Piccoli esploratori alla scoperta dell'Indonesia
com’è viaggiare con bambini piccoli? Significa innanzi tutto anteporre le loro necessità alle tue ed essere in grado di prevedere e gestire una moltitudine di situazioni critiche. D’altro canto però assistere alle loro scoperte e vederli gioire per un piccolo sogno realizzato è semplicemente stupendo. Se poi si viaggia in gruppo l’effetto si moltiplica all’ennesima potenza, e certe volte il vero spettacolo non sarà il posto seppur magnifico, ma saranno i bimbi. E a questa premessa, aggiungiamoci la meta, l’Indonesia. Terra meravigliosa, tropicale, di un verde splendente così fertile e rigogliosa che sembra che qualsiasi cosa semini possa crescere in una notte, costellata di vulcani attivi e bagnata da un mare azzurro pieno di vita. L’itinerario si snoda da ovest verso est, prima sull’isola di Giava, poi Bali fino alle isole minuscole Gili poco distanti da Lombok. Percorso relativamente semplice e breve ma d’altronde visitare tutto questo immenso arcipelago richiederebbe mesi e le foreste del Borneo e di Sumatra non sono molto adatte ai piccoli, così come la Papua Nuova Guinea dove potresti ritrovarti a fuggire da indigeni con cerbottana in stile Indiana Jones. E quindi dopo settimane di preparativi pieni di aspettative e carichi a mille siamo pronti a partire alla volta di Malpensa per prendere il primo dei nostri tre voli che ci porteranno prima a Dubai per uno scalo, poi a Jakarta e infine a Yogjakarta da dove partirà la nostra avventura. Il gruppo è ben collaudato da un precedente Seychelles Family che è stato un successone, siamo io e Anna con le nostre piccole Caterina di 4 e Diana di 2 anni da Bergamo, la nostra coordinatrice Cristiana con Carlo e Martina di 4 anni da Torino, Miriam e Fabrizio con Flavio di 2 anni e Maria Chiara con Martino di 4 anni entrambi da Roma e quest’anno si aggiungono a noi Eleonora e Francesco con Valerio di 5 anni da Modena.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo l’aeroporto e ci troviamo con i torinesi e i modenesi. Con i romani ci ricongiungeremo solo a Jakarta perché loro fanno scalo a Pechino. Come solo i bambini sanno fare in 4 millisecondi fanno amicizia e in attesa dell’imbarco si divertono con nascondino e gare spericolate di formula trolley con rotelle. Si parte in perfetto orario e poco dopo le 22 stiamo già tutti dormendo.
Verso metà mattina arriviamo a Dubai e approfittiamo di qualche ora di scalo per rilassarci, far giocare un po’ i piccoli e fare colazione. Raggiungiamo il gate del volo per Jakarta circondati praticamente da soli indonesiani con i loro tipici tratti, i cappelli degli uomini simili ai fez e le donne con il classico velo musulmano. Dopo altre 8 ore di volo finalmente atterriamo sull’isola di Giava tutti un po’ provati ma felici. Un breve controllo doganale, il solito sospiro di sollievo nel vedere che tutti i bagagli sono arrivati e usciamo nel piazzale dove scorgiamo Fabrizio che ci saluta e riabbracciamo il gruppetto romano arrivato poco prima di noi. E’ già sera, il clima è gradevole e per un attimo ci godiamo il momento. Eccoci qui tutti insieme, in Indonesia pronti per l’avventura!
Manca solo l’ultima fatica, il volo per Yogjiakarta alle 6 del mattino del giorno dopo. Dobbiamo cambiare terminal ed essendo già le 22.00 non c’è più il treno ma solo bus navetta; agili come pachidermi con i nostri trolley borsoni e zaini da sherpa dribbliamo i tassisti e ci portiamo alla fermata della navetta. Al terzo tentativo riusciamo ad aggrapparci sull’autobus stracolmo di gente e bagagli, pare la scena di Fantozzi che va in ufficio e arriviamo quindi al terminal 3. Check-in, drop off e ci spiaggiamo sui sedili.
Mentre mi aggiro intontito e assonnato mi stupisco nel vedere come i piccoli con poche ore di sonno si siano già ricaricati completamente. Diana e Flavio corrono in giro mentre i più grandi un po’ colorano e un po’ giocano ad acchiapparsi nella grande hall semideserta. E così praticamente senza dormire arrivano le prime luci del giorno e ci imbarchiamo sul nostro volo Batik Air che in poco meno di un’ora ci porta a destinazione, Yogjiakarta finalmente! Anche qui l’aeroporto è molto bello, più di quello che mi aspettassi, moderno, pulito, spazioso. All’uscita troviamo ad attenderci quello che sarà il nostro autista per l’isola di Giava, un tale di cui non ricordo il nome ma che chiamerò Biagio per la vaga somiglianza con un mio vecchio amico pugliese che studiava con me: sulla quarantina, capello corto, piuttosto tarchiato e occhiali spessi come fondi di bottiglia, particolare a cui al momento non do peso ma che risulterà determinante nel proseguo della vacanza. Il pulmino è carino, di colore rosa acceso di quelli che piacciono subito a Caterina, non nuovissimo ma con quattro file di sedili ci stiamo comodi e anche qui è meglio di quello che mi ero immaginato. Caricati i bagagli quindi si parte, prima destinazione l’ufficio della compagnia di viaggio per cambiare gli euro in rupie e per il pagamento dei servizi. Mentre il torpore per la notte insonne comincia ad avanzare colgo le prime impressioni. Il verde domina, insieme al bianco e rosso della bandiera indonesiana che ovunque adorna case e strade per qualche festa nazionale. All’opera nei campi ci sono contadini col il classico cappello da risaia, stormi di uccelli bianchi simili ad aironi si posano su quelli incustoditi, il cielo è azzurro, fa un caldo piacevole e non c’è umidità, tutto molto bello. Arrivati in centro a Yogja abbiamo in programma la visita al palazzo del sultano e quindi ci trasciniamo giù dal bus e ancora un po’ disorientati entriamo nel palazzo. All’interno veniamo accolti da musica e canti di un altro mondo, davanti a noi un orchestra Gamelan sta suonando una canzone Udan Mas (letteralmente pioggia d’oro). Decine di xilofoni, campane, tamburi, gong, flauti e archi intonano una melodia dolcissima accompagnata da un coro di voci femminili e in quel momento veramente ho la percezione di essere stato catapultato dall’altra parte del pianeta. Rinvigoriti da da questa sorpresa proseguiamo la visita e la nostra guida ci racconta la storia del posto e il fatto che Yogja è il vero centro culturale dell’isola di Giava, una piccola regione a statuto indipendente in cui in effetti è ancora in carica un sultano. Terminato il giro ci facciamo portare col pulmino al Palazzo dell’Acqua lì vicino per una breve visita e poi al mercato locale degli animali. Qui a mio modo di vedere ci troviamo davanti a uno spettacolo a tratti grottesco: al di là dei coloratissimi uccelli e pappagalli in gabbia e di qualche pesce tropicale che anche noi siamo abituati a vedere troviamo iguane, pipistrelli, (alla faccia del Covid!), scimmie col collare legato al palo, pollame di ogni genere, paguri con la conchiglia decorata e pulcini rosa, viola, arancione, verde e di altre tinte pastello che non voglio neanche sapere come sono riusciti ad ottenere. Ma ovviamente ai bambini tutto questo piace e dobbiamo portarli via a forza, anche perché sono già le 15.00 e non abbiamo ancora pranzato al di là di qualche snack. Quindi chiediamo a Biagio (che non spiccica una parola in inglese, impareremo a comunicare col traduttore del telefono) di portarci in un posticino tipico sulla strada per Pranbanan, nostra prossima destinazione. Al ristorante cominciamo a familiarizzare con la cucina indonesiana che non è neanche malvagia ma certo non brilla per varietà: abbiamo Nasi Goren (riso con verdure pollo e uovo), Mie Goren (spaghetti con verdure, pollo e uovo), pollo fritto, pollo alla griglia con riso e guai a te se ti dimentichi di dire non piccante che lo standard per loro è bruciarsi le budella. Dopo pranzo ci mettiamo quindi nuovamente in marcia nel caotico traffico cittadino, quasi tutti usano il motorino e vediamo scene davvero allucinanti: gente che trasporta enormi fasci di rami e foglie, in due, in tre o intere famiglie (compresi neonati!) sullo scooter e tutti rigorosamente senza casco. All’ora del tramonto arriviamo a Pranbanan con i suoi magnifici templi induisti alti quasi 50 metri dedicati a Visnu, Shiva e Brama. Posto veramente meraviglioso, passeggiamo tra le pietre dalla storia millenaria e ci godiamo il calar del sole su questo spettacolare panorama. Si potrebbe visitare anche un altro tempio vicino ma siamo tutti estremamente stanchi, è stata una giornata intensa e concordiamo nell’andare all’albergo. Ormai è sera, mentre percorriamo la strada ricca di bancarelle e negozietti di ogni sorta sentiamo il muezzin che dalla moschea intona la preghiera serale. Verso le 20 arriviamo all’hotel, ceniamo tutti insieme, poi una doccia e in stanza. E davanti al letto “caddi come corpo morto cade”.
Finalmente riposati, freschi e puliti ci ritroviamo alle 7.00 circa per la colazione. Anna mi fa gli auguri e solo allora mi ricordo che è il mio compleanno! Insieme a Miriam che come me ha compiuto gli anni durante il viaggio prometto solennemente di offrire da bere quando potremo passare una serata tranquilla e caricati i bagagli si parte alla volta di Borodudur, il più grande monumento buddista del mondo. Siamo un po’ in anticipo e perciò ne approfittiamo per visitare un piccolo tempio poco distante; bella struttura così come le statue di Buddha al suo interno ma la scena la ruba un enorme ficus nel giardino di fronte dove i ragazzi si divertono a fare Tarzan con le liane e ad infilarsi nelle cavità dell’immenso tronco. Ci fermiamo poi in un bar per assaggiare il famigerato Kopi Luwak, il caffè fatto con i semi ingeriti, solo parzialmente digeriti e poi espulsi (per non dire altro) dallo zibetto, una povera bestiola simile alla mangusta tenuta in gabbia non certo in condizioni felici. Sarà che siamo abituati bene in Italia ma non ci sembra un granché, la cosa più bella nel locale la fanno i bambini che scoperto un piccolo palco con gli strumenti tradizionali improvvisano un concerto strappando sorrisi anche agli abitanti del posto. Quindi giungiamo a Borobudur e dopo una breve attesa ed esserci tolti le scarpe ci viene assegnato un accompagnatore e ci incamminiamo nel parco fino a trovarci davanti al monumento: l’aspetto è imponente, da un’enorme piattaforma quadrangolare si elevano dieci terrazze percorse da corridoi e scalinate decorati con bassorilievi, incisioni, statue di Buddha e nei livelli più alti dalle iconiche stupe. Mentre percorriamo i corridoi dei primi livelli la nostra guida ci racconta l’affascinante storia di questo tempio, costruito nel periodo di massimo splendore dei sovrani buddisti di Giava e poi nel corso dei secoli abbandonato e infine dimenticato. Riemerse dalla giungla con l’arrivo dei colonizzatori olandesi che appresero la leggenda del “tempio montagna” e lo riportarono alla luce in buono stato di conservazione. Arrivati circa a metà della salita ci sediamo all’ombra e la nostra guida continua la sua esposizione; ha veramente qualcosa di speciale, il suo modo di parlare è chiaro ed essenziale, il volto sereno, trasmette pace a tal punto che i bambini si addormentano beatamente su di noi. Ogni muro racconta una storia, tutto è impregnato di simboli e non c’è nulla lasciato al caso, le proporzioni, l’orientamento la stessa collocazione del monumento rispetto a montagne e fiumi rimanda ai testi sacri del buddismo. Ci spiega come chi viene a pregare in questo luogo comincia il cammino dal livello più basso rappresentante “il regno del desiderio” e prosegue via via verso l’alto intonando dei mantra sulla strada dell’emancipazione dai sensi fino a giungere alle ultime tre terrazze che rappresentano il raggiungimento del nirvana. E alla fine di questa ascensione spirituale, sulla cima di questa meraviglia arriviamo anche noi, semplici turisti col nostro seguito di marmocchi ad ammirare il paesaggio e goderci questo momento. Tornati sulla terra ci ricordiamo tutti di avere una fame bestiale e dopo aver superato un labirinto di bancarelle rimontiamo sul bus per andare a mangiare. Sono già le 15.00 perciò decidiamo di saltare la visita ad un tempio e puntare direttamente all’albergo dato che ci sono più di 3 ore di strada da fare e arriveremo quando è già buio. Nel tragitto cominciamo a nutrire i primi dubbi sull’autista visto che invece di arrivare alle 18.30 arriviamo esausti alle 20.30. Dopo aver cenato e messo a letto le bambine Anna prova a chiedere qualcosa da bere al bar giusto per farci un brindisi ma riceve un secco due di picche in quanto siamo nel cuore dell’Indonesia musulmana, qui non servono alcolici. E non ci resta altro che andare a dormire.
La giornata si apre con una brutta notizia, purtroppo Valerio ha la febbre e Francesco ed Eleonora decidono di utilizzare la macchina al seguito per andare direttamente al prossimo albergo in modo da lasciarlo riposare. Oggi infatti giornata impegnativa, 5 ore di strada fino alle cascate Madakaripura e poi un’altra ora per arrivare alle pendici del monte Bromo. Dopo colazione prepariamo un frugale pranzo al sacco e partiamo quindi verso le province più orientali di Giava. La strada si snoda in montagna tra foreste, laghi terrazze coltivate e piccoli villaggi anche qui agghindati con bandiere e stendardi rossi e bianchi per la festa dell’indipendenza e alzando gli occhi al cielo è costante la presenza di aquiloni di ogni forma e colore. In questo clima piacevole tra dormite, album da colorare e aeroplanini di carta che svolazzano a destra e a manca le prime ore di viaggio passano via veloci. Raggiunta la pianura e l’autostrada cominciamo a chiederci come mai Biagio vada sempre così piano e perché ci mettiamo sempre ore in più di quello che dovremmo. Ad un certo punto ci rendiamo conto di stare andando nella direzione opposta e osservando bene il nostro chauffeur capiamo che è nel pallone più totale: salivazione azzerata, sudore ghiacciato sulla fronte, cerca faticosamente di leggere i cartelli e le indicazioni del navigatore. Ora è chiaro, ecco perché ci mettiamo sempre di più, è così miope che non riesce a vedere le indicazioni! A quel punto le ragazze davanti prendono in mano la situazione e iniziano a parlargli e a fargli chiari segni ad ogni svolta per aiutarlo a trovare la strada. Non vede, non parla, ma almeno ci sentirà! Bisogna fare presto che per arrivare alle cascate dal parcheggio c’è ancora un ora tra moto e camminata nella giungla e dato che il sole tramonta presto sarebbe rischioso tornare col buio. Alla fine di ore ce ne mettiamo 7 ma riusciamo ad arrivare per tempo al villaggio dove ci caricano su delle moto enduro ognuno con la propria prole ben stretta e percorriamo una mulattiera nel bosco fino a giungere a dove comincia il sentiero. Per la maggior parte dei bambini è la prima volta su una moto e ne scendono galvanizzati, peccato che l'entusiasmo si spegne subito quando capiscono che ora devono camminare su per la montagna. Superata una statua con la scritta Madakaripura il sentiero risale una stretta vallata nel cui scorre un torrente e tutto intorno una magnifica foresta densa di alberi altissimi, palme, arbusti dalle foglie enormi e bromelie rosso brillante. Ad un certo punto la valle si stringe in un vero e proprio canyon alto qualche centinaio di metri e qui infine scorgiamo la cascata, o meglio le cascate! Dall'alto delle rocce il torrente si divide e ramifica in tanti corsi d’acqua alcuni dei quali cadono fragorosamente sulle rocce mentre altri corrono lungo la parete piena di vegetazione per disperdersi come pioggia. Pronti ad inzupparci indossiamo tutti quanti gli impermeabili bambini compresi e guadiamo il torrente per andare a rinfrescarci per bene! Le rocce sono scivolose, bisogna stare bene attenti a dove mettere i piedi ma le guide del posto sono molto gentili e ci aiutano con i ragazzi nei passaggi più rischiosi. Ne usciamo fradici ma decisamente divertiti e dopo questa doccia fuori programma ripercorriamo sentiero e strada fino all'autobus. Ci appelliamo a santi madonne e divinità locali per arrivare in un orario decente e tutto sommato ci riusciamo. L'albergo è più che vecchio, è antiquariato puro con enormi televisori a tubo catodico, bagno senza doccia funzionante e gabinetto senza sciacquone ma con secchio d'acqua da buttarci dentro (tipico wc giavanese) ma in fin dei conti ci rimaniamo solo una notte, ci possiamo adattare. Cosa carina un complesso che suona dal vivo canzoni rock in sala da cena, peccato però che dopo due ore a noi quattro la cena proprio non ce la portano e stanchi e arrabbiati andiamo in stanza a mangiarci qualche barretta e a prepararci al giorno dopo, al vulcano Bromo. E fu sera, e fu mattina...mattina presto, molto presto. Anzi no è tardi! Convinti che il ritrovo fosse alle 3.30 abbiamo sbagliato a puntare la sveglia! Carlo ci bussa alla porta alle 2.40 e in un attimo capiamo, ci catapultiamo giù dal letto, preleviamo il più delicatamente possibile le bimbe e saliamo a bordo della jeep. Cristiana ci raccomanda di fare una foto alla targa, perché ce ne saranno tante tutte uguali e ci servirà per ritrovarla dopo l'alba, quindi ci separiamo e cominciamo a risalire l’altura nel buio della notte. Non c’è nemmeno un lampione, le uniche luci sono i fari delle jeep che formano un interminabile serpentone che risale il versante della montagna. Dopo circa un’ora di strada superiamo un polveroso tratto sterrato, una ripida salita e poi parcheggiamo a lato della strada; qui l’autista ci da appuntamento per le 5.30 alla macchina, Anna si lega ben salda Diana con il marsupio mentre io stringo Caterina in braccio e saltiamo giù dalla jeep. E da qui in poi è pura follia. Ci incamminiamo su per la stretta strada seguendo la gente a piedi e la fila di macchine che ancora provano a salire a rilento mentre decine di motociclisti corrono su e giù offrendo passaggi; il rumore dei motori sovrasta le nostre voci, l’odore di benzina intossica l’aria e fa piuttosto freddo nonostante gli abiti pesanti. Non c’è traccia dei nostri compagni di viaggio, sappiamo solo che dobbiamo arrivare ad un punto panoramico per vedere l’alba ma non sappiamo né dove sia né quanta strada c’è da fare. Dopo diversi minuti esasperati da questa confusione decidiamo di farci portare con le moto, Anna blocca un paio di motociclisti e chiediamo loro di portarci in cima. Saliti a bordo superiamo una tripla fila di jeep con manovre azzardatissime e dopo aver sorpassato un primo punto in cui si assembrava gente la strada si fa più sgombra e sfrecciamo nel buio e verso l’ignoto per diversi chilometri. E dentro di me penso: “In Indonesia, nel cuore della notte, in motocross con mia moglie e le mie figlie per andare a vedere un vulcano attivo...questa sì che è un Avventura!” Dopo una decina di minuti arriviamo in cima alla montagna e piuttosto perplessi notiamo che siamo quasi gli unici occidentali presenti. Comunque anche se non sappiamo dove siamo proseguiamo su un ampio sentiero seguendo la folla mentre il cielo ad oriente comincia a schiarire. Nell’ampia vallata sotto di noi scorgiamo le luci di una lontana città a est, e poi gradualmente mentre il sole disegna una linea dorata sull’orizzonte cominciano a distinguersi le sagome dei vulcani. Sono tre quelli più vicini, il Bromo con la sua enorme caldera fumante, il Batok a forma di cono perfetto, il Kursi e più in lontananza il Semeru che sovrasta la scena dall’alto dei suoi 3600 m di altezza. La nebbia mattutina scivola come un velo sul mare di sabbia e ora che la l’alba illumina la scena con la sua luce aurea il panorama ci appare in tutto il suo splendore. Semplicemente grandioso. Dopo una decina di minuti mentre la gente ancora si affolla alla balaustra ad ammirare questo spettacolo decidiamo che è tempo di scendere per ricongiungersi agli altri, e risaliti in sella alle moto torniamo fino al primo punto panoramico dove incontriamo per puro caso Cristiana, Carlo e Martina. Ritrovata la nostra jeep tra le centinaia parcheggiate ci dirigiamo giù dalla montagna verso la vallata vulcanica in un traffico che neanche sulla tangenziale est di Milano al lunedì mattina e giunti alla base dei crateri ci ritroviamo finalmente tutti insieme. Le bambine che fino a pochi istanti prima dormivano sui sedili della macchina improvvisamente resuscitano alla vista di una schiera di cavalli che vengono ad accogliere i turisti per accompagnarli fino al cratere. Non a caso infatti il parcheggio dista qualche centinaio di metri dal vulcano e questi gentili signori al costo di poche migliaia di rupie si offrono di evitarti la fatica di camminare sulla sabbia e di guidarti con i loro destrieri fin sotto la caldera. Alla fine anche noi incalzati dai ragazzi che non vedono l’ora di farsi un giro cediamo all’espediente e dopo aver mercanteggiato il prezzo montiamo sui ronzini e risaliamo il crinale fino ad arrivare ad una ripida scalinata, ultima fatica da superare prima di arrivare sull’orlo della bocca fumante. Non avevo mai visto prima di allora un vulcano attivo e ne rimango davvero impressionato: davanti a noi si apre una voragine profonda centinaia di metri e larga quasi un chilometro sul qui fondo ribolle qualcosa nascosto dal fumo, certamente non lava, acqua sulfurea magari. Ma più che l’immagine già di per sé spaventosa la cosa che mi colpisce di più è il rumore: un suono profondo, potente, simile ad un tuono incessante che non saprei come chiamare se non un rombo infernale. Alcuni coraggiosi si avventurano lungo la cresta dove non ci sono protezioni, noi invece restiamo solo pochi minuti nei quali tengo ben stretta per mano Caterina felice ed emozionata per essere arrivata fino a qui mentre Diana a cui piacerebbe farsi una passeggiata da sola resta saldamente in braccio ad Anna. Dopo aver dato un ultimo sguardo dall’alto questo meraviglioso piccolo deserto circondato da verdi montagne e punteggiato da coni fumanti riscendiamo la gradinata che taglia in due il crinale scavato dalle eruzioni, rimontiamo sulle nostre cavalcature e infine sulle jeep che ci porteranno all’albergo per la colazione. In fin dei conti sono solo le 8 del mattino, la giornata è appena iniziata! Arrivati non troviamo niente di meglio che spaghetti stracarichi di aglio, tè e grazia divina qualche uovo strapazzato che trangugiamo affamatati, dopodiché caricati i bagagli sul bus e ci prepariamo al trasferimento più lungo, direzione Katapang per prendere il traghetto che ci porterà a Bali. Purtroppo Valerio è ancora febbricitante e Eleonora e Francesco decidono saggiamente di utilizzare un volo interno per arrivare nei pressi di Kuta ed evitare il lungo e faticoso tragitto che ci attende. Ci salutiamo sperando che in qualche giorno di riposo si possa ristabilire e ci diamo appuntamento alle isole Gili. Al tramonto giungiamo all’imbarco del traghetto e salutiamo il nostro fidato autista che al di là di qualche “svista” è sempre stato disponibile e gentile. Lui candidamente si scusa per il fatto che non parlava inglese e una volta congedati prendiamo la nave che in poco meno di un ora ci fa approdare a Bali. Ad accoglierci oltre ad una statua tamarra di una qualche divinità muscolosa dalla pelle blu c'è il nostro nuovo mezzo, un enorme e moderno autobus in cui staremo comodissimi. Visto che è già tardi chiediamo al nostro nuovo autista, un ragazzo giovane dal carattere irascibile di portarci a mangiare subito prima di trovare tutto chiuso. Ci fermiamo così per una breve cena per poi rimetterci in marcia verso Pemuteran sulla costa nord-ovest dell'isola. Verso le 21 arriviamo destinazione, e anche questo interminabile giorno finisce.
Alle 5.30 del mattino vengo svegliato dal canto di un gallo che probabilmente sta sul davanzale della finestra, e di lì a poco ecco che il muezzin dalla moschea dietro l'angolo comincia a intonare la preghiera mattutina col megafono. Tutto molto caratteristico penso tra me e me, anche se qualche imprecazione mi parte visto che questa mattina era previsto mare e relax e avrei preferito dormire un altro po'. Comunque verso le 7.00 siamo già tutti svegli e operativi, ci mettiamo fuori a fare una semplice colazione con tè e banana pancake mentre intorno a noi scorrazzano le galline e alcune mucche pascolano nella boscaglia davanti all'albergo. Il mare dista pochi minuti a piedi e preparati teli, braccioli e maschere ci avviamo verso la spiaggia. Ad un certo punto per fare prima decidiamo di tagliare e capitiamo abbastanza casualmente in un villaggio a cinque stelle di quelli lussuosi, con tanto di piscina e bar davanti alla spiaggia e visto che ci siamo proviamo a chiedere se possiamo piazzarci sui lettini. Nessun problema, basta solo prendere qualche consumazione e detto fatto ci mettiamo comodi come pascià. La giornata è splendida, non c'è nessuno oltre a noi, i piccoli alternano bagni in piscina e al mare mentre noi ci rilassiamo sotto un bel sole caldo. Maria Chiara che nel frattempo si era tuffata con Martino a fare snorkeling scopre tra i coralli delle bellissime stelle marine di colore blu elettrico e di lì a poco la raggiungo con Caterina e Fabrizio. Terminata questa fantastica parentesi di puro relax riprendiamo l’autobus, destinazione Ubud nel cuore di Bali. Superiamo prima delle verdi montagne immerse nella foresta dopodiché ci addentriamo nei centri abitati e subito salta all’occhio come ogni casa, dalla più sfarzosa alla più umile sia corredata da un tempio induista. A volte enormi con pagode a più livelli dai caratteristici tetti di legno neri e da numerosi padiglioni, altre volte minuscoli magari ricavati nel giardino o addirittura sul tetto delle abitazioni, tutti adornati da stupende statue, troni di roccia nera con intarsi dorati (i padmasana, letteralmente trono di loto) e porte di legno finemente lavorate. L’entrata di ognuno è rappresentata da due archi di pietra decorati che ricordano i templi di Giava, ma aperti in due in modo da lasciar entrare le persone e davanti ad ogni statua o altare viene posto una piccola offerta con dei fiori e dell’incenso messi in una foglia. Durante il tragitto superiamo decine di templi meravigliosi e ci appare chiaro fin da subito che non potremo mai visitarli tutti, ce ne sono migliaia, sul mare, sulle montagne, in città, nella foresta, nelle grotte, ogni cosa a Bali sembra essere votata alla spiritualità e alla bellezza, e sarebbe davvero idilliaco se non fosse per il traffico infernale, anche peggio di Yogjakarta. Dopo aver impiegato più di mezzora per percorrere gli ultimi 5 chilometri varchiamo finalmente la soglia del nostro albergo ad Ubud e subito veniamo messi in guardia dalle scimmie. La nostra struttura infatti dista pochi minuti dalla famigerata Monkey Forest, un'area immersa nella giungla nel centro della città dove vivono libere centinaia di questi simpatici ma dispettosi animali. Da cui partono per le loro scorribande e ci viene raccomandato di non lasciare in giro nulla da mangiare, di ricordarsi di chiudere bene porte e finestre in quanto possono entrare e rubare qualunque cosa e di non infastidirle perché anche se sono abituate all'uomo si tratta pur sempre di animali selvatici quindi imprevedibili e perfino aggressivi se importunati. Cerco di spiegare queste regole ai bambini e scendiamo dunque le scale per andare nella nostra stanza, dove sul balcone troviamo già ad aspettarci una bella famiglia di macachi con tanto di madre e piccolo attaccato alla pelliccia, altri cuccioli che giocano sulle travi e una grossa scimmia con i baffi che ci osserva spavalda. Le ragazze restano per un attimo stupefatte a guardarle mentre noi scarichiamo le valigie e dopo una veloce rinfrescata usciamo per farci un giro. La prima impressione è di essere arrivati molto lontano da Giava, camminando per le strade congestionate di auto incontriamo decine di ristoranti turistici, splendidi negozi di artigianato, centri massaggio e tour operator sempre intervallati e in aperto contrasto con gli antichi templi di pietra mentre sopra le nostre teste le malefiche scimmiette si arrampicano, si inchiappettano, rubacchiano da mangiare e ti gettano rifiuti in testa come se fossero le vere padrone della città. La presenza di occidentali è massiccia, e in certo senso Ubud mi ricorda un po’ un circo, caotico, frenetico a tratti assurdo ma sempre spettacolare. Comunque camminando a fatica sui marciapiedi stracolmi di persone con i bimbi sulle spalle ci separiamo in gruppetti e arrivata la sera ci ritroviamo in un ristorante in una via appartata lontana dalla confusione. Bel posto, neanche a dirlo ricavato in un tempio, dove ci gustiamo una buona cena in terrazzo per poi rituffarci nella giungla metropolitana fino ad arrivare al nostro hotel. Ci barrichiamo per bene dentro e di lì a poco dormiamo già tutti profondamene.
Per una volta la sveglia suona quando il sole è già alto nel cielo e verso le 8.30 ci troviamo belli riposati per la colazione sotto l'attento sguardo delle scimmie che saltellano sui tetti vicini. Oggi programma più rilassato, visita ad un tempio vicino, passeggiata nelle risaie, monkey forest e la sera spettacolo di danza balinese. Una volta pronti montiamo sul nostro autobus e ci mettiamo in moto guidati dal nostro autista che sempre nel suo stile manda a quel paese qualche motociclista e invia vocali furibondi col telefono. Dopo non molta strada arriviamo a Taman Ayun, il tempio giardino e superato il ponte sul fossato che lo circonda ci invitano ad indossare il sarong, un drappo colorato da legare in vita necessario per entrare in ogni luogo di culto a Bali. Posto molto piacevole, caratterizzato da ampie distese erbose da cui spiccano pagode piuttosto alte, fontane, laghetti ricolmi di pesci ed anche un piccolo museo con maschere e costumi caratteristici. Ci tratteniamo poco meno di un ora dopodiché ripartiamo lasciandoci alle spalle quel continuo caseggiato che sono i dintorni di Ubud per addentrarci nella parte più montuosa e rurale dell’isola. Qui la foresta torna a farla da padrona, una giungla verde brillante dove scorrono decine di torrenti intervallata da campi e villaggi dove nonostante la presenza turistica sia sempre evidente la frenesia della città scompare a favore di una vita più serena, bucolica, centrata sull’agricoltura e che segue i tempi della natura. Arriviamo dunque a Jatiluwih, un’ampia vallata di risaie terrazzate e ci incamminiamo per i sentieri dove trascorriamo un oretta molto gradevole tra limpidi ruscelli, verdi coltivazioni e paesaggi da cartolina. Nel primo pomeriggio ritorniamo ad Ubud e ci prepariamo ad esplorare la foresta delle scimmie. All'entrata sono indicate chiaramente le regole da seguire per non provocarle e dopo aver chiuso bene gli zaini e raccomandato i bambini varchiamo l'ingresso. Tutto intorno a noi c'è una fitta vegetazione, una vera foresta pluviale con alberi alti decine di metri tra le cui fronde spuntano anche grandi statue di pietra e diversi templi e padiglioni. I macachi sono ovunque e di ogni dimensione, ci sono grossi esemplari che mangiano da ceste piene di frutta, teneri madri che allattano sotto gli idoli di pietra e buffi cuccioli che tentano le prime arrampicate tra rami e liane. Non sembrano fare molto caso alla marea di gente che passeggiano senonché all’improvviso quando notano qualcosa di interessante scattano a rubarla con una scaltrezza incredibile. Sarà anche molto turistica, ma veramente una bella esperienza. Terminato il giro raggiungiamo all’imbrunire un tempio piuttosto grande dove assisteremo alla danza del fuoco kecak. Non ho bene idea di cosa aspettarmi, ne se piacerà alle bambine ma dicono che sia una cosa imperdibile e molto caratteristica perciò vale la pena provare. Una volta preso posto di fronte a noi viene acceso un grosso candelabro ed ecco che dagli archi sovrastanti il palcoscenico scendono una cinquantina di uomini a torso nudo, con le braccia alzate che agitando i palmi della mano ripetono all'unisono “chakachakachaka...” Si dispongono poi in cerchio attorno al fuoco e in mezzo a loro entrano in scena le ballerine balinesi, bellissime nei loro abiti dai colori sgargianti agghindate con bracciali e diademi dorati che si esibiscono nella loro ipnotica danza. Vuoi la cornice splendida del tempio, vuoi la luce del fuoco e l'incessante canto degli uomini che sembrano come in trance tutto diventa molto suggestivo e Caterina e Diana che temevo si potessero annoiare restano incantate a guardare lo spettacolo. A questo punto fanno la comparsa altri personaggi, un dio scimmia che scende da un albero e si fa pure un giro nel pubblico non disdegnando selfie con i turisti, un dio uccello e una specie di re guerriero, tutti vestiti con costumi e maschere stupendi. Sinceramente non ci capisco molto della trama, mi pare chiaro che il re è il cattivo, la scimmia è l'eroe e le principesse sono il motivo del contendere, ma aldilà di questo l'atmosfera che si respira è magica, si ha la percezione che dietro questa rappresentazione c'è una cultura unica e bellissima, tramandata e conservata nei secoli solo qui a Bali. Comunque alla fine lo scimmione viene incatenato in un cerchio di fuoco ma poi riesce a liberarsi, a spegnere le fiamme e dopo un epico scontro sconfigge il re e libera la principessa rapita. Come nelle fiabe, lieto fine. Dopo lo spettacolo ci fermiamo qualche minuto per le foto di rito e poi passeggiamo per i vicoli fino a trovare un ristorantino dove alcuni fidanzatini stanno consumando una cenetta romantica. Decidiamo di rovinargli la serata entrando con il nostro carico di mocciosi casinisti e dopo una cena pure buona mentre noi optiamo per tornare in taxi gli altri si fanno due passi. E una volta a letto risuona ancora in testa “chakachakachakachaka...”
In piedi all'alba stamane, ci aspetta una lunga strada fino alla parte più orientale e montuosa di Bali, alle pendici del vulcano Agung. Punto più alto dell'isola con i suoi 3000 metri, è considerata la montagna sacra e per questo nei suoi paraggi sorgono alcuni dei templi più grandi e belli, tra cui il tempio di Lempuyang con la celeberrima “porta del paradiso” ed il tempio madre di Besakih, il più grande ed importante che sarà la nostra prima meta di giornata. Partire così presto si rivela una scelta azzeccata, siamo praticamente i primi visitatori e ci muoviamo liberamente sulle gradinate circondati da statue, torri e pagode tutte fatte con la nera roccia vulcanica che mette ancor più in risalto il verde della vegetazione e l’oro delle decorazioni. Tutto intorno alla parte sacra c’è un villaggio di case molto umili, chioschi e negozietti di artigianato dove vivono persone anche anziane che traggono sostentamento da turisti e pellegrini. La nostra guida ci conduce su per il pendio fino ad arrivare alla sommità dove si innalzano i templi principali adornati da meravigliose sculture di draghi e portali stupendamente decorati. Qui partecipiamo a quella che molto volgarmente chiamerò “cerimonia del risotto” ovvero la benedizione indù: dopo aver preparato un offerta di fiori ed incenso ed averla posta dinanzi all’altare veniamo benedetti tutti con dell’acqua sul capo e su tempie e fronte ci viene appiccicato del riso. Ignoro il significato e l’importanza della cosa e sta di fatto che siamo tutti un po’ comici così conciati ma in fondo paese che vai usanza che trovi e dopo aver lasciato un contributo cominciamo la discesa a valle. Mentre percorriamo a ritroso le scale ammirando lo splendido panorama incrociamo i primi pellegrini, tutti vestiti con tuniche bianche e gialle che portano cesti pieni di fiori, frutta e altre offerte. Pura Besakih è infatti la meta prediletta per le cerimonie dell'induismo balinese, e quasi ogni giorno ci sono celebrazioni e feste religiose. Dopo una breve sosta per un caffè ripartiamo sempre puntando verso est attraverso un percorso che si snoda tra verdi colline, incrociando ogni tanto villaggi con meravigliose botteghe artigiane di falegnami e scultori che espongono i loro artefatti, vere e proprie opere d’arte. Verso mezzogiorno arriviamo in un ristorante che ha tutta l’aria di essere molto elegante e una volta entrati restiamo sbalorditi non da una ma ben due meraviglie. La prima, davanti a noi un paesaggio meraviglioso, una piccola valle coltivata con terrazzamenti incastonata nella foresta dominata dal monte Agung e la seconda, dietro di noi, un buffet pantagruelico con ogni tipo di ben di Dio, riso, pasta, carne, spiedini e dolci dove ci fiondiamo come locuste affamate. Dopo esserci ben rifocillati riprendiamo la marcia fino a raggiungere nel pomeriggio inoltrato Pura Lempuyang, abbarbicato in cima a una montagna. Paghiamo il biglietto, ci leghiamo in vita il sarong e via su per il sentiero che conduce all’entrata, tra bancarelle di souvenir e frutta esotica di colori e forme incredibili. Varcata la soglia del tempio intravediamo subito il celebre portale, molto scenografico con la vista sul vulcano che si erge nell'azzurro del cielo mentre a destra seguendo il crinale della montagna delle scalinate con bellissimi draghi scolpiti conducono a tre torri che dominano il paesaggio. Certamente è molto bello, anche se più piccolo di quello che mi immaginavo ma quello che mi lascia sconcertato e l'interminabile fila per farsi la foto tra i due archi. Se ne occupano dei tizi seduti su un banchetto davanti al portale, che previo pagamento chiamano le persone col numero e le fanno mettere in posa per una decina di scatti usando pure uno specchio per creare l'effetto tanto popolare su instagram. Per fare una foto c'è gente che aspetta anche cinque ore, una follia! Rientrati ad Ubud verso sera ci fermiamo per spese nel mercato del centro e ci arriva una grande notizia, Valerio sta bene e i modenesi stasera rientrano in gruppo! Per festeggiare ci troviamo un ristorante molto bello a due passi dall'albergo, e dopo esserci gustati un’ottima cena rientriamo in stanza a fare i bagagli. L'indomani infatti si parte alla volta delle Gili, e una volta messe a letto le bambine io e Anna per concludere la giornata ci concediamo una birretta in terrazzo mentre sugli alberi davanti a noi un gruppo di scimmiette passeggia tranquillamente.
Alle prime luci del giorno siamo tutti già pronti per salutare Bali ma senza troppa amarezza in realtà, sia perché avremo modo di passarci ancora due notti prima di tornare in Italia che per la voglia di andare alla nostra prossima destinazione, un vero e proprio paradiso tropicale. Si tratta dell’arcipelago delle Gili, tre isolette minuscole appena a largo di Lombok, larghe poco più di un chilometro, orlate di finissima sabbia bianca e circondate da un mare azzurro ricco di ogni tipo di fauna marina, pesci esotici, coralli variopinti e soprattutto le grandi tartarughe marine. Delle tre la più estesa è Gili Trawagan, Gili Meno è quasi disabitata mentre Gili Air la più piccola sarà dove alloggeremo. Dopo un’ora di pullman giungiamo quindi a Padang Bai, ultima propaggine orientale di Bali da dove ci imbarcheremo. Complice il mare relativamente calmo e la bella giornata giungiamo a destinazione nel primo pomeriggio senza accusare troppo il mal di mare. Una volta sbarcati trasciniamo i nostri bagagli fuori dal porticciolo dove ad aspettarci troviamo i nostri taxi, dei carretti trainati da piccoli cavalli. Qui infatti non esistono mezzi motorizzati, l’unico modo per spostarsi più rapidamente è in bicicletta o appunto a cavallo e per evitare una massacrante marcia fino all’albergo decidiamo di caricare valigie e bambini sui carri e di spedirli in avanguardia mentre noi percorriamo la strada a piedi. Ci mettiamo solo pochi minuti a raggiungerli e arrivati a destinazione ecco che li troviamo tutti beatamente seduti al bancone del bar mentre se la ridono e bevono un buon succo di frutta fresco offerto come benvenuto. L’albergo è molto carino, con piscina, una grande salone da ballo con musica dal vivo, ristorante vista mare e bungalow essenziali ma accoglienti. Una volta assegnati gli alloggi e sistemati i bagagli ci piazziamo su dei tavolini all’ombra degli alberi a pranzare e rilassarci. Davanti a noi il panorama a lungo sognato, il mare azzurro che sfuma a largo in un blu intenso, le palme che ondeggiano nella brezza marina e sullo sfondo le verdi e selvagge montagne di Lombok, una vera immagine da cartolina. Il resto del pomeriggio lo passiamo qui a rilassarci e goderci i primi bagni nell’acqua cristallina e al calar del sole ci prepariamo per andare a cena. Passeggiamo per l’unica strada che percorre il litorale, tra negozietti, ristoranti sulla spiaggia, scuole di sub e tour operator che propongono immersioni, snorkeling in barca, gite a Lombok o addirittura a Komodo, l’isola dei famosi draghi. L’atmosfera è vivace e piacevole, ci sono turisti ma non in numero eccessivo e dopo aver gironzolato un po’ ci infiliamo in un ristorante sulla spiaggia dove divoriamo enormi spiedini di carne o pesce cotti alla brace. Rientrati all’albergo c’è giusto il tempo per le bambine di quattro salti in pista da ballo mentre un gruppo rock strimpella qualche classico e poi ci infiliamo tutti sotto le coperte.
Dopo una bella dormita come non ne facevamo da tempo raggiungiamo a gruppetti e con estrema tranquillità il bar dove viene servita la colazione. A Gili Air il tempo sembra scorrere con più lentezza e anche noi dopo la frenesia dei giorni di Giava e Bali ci facciamo contagiare da questa quiete e finalmente ci godiamo un po’ di meritato riposo. Nel pomeriggio abbiamo in programma un’escursione in barca per lo snorkeling mentre la mattinata decidiamo di passarla in una spiaggia a nord dell'isola. Quindi preparati teli, maschere, palette e secchielli salutiamo Francesco che si è programmato alcune immersioni subacquee e ci incamminiamo tra le viuzze sterrate. Dopo una breve passeggiata sul lungomare giungiamo ad un’ampia spiaggia con alle spalle un bel ristorantino, dei comodi gazebo davanti alla battigia e un’altalena scenografica a pelo dell’acqua. Il mare davanti a noi è di un azzurro brillante, poco profondo e molto calmo, perfetto per i più piccoli e sul bagnasciuga una miriade di conchiglie e coralli fanno la gioia delle bambine che arricchiscono la loro preziosa collezione. Comunque il posto è incantevole e ci tratteniamo anche per il pranzo, al termine del quale ci spostiamo verso ovest per andare all’appuntamento con la nostra imbarcazione. Dopo alcuni minuti ecco che arrivano a prenderci due ragazzi con una semplicissima barchetta di legno e una volta saliti a bordo salpiamo verso il largo per raggiungere il primo punto di immersione, davanti a Gili Trawagan. Il mare è piuttosto calmo e nemmeno troppo profondo e così decidiamo di lanciarci con anche i bimbi ad eccezione di Flavio e Diana oggettivamente troppo piccoli per respirare con il boccaglio. Quindi uno dopo l’altro ci tuffiamo tenendo per mano i nostri ragazzi e conducendoli alla scoperta del mondo sottomarino. L’acqua è limpidissima e c’è un ottima visibilità, sotto di noi la barriera corallina pullula di vita, si vedono una miriade di pesci balestra, pesci angelo e mille altre specie dai colori brillanti, stelle marine, ricci di mare e anche qualche murena che fa capolino tra le rocce. Caterina è entusiasta, mentre la accompagno la vedo indicare i pesci e chiamarli come i nomi dei personaggi dei cartoni animati “Guarda Dory! Guarda Branchia! E’ bellissimo!”. Anche Martino, Martina e Valerio si divertono un mondo e dopo una mezzora circa ci spostiamo nei pressi di Gili Meno, in un punto dove dovrebbero essere visibili le grandi tartarughe. Qui la corrente è abbastanza forte e perciò decido di lasciare Caterina a riposarsi sulla barca stavolta e di immergermi da solo alla ricerca di questi meravigliosi animali. Siamo proprio sopra il punto in cui il basso fondale corallino dell’isola precipita nel blu delle profondità e sull'orlo di questa montagna sottomarina ecco che subito ne individuiamo una mezza addormentata che si lascia cullare dalle maree. E' veramente grande, lunga più di un metro e di lì a poco ne compare un’altra, questa decisamente più arzilla che tentiamo di inseguire con grandi bracciate mentre con un semplice colpo delle grandi pinne anteriori ci sfugge con facilità. Non sembrano infastidite né dai molti bagnanti né dalle numerose imbarcazioni e dopo un po’ do il cambio ad Anna la quale riesce avvicinarsi tanto quasi da sfiorarle il carapace. Si potrebbe passare un pomeriggio intero ad ammirarle ma complice la stanchezza e l'orario che avanza risaliamo tutti sulla barca per approdare sulla spiaggia semideserta di Gili Meno. A riva le onde portano un'infinità di coralli, alcuni piccoli e frammentati ad altri grandi come palloni da calcio, ed è uno spettacolo vedere Diana che se li porta in giro ammucchiandoli uno sull'altro come costruzioni. Il sole comincia a farsi più basso all'orizzonte e salpiamo nuovamente per la nostra ultima tappa, la scultura sottomarina. Sul fondale tra Trawagan e Meno infatti giace un opera molto suggestiva, quasi cinquanta statue di uomini e donne abbracciati in cerchio che vanno a integrarsi con l'ecosistema diventando una parte vera e propria della barriera corallina. Terminata l'ultima immersione per concludere questa giornata memorabile ci godiamo il sole tramontare a bordo della nostra barchetta in mezzo al mare che si tinge di rosso prima di rientrare sulla nostra bella isoletta.
Oggi notizia clamorosa, non abbiamo in programma niente. Giornata completamente libera da impegni, da dedicare all’ozio totale. Con questo spirito ci svegliamo pigramente, colazione vista mare e ci dirigiamo stavolta a sud, alla ricerca di una bella spiaggia dove stendere i teli. Una volta piazzati sotto l'ombrellone le attività più impegnative della giornata saranno far volare un aquilone, costruire castelli di sabbia e qualche saltuario bagno con maschera e boccaglio per ammirare la bellissima barriera corallina che circonda tutta l'isola come un anello. E così in questo stato di quiete a noi prima d'ora sconosciuto passa la mattinata, il pranzo e arrivato il tardo pomeriggio decidiamo di spostarci sulla parte opposta dell’isola per ammirare il tramonto e poi cenare. Ci vuole poco più di mezzora per completare il giro e mentre noi percorriamo la strada a passo svelto i bambini si divertono a correre avanti e indietro come pazzi giocando ai supereroi, o meglio ai superpigiamini. Arriviamo giusto in tempo per osservare il sole calare oltre l'orizzonte ad ovest dove si distingue vagamente la sagoma della lontana Bali e visto che la spiaggia è piena di locali ne approfittiamo per sederci e farci uno due cocktail come aperitivo. Proseguendo troviamo un classico posto sul mare con spiedini cotti alla griglia, cucina tradizionale e pure uno spettacolo di giocoleria con fiaccole ardenti sulla spiaggia. Qui ci raggiunge anche Francesco reduce da un’immersione notturna che ci racconta dei suoi incontri sottomarini di barracuda, pesci scorpione, squali ed altri animali che si trovano solo più a largo della terraferma. Poi con i bimbi mezzi addormentati in braccio rientriamo all’albergo passando per il silenzioso entroterra, fino ad appoggiarli a letto stanchi ma felici.
Un altro giorno in paradiso, l’ultimo che passeremo per intero qui a Gili Air. L’indomani infatti si ritorna a Bali e poi lentamente ma inesorabilmente verso ovest fino all’Italia, ma per ora non importa, il presente ci dice che è una splendida giornata e andremo a passarla a Gili Meno. A prenderci con la solita barchetta a motore arrivano due pischelli ancor più giovani di quelli dell’altro giorno, qui evidentemente a dodici anni ti fanno capitano di mare e via andare. Pochi minuti di navigazione e approdiamo al porticciolo dell’isola, da cui ci incamminiamo verso sud dove dopo alcuni minuti ci imbattiamo in una piccolo santuario per le tartarughe, una minuscola capanna con alcune vasche piastrellate. All’interno decine di tartarughe grandi meno di una mano affollano le vasche e suscitano tenerezza e meraviglia nei nostri piccoli ed anche se è molto arrangiata come sistemazione fa piacere vedere che ci si prende cura di questi bellissimi animali. Dopo pranzo scopriamo che alla punta nord c’è una spiaggia chiamata coral beach dove è possibile fare numerosi avvistamenti e quindi dopo un buon piatto di Mie Goren e un bel riposino ci rimettiamo in marcia. In meno di mezzora la raggiungiamo e una volta sul posto vado a immediatamente a tuffarmi alla ricerca di tartarughe. La corrente è decisamente forte, nel primo tratto di basso fondale le onde ti spingono contro le rocce e bisogna stare attenti a non tagliarsi, ma arrivati a profondità maggiori sotto di noi si apre uno stupendo giardino di coralli brulicante di pesci. E mentre mi lascio trasportare dalla corrente quasi per caso mi appare sotto un’enorme tartaruga tutta intenta a scavare nel corallo col becco mentre dietro di lei un grosso pesce palla le fa compagnia. Anche Fabrizio è lì vicino a osservarli, e proviamo a rimanere in posizione ma la forte corrente inevitabilmente ci porta lontano. Il resto del pomeriggio passa qui tra bagni e giochi in spiaggia e all’ora del rientro raggiungiamo di nuovo il porto dove mentre aspettiamo i nostri traghettatori ci spassiamo a guardare un cavallo che proprio non ne vuole sapere di salire su una minuscola barchetta. Un po’ in ritardo alla fine ma i ragazzi vengono a prenderci e durante il tragitto nella luce dell’imbrunire ammiriamo un tramonto che sembra dipinto, ultima cartolina dalle isole Gili.
Svegli presto e nuovamente stracarichi di bagagli ci dirigiamo al porto a prendere il traghetto per Bali. Con un po’ di fortuna riusciamo a partire in anticipo rispetto al programma e ci capita pure una barca molto più bella di quella dell’andata, più pulita, spaziosa e veloce. Pochi minuti di navigazione e ci fermiamo a Lombok per una breve sosta e ammirandone il paesaggio mi ritrovo a pensare che bello sarebbe poter esplorarne l’entroterra e perché no magari proseguire fino a Komodo, poi le isole della Sonda, Flores, Timor... e fino a chissà dove. Ma ormai l’onda che ci ha portato fino a qua si ritrae, e noi con essa dobbiamo tornare indietro sulla via che ci riporterà dopo tante esperienze, avventure ed emozioni a casa. Ma in questa marcia a ritroso abbiamo ancora molto da vedere! Kuta e le sue spiagge, il tempio di Tanat Lot e come ultima chicca per noi che rientreremo su Malpensa una mezza giornata a Dubai nell’attesa della coincidenza dell’ultimo volo. Arriviamo a Kutanel pomeriggio inoltrato e dopo aver lasciato le valigie nel nostro hotel ci avviamo tra le vie trafficate verso il mare. Si nota una bella differenza rispetto a Ubud, qui è tutto più moderno e occidentale, ci sono molte catene di ristoranti, pub, tatuatori, negozi di marchi famosi ed è pieno zeppo di australiani. In effetti per loro Bali è veramente vicina, solo poche ore di volo ed essendo molto appassionati di surf è il posto perfetto. Le spiagge del sud dell’isola infatti sono poco adatte alla balneazione ma perfette per cavalcare le onde, e infatti arrivati in riva all'oceano troviamo decine e decine di surfisti che si destreggiano mentre sul lungomare una gran folla passeggia tra le bancarelle e i chioschi. Ci mettiamo comodi sulla sabbia a farci un aperitivo mentre sopraggiunge il tramonto e in un attimo veniamo assaliti da venditori ambulanti di qualunque genere di souvenir aquiloni, cerbottane, batik nonché da massaggiatrici piuttosto insistenti e anche buffi personaggi stracarichi di noccioline. Più tardi ci infiliamo in un posticino defilato a gustare la specialità locale, il porcellino balinese e dopo essersi ben rimpinzati di carne completiamo l'opera con dei gustosi puncake in una pasticceria vicina. Quindi una breve passeggiata e infine tutti a letto.
Eccoci dunque arrivati all'ultimo giorno di vacanza, da dedicare il mattino al mare e il pomeriggio alla visita del tempio di Tanat Lot a ridosso dell’oceano. Dopo una buona colazione ci avviamo verso la spiaggia e superata un'immensa statua di una qualche divinità marina dalla pelle blu ci piazziamo con sedie e ombrelloni davanti alla riva dove si infrangono senza sosta le onde dell'oceano. Mentre i ragazzi giocano con la sabbia o si divertono con i cavalloni Eleonora con Francesco e Carlo noleggiano una tavola e si cimentano tra i flutti divertendosi. Pure io totalmente neofita dello sport provo a cavalcare qualche onda, riuscendo come massimo risultato a rimanere in piedi sulla tavola per una frazione di secondo. Comunque bello, varrebbe la pena fare un'estensione della vacanza solo per imparare a surfare. Verso mezzogiorno torniamo all'hotel per farci una doccia rapida e mangiare qualcosa intanto che aspettiamo il mezzo che ci porterà a Tanat Lot e alle 14 arriva ancora il nostro vecchio autobus dei giorni passati, ed è un piacere vedere che alla guida c'è ancora lo stesso autista, subito riconoscibile dal modo in cui si ferma in mezzo alla strada e scende ad urlare contro a uno che non gli ha dato la precedenza. Del traffico di Bali invece non sentivamo la mancanza, per fare una ventina di chilometri ci mettiamo un'ora e mezza ma una volta arrivati veniamo ripagati dalla bellezza del posto. Oltre il portale lo sguardo spazia subito sull’oceano, e sulla costiera dove si abbattono fragorosamente le onde si distinguono i templi, uno a destra su un promontorio che il mare ha eroso fino a trasformarlo in un arco naturale e uno a sinistra, in realtà posto su un isolotto staccato dalla terraferma raggiungibile solo quando la marea è bassa. Infatti Tanat Lot significa letteralmente “terra nel mare” ed è dedicato ad una divinità marina incaricata di proteggere l’isola dagli spiriti maligni. Passeggiamo per i giardini della parte terrestre del tempio fino a giungere agli scogli che permettono l’accesso all’isola, previa un rituale di purificazione con una sorgente d’acqua dolce che sgorga miracolosamente a due passi dal mare. Inoltre addentrandosi in una piccola grotta proprio di fronte alla scalinata del tempio si può accarezzare un serpente ad anelli ritenuto sacro e nonostante il gran numero di turisti presenti si respira veramente una grande spiritualità. Dopo una breve visita proseguiamo fino ad arrivare ad un punto panoramico dove poter ammirare un suggestivo tramonto con il sole che va a tuffarsi nel mare dietro alla sagoma del tempio. All’ora di cena io e Miriam visto l’occasione propizia finalmente manteniamo la nostra promessa e offriamo da bere a tutti per il nostro compleanno. Son passate quasi due settimane, meglio tardi che mai! In sala c’è anche un gruppo rock che fa pure canzoni a richiesta e un po’ a sorpresa noi festeggiati veniamo chiamati sul palco dal gruppo e i ragazzi ci dedicano un Happy Birthday meraviglioso oltre che offrirci due enormi cocktail ghiacciati da bere ovviamente alla goccia. E così termina questa fantastica giornata, ormai non ci resta che rientrare in stanza e preparare le valigie per il ritorno.
Il volo per Jakarta parte dal vicino aeroporto di Denpasar che non impieghiamo molto a raggiungere. Dopo i controlli di routine ci imbarchiamo sul nostro aereo Garuda Air e in perfetto orario partiamo verso la capitale. Sorvolando Giava mi appare uno spettacolo magnifico, da un tappeto di nuvole sbucano qua e là i coni dei tanti vulcani e il pensiero va alle esperienze indimenticabili che abbiamo vissuto. Eravamo partiti temendo potesse essere una vacanza troppo avventurosa per i nostri bimbi e veramente lo è stata ma tirando le somme è andato tutto splendidamente bene. Arrivati a destinazione per il gruppo è il momento di separarsi, i romani in serata torneranno sempre via Pechino approfittando del pomeriggio libero per visitare il centro di Jakarta mentre il nostro volo per gli emirati è in partenza prima nel pomeriggio. Circondati da una fiumana di gente sorridente con cappelli e sciarpe colorate (probabilmente pellegrini diretti alla Mecca) è il momento dei saluti. Baci, abbracci e nessuna malinconia, ci promettiamo di rincontrarci presto dopodiché in perfetto orario decolliamo lasciandoci alle spalle l'Indonesia e verso mezzanotte atterriamo nella scintillante Dubai, che nella mattinata successiva visiteremo. Ma questa è un altra storia.
Migliaia di chilometri percorsi con ogni mezzo possibile, esperienze eccezionali e luoghi meravigliosi, e ora mi chiedo cosa porterò per sempre con me di questa vacanza? Impressioni, ricordi e istantanee nella mia mente che vorrei non andassero mai perdute. Caterina appoggiata sulle mie ginocchia mentre dorme nelle nostre interminabili traversate, quel modo un po’ folle che aveva Diana di buttarsi a testa in giù dalle mie spalle ridendo a crepapelle e i sorrisi di Anna che aggiungevano magia ad ogni cosa. E poi la certezza di avere avuto dei compagni di viaggio eccezionali, una vera squadra sempre pronta a divertirsi e ad aiutarsi in ogni situazione. Ci sono state risate, schiamazzi, capricci, coccole, urla di gioia e di stupore, un viaggio pieno di vita in un luogo che è l’emblema della vita stessa. Concludo con l’unica parola indonesiana che ho imparato.
Terima Kasih. Grazie.