Melodie cubane
E' notte a Trinidad e la maggior parte dei turisti è già nel proprio letto a sognare i colori intensi e i profumi inebrianti della Isla Feliz. Noi no, non tutti almeno; troppe emozioni oggi per poter semplicemente sdraiarsi a letto e chiudere gli occhi. C’è bisogno di qualcosa, quel qualcosa che ci consenta di mettere un punto, magari esclamativo, al racconto di questa giornata. Seduti ai piedi della scalinata che porta alla Casa della Musica osserviamo distratti i musicisti smontare gli strumenti; i loro ritmi già ci mancano e domani è ancora troppo lontano. Evidentemente non siamo gli unici a pensarla così e infatti, all’improvviso, una chitarra compare magicamente, come solo le chitarre nelle sere speciali sanno fare, e un arpeggio lento e corposo inizia a scaldare l’atmosfera. Al canto che inizia subito dopo nessuno è preparato: ci coglie di sorpresa una voce femminile dolce e inebriante che sa di Canchanchara, il drink di Trinidad a base miele, rhum e limone appena spremuto, ma anche di Cohiba, leggermente affumicata ma non ancora al punto di diventare roca. Ci giriamo di scatto, gli occhi persi e le guance ammorbidite da una musica che si fa carezza. Ma siamo a Cuba, il luogo delle contraddizioni… e dove c’è carezza c’è schiaffo: poche canzoni e un militare, che di quell’incantesimo deve essere antidoto, fa un solo gesto e la voce si spezza, la chitarra fugge e i cubani attorno si fanno piccoli. Solo uno spagnolo continua a guardare sognante la ragazza chiedendo “mas”, volgendo poi lo sguardo all’uomo con stampato sul viso un evidente “porquè”? Eccolo il punto della serata, il senso di Cuba: gli opposti, le contraddizioni, i controsensi… un paese che è musica e che si muove al ritmo della musica nel quale a mezzanotte la musica è bandita, clandestina; un cartello di benvenuto che si fa trappola e ti rompe la testa con una pioggia di mattoni; un manifesto di propaganda comunista che richiede “ordine, controllo e disciplina”; un sole caldo, che sembra volerti sciogliere, che improvvisamente ti rovescia addosso la pioggia di tutte le nuvole del mondo; un paese dove la povertà non si fa miseria, dove il dolore si fa gioia di vivere e il sorriso è la sola moneta di scambio; un mondo, perché Cuba è mondo a sé, così incomprensibile che, nonostante le sofferenze e la povertà, è chiamato dai suoi stessi abitanti Isola Felice. Quindi si, è questo il punto di questa serata: capire un po’ di più questo posto magico rendendosi conto di non poterlo capire davvero… continuano le contraddizioni. Mettere un punto a una giornata o anche a un intero viaggio, però, è molto più semplice che farlo per un intero paese; se si parla di Cuba poi, l’impresa è ancora più ardua: immobile nel tempo, ferma nelle sue macchine e nei suoi palazzi alla fine degli anni 50, è in realtà in continua evoluzione, un pianeta in perpetua rivoluzione politica, geografica (magari è proprio Cuba che ruota intorno al sole e il resto del mondo la segue pigro) e sociale, impossibile da fermare, da definire o anche solo da capire. Ma capire a volte è un’arma a doppio taglio... una soluzione che fa fermare e fa smettere di cercare, di osservare. E allora il punto lo metto al nostro viaggio, questo sì finito nel tempo, e torno alla musica; a quella chitarra scomparsa tanto velocemente dalle scale di Trinidad che avevamo già incontrato nella Valle del Silencio, a Vinales, quando un contadino canterino aveva regalato ai nostri cuori un pezzo di Cuba suonando e cantando “Guantanamera” chiedendo in cambio, nel passarci proprio una chitarra, un pezzo d’Italia
La “Canzone del Sole”, nel paese del sole, si fa tricolore e, cantando a squarciagola Battisti, la magia si rinnova: lo senti nell’aria, lo vedi negli sguardi, lo ascolti nelle risate… sedici individui sono appena diventati un gruppo. Ma c’è musica ovunque e siamo musica anche noi ed è forse questo il modo migliore di raccontare noi e il nostro viaggio, la musica: come il triste rumore, in un’area di servizio fuori La Habana, di una cannuccia che tira su aria, dove prima c’era una fantastica Pina Colada, nel bicchiere di Paola che non ama(va) i superalcolici; il “Bueno!” esclamato da Alessia per un cavallerizzo in gara a petto nudo nelle campagne di Vinales; il silenzio, l’ottava nota, commosso di Francesca che si apre in confidenza lungo la carretera central; lo scroscio dell’acqua della cascata di Soroa che batte sulla schiena di Maurizio, uno dei pochi riusciti ad arrivare proprio sotto; il rumore del ventaglio di Giovanna, la più “stilosa” del gruppo, che rinfresca gli animi nelle calde sere di Playa Giròn; la voce gommosa e divertita di Paolo, talmente impaziente di immergersi nelle acque della Caleta Buena da aver indossato già in pullman maschera, tubo e pinne; il rumore dell’acqua di Punta Perdiz che si rompe all’unisono, alla fine di un perfetto tuffo sincronizzato con Valentina con la quale si va a tempo non solo in acqua; il tac, tac.. tac tac del salsero Fabio, che ci guida a ritmo di clave nell’alba di Cienfuegos; il rumore del vetro di sedici bicchieri che si scontrano per brindare alla “fortuna nella sfortuna” in un paladar di Trinidad; il “Gesùuu” di Maria Grazia, e le risate che seguono ogni volta, che risuona nelle strade di Camaguey attraversate da otto BiciTaxi; il click dell’otturatore di Mariella, che scatta a immortalare le facce della “gente vera” della Sierra Maestra; il silenzioso boato del sopracciglio di Rita che sbatte, a decretare l’inizio di un “microsonno” che termina pochi secondi dopo in una fragorosa risata per le strade di Santiago; l’impercettibile fruscio con il quale il sorriso di Lilia, sempre allegro e presente, si trasforma in risata soddisfatta per la vittoria di una partita di domino a Playa Imias; il soffio del vento di Baracoa, che porta con sé echi di distruzione, ma si fa dolce quando agita i ricci di Marzia che ammira lo Yunque; le tre canzoni, sempre quelle, che guida e autista mettono a ripetizione nel pullman mentre percorriamo l’interminabile strada tra Guardalavaca e Moron; il sospiro soddisfatto di Paolo, mentre riemerge dalla barriera corallina di Playa Pilar dopo lo snorkeling; il sorriso imbarazzato e al contempo soddisfatto di Raffaella, per gli auguri di compleanno urlati nella piazza e in un paladar di Remedios; ancora il silenzio, di tutti, davanti ai resti del Che nel mausoleo di Santa Clara. E se le note non suonano mai due volte nello stesso modo e si uniscono a formare sempre nuove melodie, questo spartito è quello che conserverò con cura e riascolterò più spesso, sperando di tornare presto a riempirmi occhi e cuore di Cuba e della sua Musica.