Avventure nel Mondo

Straordinaria Bolivia

La Bolivia è un paese praticamente sconosciuto a noi europei. Ci devi andare per capirne la storia, la vita, le persone e alla fine chiedere forse anche scusa per tutto ciò che abbiamo fatto loro alcuni secoli fa
di Ernesto Fumagalli
foto di Ernesto Fumagalli

Il lungo volo da Madrid ci porta a Santa Cruz de la Sierra, la città più grande e popolosa del paese. Siamo in sedici con grande maggioranza femminile (14) e poiché abbiamo otto ore di attesa per il prossimo volo, decidiamo di andare tutti in centro. I taxi sono veloci e niente traffico, anche perché sono le sette di mattina. Il cuore della città è la grande piazza quadrata 24 Settembre, con al centro il parco alberato e ai lati la Cattedrale con due campanili e gli edifici statali e comunali, il tutto in stile coloniale. Questo schema lo troveremo in molte altre grandi e piccole città. Fa caldo, ma è piacevole gustare la prima colazione seduti all’aperto in un verde e frondoso bar con ottima scelta di dolci come le alte torte farcite a 5 strati. Puntuali i taxi ci riaccompagnano in aeroporto per volare a Sucre da dove inizia il vero viaggio che si può dividere in tre parti: le Città coloniali, il tour Lagunas y Salares, La Paz e il lago Titicaca.

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Le Città Coloniali

Siamo già a 2800 mt di quota in Sucre, fondata seicento anni fa dai colonizzatori spagnoli e capitale dello Stato fino agli inizi del secolo scorso. Ricca di storia e cultura come testimonia la Casa de la Libertad, che subito visitiamo, ove è stato firmato l’atto di Indipendenza della Bolivia nel 1825. Andiamo poi al quartiere della Recoleta con il grande mercato coperto ove lavorano i fiori spostandone i petali, vendono frutti tropicali che assaggiamo e compriamo, e espongono mille altri prodotti sulle bancarelle. Fa caldo anche qui specialmente nel piccolo bar ristorante nella piazza principale dove ceniamo. Qui la cucina tradizionale ci offre il piatto paceno, un’abbondante zuppa a base di carne di manzo e tante verdure che, vista la quantità, non riusciamo a finire. In tre ore di strada in salita col nostro lento pulmino, attraversando anche boschi di eucalipto, raggiungiamo Potosì a 4000 metri. Alla guida c’è Sixto col suo sacchetto di foglie di coca che mastica in continuazione. Mi dice che lo tengono sveglio e gli danno energia; scopriremo che qui quasi tutti masticano coca; la proviamo un po’ tutti ma nessuno lo apprezza. La città è stata fondata nel 1545 ed è diventata uno dei centri più importanti dell’impero Spagnolo. L’argento estratto a fiumi dalle miniere del Cerro Rico, la montagna di Potosì, la rese incredibilmente ricca, tanto che 300 anni fa aveva più abitanti di Londra e Parigi. La prima visita è per la Casa de la Moneda del XVI secolo, considerata uno dei tesori architettonici più importanti del paese, dove gli Spagnoli coniavano le monete in argento, oro e leghe di rame. La guida ci accompagna nelle vaste sale con i grandi macchinari, tutti in legno, ove avveniva il processo di produzione delle piccole monete.

Ma è venuto il momento di entrare nella miniera del Cerro Rico. La nostra guida Sonia ci porta prima al mercato dei minatori dove compriamo i doni a loro destinati; otto sacchetti con foglie di coca, bibite e altri generi di conforto. Quindi alla vestizione con tuta completa, stivali e casco con torcia. Così bardati, in pulmino saliamo al Cerro Rico, 4200 metri, per la foto ricordo e le spiegazioni di rito per la visita. Entriamo in fila indiana nel tunnel largo e alto meno di due metri. Le condizioni all’interno sono difficili, con spazi ristretti, polvere, pozzanghere e umidità. Subito viene segnalato a gran voce un carrello che sta arrivando: ci mettiamo tutti con la schiena contro la parete per consentirne il passaggio sulle strette rotaie a pavimento, ma nessun pericolo. Lo spingono a braccia due giovani minatori con grande fatica. Poi ritorna il silenzio e Sonia ci mostra le vene dei vari minerali, rame, stagno e argento e i cunicoli per scendere in profondità. Altro allarme: arrivano due carrelli pieni di materiale e sempre spinti, ma ora siamo esperti e sappiamo come comportarci. Dopo un breve percorso entriamo in un cunicolo laterale ove in fondo si trova il Tio, una specie di iidolo/Dio rappresentato da uno scarno piccolo pupazzo, decorato con ninnoli e stelle filanti, a cui i minatori sono molto devoti. Sonia fa alcuni riti propiziatori, mette doni e infine accende una sigaretta e gliela mette in bocca. Quindi usciamo; circa un’ora e mezzo la visita che va assolutamente fatta per capire la durezza delle condizioni di lavoro dei minatori e la loro vita assurda che purtroppo anche oggi li porta ad una morte prematura. Milioni di indigeni e schiavi africani sono morti durante il lungo periodo coloniale a causa delle condizioni estreme e dell’esposizione a sostanze tossiche come il mercurio. Nonostante la diminuzione della produzione di argento nel corso dei secoli, la miniera di Potosì è ancora attiva e le condizioni di lavoro sono sempre primitive e con grande rischio di incidenti.

Sempre con Sixto alla guida, con le sue immancabili foglie di coca, ci spostiamo scendendo a Tupiza (2800 mt), la terza ed ultima città coloniale. Qui ci aspetta il giro delle Quebradas e cioè dirupi, canyon e altre bellezze naturali. In sei andiamo a cavallo, mentre gli altri ci seguiranno col pulmino. Fa sempre molto caldo in un paesaggio secco, asciutto tipo western. Molti cactus giganti fino alla Puerta del Diablo e il Canyon de l’Inca con soste per foto e passeggiate. Pranzo al sacco sotto l’unica pianta frondosa e quindi ripartenza a piedi per lo spettacolare Canyon Duente con le sue piramidi, pertugi e sculture naturali in arenaria. Quindi in auto fino all’eccezionale punto panoramico sulla valle del Rio S. Juan. Per ultima la Poronga, uno stretto e alto (20 metri) monolite di roccia. Quindi il ritorno a Tupiza nel letto del fiume omonimo con divertenti guadi. In albergo Fabiola, leader dell’agenzia Tupiza Tours, ci offre un aperitivo con degustazione di liquori tipici locali apprezzati da tutti.

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Il tour Lagunas y Salares

Di buon mattino partiamo colazionati con 4 Toyota 4x4, 4 autisti/guide e due cuciniere. Siamo in 22, una vera spedizione. Il giro ci porterà fino a Uyuni attraversando la spettacolare parte sud ovest del paese. Saliamo subito fino ai 3500/4000 mt, che saranno la quota media d’ora in avanti per tutto il viaggio. Il primo incontro coi lama è sul verde altopiano di Aguanapampa. Animali piuttosto tozzi, con pelo di vari colori e le orecchie ornate da fili di lana colorati. Tutti hanno un proprietario e sono allevati per la lana e la carne; non producono latte. Lì vicino vi è Ciudad Encanto, un enorme blocco di rocce calcaree e di arenaria di origine vulcanica, create e scolpite nel corso dei secoli dall’ erosione del vento e dell’acqua. Ci staresti per ore ad ammirarne le stravaganti e affascinanti forme. Una meraviglia, dono della natura e uno dei must del viaggio. Incontriamo le esili vigogne dal lungo collo, che vivono solo in libertà in piccoli branchi e appartengono tutte allo Stato. La loro lana è la più calda e preziosa e il taglio della stessa è programmato dall’autorità statale. Particolare curioso: si scaricano nello stesso posto con grande accumulo dei piccoli sferici escrementi, come se volessero tenere pulito il verde intorno, la loro fonte alimentare.

Arriviamo a Guadalupe, un micro paese ove ci sistemiamo in un basico e spartano alloggio. Risaliti sulle auto in un’ora siamo al belvedere su Ciudad Roma. Una vista mozzafiato su questo insieme di formazioni geologiche di diversi colori che paiono raffigurare Roma con le sue basiliche e monumenti. Ci avviciniamo fino ad un altopiano costellato da sculture di roccia in cui si può distinguere un coccodrillo, un teschio, un coniglio, un pesce ed altro, ancora più affascinanti al tramonto. Sul terreno parecchie yareta, una specie botanica che vive qui: sembra un grosso e rotondo sasso ricoperto da un sottile strato verde, mentre invece è una pianta dura e compatta che quando muore diventa un ottimo legno combustibile usato dagli abitanti per scaldarsi e cucinare. Il forte vento non ci impedisce di raggiungere l’estremità per la migliore vista sui monumenti di Roma che la nostra guida ci indica, forse con un po’ troppa fantasia, ma comunque lo spettacolo è unico. Per arrivare a S. Pablo de Lipez bisogna salire fino ai 4700 m del passo tra grandiosi panorami. Fa fresco ma ci basta un 100 grammi. Raggiunto San Pablo lasciamo ai suoi parenti il bimbo a cui avevamo dato un passaggio (qui non ci sono mezzi pubblici e bisogna arrangiarsi coi pochi viaggiatori che vengono in queste zone) e proseguiamo sull’altopiano costellato da grossi ciuffi d’erba disposti a semicerchio, forse per difendersi dal sempre presente vento. Incontriamo tre mimetiche faraone, piccoli gruppi di vigogne e lama che sembra facciano una gran fatica a brucare la cortissima tenera erba, quasi un muschio. Sullo sfondo il vulcano Uturuncu che supera i 6000 mt e la laguna Amarilla, cioè gialla, per il particolare riflesso, con i primi fenicotteri. Vicinissima vi è la grande laguna Celeste, con papere e piccole beccacce, ove pranziamo su un basso e rotondo tavolo in pietra con un piatto di carne e verdure che le cuciniere hanno preparato svegliandosi alle tre di notte. Lo faranno per tutto il tour e ci cucineranno sempre piatti diversi, gustosi e abbondanti. Non si può chiedere di meglio. Proseguiamo con soste per le varie formazioni rocciose e qualche guado fino all’ingresso del Parco Avaroa, riserva naturale della fauna Andina. In un’ora siamo a Quetana Chico ove dormiremo. Il paese è semplice, scarno, basso, con solo strade sterrate. Nella spianata centrale il campo di calcio e di basket con tanti bimbi sempre sorridenti e contenti. C’è anche un calcio balilla o biliardino, ma manca la pallina: nessun problema basta un sasso quasi sferico e si gioca! La chiesa è solo un piccolo locale con a fianco un tozzo campanile alto 4 metri con la grande scritta: Dios es amor.

Proseguiamo sempre con il sole, cielo azzurro e temperatura piacevole. Quattro case con un grande recinto ove sono compressi molti lama, almeno 200, che una donna quechua libera per lasciarli al pascolo. Grande polverone e grande spettacolo. Vediamo anche i nandu, piccoli struzzi andini, con il collo ondeggiante e quindi la laguna Hedionda Sur con i fenicotteri sempre con il collo immerso nell’acqua alla ricerca di cibo. Poi la bianca laguna Kollpa da cui estraggono il borace. Attraversiamo quindi il Salar de Chalviri e il deserto de Dalì così chiamato per le particolari colorazioni delle montagne. Una deviazione ci porta quasi al confine con il Cile segnato dal massiccio vulcano Licancabur, con ai suoi piedi le due gradi lagune, la Blanca e la Verde. Grande spettacolo a 4400 mt! Ritorno fino alle Terme di Polques per un rilassante e caldo bagno. Saliamo fino ai 4900 mt di Sol de Magnana, la quota più alta del viaggio. Qui fanghi bollenti, fumarole e soffioni d’aria calda. Il vulcano è sotto e si sente! Una lunga discesa ci porta alla Laguna Colorada, la più bella. Le acque di colore rosso intenso ospitano diverse specie di fenicotteri che si nutrono delle alghe microscopiche presenti nell’acqua. Siamo al tramonto e lo spettacolo è incredibile, non andresti mai via. Attraversiamo poi il Deserto Siloli con le sue sculture di roccia tra cui spicca la più famosa: l’Albero di Pietra. Quindi su un lungo sterrato malmesso incontriamo la Vizcacha, il grosso coniglio selvatico andino, sempre immobile e intento a scaldarsi al sole. Di seguito ben quattro lagune, la Honda dove incrociamo anche una volpe, la Charcota con tanti arbusti in fiore (qui siamo in primavera), la Hedionda Nord in cui i fenicotteri strisciano il becco sul fango alla ricerca di cibo, e la Canapa col suo blu intenso. Ognuna ha una sua caratteristica e merita sempre una camminata per gustarla. Poi il grande vulcano Ollague con la sua piccola fumarola e il Salar de Chiguana dove incrociamo il lunghissimo treno merci coi minerali diretti in Cile. Il macchinista ci saluta con uno strombazzo, ci siamo solo noi e il treno, nel nulla. Il paesaggio ora si allarga fino a San Juan del Rosario, un paesino con i cactus in fiore. Qui coltivano la quinoa i cui semi, che vediamo in diversi colori, sono l’alimento fondamentale per le popolazioni Andine. Una prima vista del Salar de Uyuni e quindi alloggiamo nell’Hostal de Sal ad Atullcha. Pavimento, muri, tavolo, sedie e letti, tutti in blocchi di sale pressato estratto e affettato dal grande Salar. Dopo cena ci offrono uno spettacolino con bimbe in costume che ballano e cantano accompagnate da un suonatore di chitarra. Oggi sveglia alle 4,30 per arrivare alle 5,30 a Isla Incahuasi, la Casa dell’Inca, nel mezzo del Salar per vedere la nascita del sole.

Immersi tra i cactus giganti e parecchi visitatori ci godiamo questo spettacolo unico e imperdibile. Quindi scendiamo alle auto dove nel frattempo le cuciniere hanno preparato un’abbondante prima colazione sui tavoli di sale. Il Salar de Uyuni, con una superficie uguale a quella dell’Abruzzo, si è formato per l’evaporazione di un lago salato ed è la più grande distesa di sale sulla terra. Ci spostiamo una decina di km a nord per raggiungere il “set fotografico”. Le nostre guide conoscono tutti i trucchi per realizzare le foto più strane, curiose e divertenti nell’immensità di questa distesa di sale. Proprio sotto il vulcano Tunupa, a nord appena fuori del Salar, c’è il paese di Coqueza con la grotta con le mummie che da secoli si sono conservate per il particolare clima secco e asciutto. Pare che risalgano a più di 1400 anni fa.

Tutto il terreno circostante è tapezzato da muretti a secco che segnano le proprietà, vere opere d’arte di equilibrio, e tanti fiori. Risaliamo le pendici del vulcano fino al punto panoramico a circa 4400. Solo così si può comprendere la vastità del Salar. Andiamo quindi nella vicina Jirira ove alloggiamo nel rifugio Dona Lupe. Prima di cena torniamo nel Salar per vedere il tramonto. Qui le nostre guide ci fanno una sorpresa: aperitivo con ottimo vino rosso locale accompagnato da patatine, formaggio, mortadella e olive. Brindisi, ringraziamenti e tante foto ricordo.

L’ultimo giorno del tour inizia col riattraversamento del Salar da nord a sud per arrivare a Colchani. Una breve sosta lungo la bianca e accecante piana fino al sito ove un artista locale ha realizzato grandi sculture di sale. Ci fermiamo poi a Plaia Blanca dove c’è il grande Hotel de Sal, ora un museo con foto e reperti che parlano del Salar. Troviamo tantissima gente in costume giunti qui per il festival dell’Educazione Rurale. Bande, balli, bancarelle e tanto folclore in allegria. Un regalo inaspettato poiché anche le nostre guide non ne erano al corrente. Ultima tappa è Uyuni al cimitero dei treni con le vicine sculture fatte sempre coi pezzi delle locomotive e vagoni abbandonati. Salutiamo a malincuore le nostre ottime guide e cuciniere e saliamo su due pulmini che ci porteranno in sette ore a La Paz.

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La Paz e il Lago Titicaca

Oggi ci siamo divisi in due gruppi: nel primo, in sei faremo la Carretera de la Muerte in bici, mentre 4 ci seguiranno sul pulmino al seguito. Nel secondo i restanti sei andranno a vedere il sito archeologico di Tiwanaku. Per fare la Carretera saliamo con un pulmino fino ai 4700 mt di La Cumbre. Dopo la vestizione con calzoni, giaccone, casco, occhialoni e guanti ci danno le robuste e tecniche bici da mountain bike con cui prendiamo confidenza. Istruzioni, spiegazione del percorso, foto e quindi giù in discesa per i primi 20 km su strada asfaltata seguendo una guida anch’essa in bici. Qualche sosta per aspettarci, ma nulla di speciale; bisogna solo fare attenzione al traffico automobilistico. Snack con bibita e quindi col pulmino ci spostiamo sulla vera Carretera per la seconda parte che è tutta su sterrato. Percorreremo circa 28Km, sempre in discesa, della vecchia e stretta strada che una volta era percorsa dal traffico locale con parecchi incidenti mortali. Da qui il nome. La discesa è semplice, senza pericoli poiché la strada è larga almeno 4 metri, e diventa divertente con l’aumentare della velocità. Per chi non si sente sicuro, basta andare piano. Ogni tanto qualche sosta fino al mirador Cerro Roco. Qui fa caldo, togliamo la tuta per scendere gli ultimi 8 Km in libertà. Alla fine una breve salita fino all’ottimo ristorante immerso nella giungla con pranzo a buffet. Questa è l’unica possibilità di vedere la giungla nel nostro viaggio. Della Carretera se ne parla come una cosa difficile e pericolosa; non lo è affatto, va solo percorsa con prudenza. Consigliatissima! Per ritornare a La Paz sono necessarie ben tre ore di pulmino; questa è certamente la parte più dura della giornata. Contemporaneamente in sei sono andati a visitare il sito di Tiwanaku, patrimonio Unesco, che rappresenta una delle più importanti culture pre-incaiche. La città raggiunse l’apice nel 500 per poi declinare scomparire nel 1100. Uno dei misteri del sito sono i blocchi di basalto, pesanti fino a 25 tonnellate, ricavati da cave distanti ben 40 Km. Non si sa come li abbiano trasportati. Un giorno in più di viaggio e questo sito lo avremmo visto tutti. Oggi partiamo con un pulmino riservato e Mirko, la nostra guida, per una due giorni sul lago Titicaca. Prima sosta al museo/negozio della totora il cui proprietario è il figlio del più famoso costruttore delle tipiche barche in giunco tra cui il Kon Tiki che fece la memorabile traversata del Pacifico. Quindi al porto di Tiquina dove ci imbarchiamo su un piccolo scafo che ci porterà in 10 minuti sull’opposta vicina sponda, a San Pablo de Tiquina. Lì aspettiamo il nostro pulmino che traghetta da solo su una grande chiatta. Ripartiamo fino a Copacabana dove la nostra barca privata ci porterà in due ore alla piccola Isola della Luna. Saliamo alla casa albergo con vista a lago per il pranzo Andino all’aperto. Bellissimo e ottimo cibo locale tra cui i piccoli pesciolini fritti. A fianco vi è il tempio de la Nustas, abitato dalle vergini del sole durante l’impero Inca. Sempre con la nostra barca ci dirigiamo alla grande Isola del Sol con salita alla fonte della giovinezza e ridiscesa tra eucalipti e asinelli. Ancora in barca fino alla punta sud dove sbarchiamo e alloggiamo nel vicino albergo Puma Punku con vista spettacolare al tramonto. Il giorno dopo ci divideremo ancora: il gruppo degli otto camminatori farà il trek di 5 ore attraverso tutta l’isola fino alla punta nord al sito Inca di Chinkana, mentre gli altri otto ci raggiungeranno in barca. Il trek è panoramico e vario: piccoli paesi, boschi di eucalipto, pastori, ristorantini con le pareti incastonate di sassi colorati e anche siepi di Cantuta, il fiore nazionale Boliviano: tanti piccoli tromboncini rossi con sfumatura verso il bianco. Il percorso non è difficile, salvo il fatto che si cammina a 4000mt, ma ora siamo rodati e nessuno ha problemi. Ci incontriamo al sito Chinkana che significa labirinto in lingua quechua. Pare che qui siano nati i primi Inca, Manco Capac e Mama Oclo. Vi è anche il tavolo per i sacrifici al dio Sole. Torniamo a Copacabana con il grande bianco santurario che merita una visita. Oggi c’è la benedizione delle auto tutte addobbate e ferme nella grande piazza centrale. Ritorniamo a San Pablo de Tiquina dove c’è stata una festa con parecchi quechua in costume. Le donne quechua si riconoscono perché hanno sempre la gonna corta, vestiti decorati verdi e rossi, e spesso la piccola bombetta. Quindi attraversiamo nuovamente lo stretto braccio di lago con la barca che ondeggia forte per il vento e in due ore torniamo a La Paz. L’ultimo giorno è dedicato alla sua visita. Situata in una conca tra i 3600/4000 mt, con oltre un milione di abitanti e pochissimo verde, è la metropoli più alta del mondo. Piazza Murillo ne è il centro col Palazzo del Congresso che ha un orologio con le ore segnate in senso antiorario e quindi gira al contrario. La parte coloniale con le tipiche vie e la casa del patriota Murillo precursore dell’indipendenza del Paese. Qui l’etnia dominante è quella Aimara con le donne con la gonna lunga e sempre la piccola bombetta. Prendiamo poi la Teleferica che vanta ben 10 linee e si può definire una metropolitana aerea. Un’idea geniale poiché in città non ci sono trasporti pubblici e il traffico è sempre caotico. Saliamo a El Alto, il nuovo quartiere periferico che oggi ha già più abitanti di La Paz. Comodamente seduti ben si vede la città coi quartieri colorati e l’ammasso incredibile di case. Altre tre linee di teleferica fino a ritornare in centro nella animata piazza della Chiesa di San Francesco con le bancarelle, i lustrascarpe e gli artigiani. Due passi nelle colorate vie centrali con il Mercato delle streghe, oggi ridotto a un solo negozio per turisti e il museo della coca che merita per capire la storia e l’importanza che qui si da a questo prodotto. Alla fine in aeroporto per i lunghi voli di ritorno. Il viaggio ci porterà ancora a Santa Cruz e da lì in Europa.

Bellissima esperienza!

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Foto di Chiara Iobbi