli uomini coi loro bianchi dishdashah e il Kuma in testa, un cappellino che assomiglia al fez. Ceniamo all’aperto in ristorante yemenita. 19 febbraio, saliamo in altura fino al villaggio di Misfah Al Habryn che occupa solo il lato destro della valle poiché vi è abbondanza di acqua, mentre il lato sinistro è brullo e arido. Sotto Il paesino il terreno è interamente ricoperto da piantagioni terrazzate di datteri che sono abbondantemente irrigati dai canaletti chiamati aflaji, un tempo scavati nel terreno mentre ora sono stati cementati per garantirne la durata senza più manutenzione. Da qui si può ammirare anche un vasto panorama sottostante con gli agglomerati di case basse e bianche immerse nelle brulle e rocciose montagne. Proseguiamo in autostrada fino ad Al Gabbi ove, sgonfiate un poco le gomme, entriamo, sulla ben segnata pista, nel deserto di sabbia per 20 Km fino al nostro campo tendato. Le tende sono più che confortevoli e il bagno è a cielo scoperto. Nel pomeriggio alcuni scelgono l’escursione sui dromedari mentre altri a spasso, con grande divertimento, sulle alte dune con le nostre auto, fino all’ora del magico tramonto nel deserto. Quindi ottima cena a buffet, relax al fuoco di bivacco e vista di un fantastico cielo stellato. La giornata di oggi si apre con la visita ai dromedari che hanno passato la notte lì vicino e quindi riprendiamo le auto per una bella corsa sulle dune nel deserto. Una sosta ci permette di vedere una casa piatta e isolata, fatta coi bolognini, ove vive una famiglia con capre e dromedari tra cui un cucciolo bianco che poppa, mentre il padre, dromedario, controlla e vigila orgoglioso e fiero. In poco meno di un’ora siamo al Wadi Bani Khalid. Un addetto all’ingresso controlla che il nostro abbigliamento, specie femminile, non sia troppo succinto. Superata la prima parte coi laghetti ed il ristoro inizia il vero wadi formato dal fiume che scorrendo tra le rocce crea pozze, piccole cascatelle e anche le marmitte dei giganti; l’acqua è invitante e Milena si butta per prima, seguita poi dalla maggioranza di noi. Proseguiamo fino al forte Bani Bu Ali, mezzo diroccato, però l’unico autentico poiché non ristrutturato e quindi alloggiamo a Ras Al Haad sul mare. Alla sera, Fail, che avevo contattato dall’Italia, ci porta sulla spiaggia ove ha allestito una cena a base di una abbondante grigliata di vari pesci accompagnati da pomodori. Poi saliamo sul pianale del suo pick up per una corsa sul bagnasciuga fino ad incontrare una sola tartaruga verde che sta saggiando il terreno per vedere se adatto alla deposizione delle uova. In questo periodo le tartarughe sono rare al contrario di luglio e agosto ove ne giungono oltre trecento per notte. Sembra che la sabbia non le piaccia per cui si gira per tornare in mare mentre noi, tutti intorno, la immortaliamo in continuazione.
Questa mattina è prevista un’escursione in mare sulla nuova barca di Fail, dotata di potente fuoribordo. Dapprima lungo costa, ove incontriamo due tartarughe che nuotano verso riva, e quindi al largo ove incrociamo due barche di pescatori intenti a recuperare la rete piena di pesci. Con notevole sforzo, a mano, tirano su la rete fino a rovesciare il pescato nella barca. Un metodo primordiale e faticoso, fatto da gente con poca attrezzatura, abiti inadatti al mare, ma dotati di grande maestria. Sostiamo quindi su una spiaggetta per il bagno. Qui sono ben visibili le tracce delle tartarughe che hanno deposto le uova. Fail ci insegna come trovare il punto ove sono state sotterrate le uova e il trucco che fa la tartaruga per depistare i predatori. C’è anche un ragazzo che pesca lanciando a mano l’amo con l’esca e quindi recuperandolo sempre a mano, ma con scarsi risultati. Ritorniamo poi alle nostre tre fedeli Pajero costeggiando la lunga spiaggia di finissima sabbia. Siamo in partenza ed ecco l’imprevisto: Cristina non riesce a muoversi, ha grandi dolori in zona renale che le impediscono di camminare. Comunico a Avventure l’accaduto e quindi telefono a Europassistance che mi indirizza presso una clinica privata, loro convenzionata, a Sur. Ci va bene poiché Sur è la nostra meta odierna. Improvvisiamo una barella con le lenzuola, e adagiamo Cristina nel baule di un’auto sgombrata dai bagagli. Forse il più sgomento e preoccupato fra tutti è il nostro albergatore che poi gentilmente ci invita a tenere le lenzuola barella. Sur dista 50 km ed il percorso è una sofferenza per Cristina per via delle scosse, ma lei preferisce rimanere in posizione sdraiata nel baule. Il dottore che la visita con vari esami conclude che potrebbe essere una colica; le somministra paracetamolo, non avendo altri calmanti, e ci consiglia di portala al grande Ospedale Policlinico che dista 12 Km da Sur. Così facciamo e quindi, con due auto, ritorniamo a Sur, tranne Valeria, Emilia e GB, che resteranno per assisterla. A Sur la prima visita è per i cantieri navali dove costruiscono i Dhows, le tipiche imbarcazioni Omanite dalla vela triangolare, con arcaici metodi artigianali. Poi ci rechiamo all’interessante e particolare nuovissimo Souq delle donne con tanti negozi di vestiti, passamaneria e articoli femminili. Anche qui le donne vestono solo abiti neri e hanno il viso coperto dal chador. Prima di cena salutiamo le capre accovacciate per la notte lungo la strada e appricciamo con un gruppo di ragazze. Riusciremo a fare una foto con la sola più coraggiosa poiché le altre ci sfuggiranno sorridendo nei loro chador. Tempo libero fino alla cena nel ristorante di fianco all’albergo. Lì ci raggiungono anche i tre che erano rimasti in ospedale con non buone notizie poiché, a causa di un incidente stradale che ha la precedenza, la nostra Cristina è stata lasciata sul lettino in attesa. Hanno comunque apprezzato l’ospitalità degli Omaniti che offrivano il caffè dai loro thermos portatili, peccato che la tazza era sempre la stessa per tutti! Ma a quel tempo il Covid non era ancora così aggressivo. Dopo cena, Luisella ha l’ ottimo suggerimento di tornare al Policlinico, senza aspettare la mattina seguente, per aggiornarci sullo stato di Cristina. Con lei ed Elisabetta, senza dirlo agli altri, torniamo all’Ospedale ove riusciamo a parlare finalmente con un competente e bravo dottore che che, visitata Cristina, ci rivela la causa del male: uno spasmo o strappo muscolare acuto, probabilmente causato da qualche sforzo fatto il giorno prima. Cristina, che nel frattempo sta meglio, viene dimessa e dopo una discussione, perché volevano farci pagare il conto, andata a buon fine a nostro vantaggio, ci rechiamo in farmacia per acquistare gli antidolorifici prescritti, che riusciranno a eliminare completamente i dolori il giorno seguente. L’avventura ospedaliera è finita bene con sollievo di tutti anche perché il nostro aereo di ritorno è previsto fra quarantott’ore. Ultimo giorno. Dopo la visita al faro della vicina Al Ayjat, da cui si gode una visione panoramica di Sur e del grande ponte che la collega, arriviamo al Wadi Shab che inizia dopo aver attraversato il fiume sulle barchette dei traghettatori. Una facile camminata di circa un’ora su sentiero che fiancheggia il fiume, tra la tipica vegetazione e le rocce scavate come fossero sculture, ci porta all’ inizio del percorso acquatico. Con Elisabetta, Franca, Milena ed Aldo proseguo nuotando e camminando attraverso tre grandi pozze fino allo stretto e lungo pertugio scavato tra le rocce che ci porterà alla grotta nascosta. Una grande vasca con pochissimi appigli, dove si riversa una cascata che qualcuno risale per tuffarsi nella pulitissima acqua color smeraldo. Una esperienza indimenticabile. Tornati indietro riprendiamo le auto fino al Bimah Sink Hole, cioè una grande e profonda dolina calcarea naturale con il suo laghetto sul fondo. Qui ci appare la differenza di mentalità e filosofia di vita che vi è tra loro e noi. Infatti stanno facendo il bagno un papà Omanita tutto vestito col suo dishdashah e il kuma in testa, rigorosamente bianchi, insieme ai suoi due piccoli anch’essi con maglietta e calzoncini a mezza gamba. Al loro fianco vi è un papà europeo coi suoi due marmocchi che indossano le sole mutandine da bagno. Arriviamo quindi a Muscat e subito al Souq per gli ultimi acquisti tra cui l’Halwa, un dolce tipico, e poi a spasso per vedere la vera vita cittadina che ci conferma come gli Omaniti tengano alle loro tradizioni e si siano lasciati poco influenzare dall’occidente. Terminiamo con una mega super cena a base di pesce, bevande locali e dolce al miele. Ci avviamo poi all’aeroporto non prima di un’ultima visita alla grande e ben illuminata Moschea Mohammed Al Amin. Non mi resta che ringraziare le tre coppie, Aldo e Milena, Adamo e Fabiana, GB e Valeria, e quindi Franca, Lucia, Mariella, Cristina, Emilia, Cecilia, Elisabetta e Luisella per l’entusiasmo, la collaborazione e la simpatia che hanno determinato l’ottima riuscita del viaggio.
Il film del viaggio è visibile su YouTube