Sospesi tra il cielo e terra
12-13 agosto - Sucre, alti ma non troppo!
Rumore delle ruote che rotolano velocemente sull'asfalto, vetri dell'aereo che vibrano, la schiena che improvvisamente viene schiacciata contro sedile e il muso dell'aereo che punta verso il cielo, ci siamo: il Bolivia Cile Discovery ha inizio.
Il gruppo si è ritrovato nei due aeroporti di Fiumicino e Malpensa. Dopo le presentazioni, a Milano, iniziano le prime condivisioni: "quale tattica useresti per sopravvivere in viaggio in caso di smarrimento della valigia?". L'ironia però dura poco, qualcuno riceve una notifica sul cellulare "Volo per Madrid in ritardo di un'ora e quarantacinque minuti!" il rischio di perdere la coincidenza per Santa Cruz è alto. Tutto il gruppo si mobilita per cercare il modo di ottimizzare i tempi necessari per il trasferimento a Madrid dal terminal 1 al terminal 2, dove dovremmo prendere il volo per la Bolivia.
Fortunatamente, però, una volta arrivati al desk, la hostess ci rassicura: il volo è in leggero ritardo ma non partirà alle 20:00, come invece annunciava la notifica.
Tiriamo tutti un sospiro di sollievo, allarme rientrato!
Il viaggio prosegue tranquillo, a Madrid, il gruppo di Milano si unisce ai viaggiatori in arrivo da Roma. Ora siamo al completo!
Dopo un volo di undici ore raggiungiamo Santa Cruz, qualcuno esce dall'aeroporto per fumare ma rientra dopo poco dicendo "Penso che quella sia stata la mia ultima sigaretta, ho già accusato l'altitudine, mi girava la testa! Ma a che quota è Santa Cruz?". Facciamo un rapido controllo su Google e scopriamo che Santa Cruz è a "ben" 400 metri sopra il livello del mare, il gruppo scoppia a ridere, "Quasi come Milano!", qualcuno aggiunge.
Impieghiamo il tempo che ci separa da Sucre, la capitale costituzionale della Bolivia, facendo un briefing introduttivo sul viaggio.
La città bianca ci accoglie con un meraviglioso cielo azzurro ed una temperatura ottimale, resa ancora più gradevole da un leggero venticello che ci accompagna durante tutta la visita della città.
Pranziamo nel coloratissimo mercato centrale con il mondongo, un piatto tipico della regione di Chuquisaca a base di carne di maiale al sugo accompagnata da mais bollito. La cosa che più apprezziamo è il poter vivere la città con la popolazione locale, i turisti in città sono davvero pochi se non addirittura inesistenti, siamo gli unici europei, insieme soltanto ad un altro gruppo di Avventure.
Nel pomeriggio raggiungiamo il mirador Recoleta, un vista panoramica sulla città di Sucre. Percorrere la scalinata per arrivare in cima è stata la prima sfida del viaggio. Nonostante ci troviamo ad appena 2800 metri sul livello del mare, il fiato corto inizia, infatti, a farsi sentire. Considerando che questa è l'altitudine più bassa che toccheremo durante tutto il viaggio, qualcosa ci fa pensare che ne vedremo delle belle.
Concludiamo la giornata ammirando un caldissimo tramonto sui tetti del monastero di San Felipe Neri, proprio quello che ci vuole mentre la temperatura, che ci ha coccolati per tutta la giornata, inizia a scendere lasciando spazio alla nostra prima notte boliviana.
14 agosto - Potosì e la montagna d'argento
"Potresti costruire un ponte di argento puro da Potosì a Madrid con i minerali estratti. Potresti costruire il ponte di ritorno con le ossa di quelli che sono morti cavandoli." - Eduardo Galeano
Le montagne aride di terra rossa ci fanno da cornice mentre Sucre si allontana alle nostre spalle.
Arriviamo a Potosì, simbolo dell'attività mineraria della Bolivia. L'emblema della Città è infatti il Cerro Rico, montagna che deve il nome alla presenza di giacimenti di minerali e metalli preziosi, l'estrazione dei quali, ancora oggi, rappresenta la fonte principale di sostentamento di tante famiglie boliviane.
Abbiamo scelto di inserire questa tappa perché quando viaggiamo ci piace informarci su tutti gli aspetti che caratterizzano un Paese, anche quelli più critici, per poter avere delle conoscenze sulle quali sviluppare una nostra opinione, basata sull'esperienza che ci è stata raccontata da chi vive quelle situazioni in prima persona.
Man a mano che ci avviciniamo a Potosì la strada diventa più panoramica, ad un certo punto riusciamo a vedere tutta la città dall'alto. Le casette di terracotta, una addossata all'altra, da qui sembrano fatte di cartone.
Arrivati in centro la nostra guida ci invita ad indossare una tuta, degli stivali e un elmetto protettivo dotato di luce. Ci introduce quindi la realtà della miniera.
Il Cerro Rico viene sfruttato da oltre quattrocento anni, da quando le enormi vene d'argento della montagna vennero scoperte dagli spagnoli, nel 1547.
Secondo una leggenda, però, già prima dell'arrivo degli spagnoli, gli Incas conoscevano la potenzialità della montagna ma quando iniziarono a cavare la collina quest'ultima parlò dicendo "Non prendete questo argento, è destinato ad altri padroni".
Gli storici vedono in questa variante un'influenza deliberata degli spagnoli nella leggenda, per legittimare il loro lavoro sulla collina. Infatti, se da un lato l'estrazione di argento è stata la fortuna degli spagnoli, dall'altra ha segnato la condanna per la popolazione indigena, costretta dai conquistadores ad abbandonare la propria tradizione per essere sfruttata in miniera e molto spesso a perdere la vita.
Le condizioni lavorative, infatti, non sono ottimali, i rischi sono all'ordine del giorno e sono ancora molti i minatori che perdono la vita a causa di esplosioni, crolli, asfissia. La vita media lavorativa di un minatore è di venti anni, molti iniziano a lavorare da giovanissimi a quattordici o quindici anni. Per coloro che sopravvivono alla miniera, il mostro più duro da combattere si chiama silicosi.
Ci chiediamo allora perché, alla luce di tutti questi rischi per la salute, le persone scelgano di continuare a lavorare in miniera. La nostra guida ci risponde che per gli abitanti di Potosi non ci sono alternative reali. Potosì è considerato un villaggio minerario e il governo non ha interesse a creare altre opportunità di lavoro non legate alla miniera. L'obiettivo del governo è, infatti, rendere il Cerro Rico una miniera a cielo aperto, per garantire delle condizioni di sicurezza migliori. Questo, però, vorrebbe dire utilizzare macchinari che sostituirebbero la manodopera umana per cui i minatori sono fortemente contrari a questa soluzione. Ci dice poi che il salario di un minatore, quando le materie prime sono ben quotate, è molto più alto di quanto guadagna un qualsiasi altro lavoratore in città per cui gli abitanti preferiscono rischiare ma avere la certezza di un guadagno più alto.
Attualmente circa diciottomila abitanti di Potosì lavorano nelle miniere, il quaranta per cento della popolazione, la parte restante è impiegata nell'industria mineraria e soltanto una piccolissima parte nel settore turistico.
Prima di raggiungere la miniera percorriamo il mercato dove i minatori acquistano la dinamite da utilizzare in miniera. Potosi, infatti, è l'unica città dove l'acquisto della dinamite è libero. Proprio per questo motivo molte persone da tutta la Bolivia vengono qui per acquistarla, per poter minacciare il governo di utilizzarla in caso di rivolte.
Durante la visita della miniera attraversiamo i cunicoli che ogni giorno i minatori percorrono per raggiungere le loro postazioni di lavoro. A un certo punto veniamo avvolti da un forte odore di fumo, ci spaventiamo, non sappiamo cosa sia ma la nostra guida sembra tranquilla e continua ad addentrarsi nel cunicolo buio. L'odore di fumo diventa sempre più forte fino a quando, finalmente, capiamo cosa sia: è l'odore delle sigarette che ogni giorno i minatori, prima di iniziare a lavorare, offrono a El Tio, il dio della miniera, insieme ad alcool e foglie di coca per chiedere protezione.
I piccoli tunnel sonofreddi e umidi, a terra scorrono rivoli d'acqua rossastra, colore dato dall'ossidazione di minerali cavati. Ai lati dello stretto percorso lungo cui camminiamo, spesso notiamo dei buchi, la guida ci spiega che sono dei camini, di oltre centocinquanta metri di profondità, che permettono la circolazione di ossigeno anche ai livelli più profondi della miniera. Il rischio di caderci dentro e davvero alto.
Dopo circa un'ora torniamo a vedere la luce, la nostra pelle è secchissima e facciamo quasi fatica a respirare, nonostante il periodo che abbiamo trascorso in miniera sia stato molto ridotto. Non riusciamo ad immaginare cosa vivano ogni giorno i minatori.
Alla luce di questa esperienza ci chiediamo se davvero non ci siano alternative attuabili dal governo per garantire un lavoro sicuro a tutti gli abitanti di Potosì.
Alcuni studi prevedono che il Cerro Rico potrà essere sfruttato ancora per circa ottant'anni. La fine di questo periodo, molto probabilmente, segnerà anche la fine di Potosì.
15 agosto - Tupiza, joya de Bolivia
È un nuovo giorno qui in Bolivia, oggi siamo a Tupiza, dove vivremo la prima vera esperienza a contatto strettissimo con la natura.
Ci troviamo infatti in una fattoria e ci stiamo preparando per una passeggiata a cavallo nelle Quebradas: delle strette valli delineate da spettacolari rilievi rocciosi modellati dal vento.
Non tutti sono proprio tranquilli all'idea di salire su un cavallo ma non rinunciano a priori all'avventura e hanno scelto comunque di provarci.
Iniziamo la passeggiata lungo la vecchia ferrovia per poi raggiungere l'inizio delle Quebradas. Il paesaggio già da qui si preannuncia maestoso, siamo circondati da piccole colline grigie e sullo sfondo si vedono vette rosse che fanno capolino. Più avanziamo più il rosso inizia a diventare preponderante. Le dolci colline di prima iniziano a diventare più aspre.
La geologia qui si è proprio divertita, dei movimenti tettonici, nel corso di milioni di anni, hanno modellato gli strati di arenaria rossa creando delle enormi pieghe, in alcuni casi gli strati sono stati così tanto deformati da diventare addirittura verticali. Il vento, a sua volta, ha terminato l'opera d'arte, erodendo gli strati più friabili e lasciando degli enormi pinnacoli.
Attraversiamo la Porta del Diablo, per poi raggiungere la Valle de Los Machos ed infine la Valle degli Incas.
Ormai è passato un po' di tempo dall'inizio della passeggiata e siamo entrati in perfetta sintonia con i nostri cavalli. Va bene, forse non proprio tutti, ma riusciamo comunque a goderci in tranquillità l'ambiente che ci circonda.
Silenzio, il rumore del vento tra i cespugli secchi, il passo dei cavalli sul terreno. Respiriamo a pieni polmoni e apprezziamo il sole che ci scalda la pelle, mentre attorno a noi scorrono le altissime pareti rocciose rosse che creano un meraviglioso contrasto con l'azzurro intenso del cielo.
Concludiamo la giornata raggiungendo Toroyoj, un punto panoramico sopra le Quebradas che lascia tutti senza parole.
Tupiza "Joya de Bolivia”.
Forse il segreto della felicità si trova proprio qui.
16-17 agosto - La prima gelida notte
“Confine cileno. [...] manca solo un po’ di benzina, ma ce la regalerà un camionista, più avanti: “la benzina è un bene pubblico, ve la regaliamo, non possiamo venderla”.
Dal diario di viaggio di Vittorio Kulczycki e Carla Segre, Camino Real 1974.
Quasi cinquant'anni dopo, stessa storia.
In partenza da Tupiza carichiamo il carburante, necessario per tutti i prossimi giorni, sulle auto 4x4 che ci accompagneranno fino al confine cileno. Al confine col Cile, infatti, non c'è possibilità di rifornimento. In Bolivia il prezzo del carburante è molto basso, metà del prezzo è pagato dal governo e soltanto l'altra metà viene pagata dai boliviani. Per evitare che i cileni vengano a farne scorta, si e quindi scelto di non costruire stazioni di rifornimento vicino alla frontiera.
La prima tappa del nostro viaggio in auto è El Sillar, ci fermiamo ad ammirare il panorama, alti cactus si prestano a farci da cornice a questa splendida valle.
Torniamo in auto, oggi il trasferimento è lunghissimo, ma è reso meno pesante dai tanti avvistamenti di lama ed alpaca lungo la strada.
Ci fermiamo a pranzo a Cerrillos, un pueblo minuscolo sull'altipiano. Mentre la nostra cocinera ci prepara il pasto, ne approfittiamo per girare nella piccola piazzetta, seduta a terra in un angolo un'anziana signora in abiti tradizionali. Proviamo a parlarle in spagnolo, lei ci guarda ma non risponde, dopo poco scopriamo che parla solo quechua, una delle antiche lingue degli andini.
Nel pomeriggio continuiamo il viaggio, spessissimo il nostro autista ci dice "qui c'è una miniera" è assurdo quanto questo territorio sia fruttuoso e quanto la Bolivia sia strettamente legata, quasi vincolata, economicamente all'estrazione mineraria.
Mentre proseguiamo in paesaggi desertici, di rado fanno capolino piccoli villaggi di pastori il cui unico sostentamento è l'allevamento di lama.
Ci fermiamo per una sosta ad un mirador e, improvvisamente, ci accorgiamo che ci sono quattro condor che volano sulla nostra testa. Tre si allontanano rapidamente, il quarto, invece, sembra incuriosito dalla nostra presenza. Inizia a girare in tondo sulla nostra testa, a pochissimi metri di altezza, per diverso tempo. Vola e ci guarda. L'emozione che proviamo è unica. Non ci aspettavamo di vivere un'esperienza del genere.
Il viaggio di oggi è caratterizzato da tante soste panoramiche, a un certo punto, però, vediamo la macchina che apre la nostra carovana fermarsi tra due alte pareti rocciose. Non capiamo bene il motivo di questa sosta fino a che, avvicinandoci, notiamo la ruota posteriore destra dell'auto completamente a terra. Doveva capitare prima o poi con strade così dissestate! I nostri autisti non si perdono d'animo e in pochi minuti sostituiscono la ruota, uno di loro scherza: "se i meccanici della formula 1 dovessero cambiare una ruota qui impiegherebbero molto più tempo!"
A riparazione terminata il viaggio prosegue. Concludiamo la giornata a Ciudad Encanto, una spettacolare formazione di argille con un tetto di arenaria che vento e pioggia hanno modellato creando forme davvero uniche.
Trascorriamo la nostra prima notte in hospedaje a Guadalupe. Si tratta di piccole strutture, realizzate con mattoni di fango e sabbia, tetti di lamiera, senza riscaldamento né acqua calda e spesso il bagno si trova fuori dalla struttura. A queste quote, in questo periodo, la temperatura di notte scende spesso sotto lo zero. Dormire qui, per noi che non siamo abituati a tutto questo freddo, non è proprio una passeggiata ma è anche l'unica soluzione possibile.
Ci svegliamo alle 5.30 per andare ad ammirare l'alba a Ciudad de Roma. La temperatura è di meno dodici gradi centigradi e il vento è gelido.
Davanti a noi il sole inizia piano, piano a sorgere, sul lato opposto le montagne si colorano di rosso.
Più il sole diventa alto, più la vallata acquista colore e nitidezza. In un solo colpo d'occhio riusciamo ad ammirare la Bolivia, il Cile col suo Cerro Turuncu e l'Argentina con l'alto vulcano Cerro Granadilla.
Dopo esserci riempiti gli occhi di tutta questa bellezza, riprendiamo la strada, oggi ci aspetta un altro lungo tragitto. La strada è molto malmessa, le auto traballano a destra e a sinistra, ci distanziamo di circa cinquecento metri per evitare che la polvere sollevata dal mezzo che ci precede ci impedisca la vista.
Dopo un'oretta di strada vediamo la nostra cocinera percorrere a piedi e a ritroso la strada, deve essere successo qualcosa!
Ci fermiamo e ci comunica che la prima auto ha perso tutti i bulloni di una ruota che, ad un certo punto, si è liberata dall'asse rotolando giù per la valle.
Ci preoccupiamo per i nostri compagni di viaggio che raggiungiamo in pochissimi secondi ma li troviamo sereni e sorridenti mentre ci raccontano la scena esilarante di loro che, insieme all'autista, corrono giù per la valle per tentare di recuperare la ruota che saltellava in giro.
Sistemato anche questo problema, riprendiamo il viaggio attraversando l'altopiano delle lagunillas. Non vedevamo l'ora di ammirare i colori della laguna gialla e della laguna celeste, sfortunatamente le troviamo quasi completamente ghiacciate e con un vento gelido fortissimo che non ci permette di apprezzare con tranquillità lo spettacolo che si apre davanti a noi.
Infreddoliti e un po' amareggiati raggiungiamo in serata Quetena Chico, dove trascorriamo la notte.
18-19 agosto - Il Paese dei Balocchi
Oggi salutiamo per qualche giorno la Bolivia e raggiungiamo il Cile. Fuori dalla nostra finestra scorrono panorami unici dai colori magnifici, mille tonalità di giallo, verde, marrone, alte montagne sembrano sfidare l'azzurro intenso del cielo.
Raggiungiamo la Laguna Hedionda, così nominata per via del forte odore di zolfo che emana quando le acque vengono increspate dal vento, sfortunatamente però, anche questa laguna è ghiacciata. Ci spostiamo quindi alla Laguna Kollpa. Qui un'altra sorpresa di questo viaggio incredibile: tantissimi fenicotteri si muovono sull'unico pezzo di laguna non ghiacciata. Restiamo qui per un po' ad ammirare in silenzio tutta questa natura. Poi torniamo in auto e ci dirigiamo verso la frontiera.
Siamo tutti un po' agitati, non sappiamo bene se per i militari che controlleranno i mille documenti che abbiamo dovuto produrre o per la storia che abbiamo letto nel diario di viaggio del Camino Real del 1974. Quell'anno, infatti, tutto il confine tra Cile e Bolivia era altamente militarizzato in quanto si avvicinava il primo anniversario dal golpe di Pinochet e si temeva il ritorno di ribelli in Cile. I viaggiatori di avventure, una volta superata la frontiera, vennero fermati dai militari e trattenuti dai militari una notte intera al freddo perché scambiati proprio per ribelli. Fortunatamente il giorno seguente tutto si concluse per il meglio ma, probabilmente, deve essere stato uno dei momenti più intensi di tutto il loro viaggio.
Ci avviciniamo quindi ai controlli con molta ansia di essere respinti. La responsabile si presenta subito molto severa e rigida. Iniziano a controllare la nostra déclaration jurada ma la loro applicazione dice che è scaduta, nonostante sia ufficialmente valida altre quattro ore. Dopo lunghi minuti di concitazione tra lei e la nostra guida riusciamo finalmente, uno alla volta, a ottenere il timbro sul passaporto. Un piccolo passo per il viaggiatore, un grande passo per tutto il gruppo -semi citazione-. Ma non è finita qui: il secondo passaggio prevede il controllo dei bagagli. Apriamo i nostri borsoni sul lungo tavolo di metallo ed aspettiamo con ansia che procedano al controllo. Tutto però fila liscio, gli addetti sono molto più simpatici della ragazza che ci ha "accolti" all'inizio e ci lasciano passare in pochissimo tempo.
Siamo ufficialmente in Cile.
La nostra guida ci anticipa tutto quello che vedremo nei prossimi giorni. Ha gli occhi che brillano quando ne parla, si vede che è innamorato di questa terra. Arriviamo a San Pedro de Atacama, ci sistemiamo in hostal e ci sembra di sognare: acqua calda, letti veri e non strutture di cemento con un materasso poggiato sopra, un'altitudine che ci permette di camminare senza affanno.
Dopo una doccia rigenerante e aver assunto sembianze quasi umane iniziamo a girare per San Pedro. Il sole ci scalda la pelle e attorno a noi tantissimi viaggiatori che da qui partono per esplorare il deserto più arido del mondo. L'atmosfera che si respira è di serenità e libertà. Ci sembra di essere arrivati nel Paese dei balocchi. Le persone che incontriamo per strada ci lanciano sguardi di intesa e ci sorridono, siamo tutti viaggiatori accomunati dalla stessa voglia di scoprire ed esplorare il mondo e questo basta ad abbattere ogni barriera.
Da San Pedro di buon mattino ci spostiamo verso sud, raggiungiamo il tropico del Capricorno all'alba, dove facciamo colazione con delle buonissime baguette, prese alla Franchuteria di San Pedro.
Un altro breve tragitto in auto ci porta al Salar de Aguas Calientes, una bianca distesa di sale, intervallata da lagune. I monti che la circondano sembrano avvolti dalla nebbia. Questo effetto è dato dal boro che, essendo molto volatile, si solleva dal salar e ricopre di bianco le pendici delle montagne circostanti.
Altra inaspettata meraviglia di questa giornata è la laguna Miscanti. Uno specchio d'acqua di quindici chilometri di diametro nel quale si riflette la montagna Ipira con i suoi versanti innevati. Un quadro che ci ricorda molto un paesaggio alpino. Decisamente diverso da quanto visto fin'ora.
Ci spostiamo poi al Salar de Atacama, un deserto di sale che si è formato settantaquattro milioni di anni fa, a seguito di un sollevamento tettonico. Questo territorio è molto ricco di elementi chimici importantissimi per la produzione di dispositivi elettronici e batterie, come ad esempio il litio che viene estratto in tre grandi centri ben visibili dalla strada.
Facciamo sosta alla Laguna Chaxa, dove vediamo da vicino i tanti colori che quei preziosi elementi chimici donano all'acqua: il rosso dello iodio, il bianco del bromo e una schiumetta marroncina composta dal litio.
Ma questa laguna non è particolare solo per questo. Qui è possibile ammirare tantissimi fenicotteri intenti a cibarsi, la lucertola andina e altri piccoli uccelli tipici di queste zone.
La giornata potrebbe già finire qui per l'enormità e la bellezza di cose viste ma il meglio probabilmente arriva nel pomeriggio. Raggiungiamo, infatti, la Valle della Luna. Un'enorme area piena di evaporiti: rocce che si sono formate a seguito del sollevamento di terreni che un tempo si trovavano sotto il livello del mare e alla conseguente evaporazione delle acque dell'oceano che prima li ricoprivano.
Basta però cambiare strada che pochi metri dopo le evaporiti vengono sostituite da enormi dune di sabbia, siamo pur sempre nel deserto più arido del mondo, eh!
Concludiamo la giornata nella valle dei dinosauri, così chiamata per gli strati di roccia verticali che ricordano proprio le creste di un dinosauro. Attendiamo il tramonto, sorseggiando pisco sour, mentre sullo sfondo la cordigliera diventa sempre più rossa.
Che sogno questo Cile!
20-21 agosto - Arrivederci Cile, ben ritrovata Bolivia!
Ormai siamo quasi abituati alle sveglie nel cuore della notte che questa partenza, alle quattro e trenta del mattino, non ci sembra più così assurda, soprattutto perché oggi vedremo un luogo unico al mondo.
Siamo diretti a El Tatio, il campo geotermico più alto del mondo, con oltre trecento geyser è anche il terzo più grande del mondo.
Ci arriviamo dopo un'ora e mezza di pulmino. Durante il viaggio ne approfittiamo per "riposare gli occhi", quando li riapriamo troviamo davanti a noi un enorme campo fumante. La temperatura fuori è di meno diciassette gradi centigradi e questo rende tutto ancora più spettacolare: il calore delle acque idrotermali a contatto con l'aria gelida condensa in enormi nubi di vapore acqueo. Scendiamo dal pulmino dopo aver indossato i nostri tre strati di vestiti, aver inserito gli scaldini nei guanti e coperto il viso sotto il passamontagna.
Camminiamo tra i geyser, sentendo il rumore del vapore che ne fuoriesce. Ogni piccolo zampillo d'acqua, a contatto con l'aria, ghiaccia, creando scie bianche paraboliche.
L'energia di questo luogo è immensa. Anni fa, un ingegnere italiano, vedendo un'enorme potenzialità in questo luogo, pensò di realizzare una centrale geotermica, il progetto però fallì, un'esplosione fece saltare in aria tutto l'edificio.
Questo campo geotermico, infatti, è molto particolare, essendo ad una quota molto alta, le sue attività non sono costanti ma improvvise per cui non è semplice progettarne lo sfruttamento. Altri tentativi sono stati fatti successivamente ma tutti hanno avuto la stessa sorte.
Camminiamo per circa una quarantina di minuti aspettando l'alba. La vicinanza ai geyser non è sufficiente a contrastare il freddo, i nostri piedi e le mani iniziano ad essere dei piccoli ghiaccioli. Finalmente però, arriviamo nell'area che gli abitanti di San Pedro chiamano "scalda cu*o", ci sediamo a terra e il calore ci pervade. Ci togliamo i guanti e ne approfittiamo per scaldarci anche le mani. È un momento di connessione con la natura sensazionale, il caldo del terreno, i vapori che, dalle viscere della terra, emergono e ci circondano, i primi raggi di luce che filtrano tra la nebbia. L'emozione è forte. Resteremmo qui per ore ma la giornata è lunga.
A bordo del nostro pulmino attraversiamo la riserva di Putana, vediamo tantissimi uccelli: il pato puna, la tagua. Quello che però ci lascia senza parole è la guaiata, un uccello che vive in coppia e quando uno dei due muore, l'altro passa il resto della vita da solo.
Passando lungo le bofedales de Machuca abbiamo la fortuna di vedere la viscaccia, una sorta di lepre delle Ande dal manto grigio con sfumature verdi, molto difficile da incontrare.
Rientriamo per pranzo a San Pedro e troviamo la strada bloccata dalla processione dei promesantes. . Secondo la tradizione le persone che si rivolgono alla Vergine per chiedere una grazia, in cambio promettono di danzare in Suo onore per un periodo che può andare dai cinque ai venti anni. Ripetono questa processione cinque volte all'anno fino a che non termina la durata del voto. Alla processione partecipano persone di ogni età dai bambini, agli anziani, in qualsiasi condizione fisica. È davvero emozionante vedere come, nonostante gli acciacchi dell'età, continuino a tenere fede alla loro promessa.
Nel pomeriggio, invece, raggiungiamo Hierba Buena la più grande zona commerciale del periodo Inca, qui sono state realizzati tanti geroglifi che venivano utilizzati prima come metodi di calcolo e poi come pubblicità per i venditori.
Salutiamo il Cile con un ultimo tramonto bevendo pisco e vino cileno nella Valle de Arcoiris che arrossisce al nostro sguardo.
Lasciamo le strade asfaltate del Cile e torniamo nella selvaggia Bolivia. Le strade dissestate ci tengono svegli, prima tappa Laguna Blanca. Al nostro arrivo il bianco è ancora più accentuato dalla superficie ghiacciata della laguna. Soltanto la parte più prossima alle sorgenti di acqua calda è priva di ghiaccio e l'assenza di vento fa sì che, il riflesso della montagna innevata sullo sfondo, sia sensazionale.
Qui restiamo per qualche minuto in silenzio ad osservare lo scenario che ci circonda e ascoltando il rumore del vento che si incunea nelle vallate in lontananza.
Una parte del gruppo decide di formare il partito del silenzio, per godere i prossimi paesaggi senza parlare. Davanti a tutto questo soltanto pochi minuti di assenza di parole e pensieri ci rigenerano.
Il nostro rientro in Cile porta con sé tanta paura del freddo, le prossime notti saranno tutte ad oltre quattromila metri di quota e gli hospedajes precedenti ci hanno un po' traumatizzati.
Decidiamo quindi di fermarci per una pausa rigenerante alle terme di Polques. Con l'acqua a trentacinque gradi centigradi e la vista sulla Laguna Salada, mentre una famiglia di Vigogne è intenta ad abbeverarsi, viviamo una rinascita sia fisica che mentale.
Poco distante troviamo il campo geotermico Sol de Mañana. Fumarole e vulcanelli di fango ci circondano. È un territorio completamente incontaminato, se non fosse per una centrale geotermica pilota da cinque mega watt che le Nazioni Unite hanno costruito a pochissimi metri da qui. Esiste infatti un progetto molto più ampio che prevede la realizzazione di una centrale geotermica da duecento mega watt, che potrebbe soddisfare il trenta per cento del fabbisogno energetico di tutta la Bolivia. Viene da sé che, se dovessero riuscire nell'impresa, a differenza dei Cileni, questo territorio, ora libero da ogni interferenza umana, verrebbe completamente stravolto.
Concludiamo la giornata alla Laguna Colorada.
Come ogni pomeriggio si è sollevato un vento gelido fortissimo ma questo non ci impedisce di ammirare questi sessanta metri quadrati di acque rosa che, col vento, increspandosi, assumono tonalità dorate, verdi e azzurre. Forse la laguna più bella vista fino ad ora.
22-23 agosto - Lo spettacolo ha inizio, ecco a voi il Salar de Uyuni
Una lunghissima giornata di spostamenti si prospetta all'orizzonte.
Prima tappa il deserto di Siloli, un piccolo deserto di appena quaranta chilometri di lunghezza. Ad alcuni ricorda molto il nord del Sahara con le grandi mesa rocciose e sabbia mista a pietre. Il piccolo segreto di questo luogo, però è l'arbol de piedra, una roccia modellata dagli eventi atmosferici, che negli anni ha assunto la forma di un albero la cui chioma viene mossa dal vento. In realtà la vista ci lascia un po' delusi, ce lo aspettavamo molto più grande.
Con le nostre auto attraversiamo un canyon nel quale scorre un rivolo d'acqua ghiacciato in superficie. Ne approfittiamo per una passeggiata e qualcuno si diletta col salto in lungo, senza grandi risultati!
Raggiungiamo poi l'area delle lagune Alto Andine. Camminiamo attorno alla laguna Honda dalla caratteristica forma di cuore, prima di raggiungere la Laguna Hedionda Norte dove, per la prima volta, vediamo i fenicotteri ad una distanza ridottissima. Mentre pensiamo a quanti fenicotteri abbiamo visto in questi giorni, una frase, improvvisamente, rompe il silenzio "Alla fine i fenicotteri per i boliviani sono un po' come i piccioni per noi, sono ovunque. Se loro venissero in Italia fotograferebbero i piccioni!". Un poeta incompreso.
Raggiungiamo il Salar Chiguana che ormai e quasi il tramonto.
Ci perdiamo ad osservare l'orizzonte infinito e il susseguirsi di miraggi.
Domani ci aspetta la giornata piu attesa di tutto il viaggio.
L'ennesima sveglia alle quattro e trenta questa mattina non pesa come le altre, siamo infatti emozionatissimi per l'intensa giornata che ci aspetta.
A tremilaseicento metri di quota, sulle Ande meridionali boliviane, dove un tempo si trovava il lago Minchin, oggi luccica il deserto bianco, un’immensa lastra di sale che dà origine ad uno dei paesaggi più singolari al mondo: il Salar de Uyuni.
È ancora buio quando i nostri autisti si avventurano nel salar. Dopo una ricognizione per verificare le condizioni del fondo salato decidono di tornare indietro e di provare un altro ingresso. Accade spesso, infatti, che l'umidità notturna sciolga gli strati più superficiali del sale rendendo pericolose le traversate in auto.
I nostri autisti, però, guidano con tranquillità, senza paura di perdersi, conoscono il deserto come le loro tasche. A noi sembra la cosa più complicata del mondo, soltanto il cielo che inizia a schiarire alla nostra destra ci fa capire che ci stiamo muovendo verso nord.
Arriviamo, dopo circa mezzora di auto, all'isola Incahuasi. Il cielo è ancora scuro ma nella penombra intravediamo già i suoi cactus millenari. Iniziamo ad arrampicarci sulle rocce per raggiungere un punto panoramico da cui vedere l'alba. Più saliamo di quota, più le spine dei cactus si colorano di arancione e la distesa di sale bianco inizia a luccicare.
Raggiungiamo il punto più alto dell'isola quando il cielo è ormai violaceo e il sole inizia a fare capolino.
Il panorama ci lascia a bocca aperta.
È una delle scene più surreali e affascinanti di tutta la nostra vita. Ci sembra di avere davanti un mare infinito con tante isole. In altri momenti, invece, abbiamo l'impressione di essere sul tetto del mondo e volare sopra una distesa infinita di nuvole dove fanno capolino solo le vette più alte.
"Forse la definizione più immediata delle nostre confuse sensazioni è l'idea di navigare su qualcosa di provvisorio e temporaneo, ed il recondito timore che tutto possa annullarsi in un attimo, sprofondare o capovolgersi, sono questi ghirigori sottili di acqua che descrivono sulla superficie bianca nastri sfumati di rosa a dare l'idea di provvisorietà, di fragilità? Non so." - Paola Segre, Camino Real 1974
Restiamo qui fino al sorgere del sole. I primi raggi ci scaldano la pelle e sfidano il freddo notturno.
Andiamo poi alla ricerca del cactus gigante, soggetto di una foto scattata durante il Cammino Real del 1974 e che ci piacerebbe replicare.
L'impresa si rivela più ardua del previsto, i cactus sull'isola sono tantissimi! La caccia al tesoro, però, ci regala una sorpresa inaspettata: un piccolo di viscaccia che saltella tra le rocce.
Dopo il saliscendi sull'isola, finalmente troviamo il luogo per replicare la ho foto. Sfortunatamente il grande cactus non c'è più ma al suo posto ne troviamo un altro, più "piccolo", ma ugualmente scenografico.
Qualche scatto, poi, torniamo in auto, le ruote scricchiolano, rotolando sul fondo di sale, è un rumore particolarissimo, come di vetri rotti, ed è l'unico che interrompe il silenzio assoluto del Salar, un po' come quando nevica, ogni suono è attutito.
Raggiunto il centro del deserto, ci divertiamo a scattare foto in prospettiva, anche se la cosa più divertente è osservare il backstage di tutte le riprese: vedere le movenze, apparentemente senza senso, di tutti i nostri compagni di viaggio è una scena esilarante.
Nel pomeriggio ci spostiamo verso Uyuni per vedere il cimitero dei treni.
Abbandoniamo la strada sterrata per quella asfaltata e proprio mentre ci stiamo per rilassare e chiudere gli occhi per qualche momento, la macchina capofila si blocca improvvisamente nel mezzo della strada senza riuscire più ad avanzare. Le ruote anteriori sono completamente bloccate. L'autista scende dall'auto ed inizia a chiedere "Agua? Agua?" Scendiamo anche noi dall'auto, ci abbassiamo e notiamo una fiamma sotto il cofano.
Ci spaventiamo molto, anche in questo caso, però, i nostri autisti non si perdono d'animo. Dopo pochissimi minuti, senza pensarci due volte, dividono i viaggiatori dell'auto in panne nelle altre due e si riparte, il viaggio deve continuare.
Il cimitero dei treni si trova in un luogo molto meno poetico di quello che avevamo immaginato.
I vagoni, che un tempo venivano usati per il trasporto delle merci, vennero abbandonati nella periferia di Uyuni nel 1940, a causa della crisi mineraria. Il sale col tempo li ha erosi, riducendoli a scheletri arrugginiti. Immaginavamo di trovare questi rottami nel mezzo del deserto, in realtà si trovano vicino ad una sorta di discarica a cielo aperto, piena di rifiuti. Questo orrido spettacolo ci lascia senza parole, ci chiediamo come sia possibile che la città che dà il nome ad uno dei luoghi più incantati del mondo possa trovarsi in queste condizioni.
Con un po' di amaro in bocca raggiungiamo un'officina dove troviamo uno dei nostri autisti. La scena è abbastanza comica, l'officina, infatti, è aperta ma dentro non c'è nessun proprietario, solo due bambini, e il nostro autista, vestito da meccanico, che entra ed esce come se fosse sua. Una riparazione self service. Dopo appena un'ora dall'incidente, l'auto è già pronta a ripartire. Raggiungiamo il vulcano Tunupa che domina il Salar per un'ultima vista panoramica, prima di vedere il tramonto scendere su questa giornata e chiudere il sipario sul meraviglioso spettacolo del Salar de Uyuni.
24-25 agosto - Su e giù per La Paz
Questa mattina ultimo transfer con le nostre auto 4x4. Quando arriva il momento di salutare gli autisti e la nostra cocinera l'emozione è forte. Abbiamo condiviso con loro giorni intensissimi pieni di risate, scoperte e piccoli imprevisti. Abbiamo conosciuto il grande cuore e l'enorme disponibiltà dei boliviani, salutarli è davvero commovente.
Cerchiamo di trattenere l'emozione più che possiamo ma crolliamo appena uno di loro ci ringrazia per aver visitato il loro Paese, per aver scelto di vivere la Bolivia autentica. Capiamo quanto viaggiare in questo Paese, cosa per noi quasi scontata, voglia invece dire molto per i boliviani e per la Bolivia, ancora lontana dal turismo di massa.
Ci abbracciamo salutandoci con un "Ci vediamo presto!" anche se dentro di noi sappiamo che probabilmente non sarà così, ci piace, però, andare via con questa illusione.
Saliamo su un bus, molto più confortevole delle auto, e raggiungiamo La Paz.
L'impatto con la città è destabilizzante, passare da spazi immensi e deserti a questo intrecciarsi di strade e auto che si incastrano come in un tetris ci fa rimpiangere il silenzio della laguna Blanca.
Dopo il trauma iniziale, mandato via con una cena a base di empanadas e birra artigianale boliviana, siamo pronti per ricrederci su questa città.
Visitiamo come prima cosa la chiesa di San Francisco, uno degli edifici di culto più importanti della città. Ci spostiamo poi al Musef, il museo nazionale di etnografia e folklore. Qui, tra le altre cose, impariamo a distinguere le donne di origine Aymara e Quechua in base a come tengono i bambini avvolti negli enormi teli colorati: le donne Aymara legano il tessuto attorno al collo mentre le donne Quechua lo stringono diagonalmente sul petto. Proseguiamo la visita e la nostra guida ci spiega che la lingua Quechua è una lingua molto dolce, musicale e ci chiede se anche l'italiano lo sia. Riflettiamo sulla domanda, cerchiamo di capire cosa si intenda per lingua musicale quando dal fondo del gruppo si sente una voce "Bè, certo che è musicale: Laura Pausini, Eros Ramazzotti...". Tutti scoppiamo in una fragorosa risata, guida compresa.
Dal museo ci spostiamo a Plaza Murillo. Mentre camminiamo sentiamo dei colpi ma non ci diamo peso e continuiamo per la nostra strada.
La particolarità di Plaza Murillo è un orologio che gira al contrario. È un'opera d'arte voluta dai boliviani per rivendicare la loro identità di indigeni: vorrebbero tornare all'epoca dell'oro, prima dell'arrivo degli spagnoli, e saltare cinquecento anni di storia.
Continuiamo la nostra visita a piedi e, sui marciapiedi affollatissimi, facciamo slalom tra la gente. Passiamo davanti ad un anziano signore che, quasi sottovoce, in spagnolo, ci dice: "State visitando il nostro Paese in un momento molto difficile". Questa frase ci lascia un po' perplessi ma riusciamo a capirne il significato quando saliamo sulla teleferica per raggiungere il punto più alto della città. Tutte le strade della città sono occupate da manifestanti, ci sono persone con abiti tradizionali, minatori con elmetto, bambini, e i colpi che prima sentivamo distanti ora sono molto più vicini. Chiediamo ai boliviani, che sono sulla teleferica con noi, di cosa si tratti. Ci spiegano che, a seguito di uno sciopero che c'è stato a Santa Cruz, si è diffuso il timore di un nuovo golpe da parte della destra, come nel 2019. Per questo motivo è stata indetta questa manifestazione nazionale a sostegno del governo che ha sede proprio a La Paz.
È impressionante vedere questo fiume di gente manifestare insieme, urlando gli stessi slogan. Non abbiamo mai visto così tante persone unite per sostenere un'idea. I boliviani sono una popolazione forte, unita, che si indigna e non ha paura di lottare quando sente vacillare i propri diritti. Ci sentiamo così fortunati per poter vivere questo momento così sentito e importante per i boliviani e allo stesso tempo mettiamo in discussione il modo di agire di noi italiani, molto spesso passivo davanti a tante scelte prese dall'alto.
Una cosa in particolare ci colpisce a La Paz. Agli alti pali elettrici, pieni di fili che penzolano, spesso sono attaccati dei fantocci, dalle sembianze umane, molto inquietanti. Ci spiegano che è un avviso per i ladri, indica la fine che farebbero se osassero rubare in quella zona: "ladron tomado sera colgado".
La nostra giornata termina al mercato de las brujas, il cosiddetto mercato delle streghe. Qui è facile trovare curandere intente a svolgere riti per la Pacha Mama, oltre che tanti oggetti che vengono utilizzati come offerte nei rituali propiziatori, tra cui feti di lama.
26 agosto - La volata finale
Ci sono diversi modi per concludere un viaggio, c'è chi lo fa con una cena tipica, chi vivendo la notte della città, altri ancora lo passano attorno al fuoco sotto un cielo di stelle. Noi, stavolta, abbiamo scelto di metterci alla prova e di vivere un'esperienza unica: percorreremo in mountain bike la Carretera della Muerte, la strada più pericolosa al mondo.
È ancora buio quando saliamo sul pulmino che ci porterà a Coroico. Facciamo ancora fatica a tenere gli occhi aperti ma l'adrenalina è già a mille.
La Carretera de la muerte è una strada, a doppia percorrenza, lunga circa cinquantasei chilometri, che collega La Paz a Coroico, con un dislivello di oltre tremila metri! È larga in media tre metri e non avendo guardrail è stata spesso oggetto di incidenti stradali mortali, il più tragico, quello del 1983, ha registrato oltre cento vittime. Vien da sé che l'idea di percorrerla in bicicletta ci eccita e ci preoccupa allo stesso tempo. Le nostre guide, però, sono carichissime, ascoltano musica rock e nel frattempo ci raccontano cosa ci aspetterà durante questa lunga giornata. La loro calma e le loro chiare spiegazioni contribuiscono a farci tranquillizzare... almeno un po'!
Arrivati a destinazione indossiamo pantaloni, giacca, guanti e casco e saliamo in sella alle nostre biciclette.
Raccomandazioni: pedalare stando sulla sinistra della carreggiata, procedere ad una velocità media per evitare di scivolare sulle pietre, mai e poi mai voltarsi indietro, non distrarsi guardando il panorama.
Ci siamo, si inizia!
Andare in bicicletta, che fino a due minuti prima ci sembrava la cosa più semplice del mondo, ora inizia a sembrarci più complicato "Dove ha detto che dobbiamo pedalare? Sinistra? Ma siamo sicuri? Ma a sinistra non c'è il dirupo? E se devo superare un'auto? Dove passo?".
Chiariti gli ultimi dubbi, iniziamo la nostra lunga discesa.
I primi venti chilometri per la nostra guida sono la carretera della felicità. Si tratta infatti una discesa su strada asfaltata che percorriamo per conoscere meglio le nostre biciclette e abituarci ai segnali delle nostre guide. Il panorama già da qui sembra superlativo. Ci scuserete, però, se non ci dilunghiamo nelle descrizioni: non possiamo guardarlo, non dobbiamo distrarci, occhi fissi sulla strada e pedalare!
Quando arriva il momento di iniziare lo sterrato la tensione riprende a salire. Il primo tratto di strada è davvero stretto con numerose curve a gomito e molte pietre sulla strada, sulla sinistra un enorme precipizio di centinaia di metri. Le bici muovendosi sulla strada vibrano e lo sforzo per tenere fermo il manubrio è notevole. Il casco si muove, la testa sobbalza ad ogni pietra che urtiamo. La concentrazione è altissima, le molte croci e i fiori commemorativi che incrociamo lungo il percorso contribuiscono ad aumentare la nostra ansia. Dopo circa un cinquecento metri, però, la strada si allarga leggermente, noi iniziamo ad essere più sicuri e la discesa, in fondo, non è più così paurosa.
Proseguiamo così, alternando pedalate in posizione aerodinamica a pause fotografiche per ammirare il paesaggio che ci circonda. Dopo due settimane di deserti non siamo abituati a tutta questa vegetazione e cinguettii di uccelli, restiamo meravigliati per ogni piccolo particolare.
La strada è tutta in discesa, il gruppo è compatto. Passiamo sotto cascate, attraversiamo dei piccoli ruscelli, dove alcune signore sono intente a lavare i panni. Superato il tratto più impervio ora tutto sembra essere così idilliaco. Sembra, infatti! Proprio quando pensavamo di avercela quasi fatta, inaspettatamente la discesa finisce, ci troviamo in un "lungo" tratto debolmente in salita e con vento contrario. Dopo 4 ore di sterrato le nostre braccia chiedono pietà e le nostre gambe sono indolenzite. L'idea di scendere e proseguire a piedi si fa largo nella testa di più di qualcuno, iniziamo a chiederci "ma chi ce l'ha fatto fare?", qualcun altro pensa con nostalgia alle vecchie e care 4x4 che fino a qualche giorno prima erano nostre fedeli compagne di avventura. Ma non possiamo mollare. Non ora. Ce l'abbiamo quasi fatta. Tiriamo insieme tutte le energie rimaste e continuiamo a pedalare. Superiamo un altro piccolo rivolo d'acqua e vediamo in lontananza una delle nostre guide che si è fermata, un altro punto di sosta. La raggiungiamo, pronti a scendere dalla sella per scattare una foto ma proprio in quel momento la guida ci guarda sorridendo, alza la mano in un cinque altissimo e spalancato: "Ce l'avete fatta! Siete arrivati alla fine!".
Non crediamo alle nostre gambe.
Ce l'abbiamo fatta davvero!
Ci abbracciamo e ridiamo, i nostri occhi brillano di soddisfazione e felicità.
Non potevamo scegliere una conclusione migliore per questo splendido viaggio.
Grazie Bolivia, per averci insegnato che le cose più belle vanno conquistate!