Nella terra del sorriso
3-4 Dicembre 2022
Il mio viaggio comincia a Malpensa, un breve scalo nella capitale parigina dove il gruppo si riunisce con chi è partito invece da Roma e cominciamo il lungo volo intercontinentale che ci porterà il mattino successivo ad Hanoi in Vietnam.
Avendo il volo per Siem Reap il tardo pomeriggio ho organizzato un day-tour nella caotica capitale vietnamita.
In Vietnam il turismo non è ancora ripartito completamente e questo è evidente dalla pochissima gente che incontriamo in aeroporto; in una mezzoretta sbrighiamo le formalità doganali e cominciamo il giro della città accompagnati dalla nostra guida.
Il primo impatto con Hanoi è difficilmente dimenticabile; siamo nella città più a nord del Vietnam, il cielo è avvolto dalla classica cappa di smog delle capitali d’Oriente e fa abbastanza freddo. Il tempo per mettersi canotta e shorts deve attendere ancora qualche ora.
Hanoi è una città che non si ferma mai dove il traffico, soprattutto di ciclomotori, può spaventare un occidentale. Le moto sono talmente tante e ovunque che sembrano far parte del paesaggio. Qui ci sono più moto che abitanti, un po' come in Islanda ma lì erano pecore.
Le probabilità di attraversare la strada senza essere investiti sono infatti talmente irrisorie che tutti si spostano in massa auspicandosi di aumentare così le percentuali di sopravvivenza. Qua, infatti, non esiste alcuna precedenza rispettata: macchine, motociclette, pulmini stracarichi di turisti, biciclette, tuk tuk, pedoni e persino scarafaggi si muovono con un certo ordine di fondo. Il problema è che è chiaro solo a loro. La regola base è non fare mai alcun passo indietro durante la traversata visto che loro si aspettano che tu prosegua dritto e ti passano alle spalle, se si indietreggia si può compiere un gesto inaspettato per loro e fatale per te.
Raggiunta una decente percentuale di sopravvivenza Hanoi riesce a stupirti con la sua bellezza nascosta e la forza dei suoi abitanti. Ci troviamo in una città, infatti, che mentre il resto del mondo si riprendeva dalle barbarie della Seconda guerra mondiale è rimasta invischiata in un altro mezzo secolo di guerre e difficoltà che l’hanno portata oggi ad essere un luogo sospeso nel tempo.
Qua convivono due anime che rispecchiano il resto del Paese, quella tradizionale coi templi sulla strada come la One Pillar Pagoda e persone che non parlano alcuna parola di inglese e quella più moderna e all’avanguardia dei grattacieli e degli hotel di lusso che ospitano turisti di tutto il mondo.
Visitiamo il severo edificio che ospita la salma dell'iconico leader Ho Chi Minh, una struttura in marmo bianco che domina piazza Ba Dinh dove il 2 settembre 1945 il rivoluzionario e patriota vietnamita proclamò l’indipendenza del paese diventandone il presidente fino al 1969, anno della sua morte.
Suo desiderio non era quello di essere imbalsamato ed esposto come quello di Lenin ma aveva chiesto di essere cremato e le sue ceneri sparse per la Nazione. Tuttavia, le sue indicazioni non furono rispettate e ancora oggi ogni anno il suo corpo viene inviato fino a Mosca in un centro di ricerca biomedica che ne cura la conservazione.
Qui c’è una marea di gente, una coda infinita di persone in perfetta fila indiana. Per i vietnamiti la visita al Mausoleo è una sorta di pellegrinaggio, difficilmente si può trovare nel Paese una zona ritenuta più importante e sacra. Più che la visita in sé è interessante infatti osservare l’assoluta dedizione verso l’ex presidente comunista.
Trascorriamo le ultime ora in città nel quartiere vecchio, un dedalo di stradine senza nome con case- galleria alte e strette; un tempo, infatti, le abitazioni venivano tassate in base alla larghezza della facciata e da qui questo ingegnoso espediente. Non possiamo che provare una delle prelibatezze della capitale: il caffè con l’uovo e lo facciamo in un rinomato locale vicino al lago Hoan Kiem, detto “della spada restituita” in quanto una leggenda narra che il giovane Le Loi era riuscito a sconfiggere gli invasori cinesi proprio grazie ad una spada trovata in mare da un pescatore e donatogli.
Torniamo quindi in aeroporto e prendiamo il volo che in serata ci porta a Siem Reap.
Il viaggio è stato lungo, ormai sono due giorni che siamo in viaggio. Ma, mentre tutti vanno in albergo, io rimango con Elina a gestire uno dei classici disagi da primo giorno di vacanza: lo smarrimento della valigia. La procedura di denuncia non è delle più veloci ma, rassicurati che in un paio di giorni tutto si sarebbe sistemato, prendiamo il tuk tuk e raggiungiamo il gruppo in hotel.
Per le prossime tre notti soggiorneremo in una bellissima struttura appena fuori il centro di Siem Reap, spaziosi bungalow immersi nella foresta tropicale con due piscine a disposizione.
Finiamo la nostra prima serata nella caotica Pub Street dove io assaggio per la prima volta in vita le famosissime tarantole fritte. Va bene che fritta è anche buona una ciabatta ma c’è da dire che non erano per niente male.
5 Dicembre 2022
Oggi la sveglia suona molto presto.
È piena notte quando usciamo dai nostri bungalow. La nostra guida ci aspetta alle 4 davanti all’hotel con 16 biciclette che utilizzeremo durante la giornata di oggi.
Finalmente stiamo per andare a vedere il motivo principale di questo viaggio in Cambogia: Angkor, la massima espressione del genio Khmer, il complesso templare più grande al mondo, talmente importante per la Cambogia da esserne raffigurato addirittura all’interno della sua bandiera.
Qui troviamo centinaia di strutture sparse in circa 400km quadrati ad evidenziare i fasti del passato imperiale della Nazione.
Tuttavia, per quanto questo sia uno dei siti archeologici più noti al mondo non è stata impresa facile ricostruirne la storia in quanto non esistono fonti scritte sugli Khmer e le uniche conoscenze che si hanno arrivano da indagini archeologiche e dallo studio sui bassorilievi, oltre che dai resoconti dei primi mercanti e diplomatici che in epoca medioevale lo visitarono.
Prendiamo quindi le nostre bici e, in piena notte, cominciamo il primo dei due giorni di visita dei templi. Questo lo dedichiamo al piccolo circuito, circa 40km dove sono concentrate le principali magnificenze di Angkor.
Prima tappa è il tempio più rinomato, Angkor Wat, la rappresentazione terreste del Monte Meru, l’Olimpo della religione hindu e dimora di divinità passate dedicato a Vishnu. Tra tutti questo è sicuramente l’anima del Paese, fonte di feroce orgoglio nazionale, motivo per cui nei secoli non è mai stato abbandonato alle intemperie.
Il sole sorge e sullo stagno di fronte si rispecchiano quelle cinque torri che rappresentano i cinque picchi del Monte Meru. L’atmosfera è a tratti mistica e rimaniamo in silenzio ad ammirare quella meraviglia che lentamente prende corpo ai nostri occhi coi suoi contorni maldestri avvolti dalla foschia e tinti di fucsia.
Una rapida colazione e cominciamo la visita del tempio coi suoi 800 metri di bassorilievi che raccontano con maestria la religione hindu Ramayana e la vita ai tempi del re Suryavarman.
Riprendiamo le bici e andiamo al tempio di Bayon, l’ultimo costruito ad Angkor. Inizialmente era destinato ad essere un tempio buddhista ma con la salita al trono del re Jayavarman VIII e con l’entrata dell’induismo questo cambiò. Negli anni poi ha subito molte modifiche tanto che le più di 200 facce giganti del livello superiore sono ancora oggi fonte di disaccordo tra gli studiosi: per alcuni rappresentano il sovrano, per altri il bodhisattva, che nel buddhismo rappresenta una persona che, pur avendo raggiunto l’illuminazione e avendo quindi esaurito il ciclo di esistenze terrene, ha rinunciato al nirvana e continua a reincarnarsi. sotto la spinta della compassione per aiutare gli altri esseri umani. Una volontà d’acciaio insomma...
Rispetto ad altri templi questo è più compatto e dispersivo e in un’ora lo visitiamo, attraversando un labirinto di camere illuminate dai giochi di luce filtrati dagli alberi circostanti e ripide scalinate.
L’ultimo tempio della giornata è il Ta Prohm, famoso per aver fatto da ambientazione a Tom Raider.
Questo lo avevo immaginato nella mia testa almeno un centinaio di volte e finalmente era arrivata l’ora di viverlo.
Dall’esterno appare completamente inglobato dalla giungla circostante con alberi secolari che crescono sulle sue rovine sovrastandole dall’alto. Le radici intrecciano e abbracciano letteralmente quelle pietre millenarie della città sacra di Khmer con la foresta che sembra aver conquistato e dominato il tempio e ora riesce a germogliare magica tra le rovine.
Lo small circuit, è terminato ed è ora di tornare a Siem Reap. Riprendiamo le bici e quindi la strada verso l’hotel ed ecco che si scatena il temporale, una quantità di pioggia che ci permette a malapena di vedere la strada. Aumentiamo la velocità al massimo e raggiungiamo alla spicciolata i nostri bungalow, tutti o quasi. Manca Francesca e non abbiamo idea di dove si sia distaccata dal gruppo e se sappia la strada per tonare.
Prendo un tuk tuk al volo e vado a cercarla senza una meta prefissata ma dopo una mezzoretta mi arriva il messaggio che è tornata. Avrà speso un centinaio di euro di dati per usare google maps ma almeno è arrivata intera.
A questo punto ci dividiamo, c’è chi rimane a rilassarsi in piscina e chi viene con me a fare una masterclass di cucina Khmer.
Prima ci portano al mercato per spiegarci gli ingredienti che utilizzeremo e poi andiamo a cucinare quattro piatti tipici della cucina locale. È un’esperienza che ci entusiasma tutti, soprattutto Federica che forse tra tutti sarà l’unica in grado di riproporli in futuro. Escludo lo posso fare Valentina che tornerà a Milano a mettere in tavola la solita cena cucinata da Glovo o Deliveroo
Terminiamo la serata nella solita Pub Street dove io e Alessandro ci regaliamo uno dei tanti massaggi di cui godremo nella Terra del Sorriso. Dopo 40 km di bicicletta direi che era il minimo da fare.
6 Dicembre 2022
Come ogni mattina ci svegliamo e ci troviamo la colazione apparecchiata in terrazza. In quest’albergo ci stanno viziando e non saremo di certo noi a dirgli di fermarsi.
Vengo a sapere che Cosimo ieri sera è tornato tardi, si è fatto aprire il bungalow sbagliato dal proprietario del resort e poi è rimasto a bersi un numero imprecisato di birre con lui. Vedendo poi nei giorni a venire quanto alcool è in grado di tracannarsi all’ora devo dire che al signore che l’ha invitato non deve essere convenuto averlo come ospite. Beata gioventù.
Oggi l’appuntamento con la guida è alle 8. Torneremo ad Angkor e faremo il big circuit che comprende templi più distanti e copre un’area maggiore.
Non è altro che un’estensione del piccolo circuito, per cui una volta raggiunta la città di Angkor Thon non si gira a est ma si va verso nord uscendo dalla porta settentrionale. Data la distanza non è possibile farlo in bicicletta, per cui oggi gireremo con un bus.
Visitiamo dapprima il tempio di Pre rup, un tempio-montagna dalle imperiose proporzioni che in lingua Khmer vuol dire “trasformando il corpo” e infatti pare essere nato come crematorio. È costituito da una struttura piramidale a tre livelli, ognuno dei quali delimitato da una cinta muraria.
Proseguiamo e andiamo verso la collina di Phnom Dei dove si trova il Banteay Srei Temple, la “fortezza delle donne” dedicata a Shiva, uno dei pochi templi la cui costruzione non fu voluta da un re ma da un suo consigliere. Costruito in arenaria rossa è rinomato per la sua grandezza ed eleganza: gli edifici stessi sono miniature in scala che fanno di questo complesso una gemma preziosa dell’arte Khmer.
I templi sono tanti e il rullino di marcia di Mr Dora è ben serrato e lo rispetteremmo anche alla perfezione se Davide ogni tanto non decidesse di perdersi facendoci rallentare...
Su un’isola artificiale si trova in Neak Pean che secondo alcuni studiosi è stato costruito per ricordare un lago che si trova sull’Himalaya; inizialmente era ritenuto un luogo di culto per i malati in quanto le sue acque si pensava fossero curative. È formato da un unico torrione, il Prasat, alto 14 metri e circondato da due naga, il leggendario serpente la cui coda intrecciata ha dato il nome al tempio stesso.
Per ultimo visitiamo il Baphuon Temple, un tempio di stato a cinque livelli, tutti della stessa altezza, caratteristica inusuale per le costruzioni Khmer. Al di fuori ci attardiamo per qualche minuto attratti da un gruppo di scimmie, alcune delle quali sono incinte mentre una ha appena partorito e stringe il figlio tra le braccia sotto gli occhi protettivi del padre. Una scena commovente.
È quasi l’ora del tramonto e per goderlo al meglio andiamo sulla Bakeng Mountain dove si trova l’omonimo tempio dedicato a Shiva che si ritiene fosse al tempo della sua costruzione il principale edificio di Angkor. Infatti, il sovrano che lo aveva edificato voleva trasferire qui la capitale del regno ove Bakeng era il principale centro religioso e architettonico. La sua egemonia, tuttavia, durò solo un paio di secoli, ossia fino a quando non nacque il meraviglioso e immenso tempio di Angkor Wat che lo scavalcò da subito per bellezza e grandezza.
Ci godiamo il tramonto e poi andiamo in centro a cena.
Un post-dinner a bere qualche cocktail nei tuk tuk rivisitati a bar di Pub Street e poi mentre il gruppo va a ballare in una discoteca locale io mi ritiro in hotel che mi sono regalato una bella influenza con 40° di febbre. Bene ma non benissimo.
7 Dicembre 2022
Ultima notte all’Angkor Heart Bungalow e ultimo giorno con la nostra bravissima guida Dara Hom.
Questo ragazzo è stata una guida eccezionale, ci ha raccontato la storia della sua nazione e del suo popolo con tanta passione e dedizione.
Nei suoi occhi e nelle sue parole però si legge la preoccupazione per le sorti del suo Paese, per quello stato confinante, il Vietnam, sempre troppo vicino. Dara ha paura che un giorno la Cambogia venga invasa e non ha fiducia che il governo in carica voglia proteggerli. Ce lo racconta più volte, noi non abbiamo i mezzi per capire se sia o meno una paura giustificata ma la storia recente di questo popolo nasconde talmente tante miserie umane che non possiamo che capire i suoi timori.
Oggi ci porta ai floating village, tre villaggi costruiti su palafitte, villaggi galleggianti o case-barca all’interno della piana alluvionale del lago di acqua dolce più grande del sud-est asiatico, il Tonle Sap, un sistema combinato lago/fiume le cui dimensioni variano dai 2700 kmq durante la stagione secca ai 16000 kmq durante i monsoni quando ingrossata dalle acque del fiume Mekong la sua profondità passa da pochi metri a più di dieci.
Noi siamo in piena stagione secca ma grazie ad un tifone che ha attraversato il Paese a fine mese (e che ha portato un certo grado di umidità che trasudiamo ormai da giorni) l’acqua è ancora alta e ci permette fortunatamente di fare la crociera sul lago.
Kompong Phluk è uno di questi floating village che sorgono sul lago; ammiriamo dalla barca sotto un sole cocente quelle palafitte alte sei metri che sembrano scrutarci dall’alto. Molte, tuttavia, sono case temporanee che verranno abbandonate quando l’acqua del lago salirà.
Ci muoviamo tra dedali acquatici, tra case, negozi, bar, orti fluttuanti e persino un’enorme pagoda.
Dalla barca possiamo osservare la quotidianità delle persone senza disturbarle e non si può che rimanere stupefatti dalla loro capacità di adattamento e inventiva. Ci sono i bambini che si tuffano nelle acque del lago mentre i grandi rientrano dalla pesca che con l’allevamento dei gamberi rappresenta la loro principale fonte di sostentamento e commercio.
Chiedo alla guida di farci sbarcare sulla terraferma e percorriamo qualche centinaio di metri tra bambini che ci corrono incontro e pesce lasciato al sole ad essiccare.
Ritorniamo a Siem Reap, l’ultimo bagno in piscina e alle 18.30 passa a recuperarci il bus notturno che ci condurrà a Sihaonukville, cittadina sulla costa da cui partono le imbarcazioni per le isole.
Durante l’organizzazione del viaggio mi ero posto il problema se raggiungere il mare in aereo o in bus ma poi i prezzi proibitivi del primo mi aveva fatto propendere per un’economica traversata su quattro ruote, malgrado avessi qualche preoccupazione sulla comodità del mezzo.
Mi sbagliavo. Saliti sul bus prendiamo possesso dei nostri posti che sono della specie di letti a una o due piazze.
Se non fosse per la temperatura che ricorda quella della Siberia sarebbe perfetto.
Carlo spaccia del tranquillante alle ragazze preoccupate di non prendere sonno e partiamo.
Pronti vie e dopo un’ora siamo fermi con problemi al motore che vengono prontamente risolti.
Facciamo un’ultima sosta per cenare lungo la strada in un posto che non credo verrà ricordato per igiene o qualità del cibo e poi sprofondiamo nella notte, tutti o quasi: Rita credo non si sia persa una fermata del bus per approfittarne e andare in bagno.
8 Dicembre 2022
Sono circa le 6.30 quando arriviamo. Il viaggio è durato circa 12h ma nessuno si lamenta, siamo tutti abbastanza riposati.
Io sono stato svegliato da Iole, la mia compagna di sedile che ad una certa le pioveva addosso e, purtroppo, non l’ha sopportato in silenzio....
Un transfer ci porta dalla fermata dei bus al porto di Sihaonukville, località balneare affacciata sul golfo della Thailandia, un centro relativamente giovane ma in rapidissima espansione.
I primi insediamenti vengono fatti risalire alla fine degli anni ‘90 ma quello che ci appare dal finestrino è che ora la città sia un cantiere a cielo aperto. Di quelle spiagge che fino ad una decina di anni fa erano tra le più belle della Cambogia frequentate da hippies a backpackers come Sokha Beach o Otres Beach non rimane che un lontano ricordo. Negli anni Sianoukville è andata a perdere la sua vocazione turistica per diventare un centro commerciale, una città portuale che è andata a sostituire Kampot, un tempo approdo principale del Paese. Quindi orami oggi è una città poco adatta anche solo a passarci qualche ora.
Arriviamo al porto, una veloce colazione con l’ennesimo mango shake e in mezzora di barca sbarchiamo a Koh Rong Samloem per una tre giorni di assoluto relax.
Lunga 10km quest’isola a forma di ferro di cavallo e avvolta da una meravigliosa foresta tropicale sta lentamente decollando, andando a sostituire come meta per le vacanze la sorella maggiore Koh Rong che si trova di fronte a pochi minuti di navigazione.
Tutti i resort si trovano sulla costa orientale a Saracen Bay, che deve il suo nome all’omonima nave della marina militare inglese che per prima fece una mappatura dell’area costiera cambogiana.
Saracen Bay è una lunga spiaggia di sabbia bianca di 2km circa ed è l’unico centro dell’isola. Tuttavia, a dicembre il mare qua non è turchese ed è spesso mosso, pertanto è consigliabile di giorno spostarsi con una breve camminata sul lato occidentale dell’isola.
A Samloem la vita scorre lenta, l’unica strada costruita anni fa durante il protettorato francese è ormai stata mangiata dalla vegetazione e comunque non ci sono mezzi a motore se non qualche motorino. A differenza della più festaiola Koh Rong qua i locali sono pochi e sono limitati a qualche bar e ristorante sempre su Saracen Bay. Chi sbarca da queste parti è perché è alla ricerca di pace, tranquillità e spiagge bianche bagnate da un mare dai riflessi turchesi.
Prendiamo possesso delle nostre bellissime camere doppie dove le coppie ormai sono diventate “di fatto” con Stefania che fa da badante a Valentina e Valentina L di Alessandro. Come invece Iole e Marianna siano riuscite a sopravvivere insieme è un x-files.
Trascorriamo il resto della giornata nella piscina con vista sull’oceano.
Oggi c’è la luna piena e a Koh Rong Samloem la si festeggia con un full moon party. Non vi aspettate nulla di eccezionale o particolarmente mondano: l’unico locale un po' più trendy degli altri mette la musica per ballare sulla spiaggia. E comunque tutta questa night life da queste parte è già di per sé un evento.
Per chi riesce a rimanere sveglio fino a tardi la serata finisce con un bagno in mare per festeggiare la luna piena che si riflette impavida sulle acque dell’oceano.
9 Dicembre 2022
A circa 40 minuti a piedi dal nostro hotel sul lato occidentale di Samloem si trova Lazy Beach ed è lì che questa mattina decidiamo di andare per trascorrere la bellissima giornata che si prospetta.
Attraversiamo la giungla dell’isola, uno degli ecosistemi più belli della Cambogia, una foresta pluviale contorniata da mangrovie. Il percorso è semplice, l’unica difficoltà è data dal caldo che ci fa sudare anche l’anima.
Il traguardo vale la camminata. Qui il mare è quello che ci aspettavamo: calmo e trasparente.
La spiaggia è lunga 700mt e c’è un unico resort. Lazy Beach ci appare da subito un mondo a parte rispetto a Saracen Bay.
Trascorriamo la giornata tra bagni e partite a ping pong e beach volley con buona pace di Davide che perde su tutti i fronti. Penso non se ne sia ancora fatto una ragione ma tant’è...
Torniamo solo al tramonto al resort, dove io e Alessandro troviamo un centro massaggi di cui diventeremo affezionati clienti per i giorni a seguire.
Alla sera ci facciamo una grigliata sulla spiaggia per poi andare nell’unico locale della baia con immancabili partite a bigliardino che vedono Rita a sorpresa miglior giocatrice in campo.
10 Dicembre 2022
Anche oggi splende il sole su Samloem e decidiamo di spostarci sempre dall’altra parte dell’isola ma questa volta un po' più a nord, a Sunset Beach.
Per arrivarci attraversiamo sempre la giungla, il percorso è leggermente più accidentato di quello del giorno precedente ed è preferibile percorrerlo con le scarpe ai piedi.
Sunset è una spiaggia lunga circa 400 metri e qui sorgono un paio di resort e c’è anche un centro diving. È infatti un ottimo punto di partenza per effettuare immersioni alla scoperta della vita sottomarina dell’arcipelago.
Il mare non delude di certo le aspettative, anche qui è blu cobalto e tranquillo.
Nel pomeriggio abbiamo prenotato un’escursione di snorkeling dall’altra parte della baia quindi trascorriamo qui solo la mattinata. L’idea iniziale era pranzare e poi tornare lentamente verso Saracen Bay ma evidentemente da queste parti le tempistiche sono ancora più lente del solito (che in Cambogia è tutto dire) e io ed Emanuele aspettiamo un avocado toast per circa un’ora e mezza.
Pertanto, il ritorno per raggiungere il gruppo che già si era avviato è diventata una sessione di Trail running più che una tranquilla passeggiata nella foresta.
L’escursione di snorkeling non si rivelerà nulla di entusiasmante, la barriera corallina non regala granché e la visibilità per le grosse quantità di plancton è scarsa.
Menomale che ci pensa Ale a sbattere in faccia alla vegana Marianna un pesce appena pescato a movimentare il pomeriggio.
La giornata però è ancora lunga, quindi una volta ritornati a riva riusciamo a riposarci un’oretta per poi risalpare per andare a vedere il fenomeno della bioluminescenza, ossia la capacità del plancton di emettere luce quando viene disturbato. Gli studi in questo campo non sono molti ma sembra che questa capacità di brillare nel buio sia una caratteristica selezionata dall’evoluzione e possederla costituirebbe un’arma in più per la sopravvivenza; un lampo di luce infatti non può che disturbare i predatori notturni diminuendo le probabilità di essere divorati.
Ci tuffiamo in acqua e nell’oscurità della notte sembra di nuotare in un mare di stelle. È emozionante e spettacolare.
Torniamo a riva. Sarebbe potuto andare tutto alla perfezione se Marianna non avesse deciso di sfracellarsi contro l’ancora nello scendere dalla barca con l’agilità di un’otaria. Ma al momento sta a Manchester viva e vegeta a giocare con la musica elettronica quindi il tetano, fortunatamente, l’ha schifata.
L’ultima serata la trascorriamo in un tranquillo bistrot vegano sulla spiaggia che ha colpito tutte le ragazze e non per la qualità del cibo ma per quelle di chi lo serve. Ma si sa che bellezza e intelligenza spesso non vanno sullo stesso binario e il bel genio ci sistema i tavoli con una pendenza che manco sul Mottarone.
11 Dicembre 2022
È arrivato il momento di lasciare questo paradiso.
Ci svegliamo appena prima dell’alba e abbandoniamo l’isola col sole che sorge all’orizzonte tinteggiando il cielo di rosa.
Arrivati al porto carichiamo con le valigie i due van che sono venuti a prenderci e cominciamo il lungo viaggio verso Phnom Penh. Sono circa 230 i km che separano la costa dalla capitale cambogiana che nella mia auto trascorriamo giocando ad “indovina il personaggio” ripescando personaggi che vanno da Iva Zanicchi a Rosa Bazzi passando per Papa Francesco. Tuttologi.
Alle porte della città ci fermiamo alle Killing fields per un’immersione nella triste e recente Storia di questo popolo.
Ci troviamo in uno dei più famosi campi di morte dello Stato, uno dei luoghi dove tra il 1975 ed il 1979 avvennero stermini di massa sotto il regime nazional-maoista di Pol Pot e della sua Kampuchea Democratica.
Di questo Grande Genocidio perpetrato dal dittatore cambogiano e dai Khmer Rouge, i guerriglieri da lui comandati, contro il proprio stesso popolo in Occidente se ne è parlato pochissimo ma è una storia che se ascoltata lascia attoniti per la crudeltà e l’efferatezza con cui più di una generazione di cambogiani è stata annientata.
La sua idea era quella di rendere la Cambogia una nazione agricola autarchica priva di un’economia basata sul denaro che fu abolito insieme a religione, proprietà privata e tutte quelle professioni ritenute borghesi. Il tutto iniziò reclutando i suoi soldati nelle campagne e occupando la capitale e finì con più di tre milioni di morti su 7 in totale.
Pol Pot e i suoi comunisti hanno il triste primato di aver sterminato per motivi politici la più alta percentuale del popolo di un Paese nell’intera storia dell’Umanità.
I cittadini più fortunati venivano trasferiti in fattorie collettive per essere rieducati mentre agli altri toccava il triste destino di entrare in questi campi di morte in cui venivano torturati e uccisi come dei fiori recisi.
Phnom Penh divenne presto una città fantasma. I professionisti, chiunque avesse un diploma o segno di istruzione come anche solo portare gli occhiale che era sinonimo di aver letto troppi libri e forse quelli sbagliati, personale dell’esercito, della polizia, monaci, preti, artisti furono tutti eliminati. Per ogni individuo veniva uccisa tutta la famiglia in modo che nessuno un giorno venisse a rivendicare la loro morte. Per i Khmer Rouge era meglio una morte ingiusta che una vita lasciata in sospeso.
Killing fields ti permette di catapultarti subito nella cattiveria e terrore dell’epoca. Qua furono uccise più di 17000 persone, circa 300 al giorno nell’ultimo anno.
Del campo è rimasto ben poco, c’è qualche mucchio di vestiti e 17000 teschi nello stupa commemorativo. E poi ci sono le fosse comuni, quelle fosse da cui ogni volta che piove riemergono ricordi orrendi che non vanno dimenticati.
Giro per il campo ascoltando l’audioguida. Molti sono racconti di superstiti che sono sopravvissuti a questo massacro e che sono tutti accumunati da una cosa: la speranza.
Guardo l’albero dove furono uccisi i neonati. Ascolto cosa avvenne in quei terribili momenti. Mi siedo, le gambe quasi non mi reggono.
Terminiamo la visita e ci dirigiamo verso il nostro hotel con un bagaglio culturale in più, un fardello pesante con cui convivere ma di cui era giusto venire a conoscenza.
Stasera dormiamo in pieno centro in un bellissimo hotel con piscina a sfioro all’ultimo piano. Io e Antonio ci concediamo un ultimo piacevole massaggio come arrivederci a questa terra, mentre altri vanno in centro. Anche per loro è arrivato il momento di assaggiare le leccornie del luogo: le tarantole fritte.
Ah, oggi mi è passata la febbre…che tempestività arrivare il primo giorno e andare via l’ultimo eh?
Ceniamo in un thailandese e poi andiamo a bere qualcosa in centro.
12-13 Dicembre 2022
L’ultimo giorno lo dedichiamo alla visita della vivace capitale cambogiana, Phnom Penh.
Normalmente qua i viaggiatori ci restano massimo un paio di giorni; viene vista più come un crocevia verso i tempi di Angkor che per altro e ci si capita più per opportunismo che per turismo.
Il traffico è caotico ed il clima rovente. A Phnom Penh non si trova il fascino evocativo delle altre perle d’Asia. La sua storia non è millenaria e non c’è mai stato un piano di progettazione destinato al suo sviluppo ed il motivo è da far risalire a quella classe politica troppo legata a interessi personali che regge il paese attraverso clientelismo e corruzione.
Noi, comunque, le diamo un’opportunità e incominciamo il nostro tour dal Royal Palace, il luogo più importante della città intorno al quale si sono concentrate le travagliate vicende della capitale cambogiana
La maggior parte delle ragazze non ha un abbigliamento consono per cui spendono gli ultimi riel acquistando improponibili maglie taglia XL al negozio di souvenir antistante.
Ci aggiriamo tra vialetti e giardini curati alla perfezione; tutti gli edifici hanno strutture differenti ma che risultano in perfetta armonia tra loro. Ci pervade un senso di pace dato dai pochissimi turisti presenti. Visitiamo la Silver Pagoda che contiene il famoso Buddha di smeraldo. Per accederci c’è un ‘imponente scala di marmo bianco e dentro si cammina su un pavimento formato da 50000 lamelle d’argento perlopiù ricoperte da tappeti. Intorno a noi oggetti meravigliosi dal valore inestimabile e poi al centro il famoso Buddha di cristallo di Baccarat seduto su una pedana rialzata con a fianco un omonimo in posizione eretta di ben 90kg d’oro interamente ricoperto da diamanti.
Terminato il giro del palazzo, preso atto che inaspettatamente il re non ci riceverà riprendiamo un discorso di cui ieri avevamo avuto un toccante anticipo e andiamo al Tuol Sleng, ex liceo utilizzato dagli ormai noti Khmer rossi come prigione dove chiunque arrivasse finiva per confessare qualunque cosa perché sottoposto a inimmaginabili torture.
Questa anticamera della morte, una morte orrenda e senza senso e colpe, frutto solo di un inaccettabile delirio umano, oggi è un museo perfettamente conservato dove si trovano i cinque edifici così come furono lasciati quando quei criminali fuggirono nel 1979.
Ci sono le brande, le prigioni, gli strumenti di tortura e le foto, tante foto. Ci sono le immagini di tutti i cambogiani uccisi e dispersi, bambini e adulti che ti osservano dalla parete con quegli occhi spaventati di chi forse ha già capito che piega ha preso il suo destino. Ci fermiamo a guardarli, un po' come avranno fatto i loro parenti una volta terminato il genocidio alla ricerca di notizie dei loro cari.
Accanto anche le immagini dei Khmer Rouge, perlopiù ragazzini in tenera età e l’entità di quella tragedia prende dimensioni sempre più grandi e terrificanti.
Anche qua l’eco crudele dello sterminio supera qualsiasi tipo di emozione.
Oggi la Cambogia prova a guadare acanti anche se non è facile staccarsi da quel passato, da quei tre anni di passione ove qualunque traguardo di speranza si era dissolto dal giorno alla notte.
Per noi è stata una lezione di vita.
Ultima tappa è il Russian Market, il secondo mercato della sonnolenta Phnom Penh, con tante bancarelle di souvenir. La parte più interessante per me rimane sempre quella del cibo con gli odori penetranti della carne appesa e del pesce essiccato. E così non può che mancare l’ennesimo mango juice.
È arrivata l’ora di prendere la via per l’aeroporto e ci buttiamo per l’ultima volta nelle trafficate strade della città. Un ritorno col brivido visto che Elina si rende conto di aver dimenticato il cellulare al baracchino che vendeva i frullati davanti al mercato. Non c’è tempo per tornare indietro, chiediamo al nostro autista se dopo averci portati in aeroporto può provare a tornare e vedere se lo trova.
Non siamo molto fiduciosi ma dopo un paio d’ore eccolo tornare col cellulare in mano. Lo ha trovato nello stesso posto dove Elina si ricordava d’averlo lasciato. Salutiamo la Cambogia con l’ennesima lezione di quanto questo popolo sia onesto e disponibile.
Un lungo volo ci riporterà in Italia. Anche quest’avventura è volta al termine. Il viaggio è stato breve ma il gruppo non mancherà di ritrovarsi e affrontarne un altro ben più lungo.
A presto, al prossimo bellissimo viaggio.
Appassionatamente Giulio