Avventure nel Mondo

Dalle Ande alle onde lungo l'Equatore

Sotto ogni albero di cactus una iguana gialla aspetta che cada una foglia succosa per prenderne i succhi, il cielo pieno di uccelli mai visti. Qua e là qualche leone marino sdraiato a dormire, in alcuni punti tanti che li dobbiamo scavalcare, non si spostano di un millimetro. Faccio ancora fatica a non sbalordirmi ad ogni cosa di questa nuova realtà
di Francesco Patrizi
foto di Francesco Patrizi

Galapagos

Solo leggerne il nome mi evoca le immagini di decine di documentari visti in tv. Visitarle dal vero non ha neppure mai osato essere un sogno, e invece sta per succedere, stento a crederci. Tanto distante nello spazio e nella realtà, che era sempre rimasto più un mito che una possibile realtà. Da innamorato cronico della natura, le Galapagos hanno sempre rappresentato uno dei luoghi più vagheggiati. E ora lo leggo lì, luogo e date dei voli accanto al mio nome. Sono in aeroporto a Madrid e il tabellone dice Guayaquil IB6461, Boarding, si parte. A Gianni, amico e compagno di tante Avventure, con il quale abbiamo iniziato a pianificare insieme, si sono poi aggiunti Pier, Giulia, e via via gli altri, fino a formare uno splendido gruppo di 13 persone. Ci siamo sentiti per mesi per telefono, e-mail, e messaggio definendo dettagli ed itinerario, iniziando a dare una forma alla nostra Avventura, e ora siamo per la prima volta tutti insieme, a Madrid. Per alcuni è il primo viaggio con Avventure, per altri oltre il ventesimo, un misto di esperienza e freschezza, ma per tutti questa destinazione è un sogno che si avvera. Il gruppo sarà un inestimabile valore aggiunto del nostro viaggio.

Dopo un primo volo da Roma a Madrid piuttosto agitato, il lungo volo transatlantico scorre liscio e arriva con mezz’ora in anticipo. Alle 17:20 siamo a destinazione Guayaquil. Il controllo passaporti è lento, ci vuole circa 1 ora. Nel frattempo, con il Wi-Fi dell’aeroporto mi metto in contatto con Carlos l’autista del bus, lo troviamo dopo poco fuori ad aspettarci. Carlos si dimostrerà un bravo autista e una splendida persona, col passare dei giorni diventerà un vero e proprio membro del gruppo. Carichiamo i bagagli e partiamo per la città. È sera, e il primo sguardo sull’Ecuador è quello delle luci della sua città più grande viste dal grande ponte che attraversa il fiume Guayas. 

Arriviamo al nostro hotel in pieno centro, ci sistemiamo nelle camere ed usciamo per la cena. Siamo stanchi quanto basta dopo un viaggio di circa 20 ore, ma l’arrivo è sempre carico di adrenalina e il fuso orario ci ha completamente sballato; quindi, decidiamo di andare a mangiare sul lungomare della città, il Malecon. È sabato sera e la città è vivace, il ristorante che ho trovato dista cinque minuti a piedi, il percorso è buio e l’illuminazione è poca, tanto che ad un certo punto capita un disastro. Un tombino è stato lasciato scoperto in mezzo al marciapiede, non ci sono segnali, né protezioni, sembra quasi fatto apposta, una ragazza del gruppo ci finisce dentro quasi completamente ferendosi ad una gamba ed un fianco. Miracolosamente non si rompe niente, ma restiamo scossi. Ci rendiamo conto che per quanto sia la città principale, non siamo a casa, dobbiamo tenere gli occhi aperti per ogni cosa e non dare nulla per scontato. Fortunatamente lei tiene duro, nonostante il dolore viene a cena, si tampona come riesce la ferita, ma la botta è forte e lascerà un bel livido e una brutta escoriazione sullo stinco. Concludiamo la serata con una breve passeggiata con gli occhi ben aperti lungo il Malecon, vestito a festa e pieno di gente. C’è molta polizia e gli ingressi al lungomare sono vigilati da delle pattuglie armate. Fra quindici giorni ci saranno le elezioni politiche nel Paese, è un momento di allerta per la sicurezza e Guayaquil è una delle città più pericolose dell’Ecuador, l’avrei probabilmente evitata se l’itinerario l’avesse permesso, ma mai mi sarei immaginato di dover temere i tombini piuttosto che i malintenzionati!

Il primo risveglio nel nuovo paese all’inizio di un viaggio mi dà sempre una grande carica. Mi rendo conto di non essere a casa e mi ricordo del viaggio, ci sono mille cose da fare, in moto! Facciamo colazione e alle 8:15 lasciamo Guayaquil in direzione est verso Cuenca. Dopo circa due ore ci fermiamo lungo la strada per visitare una piccola azienda agricola dove coltivano cacao, mandarini e canna da zucchero. Proviamo tutto, facciamo carico di acqua e ripartiamo verso le montagne. La prossima fermata prevista è al parco Cajas, un altipiano costellato di vette e laghi turchesi. Sarebbe bello potergli dedicare un giorno intero, ma il nostro piano prevede altro e quindi faremo solo qualche sosta per spezzare il viaggio. Alle 12:10 ci fermiamo al primo mirador de Las Tres Cruces, usciamo dal bus e ci ricordiamo subito che l’ambiente è molto diverso da Guayaquil, siamo a 4.000m di quota, il tempo è grigio, c’è vento e fa decisamente fresco! CI bardiamo bene e facciamo un breve giro fotografico, poi ripartiamo e dopo altri dieci minuti troviamo il secondo mirador della Laguna Toreador. Qui decidiamo di fermarci per pranzo, per dare tempo ad ognuno di gestire la pausa come meglio crede. Io faccio mezzo giro del lago, è bellissimo, l’ambiente è suggestivo, un continuo susseguirsi di radure con fitta vegetazione bassa e laghetti. Purtroppo, il tempo non è dei migliori e quindi ci fermiamo solo un’oretta per girare tra i sentieri, fare qualche foto e pranzare. Non voglio prolungare la sosta troppo a lungo anche per evitare di stare male per la quota, veniamo dal livello del mare e stanotte dormiremo a circa 2.500m, stare molto in quota potrebbe sballarci eccessivamente. Qualcuno già lamenta un po’ di disorientamento quando ripartiamo, pian piano ci abitueremo, ma ancora è da evitare di esagerare.

Avventure nel Mondo
Avventure nel Mondo

Ripartiamo per Cuenca alle 14:00 e arriviamo giù in città per le 15. Visto l’orario chiedo al Carlos di portarci direttamente al Museo Pumapungo. Visitiamo il museo in un’oretta, molto interessante il secondo piano dove è allestita un’esposizione che spiega le varie usanze di tutte le comunità indigene del paese. In una delle stanze sono visibili anche le “tzantzasâ€, le teste rimpicciolite che gli indigeni di etnia Jivaro creavano dalle teste dei nemici sconfitti per scopi rituali. Nel resto del museo ci sono vari oggetti delle diverse etnie indigene del paese. Conclusa la visita torniamo al nostro hotel in centro, lasciamo gli zaini, e iniziamo a girare per la città. La città è patrimonio Unesco per il suo centro storico coloniale, è tutto costruito con bassi edifici di massimo due piani, e molto ben conservato. Ogni piazza ha la sua chiesa e alcune sono dei veri gioielli barocchi. Vediamo la piazza di San Sebastiano con la chiesa omonima, la piazza centrale, con la cattedrale vecchia e nuova, e la piazza di San Francesco, oltre alla splendida chiesa di San Domenico. Decidiamo di prendercela comoda per goderci la passeggiata, senza correre alla ricerca di spunte su un taccuino. La parte finale del percorso ci riporta a pochi passi dal nostro hotel, anch’esso un antico edificio coloniale, nella piazza centrale della città. Decidiamo di prenderci un po’ di tempo libero in autonomia, chi torna a riposarsi, chi fa un po’ di shopping e chi fa un aperitivo, io ne approfitto per fissare il ristorante per la cena e poi raggiungo le ragazze su una bella terrazza panoramica sulla piazza per l’aperitivo. Per cena ci fermiamo a fianco alla cattedrale, in un ristorante dall’aspetto curato, allestito in un vecchio edificio coloniale molto affascinante. Ci godiamo la prima cena di cucina tradizionale ecuadoriana (ho scoperto qui che si dice ecuadoriana e non ecuadoregna…) e con una breve passeggiata rientriamo in hotel.

Questa mattina ci aspetta un appuntamento importante che non dimenticheremo per tutto il resto del viaggio. Colazione alle 7 e alle 8:15 siamo al museo del Sombrero di Homero Ortega, prima ancora che apra! Il famoso cappello Panama, originario in realtà dell’Ecuador, ha preso il nome Panama solo perché da lì veniva un tempo commercializzato. E qui a Cuenca ha uno dei suoi produttori più famose che esporta in tutto il mondo, il nostro celebre Borsalino acquista da qui. Alle 8:30 siamo dentro, per prima cosa visitiamo il museo, dove ci viene mostrato tutto il processo di lavorazione, poi la sartoria e infine lo showroom, dove compriamo una valanga di cappelli. Alcuni ne prendono anche più di uno, ci ritroveremo invasi dalle scatole di cappelli per tutto il viaggio! Alle 10 ripartiamo per Ingapirca. Arriviamo al sito alle 11:45, per scoprire solo lì che hanno variato gli orari di apertura da poco e oggi il sito non è accessibile ai turisti, ma solo agli archeologi. Purtroppo, non hanno pensato di comunicarlo adeguatamente e ci troviamo insieme a molti altri turisti che non lo sapevano, neppure il nostro referente ne era al corrente. Per fortuna riusciamo comunque a vedere dall’esterno della recinzione, seppur senza guida, ma almeno si vede praticamente tutto il sito archeologico, compreso il tempio del sole in bella vista. Dietro il sito c’è un sentiero che conduce alla “Cara del Incaâ€, un breve saliscendi di circa 20 minuti, che passa da alcuni punti di interesse legati al sito inca. Ripartiamo da Ingapirca alle 13. Ci fermiamo per pranzo in un piccolo paese lungo la strada, comprando cibo dalle bancarelle lungo la strada, forse il contatto più autentico con la popolazione locale fino ad ora. Le signore indossano gli abiti tradizionali e i cappelli tipici dei Cañari, gli antichi abitanti di questa regione dell’Ecuador. Il viaggio è ancora lungo, la nostra destinazione finale è Riobamba verso nord. Alle 17:15 facciamo una breve sosta lungo la strada, per visitare la piccola chiesetta in pietra di Balbanera, la prima chiesa cattolica del paese, costruita nel 1534, un anno prima della fondazione di Quito. Alle 18 siamo a Riobamba, arriviamo in hotel, prendiamo le stanze e alle 20 usciamo per andare a cena in una parilladeria in città. Qui ci incontriamo con il gruppo di Lia, che è partito il giorno prima di noi e fa un percorso inverso. Una bella occasione per fare conoscenza e scambiare un po’ di info fresche su quello che ci aspetta domani, la salita al vulcano Chimborazo!

Colazione alle 7, alle 7:40 siamo in moto con destinazione Chimborazo. Per me è una delle tappe più attese del viaggio nella parte continentale. Non sono mai salito oltre i 5.000m e sono molto curioso di vedere l’effetto che fa. Si parla di un vulcano immenso, la vetta più alta dell’Ecuador con i suoi 6.310m, si vede molto bene già dalla città di Riobamba. La sua vetta è il punto della crosta terrestre più vicino allo spazio, o più lontano dal centro della terra. Nonostante sia ben più basso delle vette himalayane, trovandosi a ridosso del meridiano 0, risente del rigonfiamento equatoriale. Avvicinandoci alla maestosa massa della montagna, siamo preoccupati dalla copertura nuvolosa, ma, via via che ci avviciniamo giriamo intorno al Chimborazo da sud e scopriamo il lato pulito. Dai 2800m di Riobamba saliamo fino ai 4800m del centro visitatori del vulcano. Alle 9 siamo al centro visitatori, carichiamo la nostra guida Maria Flor e proseguiamo sempre in bus. Ormai la montagna è pienamente visibile, c’è un vento fortissimo che sta sferzando la vetta ripulendola dalle nubi e creando una lunga scia di neve che forma un alone attorno alla sagoma del vulcano. È uno scenario straordinario! Alle 9:30 arriviamo al primo rifugio, da dove si inizia la salita a piedi. Fatta la foto di rito, ci incamminiamo per il sentiero seguendo la guida, il terreno è facile, ma la quota si fa sentire, nessun malore, ma molto affaticamento. La pressione dell’aria a 5.000m è circa la metà rispetto a quella al livello del mare; quindi, arriva molto meno ossigeno ai tessuti, si alza la pressione sanguigna e cala la saturazione, rendendo anche solo una camminata molto più impegnativa. Per salire al rifugio Whymper a 5040m, basterebbero una 40 di minuti se in buona forma e non si soffre l’altitudine. Noi ci mettiamo circa 1 ora, e alcuni preferiscono non arrivare fino in cima. Ci sono circa 8/10 gradi e molto vento. Il rifugio è chiuso, ma da lì si può raggiungere la laguna Condor Cocha a 5100m, in circa 15 minuti. Si tratta di un piccolo stagno d’acqua proprio sotto l’imponente sagoma del vulcano. Non aggiunge nulla di particolare all’escursione se non una quota leggermente maggiore. Non riusciamo a restare molto in alto, per il vento violento, in circa 20 minuti scendiamo e 11:30 siamo tutti di nuovo al rifugio dove abbiamo lasciato il bus. Ci fermiamo a prendere un mate di coca e ripartiamo in bus verso l’uscita del parco. Al gate di del parco salutiamo la nostra Maria Flor e le lasciamo una mancia, poi ripartiamo verso Banos. Alle 13:30 facciamo una sosta in un piccolo villaggio lungo la strada per mangiare qualcosa dalle bancarelle. Alle 15:45, complice un ingorgo di traffico, arriviamo a Baños più tardi del previsto. Decidiamo quindi di cambiare programma, andremo oggi alla Casa de l’Arbol e domani mattina faremo la ruta de Las Cascadas. Siamo a circa 1800 metri, il clima e il panorama sono completamente diversi. Qua è tutto verde c’è una umidità altissima. Ci sistemiamo nelle camere e ripartiamo dall’hotel alle 16:45. Saliamo una ripida strada per circa mezz’ora, e arriviamo alla casa de l’Arbol a 2600m. Si tratta di una piccola oasi verdissima, allestita in uno splendido contesto naturale, abbarbicato su un costone roccioso a picco sulla valle, circondato dalle verdissime montagne circostanti. Ospita una grande quantità di colorati fiori tropicali, prati curati e una moltitudine di rapidissimi colibrì svolazzanti che si nutrono dai fiori. La chicca del posto è una piccola casa sull’albero e quattro altalene che penzolano nel vuoto, con una splendida vista sulle montagne circostanti. Ci sono anche un ristorante, aperto solo a pranzo, ed un bar. Alle 18:15 il parco chiude e torniamo in città a Baños (20 minuti di bus), per fare un aperitivo nel vivace centro cittadino ed uscire a cena.

La partenza è fissata per le 8:15, destinazione la Ruta de Las Cascadas. La strada percorre la verdissima valle che arriva fino al bacino amazzonico, è incastonata tra le ripide pareti delle montagne ammantate di vegetazione lussureggiante. La giornata è umida, ha piovuto per buona parte della notte e ancora non ha smesso del tutto. Intorno a noi le cime delle montagne sono immerse in una bianca bruma mattutina che rende tutto più affascinante. Dopo 15 minuti di strada, incontriamo la prima cascata, la Agollan. Si trova dall’altro lato del fiume e ci fermiamo solo per un breve sosta fotografica. Proseguiamo poi per la cascata Manto de la Novia. Si trova anch’essa sul lato opposto del fiume, ma c’è una teleferica che attraversa la valle e porta proprio sopra la cascata. Il parcheggio è a pochi metri dalla teleferica, non ci sono tratti a piedi da fare. Il tragitto aereo dura pochi minuti, ma la vista sulla valle e la cascata dall’alto è spettacolare, vale i 2$ di biglietto. Dopo altri 15 minuti di bus raggiungiamo il Paillon del Diablo, la più spettacolare cascata della valle. Pagato l’ingresso, si accede ad una sorta di giardino da cui si ha la possibilità di scegliere tra due percorsi. Il primo, più breve, in quindici minuti di discesa, tra sentieri, ponti sospesi e scalinate, conduce ad una serie di terrazze affacciate sul salto principale della cascata. Il secondo, più lungo, in circa 20 minuti di discesa e 40 di risalita, porta alla scalinata a chiocciola che si vede in tutte le foto. Entrambi i percorsi non sono proprio banali, e richiedono attenzione, in particolare quando è tutto bagnato come oggi, si rischia di scivolare facilmente. Scegliamo il primo dei due. La scelta si rivela azzeccata, perché permette di accostarsi molto di più alla cascata e avere la scalinata tortuosa davanti, uno spettacolare soggetto per le foto. La pioggia della notte ha gonfiato la portata del fiume, e la forza della massa d’acqua fa quasi paura, si fa sentire con una potenza inaudita. La cascata è molto alta, ma quello che fa più impressione e accostarsi al suo flusso dalla terrazza in fondo, la caduta passa letteralmente ad un metro da noi, si ha l’impressione che allungando un braccio si rischi di venir portati via dall’acqua. Imperdibile! Alle 10:30, lasciamo la ruta e ripartiamo in direzione della Laguna Quilotoa, dove arriviamo dopo circa due ore e quindici. La strada sale fino ad un altopiano, tra i 3500 e i 3900 metri, attraversando un variopinto paesaggio bucolico di campi e piccoli villaggi agricoli. La laguna Quilotoa è un’antica caldera vulcanica collassata e riempita di acqua meteorica. Si arriva con il bus al parcheggio del mirador, dove trovano posto anche alcuni ristoranti e guest house. L’affaccio al bordo della caldera è stupefacente. Si sbuca all’improvviso sul bordo di un gigantesco cratere perfettamente circolare di circa 3 km di diametro, Le pareti interne del cratere scendono a picco per circa 250 m fino ad uno splendido specchio d’acqua verde. Il tempo è nuvoloso e ventosissimo, fa piuttosto freddo. Le nuvole scorrono veloci, riflettendosi sullo specchio d’acqua creano uno spettacolo notevole.

Decidiamo di scendere per un pezzo della strada verso il fondo, ma considerando la fatica della risalita per la quota, capiamo che richiederebbe un paio di ore per essere fatta tutta senza sfiancarsi. Decidiamo di fare solo metà della strada e poi tornare su. Ripartiamo dopo un’oretta di visita e sulla via del ritorno ci fermiamo lungo la strada nel piccolo villaggio di Tigua. È noto per la piccola comunità locale di artisti naive. In molte delle modeste case lungo la strada, sono allestiti dei piccoli atelier personali degli artisti. Ci fermiamo in uno di questi e prendiamo qualche ricordo, chi prende le piume decorate, chi dei piccoli dipinti, ma ci sono anche piccoli lavori in legno, tazze, magneti fatti a mano, e altri piccoli lavori artigianali. Sicuramente qualcosa di originale rispetto a quello che si trova in tutti i mercati e negozi di souvenirs. Alle 18:15 arriviamo infine a Latacunga. Prendiamo le stanze e ci riprendiamo un po’ dalla lunga giornata. Usciamo a cena in un bel ristorante vicino alla piazza centrale della città.

Avventure nel Mondo

Oggi ci svegliamo con una brutta sorpresa, ieri sera, durante un comizio elettorale, in centro a Quito, un commando di terroristi, apparentemente legato ai narcos, ha assassinato il candidato alle elezioni presidenziali Fernando Villavicencio. Uno dei più attivi nella battaglia contro i cartelli della droga. Il governo ha decretato lo stato di emergenza e Quito sarà invasa di polizia. Lo veniamo a sapere dalla pioggia di messaggi preoccupati provenienti dall’Italia. Come se non bastasse, oggi 10 agosto è la festa dell’Indipendenza dell’Ecuador e nella capitale sono previste delle manifestazioni, che potrebbero sfociare in proteste contro i narcos. Decidiamo quindi di variare i nostri piani e posticipare alla sera l’arrivo in città.

Contrariamente ai piani, alle 8:15 partiamo quindi per Saquisili, per vedere il mercato settimanale, invece che andare diretti al Cotopaxi. La cittadina è molto vicina a Latacunga e arriviamo in circa 20 minuti. Giriamo prima la parte dedicata all’alimentare e all’artigianato e poi quella degli animali. Il mercato è totalmente autentico, siamo gli unici non locali presenti. Si vende un po’ di tutto, ma prevalentemente generi alimentari. È un’occasione molto interessante per appassionati di fotografia. A due km di distanza si trova quello degli animali. Vale sicuramente la pena fare una breve fermata. Si vendono bovini, ovini, suini e qualche asino. È molto vivace e anche questo è frequentato solo dai locali, divertiti dalla nostra presenza.

Ripartiamo per il Cotopaxi alle 10, ed in circa mezz’ora siamo all’ingresso del parco a quota 3200 m. Lasciamo il nostro bus, prendiamo le 3 jeep che ci porteranno per il resto del percorso e carichiamo Fran e Gladis, le due guide che ci accompagneranno per tutta l’escursione. Da qui si vede già molto bene la maestosa e perfetta sagoma del vulcano. È un po’ nuvoloso, ma Gladis mi rassicura che si aprirà, e così sarà. Facciamo la prima fermata dopo circa 20 minuti al centro visitatori Mariscal Sucre, a 3700m. Qui visitiamo il centro di interpretacion, dove viene spiegato l’ambiente e la fauna del parco del Cotopaxi. Ne approfittiamo anche per fare un po’ di acclimatamento. Lasciamo al ristorante i due compagni di viaggio che non faranno la salita e proseguiamo con le jeep fino all’ultimo parcheggio a 4620 m, da dove parte il percorso a piedi. Durante la strada incontriamo un lobo del paramo, una specie di volpe che popola questi altipiani. Si fa avvicinare senza timore, resta vicino a noi per diversi minuti e poi si allontana nella pianura. Scendendo dopo il trekking ne incontreremo un altro, proprio accanto alle nostre auto.

Iniziamo il cammino intorno alle 13:10. Si parte da 4620 m, e si arriva a 4870m , per un dislivello di circa 250 m. Ci sono due percorsi alternativi, uno detto lo “spezzacuori†è un diritto di 800 m con pendenza elevata, un altro a zigzag che fa il doppio della strada, ma con pendenze molto meno aggressive. Scegliamo la seconda, i primi arrivano in circa 30 minuti, gli ultimi in 50. Alle 14 siamo tutti al rifugio. Il paesaggio lascia senza parole, si vedono tutti i vulcani circostanti e sopra di noi il bianco cono perfetto del Cotopaxi. Dopo le foto di rito, per scendere prendiamo via la diretta e in dieci minuti siamo di nuovo alle jeep. Tornando indietro facciamo una breve sosta fotografica alla Laguna Limpiopungo e recuperiamo i due compagni di viaggio che erano rimasti giù. Ci limitiamo a fare un breve giro intorno alla laguna e tornare indietro, il giro completo non offre scenari migliori di questo. Alle 15 arriviamo di nuovo all’ingresso del parco, e recuperiamo il bus. Salutiamo le guide con una meritata mancia e ripartiamo per Quito. La mattinata ha messo tutti a dura prova e durante le due ore e mezzo del percorso crollano quasi tutti a dormire. Arriviamo alla capitale alle 17:30. Il frastuono cittadino ci accoglie e ci riporta in una dimensione caotica urbana di cui avevamo perso l’abitudine. Dopo essere stato rassicurato dal corrispondente, decidiamo di uscire per cena. Alloggiamo in pieno centro e fare due passi tra le ripide strade del centro storico e le ricche piazze ci riporta un po’ di serenità. La città pare tranquilla, è pieno di polizia armata, ma la gente non sembra intimorita. Scopriremo che qui è quasi normale, ci sono abituati, e ormai un omicidio politico non sconvolge più di tanto. Per cena ci rechiamo nel bellissimo Cafè del Fraile, un celebre locale della capitale, allestito nell’antico palazzo dell’arcivescovado. Ceniamo sul ballatoio del piano superiore affacciato sulla corte interna dello splendido edificio in stile coloniale. Anche il cibo sarà degno di un luogo del genere.

Oggi abbiamo pianificato la visita del centro storico di Quito, ci farà da giuda il corrispondente Ivan in persona. Alle 8:00 puntuale arriva in hotel, e si presenta con la sua collega Wendy. Non era pianificato, ma è una fortuna, ci permette di mandare il gruppo con Wendy, mentre Ivan accompagna uno dei ragazzi che cammina con le stampelle, per fargli un itinerario personalizzato adatto ai suoi tempi.

Il nostro itinerario parte dall’hotel verso Calle Guayaquil, la prima fermata è alla chiesa di Sant’Augustin. Poi proseguiamo verso il Monastero del Carmen Alto, il Teatro Mariscal Sucre e l’omonima piazza, poi la Chiesa di San Blas. Ci arrampichiamo tra le stradine del centro fino a salire alla celebre Basilica del Voto Nazionale. Una enorme chiesa costruita nella seconda metà del ‘900 in stile neogotico e consacrata da Giovanni Paolo II. Saliamo fino ai 150m della guglia del tetto per ammirare le due torri campanarie della chiesa ed un iconico panorama sulla città. Proseguiamo poi per calle Garcia Moreno e ci fermiamo alla Cioccolateria Endemini Baez. Qui ci viene raccontato l’origine del cacao ecuadoriano e le varie fasi della lavorazione del cioccolato, uno dei prodotti principali esportati dal paese. Ne approfittiamo per svaligiare il negozio del buonissimo cioccolato! Finiamo poi nella Piazza Grande, dove ieri sera siamo stati a cena, per ammirare dall’esterno il palazzo del governo, l’arcivescovado e la cattedrale metropolitana. Concludiamo la nostra visita con la piccola ma graziosa Chiesa del Sagrario e la straordinaria Chiesa della Compagnia di Gesù, una perla barocca di raro splendore. Torniamo poi in hotel per rincontrarci con Ivan e ritrovare il nostro autista Carlos che è venuto a prenderci per portarci ad Otavalo. Alle 12:30 ripartiamo per la Mitad del Mundo, ma per il gran traffico arriviamo solo alle 13:45. Iniziamo con la visita del Museo Intiñan, dove si spiegano i vari ambienti naturali e umani dell’Ecuador e una serie di piccoli giochi di dubbia base scientifica per dimostrare effetti del trovarsi esattamente sulla linea dell’equatore.

Ci spostiamo poi al monumento alla Mitad del Mundo, ma ci lascia un po’ delusi e ci accontentiamo di vederlo da fuori. Alle 4 ripartiamo in direzione Otavalo. Arriviamo in città che sono già le 6, lasciamo quindi al volo i bagagli in hotel, e proseguiamo per altri 4 km fino ad un villaggio di nome San Jose de Quichinche. La nostra destinazione è una bella casa locale dove ha sede Kawsaymi, la piccola impresa dei Claudia e Patricio, due intraprendenti ragazzi di Otavalo, che organizzano corsi di cucina tradizionale. La casa ha una parte nuova dove sono allestiti i tavoli per la cena e una tradizionale, dove prima viveva la famiglia, e ora funziona per il focolare e vengono tenuti i porcellini d’India. Claudia è un’ottima insegnante, guida il gruppo nella preparazione dividendo i compiti come una provetta chef, è eccezionalmente garbata nei modi e parla anche un ottimo inglese. La preparazione occupa circa due ore, facciamo una zuppa di patate e avocado, un piatto di “carne colorada†con le verdure, delle frittelle di mais e un dolce al miele. Tutti piatti tipici della tradizione culinaria indigena otavalena. Tutto ottimo, probabilmente la miglior cena del viaggio! Annaffiamo la cena con qualche bottiglia di buon vino cileno, e al termine della serata Patricio si diletta nel farci sentire un pezzo del suo repertorio musicale con il flauto, l’immancabile “El condor pasaâ€. Sono ormai quasi le 23 quando salutiamo i nostri amici e torniamo in hotel.

Il mercato artigianale del sabato di Otavalo pare sia il più grande del Sud America. Si svolge tutti i sabati dalle 8 in poi, fino all’ora di pranzo. Occupa tutta la grande piazza centrale della città e le vie parallele. Purtroppo, come tutte le realtà più contaminate dal turismo, ormai ha perso buona parte della sua funzione originale ed è diventato un ricettacolo di banchi di souvenir tutti più meno uguali a buon mercato. Ci sono ancora qua e la anche banchi che propongono qualcosa di originale, ma lo stile è più o meno sempre rivolto ai turisti e ci sono poche occasioni di vedere scambi reali tra i locali. Resta giusto qualcosa nella piccola parte dove si vendono le derrate alimentari, ma per il resto è piuttosto deludente, anche la famosa parte artigianale. Come aggiunta alla delusione, borseggiano uno dei nostri compagni di viaggio, sfilandogli il telefono di tasca. Qualcosa prendiamo comunque, anche perché domani si parte per le Galapagos e non avremo più occasione di fare shopping. Alle 11:00 ci ritroviamo in hotel, a pochi passi dalla piazza del mercato, recuperiamo i bagagli e ripartiamo in bus.

Avventure nel Mondo
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La prossima destinazione è la Laguna Cuicocha, che raggiungiamo intorno alle 13:30. La laguna è una versione ridotta della Quilotoa, un cratere vulcanico riempito di acqua meteorica, ma qui c’è la particolarità di avere due isolette al centro della laguna, Non sono altro che i piccoli crateri più recenti del vulcano ormai estinto. È l’ora di pranzo e ne approfittiamo per fermarci in un piccolo ristorante che ha un bel mirador sulla sottostante laguna. Sono le 14:30 quando, di ritorno verso Otavalo, decidiamo di fare una sosta al Parque Condor, attirati dall’idea di vedere i maestosi animali. L’ingresso costa 6$, serve del repellente per gli insetti perché è pieno di zanzare. Purtroppo ci rendiamo conto che si tratta di una specie di zoo, che ospita una selezione di rapaci sia andini, che di altre zone de mondo, inevitabilmente chiusi in delle grandi voliere. Si tratta di animali recuperati dalla natura feriti, che qui vengono curati e quando possibile liberati in natura, oppure tenuti ospiti per farli riprodurre in cattività e reintrodurre in natura i piccoli. Alle 11:30 e 15:30 fanno una specie di show, dove un “simpatico†curatore dello zoo, spiega qualcosa sui vari uccelli, facendone esibire qualcuno come in un circo. Onestamente non ci entusiasma e verso le 16 veniamo via a metà.

Torniamo all’hotel San Francisco a Quito, per recuperare i panni che abbiamo lasciato a lavare due giorni fa, e poi ci spostiamo nei pressi dell’aeroporto, nel nuovo hotel per questa notte. Sono ormai le 8 e, su suggerimento di Carlos, usciamo a cena in una parilladeria della zona. È un locale molto spartano, con clientela esclusivamente locale e ambiente casereccio. Sembra un classico ristorante per camionisti, ma la carne è davvero ottima, una bella ultima cena quitena per salutarci con il nostro caro Carlos. Rientrati in hotel, prima di congedarlo, con piacere gli lasciamo una lauta mancia, per ringraziarlo del suo prezioso aiuto per tutto il viaggio in Ecuador.

Siamo finalmente arrivati al gran giorno in cui metteremo piede alle Galapagos! Sveglia alle 4:30 e alle 5 partiamo già dall’hotel, abbiamo a disposizione delle navette gratis per l’aeroporto, distante 5 minuti. Per poter accedere alle Galapagos, bisogna prima fare una fila per il controllo dei bagagli, poi una per pagare il permesso di ingresso e pagare i 20$ a testa, poi si procede al check-in e all’imbarco. Per il controllo bagagli non serve il passaporto, quindi mentre il gruppo fa controllare i bagagli, io raccolgo tutti i passaporti e mi metto in coda per il permesso. Proseguiamo poi per fare la fila per stampare in autonomia le etichette per imbarcare i bagagli, una nuova per lasciarli al desk del check-in, e poi passare al metal detector per l’imbarco. Il processo seppur arzigogolato è inspiegabilmente abbastanza fluido. Va comunque messo in conto di arrivare in aeroporto tre ore prima del volo, per evitare eventuali problemi. In aeroporto compriamo qualche bottiglia di rum e gin da caricare in barca, perché a quanto pare non è così semplice reperirle a San Cristobal.

Il volo è breve, fa un primo tratto di circa 40 minuti per Guayaquil, e dopo uno scalo di carico e scarico passeggeri procede per un’altra oretta per San Cristobal. All’atterraggio alle isole mettiamo l’orologio indietro di un’ora, e facciamo i controlli di ingresso. È previsto il pagamento di 100$ per l’ingresso all’area protetta del parco. Non ho ben capito perché non lo facciano pagare insieme ai 20$ della prima non ben definita tassa, subito all’imbarco del volo. Il controllo in arrivo prevede la consegna della dichiarazione compilata in aereo (ci sono disponibili i moduli anche in aeroporto), dove confermiamo di non avere con noi animali o piante provenienti dalla terraferma, potenzialmente contaminanti per l’eco sistema delle isole. Volendo ci si può far anche timbrare il passaporto, con un timbro turistico. Alle 10:30 locali (alle isole siamo un ora indietro rispetto alla terraferma) siamo finalmente fuori dall’aeroporto a San Cristobal, e mettiamo finalmente piede alle Galapagos.

Appena fuori incontriamo Jairo, quella che sarà la nostra guida naturalistica per tutto il resto del viaggio, e lo staff della Yate Aida Maria, i nostri compagni a bordo per la crociera. Carichiamo i bagagli in auto e partiamo per l’imbarco di Puerto Baquerizo Moreno. Arrivati al molo incontriamo subito i nostri primi leoni marini a sguazzare tra le onde dell’imbarco. Mi fa sorridere ripensare allo stupore, l’entusiasmo e la pioggia di fotografie del primo incontro, confrontandolo con gli ultimi giorni della crociera, dove ormai erano diventati presenza costante e venivano scavalcati con noncuranza mentre guardavamo altro. Con due gommoni ci portano alla barca e saliamo infine sul nostro yate per prendere le cabine e lasciare i bagagli. Appena a bordo Jairo ci conduce nella sala comune e ci fa un breve briefing su come sia regolata la vita a bordo. Intorno alle 12 pranziamo. È buono, per fortuna il cuoco se la cava egregiamente!

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Oggi ci aspetta la prima visita sull’isola di San Cristobal. Iniziamo l’escursione alle 14 seguendo i tempi dettati da Jairo. Sbarchiamo con i gommoni ed in porto saliamo in bus, per raggiungere il parcheggio per il percorso a piedi per Cerro Tijeretas. Il percorso passa prima attraverso un centro visitatori, che visitiamo rapidamente con la guida, e poi sale per un sentiero scalettato fino ad un mirador da cui si domina dall’alto la caletta sottostante e si vedono in lontananza altre isole dell’arcipelago. Scendiamo poi alla caletta, per fare il nostro primo snorkeling. La discesa in acqua si fa in un piccolo approdo di roccia lavica, non è molto agevole ma muovendosi con cautela si riesce ad entrare senza troppi intoppi. Nessuno di noi ha la muta, non era agevole portarla fino a qui; quindi, entriamo tutti con la maglietta e basta, per fortuna l’acqua non è così fredda. L’esperienza è stupenda! In un’oretta di snorkeling vediamo tartarughe, iguane, leoni marini e pesci di tutti i tipi! I piccoli dei leoni vengono a nuotare con noi e giocare roteandoci intorno, sono meravigliosi. Usciamo dall’acqua infreddoliti, dopo un ora diventa comunque freddo, ma elettrizzati dall’esperienza. Intorno alle cinque siamo di nuovo in paese, e facciamo un giretto tra i negozietti presenti per recuperare qualcosa da bere e mangiare per le serate in barca. Alle sei siamo di nuovo a bordo. Dopo 10 minuti, facciamo la prova di emergenza con i giubbotti salvagente, e a seguire il briefing per il giorno successivo. Tutti i giorni successivi seguiremo più o meno questo piano della giornata con poche variazioni, colazione alle 7:00, pranzo alle 12-12:30, cena alle 7:00-7:15. La serata si conclude con una buona cena e due chiacchiere intorno al tavolo, mentre le otarie continuano a giocare intorno alla barca, illuminate dalle luci di fonda.

Il primo risveglio in barca ha qualcosa di speciale. Mi alzo verso le 6:00, una mezz’ora prima della colazione, siamo ancora in porto, ma il dondolio è già qualcosa con cui devo imparare a relazionarmi. Esco dalla mia cabina al ponte inferiore e appena fuori mi sporgo per respirare l’odore del mare. Mentre a poppa guardo all’orizzonte il lontano profilo delle altre isole, giocando a cercare di riconoscerle, sento un tonfo sotto lo scafo. Mi sporgo e vedo una coppia di leoni marini che si è sistemato sulla pedana per salire sul gommone, mentre li guardo un terzo prende la rincorsa in acqua e con un salto sale anche lui sopra gli altri che si lamentano con una cacofonia gutturale. Resto allibito, giusto il tempo perché uno dei marinai, urlando contro gli animali, prenda il doccino per schizzarli e ributtarli in mare. Sono in un altro Mondo e con il sorriso vado a fare colazione.

Dopo la colazione, intorno alle 7:30, sbarchiamo sull’isola Plaza Sur. Lo sbarco è asciutto, si salta dal gommone ad un approdo di roccia. Una volta a terra, seguiamo Jairo in un percorso di circa 1 km, che si addentra nella parte interna dell’isola per vedere le iguane terrestri. Non facciamo che pochi metri che ne incontriamo subito a decine. I maschi con i ventri e sottogola gialli, e le femmine più scure. Si avvicinano al sentiero senza il minimo timore di noi, si potrebbero tranquillamente toccare, ma ovviamente non è permesso per salvaguardarne la conservazione. In teoria si dovrebbe mantenere sempre almeno due metri di distanza dagli animali, ma in certi momenti, anche volendo, non sarebbe possibile data la concentrazione. Ci spostiamo poi sulla scogliera meridionale della piccola isola, a picco sul mare. Vediamo una enorme quantità e varietà di uccelli marini, gabbiani coda di rodine, le prime iconiche sule piedi azzurri, sule di Nazca, pellicani e in volo più in alto di tutti le minacciose e bellissime fregate. Anche il paesaggio è qualcosa di mai visto, il mare fa da sfondo ad una crosta di roccia scura striata del bianco delle deiezioni delle miriadi di animali, la vegetazione sembra uscita dalla fantasia di un film di fantascienza ambientato su mondi lontani. Alberi di cactus, con il tronco e le pale spinose in alto, una specie endemica dell’arcipelago, a terra piante grasse e una specie di licheni di colori giallo, verdi, arancioni, sembra il presepe di un daltonico, niente di mai visto prima. Sotto ogni albero di cactus una iguana gialla aspetta che cada una foglia succosa per prenderne i succhi, il cielo pieno di uccelli mai visti. Qua e là qualche leone marino sdraiato a dormire, in alcuni punti tanti che li dobbiamo scavalcare, non si spostano di un millimetro. Faccio ancora fatica a non sbalordirmi ad ogni cosa di questa nuova realtà.

Il giro a piedi dura circa 1h30’. Alle 9:30 siamo di nuovo a bordo e ci mettiamo in movimento per attraversare il braccio di mare che ci separa dall’isola di Santa Fe. Durante il tragitto ci mettiamo a prua per cercare di fare avvistamento delle balene, e quando siamo a poche centinaia di metri da terra ne vediamo due! Arriviamo a Santa Fe poco prima delle 12 e ci ancoriamo nella baia di Barrington per pranzare. Il paesaggio è straordinario, l’acqua è turchese e sulla terraferma i leoni marini fanno da comitato d’accoglienza per il nostro arrivo. Lungo la bianca striscia di sabbia della spiaggia, ce ne sono decine in fila a riposare sulla battigia. Sono così tante che viste dalla barca creano una linea uniforme di colore marrone che divide il bianco della spiaggia dal verde della vegetazione dell’interno. Questa isola ha una flora di cacti e qualche basso cespuglio spennacchiato. Dopo pranzo, alle 13:30 ci tuffiamo dai gommoni e facciamo snorkeling girando in tondo nella bellissima baia. Appena in acqua veniamo raggiunti da una moltitudine di curiosi piccoli dei leoni marini. Vengono a giocare intorno a noi, come potrebbero fare dei cuccioli di cane quando vedono una persona avvicinarsi. Per circa un’ora giriamo in compagnia dei leoni marini e di pesci di tutti colori. Vediamo anche diverse tartarughe poggiate sul fondale a riposare. Concluso lo snorkeling torniamo a bordo e dopo un quarto d’ora circa, scendiamo nuovamente a terra con i gommoni per esplorare l’isola di Santa Fe. L’approdo è la cosa più particolare, il comitato visto dalla barca ci accoglie sulla spiaggia con una cacofonia di richiami rumorosi, senza preoccuparsi minimamente di spostarsi di un centimetro. È evidente che non hanno nessun timore delle persone, è una sensazione di armonia bellissima. Oltrepassata la prima linea dei leoni marini ci addentriamo nell’isola per seguire un percorso di circa 1 km. Effettuiamo diverse soste durante le quali il nostro Jairo ci spiega le peculiarità dell’isola, in particolare individuiamo diverse iguane di terra di una specie endemica di quest’isola, di colore più chiaro rispetto a quelli che abbiamo visto questa mattina. Conclusa la camminata torniamo sulla spiaggia dei leoni marini e ci imbarchiamo per spostarci verso l’isola di Santa Cruz. Arrivati a Santa Cruz, ci ancoriamo in porto e restiamo lì tutta la sera per cenare a bordo e bere qualcosa sul ponte centrale della barca.

Consueta colazione alle sette, poi ci prepariamo a scendere con i gommoni per arrivare a terra a Puerto Ayora, il centro amministrativo dell’arcipelago. Alle 7:45 siamo a terra e prendiamo dei taxi per arrivare al centro de interpretacion, simile a quello di San Cristobal. Alle 8:20 siamo al centro di ricerca dove e ci fermiamo a visitare la stazione scientifica. Qui vengono fatte riprodurre in cattività alcune sottospecie di tartarughe delle Galapagos. Durante la visita Jairo ci spiega alcune loro specificità, un po’ della loro storia naturale e delle loro abitudini. Finita la visita al centro, torniamo verso l’ingresso alla sala espositiva, per farci fare il timbro sul passaporto, dopodiché abbiamo un’ora e mezza di tempo libero in città. Dopo Puerto Ayora ci fermeremo solo un’altra volta in un centro abitato; quindi, ne approfittiamo per prendere le ultime (carissime!) cose utili. Torniamo poi a bordo per pranzare intorno alle 12. Dopo pranzo scendiamo di nuovo sull’isola alle 14, e ci spostiamo con un bus verso l’interno, in una piccola tenuta dove andiamo a cercare le tartarughe libere in natura. Camminiamo per la foresta per qualche centinaio di metri, e troviamo subito un gruppo di sonnolente tartarughe a mangiare intorno ad una pozza di fango. Si tratta di una specie diversa rispetto a quella che abbiamo visto al centro di riproduzione, hanno il carapace tondo invece che a sella. Jairo ci racconta qualcosa su questa specie e poi ci porta all’ingresso di un tunnel di lava, a cui si accede attraverso una scalinata che scende nelle viscere della terra. Il tunnel è stato scavato dalla lava, fondendo la roccia durante il suo percorso sotto la crosta indurita. Pare ce ne siano molte nell’arcipelago, ma sono difficili da individuare, perché sono visibili solo quando crolla la volta della grotta. La percorriamo per una decina di minuti, attraverso stretti passaggi illuminati artificialmente. È uno spettacolo affascinante che lascia tutti a bocca aperta. All’uscita ci troviamo all’improvviso di nuovo catapultati nella fitta foresta, sembra di essere in un libro di avventura!

Torniamo in bus al porto e poi a bordo per il briefing sulla giornata di domani e la cena. La serata si conclude di nuovo con un po’ di musica e qualche bicchiere di rum sul ponte della barca. Alle 23 leviamo l’ancora e faccio rotta per Puerto Villamil, sull’Isola di Isabela. Arriviamo in rada davanti al porto appena prima dell’alba. Alcuni leoni marini e qualche piccolo squalo ci danno il benvenuto girando intorno alla barca. Davanti a noi degli isolotti di mangrovie fanno da sfondo al paesaggio, e le fregate sopra di noi già sono in volo alla ricerca di prede. Alle spalle il piccolo villaggio di Puerto Villamil dorme ancora, mentre il sole inizia ad illuminare la scena con i primi caldi raggi della giornata. Facciamo colazione alle sette, e alle otto con i gommoni scendiamo a terra. Paghiamo l’ingresso all’area protetta dell’isola Isabela, costa 10 $, e poi prendiamo un bus per andare verso l’interno dell’isola. Da qui inizierà il percorso di trekking, che ci porterà in cima al Vulcano Sierra Negra. Il tragitto in bus è di circa 40 minuti, negli zainetti, oltre agli immancabili cappelli, occhiali da sole e creme solari, mettiamo anche una maglia e un kway. La cima del vulcano in questa stagione è spesso nuvolosa, e potrebbe piovere. Siamo fortunati, la cima si libera proprio poco prima che inizi il nostro cammino. Il mirador dista circa 3km, da far quasi in piano su un sentiero di terra rossa che attraversa una boscaglia di felci e bassi arbusti ricoperti di licheni. Arrivati in cima si apre il meraviglioso panorama dell’enorme caldera vulcanica di circa 10 km di diametro. La lava nera che si vede è stata prodotta nella recente eruzione del 2015. Per l’intero percorso ci impieghiamo 2h30’ compresa la sosta al mirador, alle 11:30 siamo di nuovo al parcheggio e ripartiamo verso Puerto Villamil. Recuperiamo Luca e Carolina che hanno preferito fermarsi in spiaggia e torniamo a bordo per il pranzo.

Alle 14 ripartiamo dalla barca per tornare a terra. Visitiamo prima una piccola laguna che ospita alcuni fenicotteri rosa, e poi, con un bus aperto, raggiungiamo il centro di ripopolamento delle tartarughe terrestri. Qualcosa di simile a quanto visto a San Cristobal, ma con razze diverse di tartarughe. Conclusa la visita torniamo a piedi alla spiaggia di Puerto Villamil, dove ci rilassiamo un’oretta facendo una divertente nuotata tra le onde del Pacifico. Per tornare verso l’imbarco passiamo su un piccolo ponte di legno, che è letteralmente ricoperto di iguane a riscaldarsi al sole, tanto che dobbiamo stare attenti a dove mettiamo i piedi per non pestarle! Torniamo a bordo per briefing e cena e concludiamo la serata ascoltando musica e bevendo qualcosa sul ponte in compagnia.

Il piano della giornata prevede una prima escursione in gommone per vedere le iguane Marine. Ne troviamo una moltitudine impressionante, abbarbicate una sull’altra sugli scogli, tra pinguini e leoni marini. Scendiamo poi a terra, e a piedi esploriamo l’estremità occidentale dell’isola di Isabela, la maggiore dell’arcipelago.

Siamo nella zona del Volcan Cerro Azul. La sua sagoma maestosa si staglia all’orizzonte mentre camminiamo sul campo di lava nera, che una sua eruzione ha formato circa cento anni fa. Il percorso conduce ad una serie di pozze di acqua marina, che si formano con l’alta marea e restano isolate dal mare quando cala. Curiosamente molte di queste pozze sono ricchissime di vegetazione di un verde inteso, che contrasta nettamente con la nera lava che circonda tutto quanto. Nelle pozze, alcune profonde anche diversi metri, vediamo tartarughe, pesci palla, razze, pesci e addirittura due squali! Gli animali restano intrappolati durante la bassa marea e aspettano che si riapra il passaggio verso il mare quando cresce il mare. Purtroppo, non incontriamo i fenicotteri, che spesso popolano queste aree naturali. Concluso il percorso, sempre arricchito dalle preziose nozioni naturalistiche di Jairo, torniamo a bordo e ci spostiamo per andare a fare snorkeling intorno a delle scogliere poco distanti. Questo snorkeling non sarà così fruttuoso come quelli precedenti, anche a causa della scarsa visibilità. Il mare è un po’ increspato e di conseguenza c’è molta sabbia sospesa nell’acqua. Vediamo comunque razze, cormorani, leoni marini e come sempre tantissimi pesci colorati. Pare sia una zona dove è facile vedere i cavallucci marini, ma bisogna scendere sul fondo diversi metri. Io e Jairo ci proviamo, ma non ne troviamo traccia. L’acqua qui è piuttosto calda e alcuni di noi riescono senza problemi a fare lo snorkeling anche senza la muta. Io non la metterò più per tutto il resto del viaggio.

Avventure nel Mondo

Tornati a bordo, pranziamo, e nel frattempo navighiamo verso l’istmo più stretto dell’isola Isabella, nei pressi di Elizabeth Bay. Mentre ci avviciniamo alla baia, avvistiamo una balena a poche decine di metri dalla nostra barca. Cerchiamo di avvicinarci ulteriormente e vediamo che sono due! L’adulta ha con sé anche un piccolo! Sono molto vicine a noi e riusciamo a fotografarle bene. Arriviamo in fondo Elizabeth Bay, dove è presente una riserva marina di biodiversità legata all’ambiente delle mangrovie. Fermiamo la barca a un centinaio di metri dalla riva e poi con i gommoni ci avviciniamo, inoltrandoci nei canali tra le mangrovie. All’interno di questo labirinto vediamo un’infinità di tartarughe, pinguini, qualche cormorano e delle sule piedazzurri. Giriamo a motore spento in questo inconsueto ambiente marino, procediamo a remi per non creare troppo rumore per gli animali. La particolarità di questo luogo è che vi si trovano dei veri propri alberi di mangrovie alti fino a 15 m, l’età di queste piante sia aggira intorno ai 200 anni.

Torniamo a bordo intorno alle 16:30 per riprendere la lunga navigazione fino al Canal Bolívar, il braccio di mare che separa l’isola di Isabella da quella di Fernandina. Arrivati a destinazione buttiamo l’ancora, e ci fermiamo per la notte. Concludiamo la serata, dopo una buona cena, ascoltando musica e godendoci il cielo stellato sul ponte della nave.

Oggi sono previsti due snorkeling e una escursione a terra.

Iniziamo la mattinata con escursione sull’isola di Ferrandina. L’obiettivo è di visitare i luoghi dove nidificano le iguane. Sbarchiamo a terra con i gommoni e iniziamo la nostra camminata. L’escursione si svolge lungo un percorso tra la spiaggia e gli scogli della costa. Durante l’uscita vediamo una grande quantità di iguane marine accatastate una sull’altra, ed un piccolo innocuo serpente di terra, l’unica specie di serpente presente nell’arcipelago. Questi rettili pattugliano le spiagge alla ricerca delle uova delle iguane che depredano famelicamente. A pochi metri di distanza uno splendido falco delle Galapagos sta strappando lembi di carne col rostro dal corpo di un piccolo di un iguana, proprio in mezzo agli sguardi indifferenti degli altri membri della colonia di rettili. Nelle basse vasche naturali tra gli scogli, alcune femmine di leoni marini allattano i lori neonati, ne vediamo un paio che non hanno più di pochi giorni di vita. Rientriamo a bordo, pranziamo, e poi iniziamo la navigazione verso punta Vicente Roca. Dopo circa due ore siamo a destinazione e ci prepariamo allo snorkeling. Siamo in una baia sovrastata da uno sperone di roccia a picco sul mare, chiamata Turtle Cove. In fondo alla baia c’è una bassa grotta, all’interno della quale entreremo nel percorso di snorkeling. Dato il nome della zona, non ci stupirà vedere una infinità di tartarughe durante lo snorkeling, in alcuni momenti ne ho almeno una decina che nuotano intorno a me, è un’esperienza unica! Oltre ai soliti leoni marini ci troviamo in acqua con i velocissimi pinguini, pesci di tutti i tipi e alcune buffe iguane marine che si immergono a mangiare le alghe sul fondo. Concluso lo snorkeling, torniamo a bordo, per prepararci ad uscire nuovamente con i gommoni esplorando le scogliere. Durante il giro in gommone vediamo diverse sule piediazzurri appollaiate sulle scogliere, ma anche i curiosi cormorani non volanti, endemici delle Galapagos. È una specie particolare di cormorani che ha sviluppato un adattamento totale alla vita marina, si immerge e nuota con capacità stupefacente, ma le sue ali si sono atrofizzate e non è più in grado di volare.

Rientrati dal giro in gommone, saliamo a bordo e continuiamo la navigazione per circumnavigare la parte nord dell’isola di Isabella, e dirigerci verso la nostra prossima tappa, l’isola di Santiago. In questa parte dell’arcipelago il mare è spesso agitato, si doppia il capo settentrionale di Isabela e ci si espone ai venti che vengono da est. La navigazione sarà molto agitata, soprattutto sul ponte superiore si balla di brutto. Per stasera niente festa sul ponte, finita la cena tutti sottocoperta a cercare di non stare male! Navighiamo per buona parte della notte, arriveremo a destinazione intorno alle quattro di mattina.

Stamani ci alziamo mezz’ora prima del solito, per anticipare l’escursione via terra. Durante la colazione vediamo tre grossi squali pinna nera che girano intorno alla barca, un bestione in particolare supera tranquillamente i due metri. Sotto di loro un branco di tonnetti preda i grossi banchi di sardine che stazionano sotto lo scafo. Quando la barca si muove e scopre i banchi di pesci sotto lo scafo parte la mattanza, a cui non mancano di partecipare anche pellicani e sule. Le sule in caccia sono fantastiche. Si alzano in volo ad alcune decine di metri e poi piombano in acqua con delle picchiate velocissime in assetto raccolto. Mi è capitato di vederle picchiare in acqua anche mentre facevo snorkeling, si sente molto bene il rumore violento dell’impatto in acqua per poi vederle sfrecciare a diversi metri di profondità e tornare a galla con il pesce in bocca!

Sbarchiamo sull’isola di Santiago alle 7:30 a Puerto Egas. Un tempo qui si trovava una miniera di sale marino, della quale ancora si trovano i resti di alcune strutture. Giriamo a piedi per circa due ore lungo la costa e vediamo un enorme maschio giallo di iguana di terra, alcuni leoni marini dalla pelliccia, un paio di falchi delle Galapagos. Al rientro dalla camminata torniamo sulla spiaggia di sabbia nera vulcanica, e ci imbarchiamo sui gommoni per spostarci dall’altro lato della baia a fare lo snorkeling. Obiettivo: vedere gli squali. Già dopo pochi minuti siamo fortunati e vediamo diversa pinna bianca nuotare proprio sotto di noi, non grandi come quelli intorno alla barca ma comunque abbondantemente sopra il metro mezzo. Non sembrano interessati alla nostra presenza, ma neppure infastiditi. Riesco ad avvicinarmi a tal punto ad uno fermo sul fondo che avrei potuto toccarlo allungando una mano, senza che il pesce abbia dato il minimo cenno di volersi allontanare. Concluso lo snorkeling, torniamo a bordo per il pranzo, e poi ci rimettiamo in moto per raggiungere la piccola isola di Rabida dove arriviamo intorno alle 13:30. Sbarchiamo sulla spiaggia, e ci incamminiamo per un percorso di circa 500 m all’interno dell’isola, parallelo alla linea di costa. Troviamo una piccola laguna che ospita una popolazione locale di una ventina di fenicotteri, tra di loro ci sono cinque cuccioli appena nati. A terra ci sono alcune uova ancora integre e non schiuse.

Finita la camminata, torniamo sulla spiaggia rossa e con i gommoni ci spostiamo di qualche centinaio di metri per fare l’ultima escursione di snorkeling. Il mondo sommerso delle Galapagos ha deciso di riservarci una bella sorpresa proprio all’ultimo tuffo. Appena in acqua troviamo sotto di noi un enorme branco di sardine che si estende a perdita d’occhio, sembra incredibile, ma non se ne vede la fine in nessuna direzione. Non avevo mai visto una cosa del genere, il mare è nero! Provo a scenderci in mezzo per forse 8/10 metri, ma per quanto riesco ad andare in profondità, non riesco a raggiungerne neppure il fondo. È un muro infinito di pesci, e per completare l’incredibile quadro, vediamo intorno al banco diversi squali di ragguardevoli dimensioni che predano i pesci, è forse la cosa più emozionante vista fino ad ora. Uno spettacolo incredibile! I marinai non sembrano allarmati della presenza degli squali e ci fanno cenno di restare a guardare, così resto a godermi la scena per diversi minuti. Finito lo snorkeling torniamo a bordo e riprendiamo la navigazione verso l’Isola di Seymour. Stasera ci fermeremo in rada qui, e domattina all’alba scenderemo a terra per l’ultima escursione. Poi ci aspetta il volo di rientro. La serata si conclude dopo una buona cena, con qualche bicchiere di rum e un po’ di musica sul ponte. Siamo arrivati all’ultimo giorno della nostra avventura. Abbiamo il volo tra poche ore, anticipiamo quindi l’escursione alle 5:45. Sbarchiamo sull’isola di Seymour Norte alle 6:00, appena albeggia. L’isola è un importante sito di nidificazione degli uccelli marini, vediamo una marea di Sule piediazzurri, e Fregate. Alcune coppie di sule hanno i pulcini appena nati, altre ancora intente nella loro danza di corteggiamento. Abbiamo l’onore di assistere ad una coppia che si esibisce in questa affascinante danza proprio davanti a noi. Alcune delle fregate sono appollaiate a terra a custodia dei loro nidi, altri maschi, non ancora accoppiati, esibiscono le loro rosse sacche sotto la gola per attrarre le femmine. Il cielo è letteralmente pieno di volatili. È un bellissimo saluto a queste incredibili isole. Alle 7 siamo di nuovo a bordo. Facciamo i bagagli e ci prepariamo a scendere per l’ultima volta dalla Aida Maria. Alle 8 siamo infine a terra, salutiamo lo staff di marinai che ci ha accompagnato per tutta la crociera e ci congediamo dalla nostra barca a cui ormai ci siamo affezionati. Saliamo sul bus che ci aspetta al molo e alle 8:30 siamo in aeroporto. Salutiamo anche il nostro caro Jairo con l’augurio, che spero davvero si realizzi, di rivederci ancora in futuro. Imbarchiamo i bagagli, e completiamo i controlli per lasciare le Galapagos per l’ultima volta, direzione Quito. Una volta imbarcati i bagagli ci richiedono la targhetta di cartoncino che ci hanno consegnato all’andata all’aeroporto di Quito.

L’ultimo saluto alle Galapagos lo diamo dal finestrino dell’aereo pochi istanti prima del decollo. Una grossa iguana gialla ha invaso la pista mentre il nostro aereo sta per decollare, e uno steward corre in pista per scacciarla e liberare la via, cose che capitano da queste parti. Arrivati a Quito recuperiamo i bagagli e li reimbarchiamo sul volo internazionale. Il lunghissimo volo va in senso contrario al fuso orario e ci vorranno due giorni per arrivare in Italia. Arrivo a casa con ancora la sabbia di Rabida nelle scarpe, nelle narici l’odore del mare e negli occhi la meraviglia di un luogo davvero unico al mondo.

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