Avventure nel Mondo

Taiwan: l'altra Cina

Ilha Formosa Taiwan… e mi sono detto: “Perché no?”. La Cina popolare l’avevo visitata qualche anno fa, ed ora poteva essere interessante andare a vedere l’altra Cina, quella nazionalista, prima che sparisca fagocitata dall’ingombrante vicino come accaduto a Hong-Kong e Macao
di Marco Foglino
foto di NICOLA GINETTI

Fatta eccezione degli ultimi settanta/ottanta anni, la storia di Taiwan, o Formosa, corre in tutto e per tutto parallela alla storia della Cina. Le due storie divergono nella seconda metà degli anni ’40, quando la rivoluzione maoista fonda, nella Cina continentale, la Repubblica Popolare Cinese mentre Chiang Kai-shek si rifugia a Formosa e crea la Repubblica di Cina, che governa con un regime autoritario e, a tratti, brutale ma conduce verso uno sviluppo economico frenetico e una successiva evoluzione politica liberale. Oggi Taiwan è una delle democrazie più avanzate dell’Asia e, anche in rapporto alla sua piccola estensione, una delle economie più progredite.

Per questo l’interesse della Cina popolare nei suoi confronti si è improvvisamente risvegliato e Xi Jinping non perde occasione per minacciare la piccola isola con ripetute esercitazioni militari sullo Stretto (il braccio di mare che separa Formosa dalla Cina continentale), l’ultima pochi giorni prima della nostra partenza.

Così, quando, navigando sul sito di Avventure, mi sono imbattuto nel viaggio Ilha Formosa Taiwan con partenza 18 agosto, mi sono detto: “Perché no?”. La Cina popolare l’avevo visitata qualche anno fa, ed ora poteva essere interessante andare a vedere l’”altra” Cina, quella nazionalista, prima che sparisca fagocitata dall’ingombrante vicino come accaduto a Hong-Kong e Macao. Prima che sia troppo tardi, consapevoli che potrebbe non esserci un domani per quello che vediamo oggi. Quindi, dopo qualche telefonata di rito al Coordinatore per fugare gli ultimi dubbi, finalmente si parte!

Il viaggio di andata prevede un transito in Cina con trasferimento dall’aeroporto di Shanghai Pudong a quello di Shanghai Hongqiao. E qui iniziano i primi problemi. Per il passaggio in Cina è richiesto tassativamente un tampone Covid negativo che ciascuno di noi diligentemente si procura prima di partire da casa o direttamente in aeroporto. Inoltre, occorre compilare un modulo on-line per fornire tutta una serie di informazioni e dichiarare lo stato di buona salute, a seguito del quale viene rilasciato un QR code che andrà esibito all’ingresso in Cina.

Tutto a posto? No! Al check in di Malpensa ci bloccano, ci radunano tutti allo stesso banco ed iniziano a fare una serie di telefonate. Alla fine ci lasciano partire, ma ci avvertono che il transito in Cina è “fuori procedura” e a Shanghai probabilmente ci faranno il terzo grado. E in effetti il passaggio in Cina è piuttosto travagliato: compiliamo dei moduli cartacei, li compiliamo nuovamente perché i primi erano sbagliati, superiamo diverse code, mostriamo il passaporto, il QR code, impronte digitali, alla fine ci rilasciano un visto d’ingresso per quelle poche ore che trascorreremo nel Paese. Ci trasferiamo all’altro aeroporto e lì succede l’inverso: altre code, ci ritirano i moduli cartacei che avevamo compilato, di nuovo controllo del passaporto passaporto, visto di uscita e si parte per Taipei. L’unico documento che non ci chiedono è il tampone Covid negativo…

All’arrivo siamo stremati, sia per il fuso orario, sia per la burocrazia cinese, perciò ci limitiamo a cercare un posto dove mangiare, approfittando però per visitare un mercato notturno di Taipei. E il mercato ci accoglie con la sua confusione frenetica di motorini, biciclette, carretti, pedoni, bancarelle e botteghe che vendono di tutto, compreso naturalmente del cibo. Soprattutto sulle bancarelle, le cose da mangiare sono delle specie più varie, spesso neppure riconoscibile come tale, ed emana odori talvolta insopportabili, da togliere il respiro, un misto di carne e piume scottate con il combustibile usate per scottarle. Quando ormai, scoraggiati, stiamo per ritirarci verso l’albergo, alcuni di noi trovano posto in un locale dove mangiamo anche piuttosto bene, rigorosamente cinese.

Quello successivo, il 20 agosto, è il primo giorno pieno a Taipei. Si parte al mattino con la visita al Museo del Palazzo fi Taipei, e qui, se qualcuno avesse ancora dubbi sulla comunanza storica tra Cina e Taiwan, li risolve senz’altro. È la più grande collezione di arte cinese al mondo, che copre dalle origini fino alla fine del Celeste Impero e spazia dalla scultura religiosa buddista alla pittura su carta di riso, all’arte calligrafica, ai testi antichi, monili in giada e altro ancora. Più genuinamente taiwanese è il Museo degli Aborigeni, che illustra la vita delle antiche popolazioni di Formosa prima dell’arrivo dei cinesi. All’uscita dai musei ci sorprende un violento acquazzone che trasforma le strade in fiumi di acqua putrida e ci obbliga a rifugiarci in un 7-Eleven, un minimarket di una catena molto diffusa in Estremo Oriente, dove approfittiamo per fare pranzo. Alla sera riceverò un messaggio da un mio amico in Italia che mi avvisa di un allerta meteo su Taiwan. Eh già…

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Nel pomeriggio, sotto un cielo ancora plumbeo e a tratti qualche goccia, vediamo il Tempio di Confucio e poi il Tempio di Lungshan. In Cina avevo visitato parecchi templi buddisti e taoisti e, per lo più, mi avevano dato l’impressione di trovarsi lì appunto per essere visitati, affollati di gente, anche cinesi, che guardano in giro e magari comprano qualche souvenir nell’immancabile tourist shop. Mi ha profondamente colpito come questi templi siano “vivi”, popolati di persone che sono lì per compiere i loro riti religiosi: inginocchiati davanti ad uno dei numerosi altari, spesso con un bastoncino di incenso tra le mani giunte, restano in silenzio per alcuni minuti, concludono con una serie di inchini (si dice che il numero e l’ampiezza dipenda dall’importanza della preghiera), quindi accendono il bastoncino e lo inseriscono in un braciere dove decine di altri bastoncini già levano al cielo i loro fumi. E colpisce ancora di più la giovane età della maggioranza di questi adepti, coppie giovanissime che pregano insieme o il fratello maggiore che accompagna il fratellino al tempio. È quasi imbarazzante curiosare e fotografare mentre loro sono così intenti nelle loro pratiche, anche se mai hanno dato segno di una benché minima insofferenza nei nostri confronti.

Il mattino dopo lasciamo Taipei con il nostro pulmino per iniziare il giro dell’isola. Il viaggio si snoda tra colline coperte di foreste, molto verdi, e aree industriali e residenziali, a tratti si vede il mare dalla costa che si affaccia sulla Cina. Dopo una visita al Tempio Mazu a Lukang con le sue file di lanterne rosse, ci inoltriamo verso l’interno per raggiungere il Lago del Sole e della Luna dove giungiamo nel primo pomeriggio. Dovremmo arrivarci in traghetto, invece ci arriviamo in pulmino per incomprensioni con l’autista che, purtroppo, si trascineranno per tutto il viaggio. Il lago è carino ma appare un po’ triste per la foschia che ancora pesa dalle piogge del giorno precedente. Il Tempio di Wen Wu che si trova sulle sue sponde, invece, è spettacolare, reso unico dall’affaccio sul lago e dalla sua posizione sul fianco di una collina lungo il quale si può salire tra scalinate, terrazzi, costruzioni e tempietti di tutte le forme e dimensioni, fino ad arrivare alla grande balconata sulla sommità. Spettacolare è anche il bed&breakfast dove passiamo la notte, tutto ispirato al lago e alla nautica, con una grande barca piena di libri nella reception e altre barche inchiodate qua e là sulla facciata che da sulla strada, e stanze a tema tutte diverse.

La giornata seguente ci accoglie finalmente con un sole senza compromessi e il lago sembra ora tutt’altra cosa, peccato che l’autista non ci consenta di fermarci neanche per una foto. Ritorniamo verso la costa di fronte alla Cina, quindi pieghiamo verso sud per raggiungere Tainan. A Tainan facciamo colazione e visitiamo l’Hayashi Department Store, un centro commerciale costruito ai tempi dell’occupazione giapponese, che non lascia il segno. Più interessante il Forte Olandese, con la sua torretta, i suoi giardini e i suoi vecchi cannoni.

Raggiungiamo infine Kaohsiung dove ci attende la costruzione tradizionale forse più famosa di Taiwan, la coppia di pagode gemelle del Dragone e della Tigre sul Lotus Pond, un vasto lago artificiale. Purtroppo le due pagode sono in ristrutturazione, coperte da impalcature e inaccessibili, ma sulle sponde ci sono tanti altri templi grandi e piccoli, statue, costruzioni di vario genere che si spingono fino in mezzo al lago collegate da ponti e passerelle, tutti coloratissimi. Iniziamo il periplo ma è impossibile completarlo nel tempo che ci resta, perciò torniamo indietro dopo aver visitato alcuni dei templi sulla riva. La sera trascorre piacevolmente nella zona del porto, che ospita un centro artistico con installazioni molto particolari, murales e tensostrutture avveniristiche.

Non lontano da Kaohsiung si trova il monastero di Fo Guang Shan, che raggiungiamo la mattina dopo. È molto vasto, impossibile vederlo tutto, perciò ci disperdiamo in piccoli gruppi nelle diverse aree del sito. Incontriamo un giovane monaco buddista con il quale tentiamo di fare conversazione, un po’ con lo scarso inglese parlato da ambo le parti, un po’ con l’aiuto di Google Translator che ci supporterà spesso durante il viaggio. È molto disponibile, anche se un po’ sospettabile di voler fare proselitismo (per prima cosa ci mostra il calendario dei prossimi corsi di meditazione e ci incoraggia a partecipare). Su nostra richiesta ci spiega le differenze tra buddismo e confucianesimo, del primo ci decanta i pregi e le virtù, quindi ci mostra la sala di meditazione. Completiamo il giro con le altre sale dalle pareti coperte di testi, dipinti e fotografie (ce n’è anche una che ritrae il Papa a colloquio con un monaco) e il tempio vero e proprio con grandi statue del Buddha.

Lasciato il monastero ci dirigiamo decisamente verso est per portarci sull’altro lato dell’isola, quello rivolto all’Oceano Pacifico. Qui è prevista una sosta bagno, quindi l’autista, con il quale perdurano le difficoltà comunicative, ci scarica nei pressi di uno stabilimento balneare. È uno stabilimento piccolo, simile a quelli che si trovano nei paesini della Liguria, ma completo di tutto: cabine, docce, chiosco ristorante con tanto di chiamata wireless (che non sempre funziona) quando l’ordinazione è pronta, tavolini, pergolato. Però la spiaggia è deserta, niente ombrelloni, niente lettini, neppure turisti fai-da-te con il loro telo mare. Nessuno fa il bagno. Ci chiediamo il perché di questo deserto, ci sono solo dei minacciosi cartelli, in inglese e in cinese, che avvertono genericamente della mancanza di assistenza salvataggio e scaricano ogni responsabilità sull’incauto bagnante. Decidiamo di fare una passeggiata lungo la spiaggia, ma in acqua non si vede nessuno. Qualcuno dal gruppo si stacca e il bagno lo fa lo stesso, senza incorrere in alcun pericolo.

Tornati allo stabilimento pranziamo e ripartiamo per Chihpen, verso nord lungo la costa del Pacifico. Sulla strada ci fermiamo alla riserva naturale di Jhihben, popolata di macachi e ben attrezzata con sentieri e passerelle.

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Alla partenza da Chihpen, il mattino dopo, tocchiamo con mano quella tensione geopolitica che, fino ad allora, avevamo visto solo al telegiornale. Stiamo facendo colazione quando sentiamo un rombo assordante e vediamo tutti correre alla vetrina per guardare fuori. Siamo così sorpresi che non facciamo in tempo ad alzarsi anche noi, ma non tardiamo a scoprire l’origine del rumore: poco dopo, siamo all’aperto, un rombo simile annuncia un jet militare che, comparso da nord, attraversa il cielo basso sui tetti delle case e scompare alzandosi verso sud. Il punto di partenza di quegli aerei lo incontriamo poco dopo, mentre lasciamo la cittadina. A lato della strada, verso l’entroterra, corre la pista di un aeroporto militare dal quale, ogni 4 – 5 minuti, decolla un caccia che poi, con un’ampia virata, inverte la rotta e si porta sul mare per allontanarsi infine dietro di noi. Un’esercitazione o, forse, un’operazione di pattugliamento per sorvegliare le esercitazioni cinesi in corso sullo Stretto.

Noi, intanto, proseguiamo il giro dell’isola risalendo lungo la costa del Pacifico. Visitiamo l’area di Xiao Ye Liu con le sue formazioni rocciose, interessanti sotto l’aspetto geologico e spettacolari alla vista. Quindi il Water Running Upward, “L’acqua che corre verso l’alto”, un’illusione ottica costruita ad arte che potrebbe trovarsi ovunque, il cui solo pregio è quello di non costare nulla a patto di passare indenni tra i chioschetti piazzati al termine della passeggiata. Infine il ponte Donghe, su un fiume popolato di canoisti che scende da una stretta gola tra le montagne.

Ci fermiamo per pranzo presso i Tre Immortali, una serie di tre scogli rocciosi uniti da una passerella. Peccato che la passerella sia chiusa, perciò non ci resta che accomodarci all’ombra della stessa per una mezza giornata di spiaggia non prevista. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Hualien, dove ci fermeremo per due notti. La prima sera, alla ricerca di un posto dove mangiare, in cinque o sei ci proponiamo di trovare un ristorante dove servono i classici ravioli ripieni cinesi. Adocchiamo un piccolo locale dove ci sono solo due di quei grandi tavoli rotondi con una piattaforma girevole al centro per il passaggio delle portate, anche questo un classico cinese, uno dei quali è occupato da un nutrito gruppo di abitanti del luogo. Entriamo e cerchiamo di spiegare che cosa vogliamo al proprietario, il quale, quando capisce, ci fa accomodare al tavolo libero, fa di tutto per accontentarci e ci porta degli ottimi ravioli, noodles e tutto ciò che riesce a recuperare dalla dispensa. Intanto suscitiamo l’interesse dei taiwanesi all’altro tavolo che iniziano a richiamare la nostra attenzione con gesti, sorrisi e le classiche domande, da dove veniamo, com’è l’Italia. La serata finisce in una festa tra noi, il gruppo dei taiwanesi, il proprietario e sua moglie con foto di gruppo, selfie, bevute di grappa cinese e conversazioni supportate da Google Translator. Il conto finale è l’equivalente di cinque euro a testa! La sera dopo ci portiamo tutto il gruppo. Avvertiamo in anticipo il proprietario che, questa volta, ci prepara una cena completa, anche troppo abbondante. Per caso o per scelta, c’è di nuovo la tavolata dei taiwanesi, così si ripete, più in grande, la festa della prima sera. Alla fine lasciamo appiccicato sulla vetrina l’adesivo di Avventure nel Mondo, per segnalare ai gruppi futuri che quel locale è OK.

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La giornata di Hualien è completamente impegnata nell’escursione alle gole di Taroko, un suggestivo complesso di orridi, grotte, dirupi scavati da diversi torrenti nella montagna. I più sportivi riescono a salire, con un tratto di trekking leggero, fino ad un insieme di chioschetti dove gli aborigeni, nativi dell’isola, vendono i loro prodotti, ma la gran parte dell’area rimarrà inesplorata per il gruppo. Si riesce comunque a visitare anche il Santuario dell’Eterna Primavera, sebbene in parte inaccessibile causa lavori in corso. Il viaggio volge al termine, la mattina del 26 agosto lasciamo Hualien per risalire a Taipei e completare così il periplo. Sulla strada incontriamo un centro di lavorazione del marmo, di interesse prevalentemente commerciale, e la lunga spiaggia che conduce alle scogliere di Qingshui. Nel mezzo, un interessante museo scientifico tecnologico dove ci invitano a provare il simulatore di tifone. In sostanza è una galleria del vento dove siamo collocati in fila uno dietro l’altro e assicurati con sostegni e imbragature. Quando il sistema si avvia la corrente d’aria si alza, diventa quasi difficile respirare e gli occhi si seccano, mentre il boato del vento trapassa le orecchie e su uno schermo vengono proiettati filmati di un uragano. L’esperienza è abbastanza realistica e sconvolgente, anche perché alla fine scopriamo che corrisponde solo ad un tifone di intensità medio-bassa.

A Taipei, dove arriviamo in tarda mattinata, l’ultimo e definitivo malinteso con l’autista ci porta all’albergo invece che alle terme nel sobborgo di Beitou, come pensavamo di aver concordato. Ci rifiutiamo di scendere ed otteniamo di andare alle terme, dove una parte del gruppo decide di provare l’esperienza. Una serie di regole bizzarre, che proibiscono per gli uomini il costume a pantaloncino, e i custodi inflessibili che pretendono di controllare l’abbigliamento di ciascuno impediscono alla maggior parte di entrare; inutile discutere, perciò ci disperdiamo nei dintorni a cercare un posto per il pranzo. Nei parchi dell’area termale tanta gente che pratica il tai-chi, un altro segno della spiritualità diffusa nell’isola. Nel pomeriggio riusciamo a convincerlo ad accompagnarci ancora al Taipei 101, il famoso grattacielo della capitale dalla caratteristica forma di pannocchia di mais, dove finalmente ci abbandona, si può immaginare, con suo grande sollievo.

L’ascensore del Taipei 101 ci porta rapidamente agli ultimi piani accessibili al pubblico. La vista è molto suggestiva sia verso l’esterno, dove è possibile godere di un panorama a 360 gradi sulla città di Taipei, sia verso l’interno, con l’affaccio sul dispositivo per il bilanciamento delle oscillazioni del grattacielo, un’enorme sfera pesante centinaia di tonnellate sorretta da cavi d’acciaio che qui è esposta ai visitatori. L’ultimo piano è occupato da una terrazza scoperta sovrastata da una torre che costituisce la parte sommitale. Il 27 agosto, ultimo giorno a Taiwan, ci riserva ancora uno dei momenti più significativi dal punto di vista storico, la visita al mausoleo di Chiang Kai-shek. Si trova al fondo di una vasta piazza che, significativamente, ricorda un po’ una piccola Tienanmen, una costruzione massiccia con una grande scalinata che conduce all’atrio principale. All’interno una grande statua di Chiang Kai-shek seduto su un trono tra due bandiere taiwanesi, sorvegliato da un plotone di guardie.

Aspettiamo il momento del cambio della guardia, all’approssimarsi del quale l’atrio si riempie di curiosi. Il cambio entra da una porta laterale, compie alcuni passaggi a ritmo di marcia, presentat’arm, saluti verso il simulacro e verso il pubblico, si mescola con le guardie preesistenti e infine prende il loro posto mentre queste si ritirano. Alcuni passi della coreografia lasciano un po’ perplessi (fucili lanciati in aria o mulinati a mo’ di mazze da majorette), ma nel complesso la cerimonia è decisamente suggestiva. Nel pomeriggio si parte per l’Italia. Il viaggio di ritorno non prevede il cambio di aeroporto in Cina, ma non per questo è meno complicato. A Shanghai veniamo fermati insieme ad altri stranieri, ci vengono aperti e perquisiti i bagagli, infine, dopo le ultime verifiche e fotografie, ci lasciano partire. Quando ormai pensiamo di essere arrivati, un temporale sopra Milano ci obbliga a fare qualche giro sulla pianura Padana per dirottare, infine, nientemeno che a Francoforte. Tre ore sulla pista dell’aeroporto di Francoforte, si riparte e, finalmente, si atterra a Malpensa. Saluti, propositi di rivedersi e ognuno si avvia alla propria destinazione finale.

Che impressione hanno lasciato, in definitiva, questi dieci giorni mal contati a Taiwan? Che cosa si è visto di diverso, e cosa di simile, rispetto alla Cina popolare? L’impressione che avevo ricavato dal precedente viaggio in Cina era stata piuttosto controversa, di un paese dalla storia millenaria interrotta e sconvolta da una rivoluzione che ha lasciato forti contraddizioni. Per certi aspetti, e semplificando molto, Taiwan rimane invece la “vera” Cina, quello che sarebbe diventato il Celeste Impero se non fosse passato attraverso le follie ideologiche della Rivoluzione Culturale e i disastri economici del Grande Balzo in Avanti. La spiritualità che continua a vivere nei suoi templi buddisti e confuciani è la stessa che in Cina fu stroncata dalle Guardie Rosse. Lo sviluppo economico che l’ha portata a diventare, tra l’altro, leader mondiale nella produzione dei semiconduttori è lo stesso che oggi, con dimensioni ben diverse, la Cina insegue.

Questo, in poche parole, è ciò che mi ha lasciato di Taiwan questo breve viaggio. Forse un po’ ingenuo e semplicistico, ma sicuramente molto vivo. Sperando che non diventi mai troppo tardi per vedere questa Cina, ancora oggi forse più autentica di quella che tutti conosciamo.

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