Avventure nel Mondo

Fiori gialli e una birra alle Azzorre

da "Isole Azzorre" con Avventure nel Mondo
di Cristina Basso
foto di Cristina Basso

Se dici ad un amico che hai fatto un viaggio alle Isole Azzorre, noterai dietro le sue pupille l’attività frenetica delle cellule grigie in cerca di una risposta alle domande:

  1. Ho già sentito queste isole?
  2. Dove diavolo potrebbero essere?
  3. Non è che se le è inventate?

Se hai a portata di mano un mappamondo e vuoi dimostrare al tuo amico che non lo stai prendendo in giro, ti troverai ad andare con il dito un po’ in su e in giù, in qua e in là per l’Oceano Atlantico, prima di individuare qualche macchia insignificante di terra in mezzo al mare. Allora ti verrà il dubbio di averlo fatto davvero quel viaggio.

Incominciamo quindi col dare qualche dato certo: le Isole Azzorre sono un arcipelago di 9 isole che si trovano tra i 1360 e i 1900 km a ovest della costa europea, più o meno alla latitudine dell’Italia meridionale. A quasi 2000 km a ovest c’è già il Canada, giusto per avere un altro punto di riferimento.

Per i sognatori sono ciò che rimane della mitica Atlantide, dopo essere sprofondata per sempre negli abissi con tutti i suoi tesori e i suoi misteri. Per i geologi sono isole di origine vulcanica, testimoni della vitalità della dorsale atlantica che ogni tanto sfocia in terribili terremoti o nella nascita di nuovi vulcani, come il Capelinhos di Faial datato 1958. Per gli storici sono terre contese tra le grandi potenze del passato, la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra. Per i naviganti di ieri, tra cui un certo Cristoforo Colombo, sono un trampolino o un approdo in partenza o in arrivo per o da traversate atlantiche. Per i naviganti di oggi, sono una meta glamour, come Horta sull’isola di Faial, dove attraccare per ritrovare amici, bere un gin tonic al Peter Cafè Sport e lasciare un dipinto sul muro del porto.

Per me sono isole timide, discrete, ma dal carattere deciso. Appaiono spesso avvolte da nubi, soprattutto nella zona centrale di ogni isola, la parte più elevata. Bisogna avere pazienza e attendere che si svelino quando decidono loro. E incominciare a scoprirle lentamente, con la lentezza del passo umano. Eh sì, le camminate, o i trekking come ormai dobbiamo dire, sono il modo migliore per vivere le Azzorre. Ogni isola ne offre parecchi, tutti belli, tutti simili e tutti diversi. Si cammina nella vegetazione lussureggiante di tipo tropicale, oppure in mezzo a pascoli alpini con tanto di mucche svizzere; nell’azzurro sfacciato delle ortensie, tra i terrazzamenti coltivati a vite, pomodori, zucche, ananas, proprio così, tutto assieme; nelle distese di tè, sul paesaggio lunare del vulcano, in mezzo alle vigne cintate di neri muretti di pietre laviche, sull’orlo delle caldere tappezzate al loro interno di erica verde o riempite da laghi azzurrissimi, su spiagge nere di lava, o verso il Piquinho, la punta del già appuntito Pico. 

Immaginate cosa vuol dire arrivare sulla punta di una montagna? Come quelle che disegnavamo da bambini con noi sopra: ecco, il Pico è così, e con qualche ora di cammino si arriva proprio in cima!

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Poi c’è l’oceano, vivo e limpido, a cui si accede da alcune (poche) spiagge o dalle piscine naturali, pozze d’acqua protette naturalmente dagli scogli. Basta mettere la testa sott’acqua e ci si trova immersi in un acquario di pesci vari e coloratissimi.

Il bagno si può fare anche all’interno delle isole, nelle piscine naturali, immerse nella vegetazione tropicale, dove è bello lasciarsi andare alla carezza calda delle acque geotermali.

Con il viaggio ‘Isole Azzorre’ che ho fatto io si visitano 5 isole: le 4 centrali, Pico, Faial, São Jorge e Terceira, e la più occidentale e grande dell’arcipelago, São Miguel. Il mio primo contatto con le Azzorre è avvenuto proprio su quest’ultima isola, e forse per questa ragione le emozioni vissute lì mi sembrano più vivide; poi a tanta bellezza si rischia di fare l’abitudine. Ma non è vero, ogni isola riesce a sorprendere. 

E le sorprese arrivano fino all’ultimo, a un giorno dalla partenza, quando ormai pensi di aver visto tutto. Ecco che in mezzo alla giungla, da qualche parte sull’isola di Terceira, da qualche parte in mezzo all’Oceano Atlantico, si affaccia alla tua jeep Rui, azzorriano doc, con un gigantesco fiore giallo in mano e ti dice: - Non così. Devi sucarlo bene! 

Il fiore si chiama ‘roca da velha’ (sonaglio della vecchia o Hedychium gardnerianum, per i più pignoli), ha lunghi petali gialli che alla base contengono una sostanza dolce come il miele. Rui ci mostra come staccarli e ‘sucarli’ (chissà dove è andato a prendere questa parola!) per assaporare la dolcezza. I nostri primi tentativi sono maldestri e in bocca ci rimane un gusto aspro e sgradevole. Allora ci ripete come fare, dà a ciascuno un fiore per esercitarsi e risale sulla sua jeep.

- Ha proprietà afrodisiache - ci butta lì mentre ripartiamo. Le donne sorridono, i due uomini del gruppo deglutiscono.

Stiamo facendo un giro su fuoristrada e fuori da ogni strada. La pista sterrata che seguiamo in mezzo alla vegetazione si fa sempre più stretta. Enormi felci sferzano il parabrezza; tiriamo su i finestrini per evitare sgradevoli carezze sul viso. Dalla jeep davanti a noi, quella guidata da Rui, giungono le risate dei compagni di viaggio, nella nostra i Guns N’ Roses impazzano con Welcome to the jungle. D’un tratto vediamo aprirsi il portello lato autista; ne scende Rui, la bocca gialla di petali, e viene sorridente verso di noi, mentre la jeep procede senza autista. Potere allucinogeno del fiore?

Il nostro autista invece deve essere alle prime armi. Per allentare la sua (e nostra) tensione gli insegniamo un po’ di italiano. Impara una sola parola: ‘figo’. -Fabio è figo -, ripetiamo per dargli la carica, sperando che il mantra ci tenga in vita fino alla fine del giro. -Fabio è figo – ripete lui, ad ogni scossone troppo violento, ogni volta che stiamo per ribaltarci, ogni volta che si spegne il motore. 

Poi un piccolo boato da sotto la jeep. - Fabio no figo - dice, e capiamo che qualcosa di grave deve essere successo. Arriva Rui e sentenzia: - Il differenziale.

Tutti giù, si procede a piedi (- Verso dove? - provo a chiedere. - Di là – Il là è una striscia marroncina che si perde nella giungla), mentre i due tentano di sistemare il sistemabile.

Mi aggrappo all’adagio ‘it's not an adventure until something goes wrong’ sperando che i compagni di ‘Avventure’ la pensino come me e mi pongo alla testa del drappello di appiedati. Il verde si fa sempre più cupo. Alzo gli occhi e il cielo tersissimo incomincia a punteggiarsi di qualche luce lontana. Continuiamo a seguire la pista in mezzo alla vegetazione, per quanto tempo? Il tempo scorre veloce o si dilata? All’allegria e alle battute segue un po’ di stanchezza, diventiamo taciturni, finchè il silenzio è rotto dal suono che tutti vorremmo sentire: i motori delle jeep! Risaliamo a bordo sollevati e adrenalinici. Rassicurati dal lieto fine dell’avventura, ci abbandoniamo a un: peccato che sia già finita! 

Lasciamo lo sterrato e raggiungiamo un paese. La jeep di Rui svolta sicura a destra sulla strada principale, noi puntiamo dritti verso il bar all’angolo. Fuggifuggi dei clienti seduti ai tavoli, corse verso l’interno del bar; nel nostro abitacolo cala addirittura il silenzio. A pochi centimetri dalla vetrina, Fabio, che non era riuscito a girare, riesce almeno a frenare. Laura si sporge dal finestrino verso il barista, impietrito dietro al bancone: - A beer, please!

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