Isole Tremiti
Quando al termine della guerra di Troia l’eroe greco Diomede tornò a casa, ebbe subito il sospetto che la sua bella sposa Egialea non fosse così impaziente di rivederlo. Lei glielo fece capire chiaramente, tendendogli un agguato assieme al suo amante, il giovane Comete; sopravvissuto per un pelo, Diomede pensò bene di cambiare aria. Con qualche suo compagno cornificato come lui, e una nave carica di sassi, tornò in mare e puntò verso l’Adriatico.
Il mare un poco a nord del Gargano, con le sue mille sfumature di azzurro, probabilmente gli piacque molto e vi gettò alcuni bei sassoni che gli ingombravano la nave: nacquero così le Isole Tremiti.
Quando anche per Diomede venne il momento di lasciare questa terra, i suoi compagni non si diedero pace per la sua scomparsa. Lo piansero così a lungo che alla fine Afrodite, forse per accontentare gli abitanti di quei sassoni che non ne potevano più del loro frignare, li trasformò in diomedee. Cioè in uccelli, berte, piccoli albatros, che ancora oggi emettono versi sgradevoli e lamentosi simili a pianti umani, ma almeno lo fanno di notte e lontano dagli abitati. E con il nome Diomedee a lungo furono chiamate anche le isole.
Insomma, è grazie alla fedifraga Egialea che oggi possiamo concederci qualche giorno di vacanza nel paradiso delle isole Tremiti. Se poi qualcuno non crede che sia merito suo, allora può pensare che qualche decina di milioni di anni fa, probabilmente a seguito di terremoti, una parte dell’attuale Gargano si sia staccato ed abbia formato queste isolette che già nel nome, Tremiti, ricorderebbero il ‘tremore’ che le ha create.
Qualunque sia l’origine, a un’ora di traghetto dal porto di Termoli, eccole lì: San Domino, la maggiore, più abitata, turistica, e completamente ricoperta da un manto verde di pini d’Aleppo. San Nicola, più brulla, imprendibile dietro le sue fortificazioni difensive. Capraia o Capperaia che nel nome evoca capre o capperi, ciascuno scelga quello che preferisce. Pianosa, laggiù a oriente, riserva naturale integrale inaccessibile agli esseri umani. Infine Cretaccio, declassato per le sue dimensioni da isola a scoglio, ma a lui non importa. A chi non lo snobba e sceglie di sbarcarci, regala della bella argilla da amalgamare con l’acqua di mare fino a farne un impasto cremoso: bisogna poi spalmarsi la melma in ogni parte del corpo, capelli compresi, diventare infernali mostri gialli e infine sciacquarsi con un bel tuffo in mare. Se dopo si è rimasti brutti uguali e non si dimostrano 20 anni di meno, pazienza, almeno il divertimento c’è stato!
Per entrare in intimità con le isole, consiglio di affittare una canoa. Ad esempio a Cala delle Arene, l’unica spiaggia di sabbia situata vicino al porto. Con qualche pagaiata verso destra (diciamo sud-ovest per i più esigenti) si arriva a Cala Matano; si appoggia la pagaia di traverso sulle gambe e si inizia ad ammirare. L’operazione può durare parecchio tempo, essere ripetuta il giorno dopo, e quelli dopo ancora, senza stancarsi mai di ammirare. Sotto la canoa c’è il mare, con le sue trasparenze azzurre in cui lasciar vagare lo sguardo e i pensieri dietro i pesci curiosi. Poi consiglio di scegliere un’ondina e seguirla nel suo percorso fino in fondo a questa piccola e profonda insenatura, dove si trova una minuscola spiaggetta di sabbia bianca. Dicono che Matano fosse il nome di una contessa che prediligeva questa cala per fare il bagno: come non capirla! Lasciata l’ondina a riposarsi sulla spiaggia, lo sguardo sale oltre il calcare bianco e si perde nel verde della pineta, dove dominano le chiome alte e vaporose dei pini d’Aleppo.
Lassù in alto, discreta e chiara, c’è la villa di Lucio Dalla. Anche lui innamorato di queste isole e di questa cala in particolare. Eccolo, seduto sul terrazzo, mentre ammira la cala; canticchia alcune note, da cui nasceranno le sue immortali melodie. Un giorno gli viene un’idea: dedicare a questa vista un intero album. Sarà Luna Matana, omaggio alle lune che si godeva su Cala Matano.
Quando poi le braccia non ne possono più di pagaiare, ma ormai la voglia di esplorare le cale dal mare ha preso il sopravvento, consiglio di fare un giro su una barca a motore. Ad esempio con Mattia, ciuffo da Tintin su profondi occhi azzurri. D’inverno lo si può incontrare a Londra a fare il cameriere o lo skipper in Australia. Ma d’estate è qui, a raccontare le sue isole a chi ha voglia di ascoltare. E così di ogni cala Mattia rivela la storia che a lui bambino raccontava O’ Re, al secolo Vincenzo Carducci, classe 1887, un tremitese che combatté per gli oceani durante la II Guerra Mondiale e poi tornò alle sue isole di cui conosceva ogni segreto.
Con la sua agile barca Mattia permette di esplorare tutta la costa e le insenature di San Domino e di fermarsi più volte per un tuffo rinfrescante. Poi punta verso le altre isole dell’arcipelago. Di Cretaccio e di cosa si può fare con la sua terra argillosa ho già detto. Allora mi rivolgo a Capraia, brulla e disabitata. Sulla costa nord c’è la cala dove i pirati prendevano le pietre così ben levigate dal mare, già pronte per farne palle da cannone (è vero o è un’invenzione di O’ Re?). C’è un faro, un ‘architiello’ naturale, poi si doppia la punta più orientale e si torna per la costa sud dove c’è una casetta. La sola dell’isola, dove abita una donna coraggiosa che chiamerò Maria. Dall’altra parte di questo stretto braccio di mare c’è l’isola di San Nicola, alta e imprendibile nelle sue mura difensive. Posto ideale per farne una prigione, come in effetti capitò fino al periodo fascista. Lassù c’è un detenuto che dal suo quadrato di finestra riesce a vedere solo la casetta dell’isola davanti. ‘E sognò la libertà, e sognò di andare via …’ E’ Dalla che racconta questa storia nella canzone La casa in riva al mare. Mattia la fa ascoltare, e si naviga in silenzio, ritrovando con lo sguardo i luoghi cantati nella canzone.
Il giro in barca finisce, la magia evocata dalla musica di Dalla, dalla bellezza di queste isole e dai racconti di O’ Re fatti rivivere da Mattia, no. Domani ci sarà un altro angolo delle Tremiti da esplorare, nel verde della pineta o nella tavolozza azzurra del mare. Magari andremo a cala dei Benedettini, dove Davide, anche lui emigrante d’inverno, ma legato alla sua terra d’estate, ci offrirà da assaggiare un riccio appena raccolto dal mare.
Oppure pagaieremo verso i Pagliai, grossi scogli a forma di covoni di paglia davanti a una spiaggia tropicale, o verso la Grotta delle Viole, per nuotare in mezzo a branchi di occhiate.
Infine non scorderemo di andare a San Nicola, dove c’è la tomba di Diomede. Passiamo a dargli un saluto e rivolgiamo un pensiero alla sua sposa. Fosse stata una Penelope fedele e pantofolaia, noi non saremmo qui!