Avventure nel Mondo

Alla scoperta del Kangchenjunga

Il paesaggio passa dalle foreste subtropicali (sotto i 1000m) alle foreste subalpine con abeti, betulle e rododendri e prosegue con la bassa vegetazione delle quote più elevate. La zona ospita, ma non ne abbiamo visti, rari esemplari di panda rosso.
di Graziella Boni
foto di FABRIZIO GUERINI

Si può dire che la regione del Kangchenjunga sia quella dove, intorno al 1850, ebbe inizio il primo turismo di montagna della regione himalayana. Stiamo parlando della terza montagna per altitudine del pianeta, le cui valli hanno attirato l’attenzione del botanico inglese Sir Joseph D. Hooker, che visitò le valli di Tamor, Ghunsa, e Yangma nel 1849. Anche una famosa spia nepalese ‘Pundit’ Sarad Chandra Das, al servizio degli inglesi per la mappatura e per attività di intelligence fra Nepal e Tibet, visitò la regione nel 1879, seguendo il ghiacciaio Chabuk verso nord in direzione Tibet. Nel 1884 un nepalese, Rinzing Namgyal, completò e fece uno schizzo del circuito del Kangchenjunga e l’alpinista inglese Sir Douglas Freshfield, nel 1899, ripercorse l’itinerario di Rinzing accompagnato da Vittorio Sella e da altri famosi alpinisti dell’epoca. Si deve aspettare il 1955 per la prima salita al Kangchenjunga da parte di George Band e Joe Brown. Da allora le varie vette del Kangchenjunga sono state raggiunte da circa 350 alpinisti. I trekking nella regione iniziano solo nel 1984, data nella quale la regione viene aperta per la prima volta agli stranieri. Non sono molti i trekker che si avventurano in queste valli, poche centinaia l’anno, e la ragione per la quale oggi viene scelta questa meta è proprio perché è l’ultima area priva di strade. Ma anche qui la situazione sta cambiando: i cinesi stanno completando la ripida strada che supera il passo Tiptola, in direzione Tibet, e tutta la regione negli ultimi dieci anni ha visto una trasformazione ambientale, socio economica e culturale senza paragoni. In tutta l’area del KCA, Kangchenjunga Conservation Area, i cespugli di ginepro alpino e di rododendro sono in ottime condizioni, nonostante le centinaia di anni di prelievo sia da parte degli allevatori di yak per ampliare i pascoli che da parte degli abitanti dei villaggi per procurarsi legna o per le offerte rituali. La scarsità di turisti e il calo delle greggi al pascolo hanno favorito la conservazione, ma è soprattutto l’elevata umidità quella che permette una rapida ricrescita vegetale. Gli yak e gli altri animali stanno rapidamente riducendosi, come del resto in tutta la regione himalayana, a causa della carenza di manodopera e perché i giovani tendono a migrare. Cambia un antico stile di vita e gli animali vengono venduti per la carne, in particolare in Tibet. E’ dal 1990 che la popolazione giovane lascia la regione, per Kathmandu o per espatriare, e il processo si è acuito nel periodo delle rivolte maoiste tra il 1996 e il 2006. Nei villaggi come Ghunsa rimangono quasi solo anziani e gli unici giovani sono i proprietari dei lodge che vivono grazie al turismo. Anche qui il cambiamento climatico ha accelerato la fusione dei ghiacci. Il fenomeno era già stato evidenziato da Hooker nel 1849 e da Freshfield nel 1899. Ma da allora il problema è diventato gravissimo, con alluvioni dovute a masse d’acqua di scioglimento che formano laghi oggetto di tracimazione, dissesto idrogeologico e valanghe di terra. Oggi la popolazione locale è a rischio e nei villaggi si dovrebbero intraprendere azioni per mitigarne gli effetti, ad esempio spostando le strutture dalle zone vulnerabili.

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L’abete himalayano (Abies spectabilis), inserito dall’IUCN (Unione Internazionale per la conservazione della Natura) nella lista delle specie a rischio, viene abbattuto e altre rare piante medicinali sono oggetto di eccessiva raccolta, il tutto favorito dalla costruzione di nuove strade e da esigenze di costruzione. Il maggiore cambiamento è conseguenza delle nuove strade nel distretto di Taplejung, ormai arrivate a ridosso della area protetta (KCA). Grazie alle strade la popolazione rurale riceve significativi miglioramenti nelle condizioni di vita: collegamenti con mezzi motorizzati, opportunità di lavoro, accesso a servizi sanitari. L’area protetta del Kangchenjunga, istituita nel 1997, copre 2035 km² nel Nepal orientale ed è stata affidata in gestione alle comunità locali nel 2006. Il paesaggio passa dalle foreste subtropicali (sotto i 1000m) alle foreste subalpine con abeti, betulle e rododendri e prosegue con la bassa vegetazione delle quote più elevate. La zona ospita, ma non ne abbiamo visti, rari esemplari di panda rosso. Invece abbiamo incontrato grandi gruppi di blue sheep, a quote intorno ai 5000m. La loro abbondanza suggerisce che sia presente anche il leopardo delle nevi, che personalmente ho visto solo in un bellissimo film. Abbiamo raggiunto in aereo Bhadrapur, a 45 minuti di volo da Katmandu, portandoci così nell’area orientale del Nepal. Il giorno successivo, in auto, abbiamo superato le colline coperte dalle spettacolari piantagioni di te, in un lunghissimo su e giù lungo strade asfaltate fiancheggiate da villaggi, aree coltivate e un traffico inaspettato. Le strade asfaltate hanno lasciato il posto, il secondo giorno, a strade da poco tracciate dai bulldozer che via via penetravano nelle aree protette. Anche i mezzi e i driver sono altri: jeep e autisti che conoscono il dedalo di tracciati. Si può dire tranquillamente che tutti i lavori si svolgono senza alcun riguardo per le foreste antiche, gli animali, la cultura e quel particolare turismo che ancora cerca ‘l’avventura’. Questi cambiamenti sono visibili in tutto il Nepal. Si può solo sperare che nell’area del Kangchenjunga ci sia ancora modo e tempo per realizzare uno sviluppo meno impattante, che consenta di migliorare le condizioni di vita di chi ci vive senza stravolgere ambiente e cultura. Credo che un’area ‘tradizionale e protetta’ con accesso solo a piedi o con animali da carico, la renderebbe una realtà unica in Nepal, e i turisti, attirati proprio da questa particolare condizione, consentirebbero lo sviluppo di ospitalità, l’impiego di animali per i carichi, la produzione di prodotti alimentari e di artigianato. Il trek inizia con quattro giorni di salita graduale, perfetta per acclimatarci, su sentieri che attraversano aree forestali, qualche insediamento e tanti rododendri in fiore. Ghunsa è il più grande insediamento, e qui ci fermiamo per due notti, facendo una salita di acclimatamento sopra i 4000m. Tutto perfetto, nessuno ha problemi. L’ultimo insediamento abitato stabilmente è Khambachen, 4050m di quota, che raggiungiamo il 16 aprile, Il pomeriggio però il cielo si copre e inizia una bella nevicata. Gli yak rientrano dai pascoli e si raggruppano davanti alle casupole. Guardiamo la neve dalla stanza dove si mangia, per fortuna con la stufa accesa. La mattina dopo il cielo è perfettamente sereno e, pestando neve, arriviamo in vista dello Jannu, 7710m. I giorni successivi la salita prosegue, ormai la vegetazione è scomparsa o quasi, e siamo ai piedi degli 8000. L’ultimo campo è a quota 4761m, e da qui raggiungeremo il view point a 5140m. Ma la parte migliore del trek deve ancora arrivare. Ripercorriamo il sentiero fino a Khambachen, dove hanno iniziato ad arare con gli aratri in legno tirati dagli yak per piantare le patate. La nevicata ha ammorbidito il terreno al punto giusto. Riprendiamo la discesa fino a Ghunsa e poi risaliamo: ci aspettano due giorni con due passi in quota per raggiungere la valle che porta al campo base sud. Di giorno è sereno ma il pomeriggio nevica, perciò i passi sono innevati. Saliamo al Mirgin La, 4645m, un po’ di su e giù e poi arriviamo a Sinelapche Bhanjyang, 4645m, da dove una ripidissima discesa ci porta ai 3868m di Tseram. Ci aspetta l’ultima faticosa salita ai 4610m del campo base sud, dove ci sono le tende di una spedizione indiana impegnata sul Kangchejunga. Ci vorranno ancora tre giorni a piedi, e con dislivelli non da poco, per ritrovare le jeep, le strade sterrate, l’asfalto, le piantagioni di te e, dopo il volo interno, l’animata Kathmandu. Immagini dal trek effettuato in premonsonica (aprile 2023). Eravamo in sette, con una guida e sette portatori. Abbiamo percorso, in tredici giorni di trek, 130 km a piedi, superato quasi 10.000m di dislivello e la quota massima raggiunta è stata 5135m (campo base nord). 

Se puoi parti, non perdere l’occasione di scoprire il Nepal ancora sconosciuto! 

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