Avventure nel Mondo

La magia brutale e liberatoria della natura

da "Isole Faroe" con Avventure nel Mondo
di Carlo Pellegrino
foto di Carlo Pellegrino

C’è qualcosa di liberatorio in un viaggio alle Isole Faroe. Perché c’è qualcosa di brutalmente magico in questo minuscolo arcipelago che sembra capitato lì per caso, nell’oceano Atlantico, tra Gran Bretagna, Norvegia e Islanda. Brutale, come il meteo che si accanisce sulle diciotto isole racchiuse in uno spazio di neppure 1.400 chilometri quadrati, facendo precipitare pioggia su di loro per 280 giorni all’anno. Magico, come la forma perfettamente speciale delle rocce vulcaniche, sulle quali arrampicarsi, spesso sfidando il vento che quando diventa cattivo fa paura, per respirare una natura solitaria e aspra, pacifica e bellissima.

 

Visitare le Faroe è una scelta. La scelta di arrendersi al meteo, assecondandolo, guardandolo dritto negli occhi, temendolo e accarezzandolo. La scelta di dedicarsi all’esplorazione di luoghi per lo più ancora sconosciuti al turismo di massa: scoprire una cascata incastonata in una montagna o raggiungere il picco di una collina non significa seguire il flusso di visitatori che s’incontrano in altri paesi, quanto piuttosto avventurarsi nell’anima di una nazione selvaggia e quasi disabitata, neppure 50mila abitanti, il 40% dei quali (20mila) vivono nell’unica vera città del paese, Tórshavn. La capitale che pare costruita quasi per rammentare che le Faroe sono davvero in Occidente e fanno parte davvero dell’Europa, come nazione costitutiva del regno di Danimarca. La madre patria più odiata che amata, dalla quale rivendicare un’orgogliosa indipendenza.

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Gran Bretagna, Norvegia e Islanda circondano questi luoghi solitari, che in qualche modo ricordano i più noti vicini di mare. Ricordano Irlanda e Scozia, perché come ci si avvicina alla costa è tutto un susseguirsi di adrenaliniche scogliere e faraglioni, che talvolta prendono sembianze improbabili e quasi mitologiche. D’altronde una terra così, con un cielo e un vento così, sembra essere stata creata per alimentare leggende: come Risino og Kellingin, 68 e 71 metri nella costa nord dell’isola di Eysturoy, che sono il gigante e la strega. Due creature venute da lontano per portare via le Faroe. Una missione a tempo, da concludere entro l’alba, conclusa con un fallimento e la condanna a trasformarsi in pietre intrappolate per sempre nell’acqua.

 

Ricordano la Norvegia, perché i villaggi ricchi tetti di torba ma avari di essere umani si specchiano in fiordi fiabeschi in cui il silenzio è spezzato solo dal volo degli uccelli e dalle rare imbarcazioni che si avvicinano alla terraferma. Così come le strade che si arrampicano tra le montagne, offrendo scorci da cartolina.

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Ricordano l’Islanda per le pecore che s’incontrano ovunque, per le spiagge rese nere dalle pietre vulcaniche e perché le dieci, cento, mille cascate che sgorgano dalle montagne disegnano un paesaggio azzurro e di pace. Rigagnoli che s’incontrano uno dietro l’altro, susseguendosi quasi infiniti, placidi e dolci. Pronti a diventare vorticosi quando piove più forte e le montagne iniziano a far scrosciare fiumi impetuosi che fanno chiedersi da dove possa venire e dopo possa finire, così tanta acqua.

 

Viene dalla cima delle montagne vulcaniche, il vero marchio delle Isole Faroe. Arrampicarsi lassù non è per tutti: ci sono lunghi trekking da percorrere, avventurandosi tra le rocce che diventano infida fanghiglia quando piove, sperando che il vento non si accanisca su chi sta camminando. Una fatica ripagata dall’arrivare in cima e sentirsi parte di un paesaggio che si apre di fronte agli occhi sorprendendoli e conquistandoli. Perché dall’alto tutto è diverso, perché la forma delle montagne è ancora più inaspettata e affascinante, incontrando le onde in un tenero abbraccio.

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E finisce nel mare che racconta queste isole come tutte le isole, ciò che le unisce in un andirivieni di traghetti e con avveniristici tunnel scavati anche a 150 metri di profondità. E nei quali, percorrendoli, può perfino capitare di imbattersi in una rotatoria. Proprio i tunnel hanno cambiato la vita dei faroesi, un tempo costretti a salire su un traghetto per ogni spostamento. Ora non più: tra Vagar, Streymoy, Eysturoy e Bordoy, le quattro isole più importanti, ci si sposta facilmente con l’auto, su strade sicure anche quando il meteo ruggisce. A sud si arriva via mare all’isola di Sandoy che incuriosisce perché ospita la cassetta postale più grande del mondo, nel villaggio di Skopun (l’ultimo posto al mondo in cui ci aspetterebbe di trovarla), e all’isola di Suduroy, grande e selvaggia. A nord il traghetto permette di raggiungere l’isola di Kalsoy con la donna foca, altra leggenda del paese, e il faro di Borgadalur, che offre una vista spettacolare, mentre occorre prendere il postale, esperienza nell’esperienza, per assaporare Svinoy, Fugloy e Vidoy, le isole più a nord, puntini nella carta geografica che si vedono per intero senza neanche scendere dalla nave.

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Dolci, amare, sorprendenti Isole Faroe. Perché ti aspetti di emozionarti a Sorvagsvatn, il lago sospeso che si tuffa nell’oceano e che sembra progettato da un ingegnere, diviso tra il desiderio di equilibri impossibili e di natura che diventa arte. O magari alle cascate Mulafossur, la più bella, o Fossa, che finisce la sua corsa dopo un salto a tre livelli. Non quando le mucche highlander appaiono all’improvviso su una collina, costringendoti all’ennesima arrampicata per vederle da più vicino. Non quando all’orizzonte, in cima a una montagna, spuntano conformazioni rocciose che non credevi possibili. E neppure quando per caso, durante una sosta a Mjáuvotn, capita di imbattersi in una casa solitaria, circondata da pecore, prati e fiumiciattoli da saltare uno dietro l’altro per raggiungere la staccionata e nutrire l’anima dell’essenza delle Faroe. Una brutalmente magica immersione nella natura.

Grazie a Alessandra, Daniela, Fabrizio, Italo, Lara, Lucia, Marco, Maria, Massimo, Mattia e Riccardo