Avventure nel Mondo

Koyasan, un filo sottile tra sogno e realtà

da "Giappone solo" con Avventure nel Mondo
di Agostino Falconetti
foto di Agostino Falconetti

C’è un’idilliaca serenità nel paesaggio catturato dai finestrini del treno diretto alle sacre pendici del Monte Koya. 

Sarà quella straordinaria luce mattutina lasciata sui campi di riso che migliora l’umore della giornata e offre slancio al viaggio.

Saranno i boschi di acero rosso nei quali ci immergiamo con il nostro treno, sarà quel fiume dalle acque color giada che appare e scompare nella nebbiolina.

Sarà quella amena stazioncina dal nome colmo di desiderio “Amami”, dove però non è sceso nessuno, che regala per un attimo un sorriso al cuore.

Sarà che a volte non serve essere viaggiatori sognatori perché basta mettere in fila le immagini per fluire armoniosamente nella realtà.

Avventure nel Mondo
Avventure nel Mondo

Il treno esce dalla boscaglia bagnata da una leggera pioggerellina per fermarsi al capolinea di Gokurabashi. L’atmosfera è straordinariamente tranquilla. Zaino in spalla saliamo sulla funicolare diretti al nostro monastero di Kojo San dove pernotteremo ospitati dai monaci. Saliamo fino ai 1200 metri di altezza dove con un autobus attraversiamo l’altopiano coperto di cedri centenari fino a giungere a destinazione. Tutto il percorso è un lento susseguirsi di templi a conferma della sacralità dell’altopiano, da secoli luogo di preghiera e meditazione. Il gemellaggio con Assisi sancisce come religioni diverse comunichino la stessa spiritualità. Nei luoghi dell’anima, con i loro silenzi, il sacro è presenza viva e costante.

Un po’ meno spirituale è la sosta che facciamo prima di prendere posto nel nostro monastero. A pochi metri da dove pernotteremo, due ragazzi francesi hanno aperto una piccola pasticceria. Tè e torta di mele sanciscono come si possano soddisfare languenti voglie occidentali attraverso i luoghi del gusto. Una coppia di giovani provenzali, una moka italiana, un forno da cucina e un violoncellista che suona Vivaldi in una casetta di legno. Una forchetta che affonda nello zucchero a velo con tutta la sua poesia.

Con una rispettosa serie di inchini veniamo accolti al monasteroSekishoin, sfuggendo a nuvoloni grigi carichi di pioggia. Ci accompagna un profumo di resina. Entriamo dal grande portale in legno, scendiamo tre scalini e lasciamo diligenti e rispettosi le scarpe all’ingresso in un armadio apposito. Indossiamo le ciabatte disposte in ordine sul primo gradino. Il monaco dopo averci accolto ci benedice con un braccialetto colorato di buona fortuna che allaccia al polso di tutti, con un piccolo nodo seduto a gambe incrociate. Piccoli gesti nel silenzio. Semplici parole sussurrate in inglese. Poi ci vengono assegnate le stanze e gli orari per la cena. C’è anche l’invito per la preghiera del mattino, così con un sorriso ed un inchino, congiungendo le mani all’altezza del cuore.

Avventure nel Mondo
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Un labirinto di corridoi si snoda nel monastero. Si cammina su pavimenti scricchiolanti illuminati da luci fioche. Gettiamo uno sguardo incuriosito verso la sala della preghiera. Una porta scorrevole in legno apre l’ingresso alle nostre stanze; sono ampie, confronto agevolmente vincente con i loculi di Tokyo e Kyoto.  Le pareti son di carta di riso, il pavimento è il tradizionale tatami di paglia intrecciata sul quale stanotte stenderemo il nostro futon. Non ci sono sedie, solo un tavolino basso con un bollitore per il tè. Una porta si affaccia verso l’esterno, un colpo d’occhio che solo il Giappone, con il suo fascino e la sua storia ti può dare. 

Dalla camera si accede direttamente nel giardino zen posto al centro del monastero. Un giovane monaco, vestito color zafferano, avvolto da una tenue nebbiolina, sta sistemando con cura piccoli bonsai. Scendo lentamente i tre gradini di legno e mi incammino lungo il sentiero di ghiaia che porta al laghetto. L’acqua con il suo dolce scorrere è l’elemento indispensabile, non manca mai in un giardino zen. Il vialetto è contornato di rocce appoggiate sul muschio, rappresentazione di una via senza ostacoli. Niente è lasciato al caso, tutto appare in un ordine chiaro dove si coglie l’armonia delle forme. Un’oasi di pace, un’immersione nella natura tra piacere estetico e benessere che conducono il visitatore laddove i monaci meditano nel silenzio e nella contemplazione. Tra aceri, bambù, canneti e bonsai colgo in questo spazio di grande equilibrio una rassicurante serenità, uno stile di vita che mi trascinano nella millenaria filosofia del Giappone. Un ciliegio ha ormai completato la sua fioritura, è l’unica pianta nel giardino con i fiori che adagio il vento sta staccando: così, come fosse un dipinto che raffigura la fragilità e la fugacità della vita.

Avventure nel Mondo
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Esco dal monastero. È un tardo pomeriggio, mi accompagna una pioggia fine. Seguo un sentiero di ciottoli che si inoltra in una maestosa foresta di cedri. È la cornice fiabesca che conduce al cimitero di Okuno-in.

Immenso, silenzioso, nella oscurità illuminata da tenui luci di candela. Duecentomila defunti, tra tombe ricoperte di muschio, mausolei di samurai e lapidi di combattenti caduti nella guerra del Pacifico. Tutti in attesa del giorno del risveglio. Kukai, monaco fondatore del buddismo esoterico, morto nel 835, in realtà è in un profondo stato di meditazione essendo in stretto legame con le forze dell’Universo e sarà lui il primo a presagire l’arrivo di MIroku, il Buddha del futuro. Sarà Kukai che interpretando i suoi messaggi, risveglierà i duecentomila dormienti del cimitero di Okuno-in. 

 

Respiro tutta la sacralità del luogo. Lo avverto camminando nella vastità solenne di questa natura, nella religiosità inviolata, nel silenzio che ti permette di ascoltare le sottili gocce di pioggia. Lanterne di pietra illuminano il sentiero, panni rossi sulle statue che vigilano le tombe. Ad un certo punto mi accorgo di essere solo e mi sento travolgere dall’essenza del luogo, come se quel posto parlasse alla mia parte più ancestrale facendomi cogliere la sua anima. Un vecchio monaco con un ombrello bianco mi incrocia, uno sguardo e un rituale di saluto. Le parole del silenzio. Tutti gli elementi trovano meravigliosamente il giusto incastro.

Duemila passi tra cedri che proteggono le tombe oscurando il cielo, migliaia di sepolcri caratterizzati da differenti architetture che sfuggono alla memoria. E’ qui che l’occhio sensibile coglie nel suo insieme la configurazione armonica del paesaggio in un quadro pennellato di natura e storia dove una luce eterna illumina il sentiero.

Ed è alla fine del lastricato che, attraversando l’ultimo ponte di legno, appare il tempio dalle mille lanterne, alcune delle quali, secondo leggenda, ardono senza sosta da secoli. Arrivato al mausoleo di Kobo Daishi mi mescolo tra i fedeli che fanno offerte di cibo e accendono incensi e candele votive recitando il loro mantra.

Vibrazioni che ti entrano dentro e ti emozionano provocando un senso di straniamento. I monaci proseguono nel loro canto. Suoni gutturali che ondeggiano nel tempio con la loro suggestiva melodia, versi ripetuti in un susseguirsi corale che suscitano un eco commovente.

Tornare ad emozionarci vuol dire ritrovare il contatto con mondi affascinanti, atmosfere che solo il viaggio ci può dare. Ed è il rapporto diretto di realtà come queste che ci consentono di cogliere sensazioni appartenenti all’esperienza dell’Altrove.

L’oscurità vinta dalle mille lampade, il fumo degli incensi, le preghiere nella serenità. Mi lascio alle spalle tutto questo mentre esco dalla porta principale. La pioggia si è trasformata in nebbia mettendo un velo di mistero tra me e la foresta di cedri. Un filo sottile separa la realtà dal sogno.

Agostino Falconetti