Per ritrovare la vera Africa in Senegal
Ripartire sì ma dove? Dopo le restrizioni degli ultimi due anni ci è tornata la voglia di esplorare il mondo e abbiamo seguito avidamente gli aggiornamenti di AnM sulle destinazioni che via via si aprivano.
A dieci di noi l’occhio è caduto sul viaggio Senegal Breve dal 6 al 14 agosto, di nuovo in Africa per qualcuno, un nuovo mondo da scoprire per altri. Detto fatto, prendiamo ferie, controlliamo se il passaporto è ancora valido, ci informiamo.
Il gruppo si forma, il gruppo parte. E che gruppo! Metti insieme tre viaggiatori di lungo corso (Patrizia, Michela e Leonardo), un’esperta avventuriera nel mondo come Giulia, tre giovani appassionati (Bruna, Eleonora e Mattia) e due debuttanti assolute come Elisabetta e Maria. Ed è un giro d’Italia: arriviamo da Catania, Milano, Treviso, Roma, Torino, Verona… E a mixare bene il tutto il coordinatore 6 Stelle Superior Beppe Catania, una garanzia, come capiremo bene in corso di viaggio.
E se noi siamo un cocktail ben riuscito anche il Senegal è una gemma che ci presenta, con distanze tutto sommato contenute, immagini variegate dell’Africa, quelle che immaginavamo e ancora di più quelle che non conoscevamo: visitiamo ben tre siti Unesco, la grande città e l’antica capitale, navighiamo per le lagune, entriamo nei villaggi, un assaggio di deserto, le spiagge oceaniche.
Si parte, chi da Milano chi da Roma, con tappa a Lisbona, dove ci troviamo tutti e iniziamo a conoscerci e a raccontarci le nostre storie. Alle 21 prendiamo il volo per Dakar e a bordo Beppe ci fa il primo briefing, richiamando lo spirito dei viaggi AnM, gli aspetti organizzativi (viaggeremo in pulmino con autista dormendo ogni sera in un albergo diverso), le precauzioni sanitarie, il programma del giorno dopo. Con scelta azzeccatissima, Giulia diventa cassiera, una vocazione, una impeccabile certezza fino alla conclusione del nostro viaggio.
Con il cambio di fuso orario (due ore indietro sull’Italia, una in meno da Lisbona) arriviamo dopo la mezzanotte. Controllo veloce dei documenti, fulminea consegna dei bagagli e usciamo. Conosciamo Marcel, il corrispondente, e soprattutto incontriamo Bernard, il nostro autista e riferimento per questa settimana di viaggio. Vorremmo subito andare a letto ma il nuovo aeroporto dedicato a Blaise Diagne (primo deputato africano all’Assemblea nazionale francese, quando il Senegal era ancora una colonia a inizio Novecento) dista cinquanta chilometri dal centro. Ci rassegniamo e guardiamo scorrere dal finestrino il nuovo stadio illuminato, l’arena e via via la capitale che si anima in un sabato sera estivo. Con qualche fatica, troviamo l’albergo Le Coumbassou, ci sistemiamo e crolliamo nel sonno.


Al mattino, prima colazione senegalese (alla francese in realtà), nuovo incontro con il corrispondente e cambio denaro, con gli euro che diventano franchi Cfa, la valuta di molti Paesi dell’Africa occidentale ex francese, spesso contestata come strumento neo coloniale ma anche valuta stabile per economie ancora fragili (ora si punta a una valuta e un mercato comuni panafricani, e sarebbe di grande valore). Si parte e guidati da Bernard arriviamo all’imbarco del traghetto per l’isola di Gorèe, avamposto prima portoghese e poi francese e punto di partenza dell’infame traffico schiavista. Un luogo simbolico, per tutta l’Africa, visitato da Nelson Mandela e Barak Obama. Il viaggio in traghetto è piacevole, guardiamo al grande porto con le navi del gas liquefatto, e ci coinvolgiamo subito con un gruppo di ragazzi che canta che chiamano il nostro Mattia a suonare i bonghi.
Sbarchiamo, troviamo una guida e ci dirigiamo verso la Maison des esclaves, con le celle per donne, uomini e bambini che poi partivano dalla Porta del non ritorno verso le Americhe. Al piano superiore la casa dei bianchi o meticci che gestivano la tratta, un piccolo museo con lo sguardo sull’Oceano. Emozionati, ci incamminiamo per la visita all’isola, che ora è anche una spiaggia accessibile per i cittadini di Dakar (lunghe le code all’imbarco) e sede di atelier artistici e gli inevitabili negozi di souvenir. Ci portano nel laboratorio di un artista dei quadri composti con diverse qualità di sabbia, ci spiegano come si lavora, ci piace e molti fanno qui i primi acquisti. Capitiamo vicino a una chiesa, è domenica e sentiamo la messa qui è accompagnata da canti e tamburi, quasi un gospel. Fuori, ci facciamo una foto con un gruppo di scout e il prete che li accompagna. Torniamo all’imbarcadero, con Bruna sperimentiamo il succo dei frutti locali come il bouye, quello del baobab, Michela scopre il cafè Touba, dolce e speziato. Torniamo a Dakar, la fila di persone in partenza per Gorèe è lunghissima, noi rientriamo in pullmino per raggiungere il Lac Retba, il lago rosa.


L’albergo all’arrivo è oltre le nostre aspettative: Chez Salim è un lodge con due piscine, bar e ristorante. Ci rilassiamo, anche con un bagno insieme alle famiglie africane, e una birretta (due le marche locali, Flag e Gazzelle). Poi saliamo in camion per il vicino lago. Lago salato, nato da una mareggiata che ha creato la duna che lo separa dal mare. E proprio il sale è la risorsa primaria (ora anche il turismo a dire il vero) con le barche che vanno al largo e lo raccolgono dai bassi fondali. In barca vanno gli uomini – ci spiegano – ma sono le donne le prime a scaricarlo e a poterlo vendere. I sacchi poi raggiungeranno il cuore dell’Africa, ripercorrendo antiche vie. Con il camion giriamo attorno al lago e l’autista non si risparmia le discese ardite e le risalite sulle dune, con nostro grande entusiasmo. Ci fermiamo in un villaggio Peul, uno dei principali popoli che vivono in Senegal, specializzato nelle coltivazioni. Il capo villaggio ci accoglie e noi ci sparpagliamo inseguiti dai bambini, curiosi di noi. Maria è fin dall’inizio l’interprete del gruppo grazie al suo eccellente francese. Rientriamo per cena, ma non manca un’ultima passeggiata con la foto del tramonto sulle acque. Troviamo e compriamo statuette in legno, Maria cerca il libro con la Costituzione del Paese e trova invece uno spasimante, ci vendono le cacahuetes, le arachidi di cui il Senegal è il decimo produttore mondiale, uno snack che accompagnerà noi fino alla fine del viaggio. Mangiamo a buffet, con il thè alla menta per chiudere.
Il mattino dopo con Bernard alla guida raggiungiamo il villaggio di pescatori di Kayar. E’ la stagione della piccola pesca (quella grande è in inverno) per cui si riparano le imbarcazioni, tutte colorate di giallo, bianco e rosso, con l’impiego di diversi legni. Anche qui, gli uomini escono in mare e le donne scaricano e vendono. Ma oggi, 8 agosto, tutti si preparano per la festa di Capodanno che animerà la notte. Noi ci imbarchiamo invece per la lunga tratta che ci porterà a Saint Louis, la prima capitale, in posizione spettacolare in un’isola fluviale sul fiume Senegal a ridosso dell’Oceano. Nel pomeriggio arrivo allo storico Hotel de la Poste dove alloggeremo. Ci sistemiamo e poi visita della città in calesse. Chi scrive non può dirvi di più perché confinato in camera causa clamoroso movimento intestinale, per fortuna risolto già il mattino dopo. Vi racconto almeno di questo hotel, creato nel 1927 dalla nonna dell’attuale proprietario francese, che avremo modo di incontrare. Organizzato su tre piani attorno a un patio con grande palma che svetta verso il cielo, deve il nome al servizio aeropostale che dagli anni Venti del Novecento portava la corrispondenza dalla Francia alle colonie africane fino al Madagascar ma anche verso il Sud America dal Brasile al Cile. Saint Louis, già capitale di tutta l’Africa coloniale francese da Mauritania a Benin, era l’hub da cui partivano le due rotte, come raccontano i molti manifesti alle pareti di questo hotel fascinoso dove è passato anche lo scrittore-aviatore Antoine de Saint Exupèry (autore sì del Piccolo Principe ma anche di molto altro). Al mattino mi raccontano della visita del pomeriggio precedente: la città antica, patrimonio Unesco, collegata alla terraferma da uno spettacolare ponte mobile in ferro, presenta gli antichi splendori oggi un po’ decaduti mentre più vivace è il vicino quartiere popolare in riva al mare, dove i nostri fanno amicizia con i bambini. Si sperimenta anche un ristorante locale, con pareri discordanti. Dalla mia camera i rumori della festa sulle strade, chissà com’era. Al mattino colazione in una sala che anch’essa un pezzo di storia e poi si riparte.


Oggi, 9 agosto, gita in piroga nel parco della Langue de Barbarie, alla foce del fiume Senegal, piacevole escursione tra pellicani e cormorani premessa di una fauna più ricca nella stagione invernale. Sbarchiamo e mettiamo i piedi in acqua, al ritorno la visita a un villaggio e poi una pausa, per superare le ore più calde del giorno. Non previsto ma gradito, il resort Ocean et Savane ci consente di pranzare, fare il bagno in mare, rilassarci in piscina per qualche ora. Ottimo pranzo, innaffiato da birra (Michela, Leonardo, Elisabetta), coca e, vezzo vacanziero di Beppe, la sprite. Chiacchieriamo tra di noi, le nostre vite, le professioni, le famiglie presenti e future (Eleonora e Mattia si sposeranno l’anno prossimo, a Catania!), figlie e figli.
Ma è tempo di risalire in pullman, per raggiungere il nostro assaggio di deserto a Lompoul. Con un camioncino percorriamo il tratto finale, è ancora un deserto ‘verde’ ma da qui iniziano le dune. Le tende a due letti con zanzariera e bagno e doccia a cielo aperto (sì, c’è la stanza con i letti e in fondo un lavandino e ai lati due stanzini con pareti di canne uno con il wc e l’altro con la doccia, e quando mai ci ricapita). Ben sistemati, qualcuno fa il turista in groppa al dromedario, io con Bruna, Giulia, Beppe, Elisabetta e Mattia facciamo il surf sulle dune (risalita faticosa però), non mancano il drink all’arrivo al succo di baobab, l’aperitivo con birra Flag, per prepararci alla sontuosa cena sotto una grande tenda con zuppa, couscous, carne di capra e verdure, e dessert al mango per chiudere.
Sotto le stelle, si canta (ci insegnano le parole di Fatou Yo, la trovare su Youtube) e si balla (Patrizia rivela uno swing da far invidia ai senegalesi), ci sono anche altri turisti, francesi soprattutto e alcuni li rivedremo in altre tappe del viaggio, e non ci risparmiamo congetture e pettegolezzi su di loro…
Risveglio nel silenzio, siamo al 10 agosto, colazione e partenza (ci dicono che il resort l’anno prossimo non ci sarà più, l’area verrà destinata a miniera!). Ci fermiamo all’interessante mercato del bestiame di Sagatta, solo occhi no foto per seguire le contrattazioni di ovini da un lato della strada e di bovini dall’altro. Noi siamo decisamente fuori contesto, ci guardano curiosi e c’è chi prova a vendere a Beppe una pecora.
Raggiungiamo Touba, città santa del Mouridismo dove è sepolto il fondatore Amadu Bamba (su Wikipedia tutte le notizie). Dress code rigoroso, pantaloni lunghi per gli uomini, velo integrale per le donne (li affittano all’ingresso). Una guida ci accompagna nella imponente moschea, moderna ‘fabbrica’ in continua costruzione, con l’orgoglioso resoconto dei marmi italiani e portoghesi bianchi e rosa che la adornano. Intravediamo la tomba, non si entra, sormontata da una cupola verde, verso il cielo gli alti minareti. Foto permesse ma non alle molte persone che pregano, lavorano o semplicemente stanno lì in attesa. Incontriamo una bella signora che ci fa lei le foto, poi noi con lei, non siamo sicuri sia permesso. Usciamo nel calore del mezzogiorno e tolti con sollievo i veli ritorniamo nel fedele pullmino che ci porta a Toubacouta. Qui torniamo verso il mare e soprattutto verso il grande delta del fiume Saloum, anch’esso patrimonio Unesco, che crea un universo salato di mangrovie e acque. Siamo ai confini del Gambia, a sud di Dakar. L’hotel Djosfala dove alloggiamo è comodo, con piccola piscina, e lasciati i bagagli ci incamminiamo verso l’approdo sul fiume (non ci sono Elisabetta e Beppe, che risentono di qualche malessere e daranno forfait anche il giorno dopo). Ci accompagnano bambini e venditori e tentiamo anche di cercare un ristorante locale per la cena: riso e pesce e le cipolle caramellate che tanto piacciono a Bruna e ad altri e non a Beppe. Non è il caso, anche per non tornare poi al buio, e mangiamo in hotel (anche bene del resto, riso e pollo). Ma quel che ci attira è la musica dall’edifico accanto, una festa da discoteca a cui ci affacciamo. Ci invitano a entrare, tutti giovanissimi e scatenati a bordo piscina, sembra un compleanno. Non ci cimentiamo nelle danze e osserviamo curiosi. La musica finisce presto e andiamo a letto.
Elisabetta e Beppe non se la sentono di partecipare alla gita in piroga nel Sine Saloum. Loro con i bagagli andranno a Palmarin in pullmino con Bernard, noi ci imbarchiamo in una piroga. Alla guida un padre con due dei suoi giovani figli (ci dirà che ne ha sei) e via nella laguna, in un paesaggio verde e azzurro che ci rende sereni. Si fa tappa al villaggio di Diogane, dedicato alla pesca di ostriche e vongole, che qui vengono estratte, messe al sole a seccare e poi vendute in sacchetti. I gusci sono anch’essi una risorsa, e sono conservati, e venduti, per stabilizzare costruzioni e anche le strade del villaggio (di questo il giorno dopo troveremo un altro bell’esempio). Ci accolgono sorridenti, entriamo nella loro vita, regaliamo ai bambini le matite portate dall’Italia e poi ciao ciao quando torniamo in barca. Navighiamo tra i canali e le mangrovie per fermarci in una piccola spiaggia sotto gli alberi. Richiamo irresistibile per un bagno e poi si stravacchiamo in attesa di un ottimo pranzo preparato dal nostro marinaio con i figli (riso, pesce alla brace e dessert), bella la vita in vacanza!
Con l’ultimo tratto la nostra piroga raggiunge l’oceano, e le sue onde, per sbarcare a Djiffer, un porto di pescatori. Attraversiamo il mercato velocemente e ritroviamo Bernard e il pullmino, con Beppe ed Elisabetta, che stanno molto meglio. Via verso Palmarin, un ecolodge elegante con gli edifici in fango rosso e tetto di paglia, piscina e anche zanzare. Atmosfera da turisti, relax e cena e poi a letto.
E’ il 12 agosto, auguri ad Elisabetta che compie gli anni. Il grande baobab ci attende, un albero monumentale in cui si potrebbe anche entrare (ma dentro c’è una tana di pipistrelli, forse non conviene). Attorno, botteghe e venditori e ci lasciamo tentare, eccome. Nel pullman ormai portiamo ormai statuette e bracciali, quadretti, stoffe, e maschere in legno, ora nelle nostre case italiane.
Bernard ci conduce ora a Joal, cittadina in riva al mare, da cui raggiugiamo, trovata una guida che parla italiano, l’isola di Fadiouth. Dopo il ponte il legno la meraviglia di un villaggio con strade di conchiglie bianche, diviso in quartieri che sboccano in una piazza con un bel baobab. A differenza del resto del Senegal, la maggioranza della popolazione è cattolica, come il nostro accompagnatore che ci accompagna alla chiesa e poi, con un breve sentiero, al cimitero a picco sul mare, dove convivono le sepolture mussulmane e cristiane, con tombe anch’esse ricoperte di conchiglie. Piove anche, e ci ripariamo al centro anziani ma dura poco e rinfresca il clima. A Joal ci fermiamo a mangiare, per poi incamminarci verso M’Bour. Sulla strada, ci fermiamo in un orfanotrofio, la Pouponnière (www.lapouponnierdembour.org) che accoglie bambini e ragazzi in difficoltà, dai primi mesi di vita fino ai 18 anni. Vediamo la struttura, non i bambini com’è giusto, e le donne che vi operano (anche la nostra accompagnatrice ha qui i suoi due gemelli).
Per la sera il nostro albergo oggi è il New Blue Africa resort. In spiaggia, decine di ragazzi giocano a calcio, corrono, si allenano fino a tarda ora. Noi, più pigri, ci accomodiamo nelle sdraio all’ombra delle stuoie. Un brindisi di birra per festeggiare Elisabetta, cena e poi a dormire.
E’ il 13 agosto, ultimo giorno in Senegal, sob. Ci siamo affezionati a questo paese, bello e accogliente. Per completare il nostro panorama africano ci concediamo la visita alla Rèserve de Bandia, con animali provenienti anche da fuori Senegal, una sorta di zoosafari però nel posto giusto. Giraffe, bufali, rinoceronti, zebre, gazzelle e coccodrilli nelle nostre foto, mentre le borse si riempiono di creme e saponi, magneti e molto altro.
Torniamo a Dakar, e nel centro Bernard ci porta a vedere i luoghi delle istituzioni. La cattedrale e la moschea, il teatro e altri luoghi della capitale. Maria continua a cercare la Costituzione senegalese in una libreria, senza successo. La corniche, la strada panoramica sul mare, porta a delle spiagge affollate. Noi mangiamo e ci fiondiamo al mercato artigianale dove diamo fondo agli ultimi fondi rimasti in franchi Cfa. Qui è il paradiso delle stoffe, borse e camicie dai colori accesi e molto altro. Non manca la tappa a un supermercato per la provvista di marmellate e succhi esotici, tisane e cafè Touba. Il cerchio si chiude al Monument de la Renaissance africaine, una grande statua e picco sul mare alla quale si accede con una lunga scalinata. Volendo, una sorta di contraltare alla Statua della Libertà di New York, inaugurato nel 2010 nel cinquantenario dell’indipendenza del Senegal dalla Francia, Un po’ enfatico, sì, costoso certamente, ‘sovietico’ nello stile, necessario? Per me ha chiuso il cerchio iniziato con la visita all’isola di Gorèe.
Il cerchio del viaggio si chiude anche all’aeroporto. Un abbraccio a Bernard, guida e prezioso compagno di viaggio. Ci accampiamo dentro per cambiare, riorganizzare il bagaglio, fare le consuete procedure. Partiamo all’una del 14 agosto, il tempo adesso va avanti, a Lisbona ci separiamo tra chi parte subito per Milano e chi andrà a Roma (avremo tempo anche per una veloce escursione in riva al Tago). Baci e abbracci ma il gruppo WhatsApp in cui giorno per giorno abbiamo condiviso le foto resta attivo, anzi attivissimo.
Ci siamo piaciuti e ci è piaciuto il Senegal, siamo stati bene. grazie a Beppe che ci ha seguiti al meglio. Ci ritroveremo, pronti a ripartire, in una prossima avventura nel mondo. Evviva!!!