Avventure nel Mondo

Spazi sconfinati

Immagina di svegliarti in un rifugio, con altre trenta persone, di fianco al tuo nuovo amico e realizzare che due giorni fa non sapevi della sua esistenza. Oggi non potete fare a meno di prepararvi insieme il caffè al mattino, di constatare che non ti pettini da giorni, che ti lavi raramente, che sei vestito più o meno uguale a tutti gli altri del tuo gruppo e non te ne frega assolutamente niente, e il fatto che non te ne freghi assolutamente niente è di per sé davvero notevole. Immagina di respirare bene mentre sorseggi il caffè e, finalmente, di vedere lei: l’Islanda
di ILARIA STEFANUCCI
foto di Luca Leonardi

È tutto iniziato con una dichiarazione di quelle indiscutibili: “Vado in Islanda perché qui fa troppo caldo”. “Non fa una piega” mi rispondono tutti gli amici. “Ma perché proprio un viaggio trek portandosi dietro tutti i viveri per un’intera settimana e dormendo in tenda?” Oggi so che non è stato solo per il contenimento dei costi, che nella Terra del Ghiaccio sono fra i più alti d’Europa, e neanche per l’amore per il trekking, che mi frequenta da sempre. Piuttosto perché l’Islanda, se la vuoi conoscere carnalmente, lo puoi fare soltanto andando piano. Piano di gambe e piano di testa. Ma andiamo con ordine.

Tu immagina un aereo. Soprassediamo sul fatto che noi occidentali, che facciamo tanto gli etico-ecologisti, alla fine, per andare da una parte all’altra del globo, sempre il mezzo più inquinante dobbiamo prendere! Finché non inventeranno il teletrasporto ci dobbiamo adattare. Immagina il solito gruppo di italiani in viaggio, mediamente caciaroni nonostante le diverse provenienze, il quindici di agosto. Converrai che è l’identikit un gruppo in fuga. In fuga dal lavoro, dal caldo tormentante prodotto dal solito noto riscaldamento globale, da questioni di cuore, o familiari, o varie. Velocemente in fuga su un mezzo di trasporto che ti fa coprire 3.000 km in 3 ore e mezzo. Se decidi di andare in Islanda un po’ in fuga, d’altra parte, devi esserlo: è la geografia che lo suggerisce. Tremila chilometri a nord nel posto europeo meno europeo che esiste. Tanto che infatti Google Maps non sa bene neanche dove piazzarla l’Islanda, a metà strada in mezzo all’oceano fra la Vecchia Europa e il Nuovo Mondo, e appartenente solo a sé stessa. Immagina di scendere dall’aereo in maglietta e pantaloncini e sentire addosso una ventata gelida del nostro inverno - la loro “estate”. Ma tu a questo ti sei preparato, e infatti indossi fulmineo uno strato dopo l’altro di tutto quello che hai portato, ad isolare la pelle scottata dal sole dei weekend in spiaggia dallo schiaffo di benvenuto del Circolo Polare Artico.

Eccola qui l’Islanda che si presenta al check-in di benvenuto! Una terra che non regala welcome-kit e non fa sconti a nessuno, sconti di nessun genere! Sembra dire, senza ironia come solo i nordici sanno fare: “Sei tu che sei voluto venire! Potevi andare ad Ibiza.” Eppure, tu non molli. Ci deve essere dell’altro oltre al freddo, che mi ha portato qui, dici mentre ti chiedi soprattutto perché non hai portato la tuta da sci. Esagerazioni da gente mediterranea non abituata a temperature estive così caustiche. Eppure, ci deve essere dell’altro. E intanto pensi che, fra tutti i viaggi che potevi fare, hai scelto consapevolmente un viaggio trek proprio tu, che in tenda sì e no ci hai dormito tre volte ed a 35 gradi, di certo ignori l’uso del fornellino da campeggio, e dubiti fortemente che i cibi liofilizzati acquistati su Amazon e immersi in acqua bollente diventino davvero commestibili. Cibi che hai deciso di acquistare dopo aver letto il consiglio su un sito di sopravvivenza, dove gruppi di Rambo in mimetica ti spiegano come cavartela di fronte alla prossima pandemia, e non è uno scherzo.

Eppure, sei partito. Anzi, soprattutto per questo sei partito. Per respirare l’adrenalina di misurarsi con qualcosa che è fuori dalla tua personalissima zona di comfort, per provare sulla pelle se le spalle ce la faranno a sopportare 14 chili di peso, per vedere se ce la faranno le gambe, e soprattutto se la testa, che di solito è lì intenta a soppesare, valutare, calcolare, misurare, spronare, guidare, giudicare, stavolta si farà solo trasportare e si godrà il viaggio! Ché a questo servono le Avventure. Immagina poi di realizzare che non sei da solo a prendere parte a questa cosa. Ad un tratto ti guardi intorno e realizzi che sono tutti proprio come te i diciotto componenti della tua personale Compagnia dell’Anello, con le stesse paranoiche paure, con la stessa adrenalinica voglia di esplorare questo luogo che fino a pochi anni fa nessuno includeva fra le mete turistiche. Con lo stesso desiderio di mettersi in gioco e partire: sei giorni di cammino, nessuna possibilità di mollare, sconsigliabile tornare indietro, ineluttabile andare avanti. Come nella vita d’altronde.

Avventure nel Mondo
Avventure nel Mondo

Immagina di affrontare la prima tappa nella giornata climaticamente peggiore di tutto il viaggio. Come funziona spesso una tappa della vita? Nello stesso modo in cui si è svolta la nostra prima tappa di trekking: ti fai un tuo bel programma, ti attrezzi per benino, e poi succede l’imprevisto: la tempesta perfetta! Vento, pioggia, freddo, arrivare in un posto non adeguato, decidere tutti insieme di percorrere la seconda tappa nello stesso giorno, sentire la fatica, non farcela più, arrivare con le mutande fradice sotto vestiti zuppi dopo aver attraversato anche il guado di un fiume con l’acqua alla coscia (acqua polare), crollare di sonno, e sentire dentro una vocina che sussurra accogliente “E dai, si sa che la prima volta di tutte le cose fa sempre un po’ schifo! Sarà meglio domani, vedrai…”

Forte di questa convinzione incrollabile ti sdrai accanto ai tuoi compagni sopravvissuti e fai, stranamente, bei sogni. Sogni di essere dove devi stare e di starci bene. Nonostante la realtà. Immagina di svegliarti in un rifugio, con altre trenta persone, di fianco al tuo nuovo amico e realizzare che due giorni fa non sapevi della sua esistenza ed oggi non potete fare a meno di prepararvi insieme il caffè al mattino, di constatare che non ti pettini da giorni, che ti lavi raramente, che sei vestito più o meno uguale a tutti gli altri del tuo gruppo di sopravvissuti, e non te ne frega assolutamente niente, e il fatto che non te ne freghi assolutamente niente è di per sé davvero notevole. Immagina di respirare bene mentre sorseggi il caffè e, finalmente, di vedere lei. Islanda. Il giorno prima era sempre lei, ma vestita di nebbia e di pioggia, e la fatica la nascondeva alla vista. Forse devi aver bevuto qualche birra di troppo perché, non riesci ancora a crederci, ma sei finito nella Contea degli Hobbit, è lampante! La stessa lussureggiante prateria con il fiume ad attraversarla e la cascata e le case seppellite dal prato sui tetti. Mancano solo gli hobbit appunto. O forse tu ne sei uno e non lo sai. È una bella giornata di sole, ti spogli e resti in maglietta: in questo mondo a sé, il sole è un regalo prezioso che non si può rifiutare, ci va fatto l’amore subito. Chissà quando tornerà a trovarti! Immagina di camminare in un non-luogo senza alberi dove la terra è nera ma è vestita di verde, ci sono collinette a punta che sembrano atolli in mezzo al mare, e “sconfinati spazi” che Leopardi descrisse bene in altri tempi senza averci mai messo piede. E poi, ad un certo punto, come se avessero cambiato diapositiva, ti ritrovi in un ghiacciaio in punta di piedi sul crinale. Nel frattempo, una nuvola è scivolata per qualche minuto sopra la tua testa e interrompe l’amplesso con il sole in un istante: sedotto e abbandonato ti metti sopra di tutto, anche il cappello di lana che avevi ficcato nello zaino con sufficienza e sarcasmo dicendo “figurati se lo userò mai!”. Osservi la luce che riflette la neve e respiri a pieni polmoni lo zolfo che pervade l’aria. Non te ne sei neanche accorto e la seconda diapositiva è già passata.

Ora sei su un vulcano e cammini su un fiume di lava nera solidificata. A tratti esce un filo di aria calda come quando lasci il pentolino di acqua calda sul fornello spento, in attesa si faccia il thè. In lontananza uno sbuffo potente invece comprime la terra che lo libera: è un geyser, ti dicono. Forse te ne avevano parlato alle medie, finalmente hai capito a cosa si è ispirato l’inventore della pentola a pressione! E mentre cammini e cammini, non ti sei neanche accorto che i chilometri sotto i tuoi piedi si sono consumati tutti, e finalmente realizzi che non era per camminare che sei venuto in Islanda (quello si può fare comodamente anche in palestra sul tapis roulant) ma per vedere, per guardare, per annusare e per sentire in un modo diverso cose nuove. Immagina, mentre fai questo pensiero potentemente banale, di vedere qualcosa all’orizzonte accanto alla casetta del campeggio che ti ospiterà. Hai una visione allucinogena come quella di un’oasi nel deserto del Sahara. Al posto delle palme una pozza di acqua bollente, facce felici in costume da bagno a mollo in acqua caldissima. Vi guardate tutti ed è un attimo! Incuranti della prova costume e soprattutto dell’impatto ruvido della pelle d’oca nuda all’aria aperta, vi immergete dentro questo nettare degli dèi creato appositamente per chi ha deciso di percorrere Islanda a piedi.

È buona, in fondo, Islanda. Ruvida fuori come carta abrasiva, calda dentro come una pozza di acqua termale. Ma la sua fiducia te la devi guadagnare. Solo quando ha visto che hai fatto del tuo meglio, non hai sproloquiato e combattuto denigrando la mancanza di questo e quello, non hai inveito più di tanto contro il meteo inospitale, non hai fatto niente di maleducato tipo lasciare lattine di birra in giro, solo quando ha constatato che hai piegato la testa rispettoso di fronte a Madre Natura, è allora che ti regala il suo cioccolatino più superbo. Ti ritrovi quindi immerso dentro l’Acqua della Risurrezione con una birra nella destra e una bottiglia di vino nella sinistra felice come una pasqua. Poi ti chiudi nel sacco a pelo e continui a fare bei sogni. E ti accorgi di non aggiungere più “stranamente”.

L’ultima diapositiva ritrae un gruppo di amici in un furgone che litigano solo sul tipo di musica da ascoltare, talvolta stanno in silenzio, talvolta raccontano scemenze, talvolta cantano cori da stadio, talvolta si confessano le vite reciproche. Si può diventare amici in quindici giorni? La parte di te più scettica ghigna in un angolo del cuore ma ormai è in minoranza e neutralizzata dalla coalizzazione delle altre. Mentre il furgone scivola su strade deserte immerso nella Grande Bellezza, accade qualcosa che non succedeva da tempo: ti si apre il cuore. Si apre a questa natura potente eppure dolce, alla soddisfazione di avercela fatta a sopportare pesi fisici macinando chilometri il cui numero ti faceva inizialmente grande paura e adesso è già diventato roba da dilettanti, ai visi di questi Amici che hai incrociato sulla tua strada, tutti diversi eppure tutti ti hanno regalato qualcosa che non dimenticherai, ed a te stesso che sei tornato ad essere il tuo compagno di viaggio più prezioso. Qualcuno ti guarda azzardando “ma come sei luminoso oggi!” e tu pensi che sei solo banalmente felice. Date retta a Gio Evan: “Non fate vacanze, fate Avventure”.

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