Avventure nel Mondo

Il gioiello dell'Atlantico

da "Azzorre Discovery" con Avventure nel Mondo
di Giulio Seva
foto di Giulio Seva

Ametà strada tra l’Europa e l’America, lontanissime da tutto, si trovano le Azzorre, nove isole sorelle incastonate nel cuore dell’Oceano Atlantico, nove piccoli paradisi terrestri ognuno dei quali racchiude un mondo a sé stante. Nove isole, nove colori, nove sfaccettature ma tutte accomunate da quella natura allo stesso tempo indomita e rilassante che le caratterizza. Scoperte dagli infaticabili colonizzatori portoghesi nel XV secolo furono proclamate Regione Autonoma del Portogallo nel 1976. Le Azzorre sono un arcipelago antipopulista, paradiso del welfare e dei diritti sociali. Qui il governo locale ha infatti attuato una politica a sostegno di giovani e famiglie, una politica di integrazione e sostegno verso meno abbienti, alcolisti ed ex tossicodipendenti. L’onda sovranista che stritola l’Europa, postumo dei condizionamenti economici della UE, è un lontano ricordo. Questo è un luogo dove nessuno viene lasciato indietro, un paradiso dove si sceglie di restare, una delle mete più affascinanti e richieste da chi desidera uno stile di vita radicale. Si trovano in uno degli angoli più remoti e conosciuti del Vecchio Continente. Una leggenda le vuole residuo di Atlantide, il mitologico regno insulare citato da Platone ma in realtà non sono altro che terre di nuova formazione creatasi a seguito di un’intensa attività vulcanica. E questa loro natura è visibile un po’ ovunque, dalle spiagge nere come la pece, ai geyser, alle sorgenti termali, ai numerosi crateri che svettano all’orizzonte e che andremo a scoprire in quest’avventura che sta per cominciare.

21 Agosto: Italia / Terceira

Siamo a fine Agosto 2020, il mondo è ancora sotto scacco a causa di una pandemia che negli ultimi mesi è venuta a condizionare e sconvolgere la nostra normalità e le nostre scelte. E questo viaggio è arrivato un po’ per caso. Le Azzorre non erano mai state tra le mete che avrei voluto visitare a breve, io già mi vedevo a passare le vacanze al freddo dei salares boliviani ma spesso è il destino a scegliere per noi e normalmente (almeno lui) non commette errori. Il nostro viaggio incomincia un paio di giorni prima della partenza quando tutti, ognuno nella sua città d’origine, ci sottoponiamo al tampone per scongiurare l’infezione da Covid-19. Infatti, le Azzorre sono isole Covid-free e obbligano chiunque le visiti a sottoporsi ad un primo tampone in loco o 72h prima della partenza e ad un secondo a sei giorni di distanza. Noi scegliamo quindi di farlo prima di partire, una decisione che ho preso per vivere da subito il viaggio con maggiore sicurezza per tutti. Mi incontro con parte del gruppo a Milano, un breve scalo a Lisbona dove ci riuniamo con coloro che partivano da Roma e Venezia, ancora qualche ora di volo ed è ormai la tarda sera del 21 Agosto quando atterriamo a Terceira. Scoperta dai portoghesi, probabilmente tra il 1420 e il 1430, inizialmente fu designata come “isola di Gesù Cristo” e solo in un secondo momento le venne attribuito quello di Terceira, proprio a ricordare che dopo Santa Maria e São Miguel fu la terza ad essere conosciuta. Dominata dal profilo della Serra do Santa Barbara Terceira fra le cinque isole che formano il corpo centrale dell’Arcipelago è quella più orientale. È conosciuta come “l’isola lilla” in quanto al culmine della fioritura appare come un grande spazio viola con sfumature che vanno dallo stesso lilla al porpora. Sono le ortensie che bordeggiano strade e campi e le campanelle che si arrampicano sugli alberi a regalarle questa suggestiva colorazione. Ad attenderci fuori dall’aeroporto incontriamo quelli che saranno le nostre guide nei prossimi giorni, Rui e Gabriele. Da subito capiamo che non saranno delle semplici guide ma che entreranno a far parte del gruppo stesso molto presto. Ci sistemiamo in un grande appartamento nel centro di Angra do Heroismo, capoluogo e città più antica delle Azzorre, fondata nel 1534 e diventata in seguito il centro politico ed economico più importante dell’Arcipelago. Andiamo a riposare, trepidanti per l’inizio di quest’avventura. Che Angra fosse una cittadina molto vivace ce lo avevano detto, che tutto il caos fosse concentrato nel baretto sotto casa frequentato da quattro gatti e su cui affacciava la camera mia e di Lorenzo lo scopriamo dopo poco.

22 Agosto: Terceira

È mattina presto quando saliamo sulle nostre jeep e cominciamo il tour dell’isola. Terceira nel suo perimetro offre una quantità di panorami sconfinati che vanno da scogliere a picco sull’oceano a crateri ormai ricoperti dalla più variegata vegetazione. Tra tutte le isole è infatti quella che ha conservato meglio la propria vegetazione endemica: è dominata dal verde delle dense aree boschive che ne caratterizzano soprattutto la parte centrale, colore che invece tende ad alleggerirsi verso la periferia dove l’occupazione umana ha avuto la meglio. Ed è proprio in quella parte dell’isola che ci dirigiamo. Arriviamo a Malha Grande da dove ha inizio uno dei trek più famosi dell’isola: il Rocha de Chambre, un percorso ad anello di 9km che si sviluppa per gran parte all’interno di una foresta di criptomerie, il cedro giapponese, un albero sempreverde dalla corteccia rosso- bruna e con un fusto dritto e poco rastremato che si protende verso l’alto fino a sfiorare i 40 mt. La vegetazione è incredibile ed il clima talmente umido che siamo appena partiti e siamo già da buttar via. Attraversiamo ponti e sentieri che costeggiano corsi d’acqua e raggiungiamo la Vale do Azinhal e quindi i 708mt del punto più alto del percorso da cui si può volgere lo sguardo verso la riserva naturale di Biscoito da Ferraria e Pico Alto. Riscendiamo attraversando pascoli a perdita d’occhio, abitati dalle mucche che da queste parti sembrano essere le padrone dell’isola; d’altronde sono loro a reggere l’economia locale con la produzione di latte, formaggio, yoghurt e burro. Arriviamo quasi alla fine del trek e ci dividiamo in due gruppi. Ci perdiamo ovviamente entrambi risalendo senza alcun senso logico le stesse radure appena discese per poi raggiungere alla bene meglio il sentiero principale coi suoi bellissimi muri di erica ad avvolgerci. Arrivati a destinazione riprendiamo la jeep e ci spostiamo sulla costa settentrionale alle vicine piscine naturali di Biscoitos, create dalla lava di antiche eruzioni vulcaniche. Le Azzorre infatti, pur essendo isole, non hanno molte spiagge ma questo non preclude di poter fare un tuffo in scenari ancor più fantastici di quelli che può regalare una distesa di sabbia. Ed è questo il caso delle numerose piscine naturali che caratterizzano tutte le isole dell’arcipelago, piccole baie quasi sempre attrezzate, incastonate nella roccia e al riparo dal tumulto dell’oceano. Ci godiamo qualche momento di relax ammirando quello splendido paesaggio, reso unico dal contrasto tra il colore scuro del basalto e l’azzurro delle acque dell’Atlantico. È ormai metà pomeriggio e prima di tornare in città passiamo gli ultimi momenti facendo una divertentissima esperienza di off-road in jeep con Rui in mezzo alla selva azzorriana. Non abbiamo la radio ma ad allietarci c’è Alice che ci canta il suo repertorio musicale dei primi anni ‘90; la vera fortuna è avere il fuoristrada scoperto e quindi non dover dissipare tutta la cassa comune per ripagare la vetreria che si sarebbe pure lei suicidata dopo poco. Tempo di tornare a casa, una doccia veloce e le nostre guide che in questi giorni non hanno alcun momento di pausa ci vengono a prendere per andare a cena in un ristorante di pesce affacciato sul porto di São Mateus. In quindici ci andiamo con la solita jeep scalcagnata, mentre Lara viene accompagnata dallo stesso Rui con la sua cabriolet rosso fuoco. Il nostro Rui è sicuramente un buongustaio, ma Lara lo lascia da subito con un palmo di naso e senza alcuna indecisione, tra l’altro. Finisce così la prima vera giornata del nostro viaggio e andiamo a letto abbastanza stremati.

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23 Agosto: Terceira

Ci svegliamo e anche oggi splende un sole accecante su Terceira. Di norma le Azzorre sono caratterizzate da un clima primaverile tutto l’anno con una temperatura che non scende mai sotto i 16°C, fattore favorito dal fatto che si trovano nella parte temperata dell’emisfero Nord. Tuttavia, le precipitazioni, seppur moderate, sono molto frequenti e a questo è infatti dovuto il loro ambiente verde e lussureggiante. Di questa variabilità meteorologica ad ora fortunatamente non ne troviamo traccia e, anzi, già dopo la giornata di ieri gran parte di noi è abbronzata come Pantani dopo una tappa del Giro d’Italia. Una menzione particolare la merita Davide che avrà già circa una 6/7 tonalità di colore differente addosso e, spoiler, la situazione non andrà migliorando nei giorni a venire. Anche oggi cominciamo con un trek e ci dirigiamo verso Nord, a Picos dos Loiros, dove ha inizio il sentiero Baías de Agualva, un facile percorso di circa 4km, quasi tutto a ridosso della costa. Ci troviamo in una delle principali icone geologiche dell’isola. Qui la lava nei secoli ha prodotto formazioni di basalti colonnari che si sono riuniti creando imponenti promontori. Il panorama è meraviglioso con vertiginose falesie che sembrano cadere a picco nel mare, creando un litorale che sembra quasi scolpito da una natura sapiente e consenziente. Il percorso è facile e quasi interamente pianeggiante. Sara decide di cibarsi di tutti i fiori che ieri Rui ci ha detto essere afrodisiaci, i Roca de Velha, e che prima del suo arrivo costituivano la specie che più caratterizzava il sottobosco dell’isola; roba che fossi Caterina, sua compagna di stanza, dormirei con un occhio aperto. Ci fermiamo in qualche miradouro a goderci quella sensazione di infinito che solo l’oceano riesce a regalare con la sua innata sfrontatezza e, attraversando sentieri delimitati da una parte da antichi recinti in pietra per le viti e dall’altro dalla macchia costiera, arriviamo a Ponta do Mistério da dove è possibile scorgere un piccolo lago costiero tra le rocce. Bellissimo il lago, meno la visione da lontano di Davide C. che ha deciso in autonomia di raggiungerlo, probabilmente inventandosi sul momento un sentiero. Niente di male, sarà solo un segno premonitore di quello che avverrà nei giorni a seguire dove con mezzo occhio controllerò il gruppo e con uno e mezzo il buon Davide per capire in quale avventura e/o sport estremo abbia improvvisamente deciso di cimentarsi: dal tuffo da rocce a picco sul mare a nuotate al largo delle tranquille acque dell’Atlantico. Terminiamo il sentiero e ci dirigiamo verso le piscine naturali Das Quatro Riberiras, nel distretto di Praia da Vitória, un luogo paradisiaco contorniato da formazioni rocciose di lava solidificata scolpite nei secoli dalle onde del mare. Tra tutte quelle che vedremo nei giorni a seguire queste sono di certo le piscine che più mi sono piaciute, sia perché meno affollate sia per quelle acque trasparenti in cui sarei rimasto per ore a bagno. Ritorniamo verso casa. Questa sera andiamo a cena al Tasca das Tias, rinomato per il tonno alla griglia che infatti si rivelerà il più buono che ognuno di noi avrà mangiato fino ad ora nella sua vita. Cogliamo l’occasione per visitare il piccolo centro di Angra do Heroismo con le sue case tutte uguali ma diverse nei colori. Sembrano antiche anche quando in realtà non lo sono. Sono semplici, con porte e finestre regolarmente disposte, senza particolari giochi di volumi e sporgenze, senza persiane ma con tende bianche coi ricami. Ho come la sensazione che siano lì da sempre ad aspettare il loro proprietario e che sia lui che debba adattarsi alla loro semplicità. Terminiamo la giornata in mezzo alla strada a bere la Tagliatella, un liquore tipico della zona di Bassano del Grappa portato da Andrea. Andiamo tutti a letto. Anzi, quasi tutti...dove sarà finita Chiara? Notizie del mattino la diranno rientrante qualche ora dopo. Sicuramente avrà voluto approfondire la visione delle costellazioni dell’emisfero boreale. Tra l’altro all’appello non manca solo lei, le stelle devono essere state più interessanti del previsto. Ah, l’astronomia...

24 Agosto: Terceira / São Jorge

È mattina presto quando lasciamo Terceira per prendere un volo che in poco più di trenta minuti ci porta sull’isola di São Jorge. Atterriamo nel piccolo aeroporto dove la pista non è molto lunga e costeggia il mare. Ci troviamo nel Gruppo Centrale delle Azzorre e São Jorge è uno dei vertici del cosiddetto “triangolo” che comprende anche Faial e Pico e da cui dista pochi km. Anche conosciuta come “l’isola bruna” per via del susseguirsi di coni che caratterizzano la sua parte centrale e che la fanno emergere dall’oceano con le fattezze del dorso di un animale preistorico assopito, si presenta con una forma allungata e una costa così frastagliata e impervia che nei secoli ne hanno favorito l’isolamento e ritardato l’urbanizzazione. Questa sua particolare conformazione regala una natura rigogliosa e paesaggi unici e maestosi sia per via delle falesie alte e ripide che precipitano nel blu del mare che, soprattutto, per le fajãs, vero emblema di São Jorge. Queste altro non sono che piccole pianure costiere che si sono formate sotto scogliere a picco sull’oceano in seguito a eruzioni vulcaniche, scosse sismiche o piogge intense che hanno danneggiato le falesie creando queste superfici che oggi riescono a regalare un colpo d’occhio spettacolare. São Jorge si presenta a noi come una ricca tavolozza di colori con infinite tonalità: dal verde dei boschi, al nero delle rocce fino all’azzurro delle acque che lambiscono le sue coste. Andiamo a sistemarci nella nostra casa a Calheta, insieme a Velas le uniche due cittadine dell’isola, piccoli borghi dalle case bianche affacciate sull’oceano dove la caratteristica principale è la quiete che si respira per i suoi vicoli. Il pomeriggio decidiamo di trascorrerlo cimentandoci nel canyoning. São Miguel, Flores e appunto São Jorge offrono il maggior numero di itinerari a riguardo. Torrenti, pareti scoscese, scivoli d’acqua naturali e scenari meravigliosi non mancano di certo da queste parti a fare da cornice a quella che sarà la nostra prima esperienza in questa attività. Arriviamo al punto di incontro e incominciamo la vestizione. Con la caldazza infernale che anche oggi ci accompagna d’altronde non c’è niente di meglio che bardarsi con muta e calzari in neoprene, caschetto e imbrago. Non abbiamo ancora cominciato e un kg dovremmo già averlo perso. Ci avviamo giù per il sentiero che conduce al fiume e iniziamo a respirare quell’aria frizzante che ci accompagnerà per tutta l’esperienza. Ci vengono date le indicazioni principali sull’attrezzatura che abbiamo indosso e su come utilizzarla per affrontare il fiume e le quattro pareti di roccia che ci troveremo innanzi e su cui dovremo calarci utilizzano la rope, la zip-line o semplicemente tuffandoci. Con il giusto entusiasmo cominciamo. Ad aprire le danze è Maddalena, esperta di vie ferrate, che incomincia facendoci sembrare il tutto di una facilità imbarazzante. Ora potrei aprire un capitolo su come tenere la corda, bilanciare il peso, non guardare a valle o chissà che altro ci è stato detto ma l’unica cosa che ricordo è di essermi trovato seduto sulla parete di roccia con l’acqua in faccia e le gambe rivolte verso l’alto a 90° e la guida che mi diceva di farle scivolare verso il basso. L’unica soluzione sul momento mi è sembrata quella di farmele segare ambedue da Kathy Bates come in “Misery non deve morire” e poi farmele ricucire dal Dottor House. Inspiegabilmente la mia mozione non è stata accolta e con una certa agilità a me sconosciuta sono riuscito a recuperare una situazione solo apparentemente compromessa. Tra scivoli d’acqua e cascate portiamo tutti a termine l’esperienza con un salto liberatorio da circa cinque metri (che io ho rifatto quattro volte con l’entusiasmo di un ragazzino a Gardaland su Oblivion). Svago, relax e divertimento, sono queste le sensazioni che ci ha regalato la giornata e che ci portiamo dietro mentre ritorniamo verso casa. Chi non sviene dalla stanchezza si gode anche uno dei tramonti più belli che la natura possa offrire. Trascorriamo la serata in un ristorante vicino al porto a mangiare la cataplana, un piatto di pesce tipico della regione meridionale dell’Algarve, e poi a bere un gin tonic all’onestissimo prezzo di 9€ in uno dei pochi bar aperti a tarda sera (dove per tarda da queste parti sono le 22 #tuttavita).

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25 Agosto: São Jorge / Pico

São Jorge è anche una delle isole più rinomate per i trekking e non a caso è anche denominata “isola dei sentieri”. Tra tutti senza dubbio il più famoso, ritenuto dai più persino il più bello di tutte le Azzorre, è quello che dalla cima della Serra do Topo scende fino alla Fajã das Cubres. Oggi è lì che andremo. Prima però ci rechiamo al Centro de Sáude di Calheta per effettuare il secondo tampone. Riprendiamo il bus e arriviamo all’inizio del sentiero, davanti a noi una discesa infinita che dura quasi cinque ore per circa 12 km di percorso e un dislivello che da 900 mt. arriva a zero, sul mare. Siamo tutti più o meno ben equipaggiati. Fa giusto eccezione uno dei personaggi di quest’avventura, la nostra Maria Bianca, rinomata come “la Contessa”, che anche oggi ci propone il suo look da trekker esperta: scarpe bucate, maglietta in cotone che dopo due metri prende le sembianze della Sindone e pantalone rigorosamente lungo anche quando la temperatura esterna raggiunge quella di Dubai a ferragosto. Oggi per l’occasione decide di non portare nemmeno lo zaino e si lega svariati sacchetti di plastica ai pantaloni con dentro frutta e cibarie varie ed eventuali. Idea di una comodità rara e che verrà sicuramente consigliata dal CAI ai suoi iscritti per la stagione autunno-inverno. Incominciamo il sentiero e siamo subito circondati da ortensie alla cui bellezza non ci siamo ancora abituati; il percorso non è particolarmente impegnativo, riscendiamo la montagna ed entriamo in un bosco che trasuda umidità e dove il gruppo comincia a sfaldarsi in tante piccole parti in base all’andatura di ciascuno. Intorno a noi incominciamo a sentire lo scroscio di una cascata, la cerchiamo con lo sguardo fino a quando non ci appare qualche centinaio di metri più avanti. L’acqua è gelida ma questo non preclude a me e Lara di fare un rapido bagno ristoratore. Riprendiamo il percorso e arriviamo alla Caldeira di Santo Cristo, una fajã immersa in uno scenario favoloso. Attraversiamo questo ex villaggio di pescatori composto da tante piccole casette colorate un tempo utilizzate per il rimessaggio delle barche ed ora semi-abbandonate e ci sembra d’essere in un luogo sospeso nel tempo. Ammiriamo le onde che si scagliano contro rocce che proteggono una piccola laguna interna, una riserva naturale oggi considerata un santuario del bodyboarding e del sup. Ancora un saliscendi abbastanza faticoso e arriviamo alla destinazione finale, la Fajã das Cubres, nel 2017 eletto uno dei sette villaggi meraviglia del Portogallo. A noi ad entusiasmarci è stato soprattutto il camioncino che vendeva le birre ad 1€ ad essere onesti. Riprendiamo il bus e andiamo verso il porto dove prenderemo il traghetto che ci condurrà a Pico, nostra prossima tappa. Prima dell’imbarco vedo un discreto smercio di xamamina tra i miei compagni di viaggio e comincio a preoccuparmi per l’escursione in gommone di domani per l’avvistamento delle balene. Se tanto mi dà tanto... Arrivati a Pico andiamo a Madalena a cena al Cella Bar, un piccolo ristorante con una vista mozzafiato sul mare e una struttura in legno tanto sinuosa da ricordare un nido d’ape. È ormai tarda sera quando arriviamo in albergo.

26 Agosto: Pico

Pico è la seconda isola più grande dell’Arcipelago ed è soprannominata con il suo colore predominante, il grigio, come quello dei grandi campi di lava chiamati dai locali lajidos o delle nubi che il più delle volte coprono la cima dell’omonimo vulcano situato nella sua metà occidentale e che è divenuto con gli anni a pieno titolo il simbolo dell’isola. Raro è infatti vedere il Pico spiccare maestoso verso l’alto in tutta la sua fierezza: 2.351 metri che ne fanno la montagna più alta del Portogallo Questa mattina abbiamo in programma il whale watching che parte dal Lajes, piccolo borgo colorato adagiato nella costa meridionale, un tempo base per la caccia a questi mammiferi. Oggi di quel “glorioso” passato ne rimane solo un museo che racconta la storia delle baleniere con sale dedicate all’esposizione di manufatti costruiti con ossa e denti delle balene stesse. Evitiamo accuratamente di visitarlo. Fortunatamente l’isola con gli anni si è infatti riconvertita e oggi si impegna nella protezione di questi enormi cetacei. Al porto ci sono varie agenzie che organizzano escursioni di circa tre ore con a bordo biologi marini che accompagnano i turisti in mare aperto dopo aver avuto il segnale dai vigia de baleia, uomini armati di binocolo e appostati sulle alture dell’isola a sorvegliare il mare e a lanciare l’avviso al primo sbuffo che osservano in lontananza. Sono le 9.30 quando ci imbarchiamo sul nostro gommone e già ci hanno detto che le possibilità di vedere le balene sono ben poche. Il mare è grosso, tempo pochi minuti e siamo lavati da capo a piedi. Eravamo tutti preparati con giacche antipioggia ad eccezione della nostra Contessa che oggi ha deciso di sfoggiare un maglioncino in cotone giallo paglierino, la mise perfetta per il tour. Trascorre una scarsa mezz’ora e, come predetto il giorno prima, incomincia uno stillicidio che vedrà metà gruppo cadere vittima del mal di mare. Branchi di delfini cominciano a danzare intorno al gommone mentre nella parte posteriore dell’imbarcazione si ammassa sempre più gente. Matteo e Beatrice penso che ad un certo punto abbiano avuto delle visioni mistiche che forse li ha persino portati a scorgere Moby Dick ...Chissà... Ritorniamo al porto, chi è sopravvissuto è comunque contento per l’esperienza. D’altronde è la Natura a comandare in certe circostanze e non sempre si è fortunati. Trascorriamo il pomeriggio a Madalena, centro principale dell’isola. Un rapido giro tra le sue case colorate e i negozi di souvenir e concludiamo la giornata a fare il bagno alle piscine naturali, prima di andare a cena in un ristorante con una meravigliosa vista sull’isola di Faial e il sole che le tramonta alle spalle.

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27 Agosto: Pico

Stamattina la sveglia suona che non ha ancora albeggiato. Ci ritroviamo fuori dall’hotel alle 6am, mezz’ora più tardi abbiamo appuntamento alle pendici della montagna con le guide che ci condurranno sulla cima del Pico, il vulcano che domina l’isola come se questa si fosse formata sul mare, colata dal suo stesso cratere. L’isola di Pico è uno scrigno che ogni giorno può regalare tanti segreti da scoprire e fra tutti questa è sicuramente la gemma più preziosa. Una visita alle Azzorre non può ritenersi tale senza questo trek e siamo tutti entusiasti di cominciarlo. Per ora una coltre di nuvole copre come di consueto la sua cima ma si può scoprire all’improvviso e partiamo fiduciosi. Il sentiero è mal tracciato e per questo sono stati posizionati dei paletti, da 1 a 45, che favoriscono la salita. Questa è ripida e senza tregua per 1.200 mt. circa di dislivello. Il percorso non presenta particolari asperità e non è nemmeno troppo esposto. Calpestiamo una serie infinita di formazioni vulcaniche, da colate laviche di grossa portate a rocce piccole e spigolose. La verticalità è impressionante, ci fermiamo spesso a riprendere fiato e manteniamo un’andatura il più costante possibile per non sovraffaticarci. Paffute nuvole bianche coprono e scoprono il panorama in base all’umore dell’instancabile vento atlantico che soffia imperterrito e, appena si scopre l’orizzonte, perdiamo lo sguardo verso l’infinito. Sono passate quasi tre ore e siamo quasi in cima. È arrivato il momento di affrontare il Piquinho, ossia lo stretto pinnacolo che sporge dalla caldera e che rappresenta il punto in assoluto più alto del vulcano. Abbandoniamo le racchette e cominciamo ad arrampicarci verso la vetta. Pochi minuti e siamo finalmente in cima. Abbiamo conquistato la montagna. Siamo sopra le nuvole, un luogo magico. L’orgoglio più grande è vedere il sorriso di Margherita, la più piccola tra noi, che ha vinto le vertigini senza alcuna difficoltà pur di raggiungere il traguardo che si era prefissata. Ci riposiamo un’oretta godendoci la vista su Faial ed ecco arrivato il momento della temuta discesa. Se salire era stata solo questione di fisicità per scendere è necessario avere un certo equilibrio mentre si passa da una roccia all’altra. Ne sa qualcosa Federico che si è visto crollare a terra più di una volta. Il fatto che sia arrivato in fondo illeso visto come era partito non era nemmeno quotato. Questa probabilmente si è rivelata essere la giornata più emozionante di tutte; salire sul Pico era per me fondamentale per la riuscita del viaggio ma purtroppo il meteo ballerino non sempre lo consente e solo la settimana prima la montagna era stata appunto chiusa al pubblico per tre giorni. Ritorniamo a Lajes, la giornata volge al termine e ci godiamo il tramonto in terrazza improvvisando un aperitivo a base del gin che avevo portato dall’Italia.

28 Agosto: Pico / Faial

Pico è anche l’isola dei vini e delle grotte ed è proprio lì che oggi ci dirigiamo. Arriviamo a Madalena e incominciamo il trek di Vinhas da Criacao Velha, un itinerario lineare di circa 7 km che collega Candelária alla frazione di Areia Larga e che si sviluppa totalmente all’interno dell’Area Protetta della Cultura della Vigna, zona inclusa nel 2004 nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. La viticultura alle Azzorre viene fatta risalire al 1450, introdotta dai frati francescani. Dapprima diffusa su tutte e nove le isole, col tempo si è ridotta ad essere praticata a Pico, Terceira e Graciosa. Queste isole sono infatti un luogo estremo per la coltivazione della vite, un posto remoto quasi al limite della sopravvivenza per la pianta stessa e pertanto richiede enormi sforzi per essere praticata. Il terreno composto prevalentemente da lava basaltica e ricco in minerali è unico nel suo genere e se da un lato la vite stessa stenta a crescere e fornisce rese piuttosto basse dall’altro garantisce un sapore unico, quasi drammatico, con una spiccata personalità. Qui ogni grappolo è frutto di una vera e propria conquista. Sembra di essere in un labirinto, ci troviamo come intrappolati in uno strano incrocio di muretti in pietra. Sono i currais, i recinti costruiti per proteggere le piante dai venti salati dell’Atlantico che altrimenti andrebbero a bruciare le piante rendendo vani gli sforzi della loro coltivazione. Ogni giorno in questi luoghi vi è una continua sfida con l’oceano. Le vigne sono così frammentate e hanno una dimensione media inferiore all’ettaro; la rete geometrica che le fraziona è tanto affascinante quanto arcaica e sembra estendersi fino al mare. In due ore siamo al mulino che segna la fine del percorso, sono solo le 11 del mattino e ora abbiamo in programma la degustazione di vini in un’azienda lì vicino. A stomaco vuoto. Proviamo cinque vini del territorio in un viaggio sensoriale che non delude certamente nessuno. Un tuffo veloce alle piscine naturali in centro paese e andiamo a visitare la Gruta das Torres, il più grande tunnel lavico ad oggi conosciuto dell’Arcipelago, un luogo ricco di formazioni geologiche tra cui vari tipi di stalagmiti e stalattiti. Fra tutti è sicuramente la nostra bella geologa Maddalena la più entusiasta. È arrivata l’ora di uno dei momenti più temuti del viaggio: il traghetto. Sono solo trenta i minuti che separano Pico da Faial, l’ultima isola che andremo a visitare, e stranamente a questo giro non si segnalano vittime. Approdiamo a Horta, crocevia di chiunque faccia la traversata oceanica in barca. La banchina del porto è decorata con scritte e pitture murali, retaggio di un passato in cui gli equipaggi le dipingevano in segno scaramantico prima della partenza dall’isola. Prendiamo possesso dei nostri appartamenti e andiamo a cena in uno dei luoghi simbolo dell’isola, il Peter’s cafe sport, il bar più famoso dell’Atlantico. Un tempo punto d’incontro per i balenieri che lo utilizzavano come fermo posta per farsi spedire quello che li occorreva, ora è un ristorante che richiama tutti i turisti che arrivano da queste parti, attirati soprattutto dai gin tonic a meno di 3 euro. Noi ovviamente non ce li faremo mancare nelle due serate che passeremo in zona.

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29 Agosto: Faial

Ci risvegliamo “nell’ isola azzurra”. Faial possiede tutte le sfumature di questo colore: dal turchese delle sue acque che diventano blu spingendosi verso l’orizzonte al celeste tendente al lilla di quelle ortensie che da queste parti crescono gigantesche prendendo il sopravvento sulla restante vegetazione. Come le altre otto sorelle anche questa è un’isola di origine vulcanica che da lontano appare come adagiata sull’Atlantico. Fra tutte forse è la più famosa, sicuramente quella che attrae più turisti. Come prima tappa ci dirigiamo nella Península do Capelo, un geo-sito costituito da una ventina di coni vulcanici che si è formato nel tempo per sovrapposizione di strati di lava. Il più famoso tra tutti è sicuramente il vulcano di Capelinhos, uno dei pochi ancora attivi e la cui ultima eruzione viene fatta risalire al 1957 quando in un anno di eruzione sottomarina il terreno cominciò a sputare talmente tanto fuoco da cambiare radicalmente la conformazione dell’isola. Il materiale espulso infatti si accumulò formando un isolotto che unendosi a Faial modificò radicalmente il litorale occidentale estendendo il perimetro dell’isola di circa 1,5 km quadrati. Non ci furono vittime ma l’isola entrò in una recessione dovuta all’impossibilità di coltivare la terra per la troppa cenere che portò più della metà della popolazione a migrare verso gli Stati Uniti. Incominciamo il nostro trek dal vecchio cratere del Cabeco do Canto seguendo il sentiero dei dieci vulcani. Oggi siamo avvolti dalla nebbia che oscura tutto, un tempo che ricorda la Bassa a novembre. Percorriamo disorientati i 346 mt. della caldera un paio di volte per poi trovare la strada che scende verso la costa. Intorno a noi ci dovrebbe essere un panorama straordinario con le cime dei vulcani che si susseguono l’una con l’altra lungo la dorsale. Mi dicessero che c’è la Torre Eiffel per quel che vedo non avrei problemi a crederci. Arriviamo così nell’area di Capelhinos, ancora quasi completamente arida. Ci troviamo nel punto più occidentale d’Europa. In fondo il faro, il punto che segna la posizione preesistente della costa. Tutto quello che c’è oltre quel punto è stato creato dall’ultima eruzione. Ci arrampichiamo sui ripidi promontori di cenere lavica a destra del faro, il cielo si apre e ci regala uno di quei panorami che mai dimenticheremo con il color rossastro delle rocce che fa da contrasto al blu del mare. Approfittando del bel tempo ci precipitiamo alla Caldeira, cratere vulcanico spento dal diametro di 2 km e profondità di 400 mt. situato nel cuore dell’isola. Qui parte un percorso di circa 8 km che ruota tutto intorno al vulcano e che col cielo terso permette di vedere tutta la bellezza che vive al suo interno: prati verdi, ruscelli e laghetti che brillano sul fondo illuminati dai raggi del sole. Camminiamo fra siepi di ortensie quando d’improvviso torna la nebbia e la Caldeira comincia ad apparire e scomparire in un gioco di luci e ombre. La giornata è quasi finita e, terminato il sentiero, decidiamo di passare le ultime ore nelle piscine naturali di Varadouro. Dopo aver camminato tutto il giorno rimarranno in pochi quelli che oggi non si tufferanno nelle fredde acque dell’Atlantico. La sera la trascorriamo in un ristorante del centro a mangiare in un giardino sotto un caratteristico pergolato, per poi terminare la sera nei bar del porto con i soliti gin tonic e qualche shot di rum e pera. Io e Lorenzo per una ragione che ancora ci stiamo domandando ci mettiamo ad ordinarne due alla volta. Dormiremo che è un piacere ricordarlo.