Tunisia
30-31 Dicembre
Riparto cercando ancora la felicità. Voglio sudare e capire.
Giornata di avvicinamento.
Parto da una nebbiosa Malpensa con 7 dei miei compagni di viaggio per raggiungere Tunisi e l’altra metà del gruppo.
Prima dell’atterraggio, dall’alto sorprendono i colori brillanti del mare e della sabbia. Da un lago salato fa capolino una moltitudine di fenicotteri rosa.
Riunito il gruppo, è già ora di ripartire, ma gli orari qui sembrano essere relativi; il bielica che da Tunisi ci porta a Djerba non ha fretta di partire mentre io scalpito per arrivare e Francesco il Fanese non nasconde la sua paura per il volo.
E’ necessaria un’ora di volo da Tunisi a Djerba. Non per la distanza, ma per l’effettiva difficoltà del mezzo. La sua lentezza e il volo a bassa quota permettono però di osservare buona parte della costa del paese.
Atterrati a Djerba ci accoglie un tramonto di un rosso pieno e intenso che in un attimo sfuma in un cielo dove una pennellata blu lascia spazio a una delineata e perfetta pennellata viola che mi lascia senza parole mentre il tassista ci porta al nostro hotel. Mi incuriosiscono la strada e l’ingresso di un negozio che espone due pecore appese a testa a in giù nell’atto di dissanguarsi.
Arrivati in hotel è ora di organizzare i viveri per i prossimi giorni (conservati in quella che amichevolmente chiameremo “cassa da morto”) e fare la prima riunione organizzativa di gruppo.
La cena al ristorante Essofra è il primo vero assaggio di Tunisia (e a posteriori anche il miglior ristorante).
Mangiamo degli antipasti che sono delle mezzelune fritte con uovo e verdure (scegliamo per tutti la versione vegetariana – mi piace questo gruppo).
Poi è l’ora del couscous, c’è chi lo mangia vegetariano chi con delle salsicce. È buonissimo. Glauco sbaglia ordinazione e gli arriva un mapazzone di interiora varie e zampette d’agnello (forse il “sei sicuro?” del cameriere avrebbe dovuto insospettirlo).
Saber, il nostro sempre sorridente cameriere infine ci versa il the alla menta tra mosse acrobatiche e lanciandoci la sfida a versarlo come lui.
Il mio finisce inesorabilmente sul tavolo.
Choukrane.
Da Djerba raggiungere Ksar Ghilane; quella che viene chiamata la frontiera tra il deserto di pietra e quello di sabbia.
Lasciata l’isola di Djerba e raggiunta la terra ferma salutiamo il mare per addentrarci nel nulla. Il nulla tanto desiderato.
Sabbia, arbusti, palme. Spazzatura nel nulla. Plastica, bottiglie, pneumatici abbandonati. Ulivi. Un pastore con una mandria di dromedari. Nebbia improvvisa. Poi di nuovo il sole.
Sostiamo al mercato di Tataouine per i rifornimenti dei prossimi giorni (banane, arance, datteri…).
Profumi, colori, sapori.
Veniamo circuiti da venditori di spezie, cibo, chincaglierie e varie.
Mi regalano una bacca di cannella, una di vaniglia e un pezzo di zenzero (il venditore mi sussurra che sia afrosidiaco. Ok, grazie.)
Cedo a un venditore di arachidi, mandorle e pistacchi caramellati nello zucchero a velo colorato.
All’uscita dalla città, la strada lascia spazio a un percorso quasi sterrato e il nostro autista dà il meglio di sé in una corsa spericolata tra curve e continue salite e discese.
Raggiungiamo Chenini, esplorandone l’antico villaggio rupestre berbero, la moschea dei 7 dormienti e i panorami che hanno fatto da sfondo alla serie di Guerre Stellari (una delle lune del pianeta di Luke Skywalker si chiamava proprio Chenini!). Alcune delle costruzioni tra i due picchi montuosi sono ancora utilizzate come deposito di grano dagli abitanti della valle sottostante.
Il pranzo è rapido e frugale, siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Ema spezza 3 pagnotte di pane suddividendole tra tutti, non riuscendo però a moltiplicare i pesci.
Un’altra ora di guida spericolata nel nulla.
Arriviamo finalmente a Ksar Ghilane, famosa per essere la più meridionale delle oasi tunisine, nonché porta per il deserto tunisino del Sahara. Il Grande Erg dinnanzi a noi.
Ci affascinano il suo palmeto, la sorgente termale e i suoi viali ombrosi di Tamerici.
In questo panorama incontriamo i nostri cammellieri e in nostri dromedari, guida e compagni per i prossimi 5 giorni.
Montiamo le tende. Sono stupefatta. La cosa più bella mai vista.
Dopo la fatica dell’allestimento del campo è ora di un po di relax nell’oasi. L’oasi è alimentata da una fonte di acqua calda in cui si può fare il bagno e che si dice abbia virtù termali.
Ed eccoci approdare all’esperienza più imbarazzante del mio 2022.
Spogliarsi e mettersi in bikini, con gli occhi dei tunisini che ti fissano sembra la cosa più scandalosa del mondo. In modo molto rapido e il più pudico possibile non ci neghiamo comunque il lusso di immergerci in queste acque calde. Brindiamo poi con aperitivo a base di thè alla menta.
Seguo Glauco e Daniela e acquistiamo degli abiti tipici per festeggiare il capodanno.
Al tramonto abbandoniamo l’oasi che si appresta a iniziare festeggiamenti degni di un villaggio turistico e rientriamo al nostro campo base.
Rientrando riusciamo a perderci tra le dune nonostante la vicinanza (se al posto di guardare la strada stai a fissare un tramonto meraviglioso nel deserto succede).
Ndr – non abbandonare mai più i cammellieri per avventurarti nel deserto.
Ritroviamo il campo dove i nostri chameliè Belgasem, Mohamed, Alì ed Ezzedine ci attendono con il fuoco acceso e il couscous pronto.
La serata passa attorno al fuoco, a chiacchierare e raccontarsi storie.
Ci raccontano della vita del cammelliere, ma senza svelare troppo, lo scopriremo nei prossimi giorni.
Cantiamo, balliamo. Noi e i cammellieri, così diversi, eppure così uguali.
E’ impossibile attendere l’arrivo della mezzanotte. Fa freddo ed è buio dalle 18. Ma poco ci importa. Alle 23.15 ci facciamo gli auguri e ci diamo la buonanotte, nulla ci importa dell’anno nuovo. Per noi comunque l’avventura inizia domani.
1-3 Gennaio
La prima notte nel deserto non è stata come la immaginavo.
Nell’oasi a noi vicina i festeggiamenti di capodanno con musica canti e balli mi hanno tenuta sveglia per buona parte della notte.
La sveglia alle 7 è stata quindi parecchio traumatica e resa possibile solo dai ripetuti richiami di Giovanna; con rapidità richiudo la tenda e impacchetto tutto.
Facciamo colazione con il famoso pane del deserto, cotto nelle braci ed estratto direttamente con le mani da Mohamed per poi sbatterlo e pulirlo da sabbia e cenere. Cotto e mangiato.
Carichiamo i dromedari, le taniche d’acqua, le tende, il cibo… e si parte.
Il piccolo Klaus protesta, ma Belgasem ci spiega che è ancora un bambino (ha 4 anni, il piccolo della carovana).
Ed eccoci qui, 14 persone, 4 chameliè, 12 dromedari e il Sahara.
I primi 8 km passano a chiacchierare un po’ tra noi e un po’ mi soffermo con Ezzedine che mi nomina assistente chameliè dei suoi 3 dromedari, e così sono io a condurli per un po’.
Ci indicano delle impronte di sciacallo.
A 8,5 km ci fermiamo per il pranzo al limitare del cambio di panorama. Qui il deserto si trasforma e da vuoto e quasi piatto, popolato solo da qualche piccolo arbusto diventa “collinare”, composto da dune che si susseguono una dopo l’altra.
La pausa pranzo dura 1 h e mezza, tempo per far riposare i 9 dromedari, bere, mangiare e pregare nell’ora più calda.
Quando tutti tacciono il silenzio è assordante. Sento solo il rumore della penna sulla carta che scorre a fatica, interrotta dai finissimi granelli di sabbia sulla pagina. Ezzedine mi mette il turbante e mi spiega come fare.
Ci sono delle farfalle, un corvo che gracchia, la sabbia tra le dita.
Ripartiamo.
Siamo circondati da vere e proprie dune ora e mi ritrovo dentro a un quadro.
Chameliè e dromedari avanzano tranquilli, Ezzedine intona qualche canto. I miei compagni si ammutoliscono. Le dune bloccano il vento.
Il caldo fa appiccicare la sabbia alla pelle. La puoi sentire addosso, in bocca. E’ faticoso ma appagante avanzare.
Eccolo, il sorriso ebete che mi compare sulla faccia.
Ai piedi di un muro di dune piuttosto alte gli chameliè ci comunicano che abbiamo raggiunto l’obiettivo di oggi. A 15 km dall’oasi di Ksar Ghilane siamo pronti a rimontare il campo base.
Libero Koni del mio bagaglio e trovo il mio gruppo di dune in cui montare la tenda accompagnata dalla mia ormai fedele vicina di tenda Giovanna. (Due tende si ritrovano meglio di una sola).
Alle 17 calerà il sole e dobbiamo essere pronti.
Ore 18. Il sole è tramontato; prima brillante e pieno sopra le dune, poi sfumando tra il viola e il blu.
I dromedari mangiano il grano. Gli chameliè preparano i loro makerones con legumes (pastina con verdure) sul fuoco.
Quattro di noi preparano la nostra cena di stasera – pasta al pomodoro. Nell’attesa ci sediamo al caldo attorno al fuoco.
Mangiamo tutti assieme e laviamo i piatti nella sabbia (il metodo funziona abbastanza bene).
La vita nel deserto ti insegna quanto sia preziosa ogni singola goccia d’acqua.
Belgasem ci racconta una storia un po’ in francese, un po’ in italiano e un po’ nella sua lingua. Ci racconta la storia di quando il suo precedente dromedario Lashmar è scappato e per ritrovarlo ha vagato 1 giorno intero senza riposare, mangiare e bere per poi scoprire che, vinta una battaglia col capobranco delle femmine Lashmar si era conquistato dromedaria e libertà.
Cantiamo ancora tra sfide di canzoni italiane vs tunisine con netta vittoria delle tunisine nonostante alti picchi toccati con una versione velocizzata di “alla fiera dell’est” (ai cammellieri piace il ritmo).
E’ un’altra stupenda notte stellata con la luna quasi piena, una notte fredda ma calda di felicità.
La notte è passata ventosa e sabbiosa ma meno fredda della precedente.
A un certo punto non ti preoccupi più di evitare la sabbia, la senti sui vestiti, sulla pelle, nel naso, tra i denti; fa parte del gioco.
Smontiamo il campo, facciamo colazione e carichiamo i dromedari.
Belgasem decide che oggi a portare il mio bagaglio sarà Klaus e non Koni. Klaus è il piu brontolone e mettere la museruola proprio non gli piace. Come dargli torto. Mi sento in colpa per essere partecipe di questa sua sofferenza.
Il freddo mattutino se ne va quasi immediatamente lasciando spazio a un caldo ammorbidito dal vento.
Provo vari assetti di scarpa, scarpone, sandalo con calzino e piedi nudi per decidere cosa sia meglio dopo che il caldo di ieri ha già fatto insorgere 2 vesciche dolorose sulle mie povere dita dei piedi.
Continuo così scalza tra la finissima sabbia chiara delle dune.
Mi posiziono in testa alla carovana con Mohamed e i suoi 3 dromedari dal passo davvero rapido. Fatico a stare in prima linea con lui, ma ne approfitto per staccare il cervello e concentrarmi solo sui miei piedi, il silenzio, i riflessi del cielo e l’infinito mare di sabbia che si apre alla mia vita. I disegni che il vento imprime sulla sabbia.
Non è facile camminare qui, penso anche a questo; è un po come ciaspolare, solo che mentre affondi nella sabbia fresca stai sudando e soffrendo per il caldo.
Ai canonici 8 km sostiamo per il pranzo. Il pane cotto dagli chameliè al mattino è una manna dal cielo, nutriente e appagante.
Ripenso alle tracce di sciacallo, di fennec e di topini che abbiamo visto. Alle tracce delle dromedarie libere che fanno impazzire i nostri dromedari che le desiderano e le cercano con i loro gutturali canti d’amore.
Ci appisoliamo. Cala il silenzio. I cammellieri ci risvegliano, è ora di ripartire.
Fa caldo, caldissimo e mi sento quasi male. La ripartenza è faticosa.
I piedi affondano nella sabbia e sento sempre più caldo. Le dune sono alte in questo tratto e oltre allo sforzo per superarle bloccano il vento impedendogli di rinfrescare e bloccandoci in una sorta di inferno.
Cerco di pensare a come possa essere d’estate, non lo riesco a immaginare.
Cerco di immaginare come possa essere perdersi qui soli, mi scuote un brivido. Chiedo a Ezzedine come facciano a orientarsi, mi risponde indicandosi la testa e sorridendo; è tutto lì.
Finalmente arriviamo in una zona dove le dune sono più basse, riposiamo un attimo e si riparte.
Riprendiamo animo e ci intratteniamo con storie mitologiche e giochi di memoria (i 7 re di Roma, le capitali, i capoluoghi delle regioni…).
Alì, pur non parlando nessuna lingua a me comprensibile, mi insegna a riconoscere le tracce di fennec. Ce ne sono tantissime come tantissime sono quelle di sciacallo.
Arriviamo alla destinazione finale di oggi. Il nulla. I 13 km più sofferti di questo 2023 ma forse anche del 2022.
Non resta che montare le tende e ammirare questo tramonto spettacolare che sfuma sulle dune e i dromedari che brucano i rametti secchi dei pochi arbusti presenti.
Riposiamo all’ombra di uno dei the caldi tatticamente preparati da Daniela attendendo il calare della notte e il freddo.
Stasera tocca a me, Liliana, Emanuela, Baba e Andrea cucinare. La cena prevede tortellini all’olio e una sorta di ratatouille di cipolle, pomodori e melanzane unico modo pensato per non sprecare acqua lavando le verdure e mangiarle comunque in sicurezza.
Cala il sole, è già freddo. I dromedari continuano a gorgogliare in amore.
La cena è un successo. Rimaniamo poi, come ormai mi sembra di fare da sempre attorno al fuoco a cantare, ballare e raccontare storie.
L’argomento di questa sera sono i nostri sogni. Quelli detti e quelli che ancora non sappiamo di avere.
Almeno per me, lascio a queste stelle e a questo fuoco l’onere di realizzare quanto ancora non so di desiderare.
Liliana dice una cosa bellissima che mi porterò nel cuore “io l’avevo buttata via la chiave del cassetto dei sogni. Poi ho incontrato Andrea e l’ho ritrovata la chiave. Ora sta a noi riempirlo quel cassetto.”.
Con Andrea e Liliana non ho parlato molto, ma ho guardato e ascoltato e ho imparato molto.
La giornata non inizia nel migliore di modi. Mi alzo con una fitta nebbia che oscura l’alba. E non sto bene. La notte è stata difficile e anche la prima metà della mattina continuo a stare male. Qualche pastiglia dopo mi sento meglio.
Ieri Ezzedine mi aveva detto che oggi era il suo 40esimo compleanno e così, messi da parte i miei ultimi 3 quadratini di cioccolato fondente e preparato da Glauco un coperchio di pentola pieno di biscotti spalmati di nutella gli cantiamo tanti auguri omaggiandolo della tanto gradita cioccolata. Quel sorriso chissà se lo dimenticherò.
Si ripete il rito mattutino: smonto la tenda, rimpacchetto tutto e carico il bagaglio su Kalus il brontolone.
Ho ancora davanti agli occhi il meraviglioso cielo di ieri con la luna piena che illumina le dune, e ricominciamo a camminare.
Arriviamo all’ora di pranzo e mi sembra di essere appena partita.
Il tempo, tra queste dune tutte uguali sembra quasi non passare, immutabile ed eterno.
A più riprese chiediamo ai cammellieri come facciano ad orientarsi in un paesaggio così uguale e privo di riferimenti. Rispondono sempre che è tutto nella testa.
Noi, ben memori della strada smarrita la prima sera non ci capacitiamo di come sia possibile.
Dopo pranzo mentre tutti fanno la siesta decido di utilizzare mezzo litro della mia preziosa acqua avanzata da ieri per sciacquarmi i capelli riuscendo solo a peggiorare la situazione.
Oggi la giornata è meno calda perché più ventosa. Mi dà sollievo.
Il vento nel deserto non fa rumore, non ha nulla contro cui infrangersi.
A questo silenzio non ci si abitua mai. È affascinante, pacifico, rasserenante e al contempo spaventoso. Provo a immaginarmi qui da sola. Non riesco a immaginare una solitudine più grande. Ogni volta che incontro con lo sguardo tracce di corvo o qualche altro animale mi sembra un avvenimento (forme di vita!).
Si riparte fino a raggiungere i nostri 13 km quotidiani. Duna dopo duna dopo duna è un attimo e arriviamo al punto stabilito dagli chameliè per il campo.
Oggi inizio a capire cosa si intende per deserto di pietra.
Io Giovanna e Giorgia troviamo lo spazio tra le dune perfetto per le nostre tende ma al momento di piantare i picchetti scopriamo che sotto ai primi cm di sabbia c’è un immenso strato di pietra!
Klaus fa un’incursione pericolosamente vicino alla mia tenda e convincerlo ad andarsene non è cosa facile.
Superata anche questa fatica non resta che fare l’ennesima doccia di salviette umidificate e godersi uno splendido tramonto, bere un buon the e attendere la cena.
La penultima notte nel deserto… Inizio a sentire che anche questa avventura mi sta sfuggendo tra le dita come la sabbia. Inizio a sentire la paura della “civiltà” che ci attende dall’altra parte, rumorosa, indaffarata.
Chissà cosa sta accadendo nel mondo.
La parte più bella del deserto per me è proprio questa; il silenzio, il niente che ti distrae.
I dromedari brucano al tramonto.
Ceniamo e i cuochi di stasera pensano anche all’aperitivo (formaggio e salumi – pensano anche a dei crekers per me) e al dessert (biscotti con cioccolato) per la felicità dei nostri cammellieri che non rifiutano mai formaggio e cioccolata (e il tonno a pranzo).
Cantiamo “AID MI LED SAIID” – tanti auguri in tunisino (?) a Ezzedine, felice per l’ennesimo festeggiamento del suo compleanno.
La serata passa come tutte, attorno al fuoco. Mi fa sentire a casa.
Cantiamo un paio di canzoni e su incitamento di Belgasem balliamo. Poi inizia il momento barzellette.
Belgasem ci regala lo show finale nel quale finge di essere un autista di jeep (dotata di marce e ridotte create con due bastoncini infilati nella sabbia) e simula una guida spericolata mentre sterza su dune a destra e sinistra (spingendoci in questo cerchio attorno al fuoco per assecondarne il movimento) e facendoci sobbalzare con lui. Ad un certo punto si alza e inizia a correre spericolato tra le dune col frontalino (i fari della jeep) e chissà perché, così, naturalmente noi lo seguiamo come dei matti rincorrendoci e ridendo felici tra le dune alla luce della luna.
Glauco prosegue la serata dando fondo a una parte del suo sterminato repertorio di barzellette.
4-5 Gennaio
So che è il giorno 6 solo leggendo la progressione nelle pagine precedenti.
Ho perso completamente il senso del quando e dove. Non guardo più l’ora.
Mi alzo che l’alba sta già sorgendo.
Stanotte ha ghiacciato e la tenda è bagnata. Giorgia raccoglie del ghiaccio dalla sua tenda e lo mostra stupefatta.
Solito rito di colazione, falò della spazzatura, caricare i dromedari e via.
Oggi le dune sono alte ed è tornato il caldo insopportabile, ma c’è una leggera brezza.
Trovo una pietra molto bella e strana e la prendo osservandola da ogni angolazione finché Ezzedine mi spiega essere pipì di dromedario femmina fossilizzato. (Jimel = dromedario)
Poi trovo la cartuccia di un proiettile e mi spiegano che vengono usati per sparare alle gazzelle che si trovano qui nel periodo della pioggia mentre ora sono in Algeria.
Ci fermiamo a mangiare e riposare.
Il risveglio è traumatico. Innanzitutto perché il caldo è atroce, in secondo luogo perché i cammellieri hanno fretta di ripartire perché all’orizzonte si è stagliato il profilo di una dromedaria.
I nostri dromedari impazziscono e gorgogliano furiosamente con i loro gargarozzi e sbavano.
Ripartiamo sotto un sole cocente che non perdona duna dopo duna.
Ad un certo punto la scelta è se fermarci e fare il campo a breve per dormire ancora tra le dune o avanzare fino al deserto di pietra accorciando la strada di domani.
Scegliamo le dune per l’ultima notte.
Montiamo le tende, ultime foto, ultimo tramonto.
Mentre guardo il tramonto e scrivo, si avvicina Ezzedine affascinato dal mio scrivere e sulla sabbia mi scrive il suo nome in modo che alla cronaca io possa scriverlo bene (Ezzedine Jedidi). Mi scrive il nome dei suoi figli e della moglie.
Per l’ultima cena è Belgasem che cucina il couscous per tutti.
Il cielo si infiamma, i dromedari sfamati si acquietano. Il fuoco scoppietta, la luna si alza. Che colori. Voglio imprimere nella mente questi colori. La luce che sfuma nelle dune, la sabbia che ti massaggia i piedi.
Mangiamo il couscous e poi regaliamo formaggio e cioccolato agli chameliè.
La faccia di Ezzedine quando vede il cioccolato… Anche Alì ride, tutto felice…
Capisci quanto basti poco nella vita.
Iniziano le chiacchiere attorno al fuoco e chiediamo come mai Klaus e Koni avessero litigato prima e avessero quasi lottato. Ripetono solo che sono come i bambini (anche Koni è giovane, ha solo 6 anni).
Non sono pronta a salutare il deserto. Mi sveglio con molta lentezza.
Mi soffermo ad osservare l’alba, poi con calma mi “lavo”, mi vesto e smonto la tenda per l’ultima volta.
Oggi viaggeremo un po a piedi e un po cavalcheremo i dromedari.
Io ovviamente cavalcherò Lashgar, il capo di Koni e Klaus che riceve in premio la buccia della mia arancia quotidiana. Dopo averla mangiata scodinzola felice.
E così, arriviamo al punto di estrazione, dove le jeep verranno a recuperarci e in 3 ore ci porteranno a Douz e quindi di nuovo al mondo. Non sono pronta.
Si, il viaggio ancora non è finito. Ma è finita l’avventura.
Mi mancheranno queste difficoltà, questo silenzio, il rispetto per la natura. Il caldo, il freddo, la ricerca di una duna che faccia da bagno, il nulla, il fuoco, i canti, i balli, la sabbia, la puzza dei dromedari.
Saluto molto tristemente i dromedari e gli chameliè. So che è un addio, ma li porterò sempre nel cuore.
Saliamo nella Jeep io, Francesco, Glauco e Daniela eil nostro autista è il Klaus della situazione, un giovane ragazzo che fatica a conversare ma che cerca di farsi valere alla guida, anche se alla fine restiamo gli ultimi e perdiamo di vista le altre jeep.
Sostiamo in un bar in mezzo al nulla assoluto, posto qui sicuramente solo per i turisti in viaggio in 4×4.
La nostra macchina perde un pezzo. Ma non c’è di che preoccuparsi. Quando raggiungiamo il primo pezzo asfaltato abbiamo percorso più di 50 km nel deserto. Asfaltato sì, ma sommerso dalla sabbia. Mi chiedo il senso di tutto questo e se un giorno tutto questo si perderà.
Raggiungiamo Douz. Il nostro hotel è un rientro terrificante alla “civiltà”. Non c’è niente di civile e non riusciamo nemmeno a farci la doccia. Il minareto del muezim è proprio davanti alla finestra della camera che divido con Giorgia e Giovanna ormai mie fedeli compagne. La città, importante porta del Sahara è fatiscente e abbandonata a sé stessa. Povera come non me la sarei mai immaginata. Ceniamo in un ristorante che ci fa assaggiare anche dei dolci tipici chiamati corna di antilope.
6-7 Gennaio
Ormai siamo alla fine del viaggio. Oggi partiamo da Douz per raggiungere Djerba.
Attraverseremo strade disperse di nulla tra le montagne. Asfalto tra roccia gialla e arancio.
Visitiamo il villaggio berbero di Matmata, set di guerre stellari grazie alla sua unica architettura vernacolare. Le abitazioni sono scavate nelle colline.
Ci viene offerto uno spuntino di pane caldo da gustare con olio e miele, entrambi molto leggeri.
Lungo la strada ci fermiamo alle rovine di Ksar Toujane. Rovine è il termine adatto.
Troviamo spazzatura, asini che ragliano, capre che si nascondono, bambini che corrono per strada e giocano tra le case di pietra ormai distrutte. Qui vivono ancora circa 500 persone direi nella totale povertà.
Le strade di niente.
Il nostro autista ci porta per pranzo in un locale non turistico dove mi sorprende l’area riservata alle sole famiglie. Qui pranziamo in 14 con 270 dinari = 5,78 € a testa.
Avanziamo tempo per una visita a Djerbahood (sosta suggerita da Glauco) zona conosciuta per la street art in cui artisti di tutto il mondo hanno creato oltre 250 magnifici murales.
È con una pioggia fine che arriviamo all’aeroporto cantando “l’italiano” di Toto Cotugno incitati dall’autista che vuole un video mentre cantiamo.
Cena a base di crekers e con un rapido volo raggiungiamo Tunisi. Anche il bagno di stasera non consente la doccia, ma ormai sono arrendevole alla situazione.
Inizio a essere insofferente ma la triade consolidata con Giovanna e Giorgia placa un po’ la mia insofferenza e ci diamo la buonanotte attendendo con poca ansia la sveglia di domani alle ore 5 per raggiungere l’aeroporto e il volo di rientro in Italia.
Sveglia h 5. Voli aerei e saluti. Si torna a casa.
E’ sotto la prima doccia dell’anno che forse inizi a capire quello che il tuo cuore ha dovuto sopportare.
Mentre l’acqua ti scorre addosso senza dover pensare a centellinare i due litri d’acqua che dovranno bastarti per i tuoi bisogni quotidiani.
Mentre ti insaponi ricordando l’odore dei dromedari, i canti d’amore, lo sgranocchiare di quelle bocche malconce e il loro passo silenzioso.
Ripensi a Lashgar, Koni e Klaus che trasportando il peso per te hanno letteralmente fatto la differenza tra la vita e la morte.
Mentre asciughi i capelli ripensi agli chameliè e che senza il loro orientamento nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.
A Mohamed, Alì, Ezzedine e Belgasem. Ai loro calzini bucati, al sorriso quando gli offri la cioccolata, ai canti davanti al fuoco suonati sulla pentola da cui si mangiava.
Mentre pensi a cosa indossare e ripensi a quella terrificante povertà che hai toccato con mano. I villaggi di niente.
Mentre pensi alla cena ripensi alla tua gavetta che per 6 giorni è stata pulita con la sabbia perché l’acqua è troppo preziosa per pulire una pentola.
Pensi a quanto era buono il pane cotto nella cenere sotto la sabbia, colazione e pranzo per 6 giorni.
Mentre fai la differenziata, pensi alla sporcizia, ai rifiuti abbandonati portati dal vento fino al deserto e a quando l’unico modo di non abbandonarli è di bruciare di un fuoco nero tutto quello che hai consumato mentre i dromedari e tu stesso inerme ne respiri il fumo tossico.
Mentre pensi che stanotte dormirai in un letto vero e ricordi quando lamentarsi per il freddo della notte ti sembrava così stupido mentre i cammellieri ti mostravano con orgoglio il loro letto di quattro coperte poggiato sulla sabbia.
Mentre accendi la luce ricordi quanto era intensa la luna e rendeva quasi inutile l’utilizzo di qualunque torcia. Ripensi alle stelle, alle costellazioni.
Il deserto è come lo si sogna.
È un panorama di dune scolpite dal vento.
A volte dolcemente ondulate, altre increspate come onde impetuose, che si colorano di giallo e di rosa all’alba e di rosso al tramonto.
Pieno di immensità, di silenzio e di mitezza eppure è molto, molto di più.
Più di quanto io possa dire.
Choukrane.