Oman
Lontani da impegni, stress e frenesia di costanti impegni, scadenze, opportunità, ci facciamo rapire dalla filosofia di un popolo amichevole, accogliente, orgoglioso, perennemente sorridente e aperto verso il diverso, lo sconosciuto. Natura magnifica e incontaminata, ritmi blandi, orizzonti infiniti, colori magici. Armonia di antico e moderno, tradizione e innovazione. Sorrisi bellissimi incastonati nelle nostre menti per sempre.
1° giorno
Ci siamo, il nuovo anno si apre con un viaggio che abbiamo tanto atteso, preparato e solo immaginato nei mesi precedenti. Siamo in 16, partiamo equamente divisi tra Milano e Roma, e ci ricongiungiamo sotto il gigantesco pupazzo giallo dell’aeroporto di Doha – che con le sue foreste ricostruite inizia a proiettarci verso una realtà più naturalistica (seppur artefatta) e meno cittadina rispetto a quella da cui proveniamo. Oltre a chiarire gli aspetti organizzativi, approfittiamo delle poco meno di 3 ore di scalo per approfondire interessi ed aspettative reciproche – in comune c’è tanta voglia di conoscersi, abbandonare agi e sedentarietà della vita quotidiana e scoprire una natura incontaminata ed un popolo ancora poco abituato al turismo (ma che si rivelerà estremamente accogliente).
Quando atterriamo a Muscat dopo una lunga notte in volo, siamo già in sintonia. Sono le 4.25 e una volta aver recuperato i bagagli, aver fatto colazione ed aver acquistato le SIM locali, è già ora di partire e conoscere lo spirito omanita che ci accompagnerà per tutta la vacanza – la ragazza che ci doveva accogliere inviata dal corrispondente sbaglia orario dell’appuntamento e si presenta con 45’ minuti di anticipo, inaugurando una serie di cambi di programma last minute che costituiranno il leit motiv del viaggio (e che ci infastidiranno solamente inizialmente, perchè molto presto impareremo ad apprezzare la buona fede degli omaniti, la loro genuina e disinteressata gentilezza, la difficoltosa comunicazione dovuta ad un inglese non sempre impeccabile, ma a cui troveremo sempre modo di porre rimedio. Con un sorriso, da entrambe le parti, e dell’ ”it’s oké”, emblematica risposta – spesso contraddetta dai fatti – che ci accompagnerà per tutto il viaggio).
2° giorno
E’ ufficialmente il secondo giorno. Alle 6.30 l’inviata del corrispondente ci accompagna fuori dall’aeroporto, dove raggiungiamo i 4 driver (tutti beduini, nati e cresciuti nel deserto). Conosciamo Ghassan, il capo degli autisti, la roccia del gruppo, serio e imperturbabile; Salman, suo fratello e polo opposto, sempre pronto alla battuta, a divertire e divertirsi; Malek, instancabile e allegro, Ahmed, sorriso perenne. Ci invitano a caricare rapidamente i bagagli sulle jeep. Contrariamente a quanto suggerito da questo primo episodio, impariamo ben presto che il concetto di “tempo” per gli omaniti (o almeno i nostri autisti) è dilatato, ai limiti dell’arbitrario. In realtà lo capiamo immediatamente, quando contariamente a quanto anticipato dal corrispondente, i driver ci notificano che sia il supermercato Lulù (presso cui avevamo preventivato di fare rifornimento pre-partenza, a completamento dei pacchi viveri) che la banca Unimoni (presso cui dovevamo cambiare la cassa comune) non apriranno prima delle 8.30. Non è nemmeno possibile versare la cassa viaggi al corrispondente. Inganniamo l’attesa con una seconda colazione a base di una specie di crepes e un primo assaggio di caffè omanita – costante che ci accompagnerà per tutto il viaggio.
Dopo aver sbrigato lungaggini (nel senso letterale del termine) burocratiche (deposito della cassa viaggi all’inviata del corrispondente, cambio cassa comune in banca dove ci colpisce l’esasperante inefficienza degli addetti, spesa – acquistando acqua, frutta e verdura, scottex) partiamo finalmente, intorno alle 11, alla volta del Wadi Bani AWF (conosciuto anche come Snake Canyon), percorso off-road nel cuore delle montagne Al Hajar, a quota circa 1.700/2.000 mt. Il nostro primo vero assaggio di Oman. Natura incontaminata, canyon, tornanti sterrati, discese e salite mozzafiato, orizzonti infiniti. Sfumature di grigio, marrone, rosso a contrasto con un cielo blu limpidissimo. Facciamo alcune pause, le foto sono obbligatorie nei diversi viewpoint. Le tuniche bianchissime, perennemente immacolate di Ghassan, Salman, Malek e Ahmed risaltano, come i loro sorrisi, sempre presenti. Consumiamo anche il primo pranzo al sacco, inaugurando i pacchi viveri ed una serie di pasti a base di pita, tonno, formaggi, simmenthal e tanta fantasia. I droni volano, per la prima ed ultima volta - saremo sempre troppo presi dal vivere i momenti per poterli filmare. Riprendiamo il percorso, sempre in jeep, e dopo un paio d’ore (il percorso ne durerà in totale circa 4) su percorsi sterrati simili ai precedenti, ma ricchi di sorprese (per esempio un campo da calcio in quota, verdissimo) e una mezz’ora di strada asfaltata, dopo una breve sosta a Balad Syat, ci fermiamo a Misfat Al Abreen, suggestivo paese di montagna costituito dalle tipiche case in pietra e fango a 2 o 3 piani (in parte diroccate), contornato da un rigoglioso palmeto e da numerosi falaj (canali d'irrigazione) e vasche di raccolta dell’acqua, che consentono l’irrigazione delle piantagioni (palme e melograni tra tutte). Gli autisti si esibiscono nel primo di una lunga serie di balletti omanita, altra costante del viaggio.
Raggiungiamo poi la poco distante Al Hamra, arroccata sulla montagna poco sopra. Ci perdiamo tra le strette vie e ci godiamo il primo tramonto omanita dalla terrazza panoramica di un bar, gustando il loro tipico caffè e sperimentando nuovamente la rilassatezza degli omaniti (impiegano quasi 1h per preparare i caffè). Rigenerati, arriviamo al Bahla hotel nella vicina Bahla. Dopo una doccia rigenerante siamo pronti per la cena a buffet dell’hotel – nonostante qualche incomprensione (inizialmente ed inspiegabilmente i driver ci portano in un altro ristorante), mangiamo di gusto l’immancabile riso, carne al barbecue e verdure, ed un imprecisato dessert che pochi coraggiosi si lanciano ad assaggiare.
3° giorno
Ci svegliamo alle 7 e, dopo un’abbondante colazione, partiamo alla volta del Jebel Shams, la montagna più alta dell’Oman (3.000 mt), nota non tanto per la sua vetta, quanto per lo spettacolare e profondo Wadi Ghul che gli scorre accanto, conosciuto come “Grand Canyon d’Arabia” perchè ha pareti verticali che incidono per oltre 1.000 mt i bordi piatti del burrone. Optiamo per il trekking Balcony Walk, escursione di 5 km andata e ritorno sul bordo della gola del canyon lungo la route W6 che parte dal villaggio di Al Khateem e termina presso il cosidetto “villaggio sospeso” Sap Bani Khamis – incredibile pensare che fosse abitato fino a 30 anni fa. Il percorso è piuttosto semplice, il panorama mozzafiato. Il baratro che sprofonda per oltre mille metri verso il sottostante wadi provoca un senso di vertigine e di piccolezza. Siamo a quasi 2.000 mt d’altitudine, rimaniamo in silenzio davanti alla potenza della natura che ci circonda, e alla sua affascinante selvaggia bellezza.
Il tempo scorre veloce e dopo oltre 3 ore partiamo per la seconda tappa, il maestoso Bahla Fort,uno dei forti del più imponenti ed importanti del Paese, Patrimonio dell’Unesco. Rimaniamo meno di mezz’ora, giusto il tempo di una breve visita dall’esterno ed alcune foto – ci colpiscono le dimensioni della struttura e la sua armonia con il territorio che la circonda.
Ripartiamo poi per il Jabreen Castle, castello dall’eccellente stato di conservazione nonostante gli oltre tre secoli di storia (fu fatto costruire nel 1675). Pranziamo con tonno, pita, speck, formaggio, fagioli e frutta all’ombra della tattica area di sosta presso il parcheggio del forte, e iniziamo la visita. Nell’ora seguente ci immergiamo in un labirinto di stanze che ci proiettano in una cultura estremamente affascinante. Ripercorriamo anche visivamente, usi, costumi e tradizioni del popolo omanita, a cui ci affezioniamo ogni giorno di più. La fortezza è bellissima, tenuta in maniera impeccabile e ricostruita all’occorrenza. A colpirci non sono solo i soffitti decorati in maniera elaborata, le stanze adibite a vari usi (troviamo camere funerarie, magazzini di datteri, prigioni, sale destinate al cavallo del sultano) e l’imponenza della struttura, che si staglia tra le montagne ed un tratto decisamente arido di deserto, ma è anche la disposizione delle camere su vari piani che sembra rispondere all'esigenza di confondere il visitatore con innumerevoli scalinate, cunicoli, corridoi sovrapposti che fanno perdere l'orientamento. Scoprire le sale (nascoste) dislocate sui tre piani fa parte del divertimento della visita, così come faceva parte della strategia difensiva originale del castello. Dalla sommità della struttura si gode di una splendida vista sul territorio circostante costituito da brulle montagne, deserto, ed un limitato palmeto nei pressi del castello.
Dopo circa due ore (pranzo compreso), è purtroppo già ora di ripartire. Ci lasciamo alle spalle quello che un tempo fu anche un importante centro di studi di astrologia, medicina e legge islamica, e in circa mezz’ora raggiungiamo Nizwa (detta anche “perla dell’Islam”), l’antica capitale dell’Oman, nota per il gigantesco forte e un suq (i.e. mercato) cinto da alte mura, oltre che per la mentalià particolarmente conservatrice dei suoi abitanti. Invece di visitare il forte, decidiamo di perderci nel suq, uno dei più antichi del Paese. Come da aspettative, troviamo di tutto: da infinite bancarelle di frutta, verdura, carne, pesce, a qualsiasi prodotto di artigianato ed abbigliamento – in diversi acquistiamo la dishdasha, la caratteristica tunica bianca lunga fino alle caviglie e con le maniche lunghe, di un ottimo cotone e tradizionalmente bianca. Scopriamo anche l’utilità di un piccolo pennacchio di stoffa nella parte alta – vi si deve spruzzare il profumo. Abbiamo così la prova di quanto gli omaniti ci tengano al proprio aspetto, alla pulizia e anche ad apparire sempre in ordine. Alcuni acquistano anche la kumah, una papalina cilindrica arricchita da ricami colorati proveniente dal vicino Zanzibar (colonia omanita per circa un secolo e mezzo, fino a metà del XVIII secolo), o un turbante (mussar), stoffa quadrata in kashmir proveniente dall’India (keffiah per gli occidentali).
E’ ormai buio e raggiungiamo un’area poco distante munita di servizi ma immersa nella natura, dove passeremo la prima notte di wild camping. Montiamo rapidamente le tende grazie al prezioso aiuto dei driver, che si prodigano nel rendere il campo il più accogliente possibile, ergendo un utilissimo faro (illuminava quasi a giorno) e montando tavoli, sedie e fornelli. Prepariamo un’amatriciana rivisitata e una pasta al tonno per gli autisti (che a nostra sorpresa non gradiranno – scopriremo troppo tardi che gli omaniti la sera mangiano molto poco, tendenzialmente a base di un miscuglio di pane tipo carasau e latte), ci divertiamo con aneddoti (tanti, i più disparati) e giochi – ci trasformiamo in lupi, contadini, veggenti, sceriffi fino a tarda notte, sotto le stelle e un irreale silenzio.
4° giorno
Alle 6.30 siamo in piedi, ci aspetta il primo wadi e nessuno vuole perdersi la magia del tramonto nel deserto, dove dormiremo. Dopo una rapida colazione a base di fette biscottate, l’immancabile pita, nutella e marmellata, caffè (omanita e non) e dopo aver caricato i bagagli sulle jeep – non senza indugi e dilemmi su come ottimizzare lo spazio, teatrino a cui i nostri driver ci hanno abituati fin dai primi giorni, che non manca mai di strapparci un sorriso - partiamo alla volta di Ibra. La cittadina, che godeva di grande prosperità durante il periodo coloniale dell’Oman, si presenta oggi come un agglomerato di case di mattoni crudi a due o tre piani, ormai piuttosto fatiscente, che ci permette di cogliere l’autentica atmosfera della vita di provincia dell’Oman, a cominciare da un caffè omanita in un piccolo bar dove a stento parlano l’inglese. Dopo una breve passeggiata per le stradine antestanti il suq, tra negozi di abbigliamento tutti uguali e un numero spropositato di barbieri (altra costante delle città omanite, che conferma ancora una volta l’attenzione dei locali alla propria cura personale), ci dirigiamo al suq delle donne, che richiama mercanti ed acquirenti di sesso femminile provenienti da tutta la regione. Non è particolarmente esteso, ma le bancarelle sono fittissime e brillano dei colori di tutte le componenti dell’ omaniya (abito femminile omanita, composto da dishdasha, tunica fino al ginocchio o alla caviglia; sarwal, pantaloni indossati sotto la dishdasha; waqaya, vestito, lungo più o meno 150 cm e più ampio rispetto al dishdasha; lahaf, velo o scialle) accompagnati da nahl (sandali), bracciali, cavigliere ed accessori. Non mancano prodotti artigianali quali ceste, cuscini e borse da cammello.
Dopo circa un’ora ed aver assaggiato un hamburger di cammello, partiamo verso il Wadi Bani Khalid, un’incantevole oasi tra desertiche e severe montagne, dove rimarremo tre ore abbondanti, tra bagni nelle diverse pozze di acqua limpidissima color smeraldo, e un breve trekking tra le rocce bianche per raggiungere la Moqal Cave, riservata ai più audaci. Si tratta di una una stretta grotta (muquil, in omanita) percorribile in ginocchio e in fila indiana per una decina di minuti. Fa caldo e l’aria è bassa, ma l’esperienza ripaga lo sforzo. Fare l’ennesimo bagno nei wadi dopo averla percorsa è ulteriormente rigenerante. Pranziamo rapidamente (ormai ci siamo abituati), e ripartiamo, unanimamente d’accordo sulla magnifica esperienza del primo wadi, consapevoli che ce ne aspetteranno diversi altri nei giorni seguenti.
In circa un’ora e mezza cambiamo completamente paesaggio, giungendo al Wahiba Sands (noto anche come Sharqiya Sands, ovvero “deserto della sabbia orientale”), un oceano di dune regolari che paiono allungarsi all’infinito, disegnando ombre e contorni regolari, sempre diversi. L’adrenalina è tanta, le jeep sfrecciano tra la sabbia che si colora di tonalità dal rosso al marrone, al dorato, sempre più a perdita d’occhio. Poco prima delle 17 raggiungiamo il campo tendato Desert Wonders, che ci ospiterà per la notte. Giusto il tempo di lasciare i bagagli nelle tende che saltiamo di nuovo sulle jeep – abbiamo poco tempo per raggiungere il punto panoramico poco sopra il campo per goderci al meglio il tramonto previsto per le 17.30. Durante il percorso alcuni driver (Salman e Ahmed in pole position) si esibiscono in performance al volante sulle dune, ribadendo la loro origine beduina e lanciandosi (letteralmente) alla conquista delle dune più alte -rischiando di arrivare tardi al view point. Qui, ci godiamo lo spettacolo. Il sole cala rapido tra le dune del suo stesso colore, che altrettanto rapidamente diventano sempre più scure. Tra foto, silenzi, commenti, giochi (perchè Ahmed, Salman, Malek e a tratti anche il serioso Ghassan non riescono a non sfidarsi/ci a chi salta più lontano lanciandosi dalle dune) è già ora di tornare al campo tendato. Dopo una doccia sotto le stelle (letteralmente, perchè la mini tenda del bagno non ha il soffitto), ci raduniamo nella splendida struttura centrale del campo per una cena prelibata a base di riso, ottimo barbecue, pita e hummus. Chiudiamo con una torta di compleanno inaspettatamente bella e buona, che avevo ordinato al gestore del campo alcuni giorni prima. Festeggiamo Annalisa, e forse un po’ anche tutti noi, e il bello che ci circonda.
5° giorno
Sveglia alle 6.30 per la maggior parte di noi, almeno per chi vuole provare l’ebbrezza di una brevissima passeggiata sul dorso di un dromedario. Ne abbiamo tre a disposizione, facciamo i turni accompagnati dalla guida, poi tutti a colazione nella sala comune. Prepariamo rapidamente i bagagli, non vogliamo perderci neanche un minuto delle 8 ore che prevediamo di passare nel Wahiba Sands a bordo delle jeep. Forte è l’adrenalina, fin da subito. Sfrecciamo tra le dune, procediamo in fila indiana, con le prime auto che aprono la pista (quasi sempre già tracciata). Un’infinita distesa di sabbia si perde all’orizzonte, e sotto i nostri occhi, creando forme incredibilmente regolari. Le dune si susseguono sempre uguali, sempre diverse, creando una suggestiva armonia di sfumature di marrone, giallo e rosso, per oltre 180km da Nord a Sud e 80km da Est a Ovest. L’esperienza è unica. Facciamo diverse soste per goderci al meglio il panorama, scattare le doverose foto di rito ed immergerci letteralmente nell’oceano di sabbia (ormai calda) che ci circonda. Le tuniche bianchissime dei driver (e i loro bianchissimi sorrisi perfetti) fanno da contrasto perfetto all’oceano di sabbia, e ogni scorcio, ogni inquadratura, pare da copertina di rivista di viaggi.
Ad un certo punto Salman e Malek, mossi da un ego smisurato, decidono di intraprendere un percorso più impegnativo, separandosi dalle auto di Ghassan e Ahmed, nonostante le loro iniziali obiezioni. Il piano è trovarsi presso la strada asfaltata che costeggia il deserto circa un’ora dopo. All’ora stabilita, però le due jeep mancano all’appello. Ne (con)segue una (a posteriori) divertente ricerca che dura un paio d’ore, in cui le auto di Ghassan e Ahmed tornano sulle proprie tracce e, seguendo un razionale più o meno chiaro, si mettono sulle tracce dei colleghi. Ci stupisce il metodo, essenzialmente inesistente, e la mancanza di strumenti anche rudimentali di comunicazione – i cellulari non hanno quasi mai campo, e i driver, contrariamente alle nostre aspettative, sono sprovvisti di walkie-talkie. La ricerca prosegue a tentativi – sostanzialmente, le due auto tornano indietro e a cadenza regolare si fermano sul crinale di alcune dune più alte per tentare di intercettare, a vista, le due auto disperse. Ad ogni sosta, è immancabile un breve tiro di una mini pipa, fedele compagno dei nostri autisti. Ad un certo punto, inaspettatamente, il cellulare prende e riusciamo a contattare gli altri. Gli autisti si parlano in maniera piuttosto concitata, dopodichè ripartiamo a velocità sostenuta. Ci fermiamo presso una moschea, dove ritroviamo tutti, ricompattiamo il gruppo e mangiamo all’ombra di un rudimentale gazebo.
Ripartiamo e poco dopo compare il mare all’orizzonte. Percorrere il deserto vedendo in contrasto sullo sfondo l’azzurro è fortemente suggestivo. Arrivarci è ancora più bello. Stanchi, facciamo sosta bagno e acqua in un bar della zona e studiamo alternative al wild camping, piano iniziale che alcuni del gruppo preferiscono rimandare. Grazie anche al prezioso aiuto di Ghassan, troviamo una casa poco distante presso Al Ashkhara, perfetta per le nostre esigenze. Oltre ad avere due grosse camere dove dormiremo, dispone di una grande cucina, di una sala per la cena e di un grande giardino con piscina. Sarà il luogo ideale (ad un prezzo irrisorio) per passare una serata indimenticabile tra una cena deliziosa a base di pesce fresco, riso e carne di cammello magistralmente cucinati dai nostri autisti (bravissimi!), fusion di balli occidentali ed omaniti, giochi, bagno in piscina (per i più temerari, l’acqua è gelida). Ci addormentiamo più tardi del solito, l’infinito negli occhi.
6° giorno
Anche oggi partiamo di buon’ora intorno alle 8, dopo una sostanziosa colazione ed aver fatto la spesa nei consueti due o tre “supermercati” (i nostri driver hanno l’abitudine di portarci in più posti per la spesa, scegliendo accuratamente le materie prime – sì, perchè oggi si offrono nuovamente di cucinare per noi, stavolta un eccellente pasto tra un wadi e l’altro a base di pesce grigliato, che acquistiamo fresco). Dopo circa un’ora arriviamo Sur: ammiriamo rapidamente il faro e la corniche (i.e. lungomare), visitiamo il cantiere navale dei dhow (tipica imbarcazione in legno, di cui la città è famosa e la cui flotta vantava oltre 100 navi d’altura fino al XIX secolo) e ripartiamo.
Dopo circa due ore raggiungiamo il Wadi Shab ( “gola tra le rupi”, in arabo), considerato una delle destinazioni di maggior interesse dell’Oman. Capiamo presto perchè: dopo un breve attraversamento del wadi a bordo di una barchetta di legno ci incamminiamo attraverso un percorso tra cascate, boschetti di oleandri, villaggi nascosti tra le piantagioni, falaj (sistema di irrigazione tradizionale), grandi massi e alberi di ogni tipo, fichi compresi. A tratti il trekking si trasforma in guado, l’acqua arriva anche sopra la caviglia – il che contribuisce a rendere l’esperienza ancora più suggestiva. Suggestione che aumenta mano a mano che ci avventuriamo lungo il percorso e che culmina verso la fine, quando il wadi si allarga e tra la vegetazione e i grandi massi bianchi si aprono varie pozze di acqua profonda. Impieghiamo pochissimo a tuffarci e, muniti di sacche impermeabili, nuotiamo tra una pozza e l’altra – sappiamo che l’avventura è appena iniziata, e che dobbiamo spingerci sempre più avanti, nuotando fino ad incontrare una piccola fessura tra le rocce, da cui passa a malapena la testa, senza immergerla. Trattenendo il respiro per pochi secondi e nuotando stando attenti a non sbattere sulle pareti, giungiamo ad una incantevole grotta parzialmente sommersa, all’interno della quale troviamo anche una cascata ed una fune che i più audaci sfruttano per risalire la cascata – lo spettacolo che si trovano davanti è, se possibile, ancora più bello e gratificante di quanto visto fino a quel momento: un’altra pozza tra la vegetazione, deserta, dove regnano silenzio e natura incontaminata.
Purtroppo è ora di tornare se non vogliamo rischiare di arrivare con il buio. Ci affrettiamo, nuotiamo veloci sulla via del ritorno; i nostri passi sono ora rapidi e sicuri. In totale rimaniamo circa 4 ore, il minimo per godersi uno spettacolo naturale raro. Come ci aspettavamo (ma contrariamente a quanto Ghassan ci aveva tranquillamente assicurato), non riusciamo a visitare anche il poco distante Wadi Tiwi in programma per oggi, e mangiamo il succulento pranzo che i nostri mitici autisti ci avevano gentilmente preparato alle 5, davanti ad un cielo e ad un mare magnifico. Campeggiamo poco distante, su una scogliera a strapiombo sul mare, da cui godiamo di un bellissimo panorama. Allestiamo il campo con il consueto aiuto dei nostri autisti, diventati guide, compagni ed amici, sempre pronti a strapparci il sorriso con la loro cordialità e la loro voglia di scherzare, e nonostante problemi di comunicazione dovuti alla lingua, a tratti sostanziali – ma che contribuiscono a rendere l’esperienza ancora più unica. Mangiamo nuovamente la carne di cammello (ottima scoperta) che ci cucinano magistralmente, e diamo fondo alle ultime scorte della cassa viveri. Ne consegue un fine pasto all’insegna di fantasiosi accostamenti. Scherziamo, discutiamo, ci confrontiamo sulla nostra quotidianità, così vicina, così lontana; sulle nostre vite, così diverse, così simili; sull’armonia che ci circonda, in tutta la sua primordiale semplicità. Ci addormentiamo sotto le stelle, stanchi fuori ma (ar)ricchi(ti) dentro.
7° giorno
Ci svegliamo nel modo più bello, l’alba e il mare davanti ai nostri occhi. Sono le 6, e il mondo è pronto a partire, come noi. Ultima colazione con la cassa viveri, sulla falsa riga della fantasia a cui ci siamo appellati la sera precedente. Convinciamo Ghassan a rivedere il programma per la giornata, inserendo il Wadi Tiwi che non siamo riusciti a vedere ieri. La scelta, nonostante sofferta (inizialmente ci viene detto che il Wadi Tiwi è visitabile soltanto in auto o con una escursione lunga 3 ore), si rivela vincente: per alcuni l’escursione più bella della vacanza, per altri seconda solo al Wadi Shab. Con fatica (gli autisti sono inizialmente contrari), ci facciamo accompagnare al punto di partenza del c.d. “Wadi dei nove villaggi”, o meglio in una posizione intermedia per accorciare il percorso. Trovato un ragazzo locale che ci fa da guida per una cifra irrisoria (20 OMR), ci incamminiamo seguendolo. Ci spiega che dietro di noi possiamo vedere (con un po’ d’immaginazione) 3 villaggi, e che durante la passeggiata di circa 1 ora vedremo sparsi i restanti 6. Il trekking è piuttosto semplice in salita, il paesaggio magnifico. La parte più entusiasmante è verso la fine, quando dopo essere saliti notevolmente, inizia la discesa costeggiando i falaj. La discesa è a tratti impervia tra la vegetazione e sono previsti anche due brevi tratti di ferrata. Lo sforzo viene completamente ripagato, però. Alla fine del percorso in cui, contrariamente agli altri wadi, non incrociamo nessuno, si apre davanti a noi una magnifica pozza color verde smeraldo, tra lussureggiante vegetazione, pareti altissime (la pozza, ci diranno in seguito, non è praticamente mai esposta ai raggi solari, il che rende rigida la temperatura dell’acqua) e una imponente cascata. Il paesaggio, completamente deserto, è davvero suggestivo. Ci immergiamo nell’acqua gelida e dopo esserci rapidamente asciugati, torniamo sui nostri passi. E’ già ora di abbandonare quel luogo incantevole che siamo felicissimi di aver visitato.
Prossima tappa, il Sink Hole di Bimmah (o Dibab, perchè vicino all’omonima cittadina) che raggiungiamo in mezz’ora di jeep. Si tratta di una spettacolare dolina carsica (40 mt di ampiezza) d’acqua cristallina (tipo lago di montagna, ma con un misto di acqua dolce e salata) situata in pieno deserto, vicino la costa, lungo l’autostrada che collega Muscat a Sur. La sua origine è ancora avvolta dal mistero, dal momento che i geologi non riescono a dare una spiegazione certa. Non servono trekking, il sinkhole si raggiunge in meno di dieci minuti di passeggiata all’interno di un parco costruito intorno, in contrasto con il terreno desertico e arido circostante. Bella esperienza ma non rimaniamo più di mezz’ora.
Pranziamo rapidamente e ripartiamo alla volta della spettacolare Muscat (o Mascate, letterlamente “porto sicuro”). La città, incuneata in un lembo di terra tra le montagne ed il mare, è costituita da un lungo susseguirsi di sobborghi ed è costellata di antichi forti, musei eccellenti, un teatro dell’opera e diversi parchi. Estrememamente elegante e moderna, è pulitissima e i colori degli edifici (principalmente sul tono del bianco e del marroncino) si integrano perfettamente con il contesto naturale che la circonda. Il panorama urbano comprende pochi grattacieli e tutti gli edifici si richiamano alla tradizione locale, con la presenza di cupole o finestre con arabeschi. Dopo una breve sosta in hotel e un giro panoramico della città vecchia (palazzo del sultano, diwan – corte reale-) ci incamminiamo verso la corniche, nella zona di Mutrah. Passiamo l’intero pomeriggio tra questa e il suq di Mutrah, che, nonostante sia situato sotto una moderna copertura in legno, conserva l’atmosfera caotica di un mercato tradizionale arabo, dove è possibile comprare di tutto (abiti, spezie, articoli di artigianato e cibo). Rientriamo al Mutra hotel e dopo una doccia rigenerante raggiungiamo il Bin Ateeq, tipico ristorante locale dal forte carattere (si mangia in terra sui tappeti tipici, divisi in stanzette, come da tradizione) dove assaggiamo diversi piatti locali tra cui carne di cammello (a cui ormai ci siamo piacevolmente abituati) e squalo. Rientriamo poi in hotel per passare la serata nel locale attiguo, una sorta di disco-pub munito di due tavoli da biliardo. Possiamo finalmente gustare alcuni drink mentre veniamo sfidati a biliardo da numerosi locali. Nonostante i tentativi di integrazione (indossiamo le dishdasha), siamo noi i diversi.
8° giorno
Partiamo puntualissimi alle 7.30 – abbiamo tempi stretti che dobbiamo assolutamente rispettare. Prima tappa, Grande Moschea, che visiteremo dalle 8 alle 9.10. Dono dell’illuminato sultano Qaboos al suo popolo in occasione del 30° anniversario della sua ascesa al trono, è un monumento alla magnificenza, al buon gusto, e all’integrazione (di materiali – si va dai marmi di Carrara, ai tappeti persiani, alle ceramiche locali; e di culture – l’uso di materie prime ed artigiani di eccellenza da ogni parte del mondo è volto a dimostrare che siamo tutti fratelli). E’ incredibile pensare che sia stata costruita in meno di sette anni, considerando la maestosità (il complesso copre un’area di oltre 40.000 mq) e l’unicità della struttura (che comprende il secondo tappeto più grande mondo, 70x60 mt; un enorme piazzale in marmo di Carrara talmente lucido da farlo sembrare sempre bagnato; e un lampadario da $400mln). Muniti delle nostre dishdasha, ci muoviamo agilmente a piedi scalzi per circa un’ora, durante la quale, fortunatamente, smette di piovere.
Come da programma, gli autisti ci accompagnano al porto, dove ci imbarchiamo per le isole Daymaniat, una magnifica riserva naturale ad una ventina di km al largo della costa di Muscat, con acqua cristallina, colori che ricordano la Sardegna e una popolosa colonia di tartarughe a cui ci affiancheremo nelle svariate sessioni di snorkeling che intervalleremo a puro relax sulla spiaggia. Per pranzo, l’immancabile barbecue preparato magistralmente dal capitano della barca mentre per digerire, una partita a beach volley (sì, la barca è attrezzatissima e insieme all’occorrente per lo snorkeling, dispone anche di una canoa e di una rete da beach volley portatile) o una passeggiata per esplorare tutta l’isola – le dimensioni lo permettono. Il tempo passa troppo rapidamente, e alle 17.30 è già ora di tornare. Dopo una rapida doccia siamo di nuovo in moto; passiamo davanti alla Royal Opera House (purtroppo solo in jeep ) e arriviamo in poco tempo al ristorante Royal House presso la corniche. Mentre i driver optano per piatti occidentali, noi rimaniamo fedeli a queli omaniti, e non ne rimaniamo delusi.
Salutiamo in maniera molto sentita i nostri autisti, che sono amici, ormai – scherziamo per l’ultima volta, scattiamo un’ultima foto con quei sorrisi perenni, quel buonumore costante e quella voglia di divertirsi spontaneamente che ci ha accompagnato e guidato nell’esplorazione di un Paese e una cultura che ci hanno lasciato ed insegnato molto. Passiamo poi la serata tra preparazione di bagagli e partite di biliardo nel locale sotto il nostro hotel. Alcuni preferiscono riposare, il pullmino ci aspetta davanti all’hotel alle 2.30AM.
9° giorno
Stanchi ma carichi di ricordi, partiamo. Silenzio assordante nel tragitto fino all’aeroporto, dove ci trasciniamo pigramente attraverso l’iter di controlli. E’ il momento di salutarci anche tra di noi, un momento che continuavamo a nasconderci sarebbe arrivato. Emozionati, ci promettiamo di vederci di nuovo (cosa che effettivamente accadrà molto presto), prima lasciare il gruppo dei romani raggiungere il proprio gate di partenza.