Finalmente...Uganda
Uganda, finalmente! Un chiodo fisso, un’ossessione che non mi abbandonava, un sogno lungo 10 anni che è diventato realtà. 10 anni di attesa per un viaggio sono tanti, eppure tanti sono gli anni che ho dovuto aspettare per vedermi assegnato il viaggio; la mail di assegnazione è stampata, incorniciata ed appesa in casa, ogni tanto la guardo incredulo ancora!. Ho fatto centro al decimo tentativo, alcuni miei amici ci credono ancora poco, stanno aspettando la serata di proiezioni all’angolo di Mantova dove presenterò “le prove” del mio sbarco in terra ugandese appena il coronavirus me ne darà la possibilità. Il binomio Uganda/Abe, che poi sarei io, sembrava non dovesse mai realizzarsi: per anni raccontavo, a chi mi chiedeva dove sarei andato in ferie, che “molto probabilmente” sarei andato in Uganda, per poi finire ogni volta altrove; negli ultimi anni mi veniva chiesto con fastidioso sarcasmo “allora Abe quest’anno è la volta buona? ci vai in Uganda?”. Per questo qualcuno, ancora oggi, non crede che ci sia andato per davvero. Ricordo perfettamente il momento dell’assegnazione, e come potrei dimenticarmene? Ero fuori dall’infermeria dove lavoro come supporto ai medici interni, nella grande azienda metalmeccanica in cui lavoro da 31 anni; pausa sigaretta, ho una mail in arrivo…, la leggo, ed improvvisamente salto come un grillo nei prati. Ho ancora davanti gli sguardi di alcuni colleghi manutentori fermi alle macchinette del caffè che mi guardano con gli occhi sbarrati come per dire: “E se ci facciamo per caso del male, dovremmo farci medicare da quello li?”. La mia compagna, spalla indispensabile di tutti i miei viaggi coordinati, a cui ho trasmesso, anche un po’ forzatamente, la passione per il Continente Nero, alla notizia dell’assegnazione del viaggio mi ha risposto: “Sono molto contenta per te che lo desideravi da cosi tanto tempo, e sono contenta anche per me...cosi ce la togliamo una volta per tutta dalle palle!!! Sono riuscito a coinvolgere tra gli altri, anche una coppia di amici di vecchia data, viaggiatori esperti, ma che non sono mai riuscito a coinvolgere nei miei viaggi Africani preferendo altre mete, ma alla notizia che il connubio Uganda/Abe si stava per concretizzare, si sono aggregati al gruppo; mi hanno ricordato successivamente che la loro “promessa” era stata quella di venire in Africa con me nel momento che mi avrebbero assegnato l’Uganda…e cosi è stato.
Tutto ha avuto inizio cosi.
UNA PARTENZA MOLTO AFRICANA
Se l’Africa fosse un corpo umano, l’Uganda ne sarebbe il cuore pulsante. Non solo per la posizione geografica, ma anche per la quantità di acqua che possiede, tanta da poter irrorare mezzo continente. Cosi vicina a nazioni come il Kenya e la Tanzania, eppure cosi diversa, nei colori, nelle persone, negli animali che ne popolano i parchi, tanta roba per chi ne sa cogliere le sottili differenze. La partenza non è stata delle più semplici, e quando mai lo è stata in un viaggio in Africa! Il mio gruppo era suddiviso in due partenze separate, con due compagnie aeree diverse, con 5 ore di differenza all’arrivo e ben 10 ore al ritorno, niente male per un viaggio “breve”! Faccio parte del primo mini gruppo, atterriamo per uno scalo tecnico a Kigali in Rwanda alle 03:25. Stiamo fermi quasi 2 ore, gli addetti dell’aeroporto Rwandese arrivano a bordo con gli aspirapolveri e si mettono a fare le faccende domestiche mentre noi tentiamo controvoglia di riprendere conoscenza. Finalmente atterriamo in terra ugandese alle 6:45, mi sento come una sorta di nuovo Colombo (inteso come Cristoforo) che sbarca nel nuovo mondo. Abbiamo ben cinque ore di vantaggio sugli altri, anzi quattro, una ce la siamo già giocata con il ritardo del volo, comunque un patrimonio di tempo da non sprecare per acquisto viveri, cambio moneta ecc. Realisticamente un’inezia appena ci si addentra nel traffico di Kampala. Per strada abbiamo il tempo di farci conoscere subito; notiamo che dal retro del nostro pulmino entrava aria, sembrava di essere in lambretta, in effetti si era aperto il bagagliaio distribuendo i nostri preziosi bagagli per strada, un po’ come hanno fatto Hansel e Gretel con i sassolini. Si auto-coinvolgono da subito decine di passanti, sia a piedi, sia con qualunque mezzo di trasporto, si fermano per aiutarci e ci riportano i bagagli, poi a noi il difficile compito di ri-ricomporre il puzzle per poterceli far stare tutti di nuovo, la combinazione utile era una sola, abbiamo poi fatto le foto per ricordarcela. Arriviamo al nostro primo Resort ed incontriamo Francesco, un partecipante che lavora come medico in Uganda, figura utilissima nel gruppo, non solo per la professione svolta che ha reso felici soprattutto le donne del gruppo alla notizia che avremmo avuto un Medico tra di noi, ma aggiungerei per la sua simpatia. La prima cosa che ho notato nel traffico della capitale, sono stati i numerosissimi motorini Boxer, una sorta di moto stile english anni ’70, ma prodotto (ovviamente) in Cina, il mezzo di trasporto più diffuso in Uganda, usato come trasporto di persone singole o interi nuclei famigliari, per trasportare la spesa giornaliera o l’intero raccolto di grano di un’intera stagione in sacchi di juta. Ho visto trasportare su questi motorini davvero di tutto e di più, tra le cose più bizzarre ricordo: un altro motorino (senza il passeggero), un enorme lunotto di un camion, un divano (forse anche con le poltrone quindi un’ intero salotto), dei tondini di ferro lunghi una decina di metri, un pollaio intero e soprattutto una bara, probabilmente di seconda mano! Arriviamo finalmente dal Corrispondente che però non è in ufficio e non riuscirò mai a vederlo, sbrighiamo non senza qualche problema le normali pratiche e pagamenti vari, rivediamo l’itinerario e le varie prenotazioni ed attendiamo l’arrivo del resto del gruppo sperando che arrivino un po’ in anticipo rispetto all’ora prevista e che nel frattempo il traffico sia diminuito (bella questa!). Sono le 13.30 quando, come un miraggio, fanno il trionfale ingresso nel giardino del corrispondente gli ultimi partecipanti…in taxi! Dopo averli accolti con gioia e tanta voglia di partire: avevo prenotato con tanto ottimismo la visita allo Ziwa Rhino Sanctuary alle 14:00 ma già posticipata alle 18:00, ultima visita della giornata possibile, ci dicono che il van che li ha prelevati all’aeroporto non “godeva di ottima salute” piantandogli per strada, per questo sono arrivati in un taxi van. Ora giace ricoverato chissà sotto quali magiche mani per cercare di rianimarlo! Incredibilmente nel giro di 30 min. arriva quello che mi avevano assicurato fosse il van sostitutivo, in realtà lo stesso van, rianimato e ripulito! Partiamo carichi di entusiasmo e fiducia nel poter arrivare in tempo alla nostra prima meta, ma dopo un’ora il van ci abbandona, ha deciso che può bastare cosi e si arrende definitivamente avvolto in una nube di fumo. In questi casi la prima cosa che ti viene detta è “tranquilli non è niente, ora sistemiamo”, sistemiamo? mancava solo che andasse a fuoco. Nel frattempo il clima non ci aiuta e comincia a diluviare, ci ripariamo sotto di una tettoia di una casa (forse) abbandonata (ma non credo) a guardare i nostri autisti intenti a cercare di risolvere il “problemino” ad un van con effetti da fumogeno da stadio e che piscia olio come se non ci fosse un domani, (e un domani in effetti ‘per il van non ci sarà). Ad un certo punto ci dicono di aver chiamato un van taxi per proseguire la gita, l’altro autista avrebbe aspettato il van sostitutivo…auguri. Entusiasmo, sono le 16,15 quando ripartiamo e possiamo ancora farcela, ma il tempo non ci aiuta,la pioggia si fa insistente, non c’è visibilità e la velocità media cala drasticamente. Giunti alla deviazione per lo Ziwa Rhino Sanctuary sono le 18 passate, a malincuore ci tocca rinunciare e ci fermiamo poco più avanti nel parcheggio di un ristorante poco prima di Kibangya. Il taxi non può proseguire oltre e quindi aspettiamo il nuovo van che, a detta dell’autista arriva a breve. La concezione del tempo che hanno in Africa è molto diversa dalla nostra, la conosco bene e mille dubbi mi sorgono sul quel “arriva a breve”. Dopo l’ennesima assicurazione che il van nuovo è alle porte, decidiamo di fermarci a mangiare qua. I tempi nei ristoranti africani non sono di certe brevi, non è che ti siedi, ordini e dopo un po’ mangi, sta di fatto che riusciamo a mangiare tutti, bere il caffè, fumarsi la sigaretta, fare il ruttino e finalmente all’orizzonte appare il nostro van, un nuovo van, nuovo nel senso che non era il precedente ripulito e ridipinto. Stravolti ma con la pancia piena partiamo ed arriviamo intorno a mezzanotte al nostro primo lodge. Considerando che con l’aereo sono atterrato alle 6:45, praticamente solo 17 ore dopo arriviamo a destinazione, per fare poco più di 400 km. E’ proprio vero che, come mi piace sempre ripetere in occasioni come queste: “in Africa non funziona nulla ma fanno funzionare tutto”.
RISVEGLIO CON VISTA NILO
Il nostro primo risveglio è stata una bellissima sorpresa, essendo arrivati a notte fonda non sapevamo minimamente dove eravamo capitati, la vista del Nilo fuori dai nostri lodge ci lascia piacevolmente stupiti e ci carica per la nostra prima vera giornata di viaggio. Facciamo oltre due ore di game drive nel Murchison Falls Nat. Park, un parco davvero splendido, verdissimo e con molti animali. Ovviamente non ha il numero e la varietà di animali di parchi come il Serengeti o il Masai Mara, ma, dopo uno sterminio quasi totale avvenuto negli anni della guerra, il progetto di reinserimento delle specie originarie ha portato ad un ripopolamento del parco ed oggi è facilissimo avvistare diverse specie animali, perlopiù sottospecie endemiche, un tesoro per chi ne sa cogliere ed apprezzare le differenze. Arriviamo entusiasti alle 11.00 sulle sponde del Nilo Victoria, che taglia in orizzontale il parco, occupiamo il piano superiore del nostro battello e via per la crociera sul Nilo. Sul battello c’è il servizio bar e le birre Nile si consumano in poco tempo. Tanti gli animali che ammiriamo dalla barca, tantissimi uccelli coccodrilli e ippopotami vicinissimi, qualche ippopotamo ci viene anche contro (o noi contro lui mah!). A qualche centinaio di metri dalle cascate approdiamo ad un pontile, una guida ci aspetta per il facile trek al Top Of The Falls, un bellissimo e facile sentiero pieno ci coloratissime farfalle e costeggiato da diversi punti panoramici. Arrivati sopra le cascate ci fermiamo per la pausa pranzo al sacco e ci rilassiamo un po’, il posto è davvero molto bello. Verso le 15.30 svegliamo gli autisti e ci dirigiamo verso la zona occidentale del parco dove vediamo ancora tanti animali tra cui una leonessa sull’albero e raggiungiamo le sponde del Nilo Bianco, che esce dal Lago Alberto e si congiunge al Nilo Victoria per proseguire la lunga strada verso la terra dei faraoni. Un tramonto africano riflesso sulle acque del grande fiume, chiude questa bellissima e direi meritata prima giornata. L’indomani mattina ci svegliamo presto e ripercorriamo la stessa strada fatta ieri all’interno del parco. Arriviamo alla chiatta sul Nilo e, dopo essere stati trattenuti da un gruppo di giovani che danzano al ritmo delle vuvuzela, attraversiamo il fiume che ci porta nella zona meridionale del parco costituita da fitta foresta impenetrabile. Arriviamo all’Eco Lodge all’interno della Budongo Forest alle 11.30, il trek per vedere gli scimpanzé è prenotato alle 14:00, ne approfittiamo per mangiare qualcosa nel delizioso Lodge immerso nella foresta. Riusciamo alla fine a partire un po’ prima, la giornata è splendida, ci carichiamo in spalla lo zainetto con dentro poco: un po’ di acqua e un k-way, ma senza troppa convinzione, il sole spende. La visita agli scimpanzé è un po’come il preludio di quello che avremmo fatto verso fine viaggio. Le guide ci dicono di stare in silenzio, loro “ascoltano” i primati e ci conducono da loro. Gli scimpanzé non si mettono di certo in posa per essere fotografati, continuano a muoversi e non è facile seguirli al di fuori del sentiero per via della fitta vegetazione; ad un certo punto mentre io e Luca chiudevamo le fila, mi trovo completamente aggrovigliato tra rami e liane e non riesco a liberarmi, tanto più che mi travolge una risata isterica per cui non riesco a fare più nulla, intrappolato come una mosca che finisce nella tela del ragno. Liberato dalla trappola solo grazie all’aiuto della guida, anch’esso divertito dalla goffaggine di questo grosso ex-primate. Raggiungiamo gli scimpanzé che finalmente decidono di salire sugli alberi e riusciamo a goderceli bene. Credo che il salire sugli alberi dopo essere stati seguiti, sia un modo che hanno per accontentarci “cosi almeno dopo se ne andranno” o semplicemente umiliarci, in effetti sembra che il loro passatempo preferito sia urinare addosso ai turisti dalle cime degli alberi; quando si dice “sei dispettoso come una scimmia”. Ad un certo punto, proprio mentre le guide ci indicano che è l’ora di tornare, continuiamo a sentire “liquido” che ci arriva addosso, non vediamo scimpanzé sopra le nostre teste e capiamo che stavolta viene da più in alto, direttamente dal cielo. Un acquazzone equatoriale ci colpisce e non ci abbandona fino al lodge dove arriviamo completamente fradici, il vestiario da pioggia pesante l’avevo lasciato nello zaino, come la custodia impermeabile per la macchina fotografia e le scarpe da trekking preferendo le scarpette ginniche da passeggio; un errore enorme ma alla partenza c’era un sole splendente e la fitta ed alta vegetazione della foresta impediva di vedere alcun cambiamento nel cielo. Ci cambiamo tutto, perfino le mutande erano fradice, da questo momento e per diversi giorni, l’interno dei nostri pulmini sarà un mosaico di panni stesi. Un saluto alla mia storica Canon vittima del temporale. Dopo una serata un po’ da balordi con “assaggi” di liquori e grappe locali, ci svegliamo presto e partiamo in direzione Fort Portal dove alle 10.00/10.30 avevo appuntamento con una guida locale per il trek ai Crater Lakes. La strada è lunga. partiamo alle 06.00, sui van un dondolio continuo di panni stesi, Francesco nel tentativo di asciugare le scarpe le lega sul radiatore davanti. Non abbiamo fatto i conti però con la pioggia caduta tutto ieri, sono già le 11.00 e le strade assomigliano a piste di motocross: una fanghiglia sulla quale i nostri van proseguono a zig zag, sembra di essere in giostra. Sugli altopiani centrali ad un certo punto la strada è chiusa da un camion impantanato, tornare indietro è impossibile, la nostra guida scende a controllare, non c’è spazio per passare, lo vediamo tutti, ma Ronald torna e dice “si può fare”…ma dove? Ci infiliamo tra il camion e l’alta sponda di terra e tra un colpo al camion e uno alla sponda, incredibilmente passiamo senza però riuscire a tenere per decine di metri, una direzione dritta con il van che sbanda come fosse sul ghiaccio, è fatta!!!. All’altro van va meno bene visto che, dopo essere passato, nello sbandare prende contro ad una motocicletta rompendogli una freccia. Dopo frenetica contrattazione per risarcire il danno a cui partecipa ogni passante, concludiamo, dando anche una mancia a chi ci ha aiutato nello spingere il van impantanato e per questo si ritrovano completamente ricoperti di color rosso/terra. Tutti felici tutti contenti, riusciamo finalmente a partire dopo oltre un ora. All’appuntamento arriviamo alle 12.00 e ci godiamo il facile trek con un sole splendente, attraverso campi coltivati e villaggi, la gente è sorridente, ci saluta di continuo, un bellissimo vero contatto umano. Prima della destinazione finale della giornata arriviamo sulle sponde del Lake George, presso l’ Humukungu Village, una comunità di pescatori, la visita anche se costruita e turistica risulta divertente per la quantità di bimbi che ti viene addosso prendendoti per mano, a volte anche fastidiosi, ma per loro è un gioco e non aspettano altro che i Mzungu arrivino per toccarli, per farsi portare in giro, per essere fotografati; nella testa dei bambini è una festa a cui noi partecipiamo volentieri. Anche stasera arriveremo a destinazione al buio, siamo sempre gli ultimi a mangiare nei nostri lodge!
LE MERAVIGLIE DEL KAZINGA CHANNEL
Siamo nel Queen Elisabeth National Park e dedicheremo 2 giorni alla visita del più famoso parco dell’Uganda. In mattinata ci dirigiamo nella Mweya Penisula, da dove parte la crociera sul Kazinga Channel, un canale naturale lungo 32 km che unisce il Lake Edward e il Lake George. Ci impossessiamo del piano superiore della Hippo Boat e partiamo. Questa è senza dubbio una delle migliori giornate del viaggio; vicino alle sponde del canale decine di ippopotami e bufali vicini ne riempiono le rive, coccodrilli, elefanti e tanti uccelli; ma è solo l’inizio. Proseguendo ci avviciniamo alla sponda dove un intero branco di elefanti con cuccioli al seguito si sta dissetando. Ad un certo punto un giovane maschio che noi abbiamo subito soprannominato “incazzino” se la prende con chiunque gli venga a tiro. Assistiamo a bellissime scene di vita quotidiano con scontri, cariche, come in un documentario. E poi ancora centinaia di martin pescatori bianconeri che nidificano sulle sponde, intere colonie di cormorani che, come fossero girasoli, si allineano ad ali spiegate verso la direzione del sole, marabù, ibis, cicogne dal becco giallo, garzette, aquile pescatrici ed ancora elefanti, giraffe e le splendide gru crestate, simbolo dell’Uganda presenti anche sulla bandiera nazionale. Tutto quello che non vedremo all’interno del grande parco si trova qua, davvero un grande spettacolo. Entusiasti andiamo poi a visitare il Katwe Salt Lake, una depressione salina dove centinaia di uomini e donne lavorano per estrarre e lavorare il prezioso minerale. Il lavoro è massacrante, le temperature torride e le condizioni umane sono davvero proibitive, ci rendiamo davvero conto di quanto può essere disumano per una persona lavorare a queste condizioni. Finiamo la giornata con un game drive nel parco, non vediamo molti animali, solo qualche antilope e qualche francolino, ma la fortuna non ci volta le spalle e riusciamo a goderci da vicino un’altra leonessa, anch’essa sull’albero. Ho sempre saputo che il Lake Manyara National Park in Tanzania era famoso per i suoi leoni sugli alberi, che ovviamente non ho mai visto nelle mie due visite precedenti, ed invece qui in Uganda, due leoni visti, entrambi sugli alberi ed in due parchi differenti! L’indomani ci trasferiamo nella parte sud del parco, nell’Isasha Sector, facciamo un paio di ore di game drive, ma vediamo ben poco, di significativo solo una iena, tra l’altro sulla strada principale. Decidiamo di lasciare il parco e ci fermiamo a Kihili, cittadina di scarso interesse sulla strada per Kisoro, la nostra meta giornaliera. Il “ristorante”, appellativo più che generoso, é in centro città frequentato dalla gente del luogo e dalle minime condizioni igieniche necessarie, o forse anche meno. Le scelte erano tra capra e pollo, entrambi con riso e avocado, solitamente in questi casi si opta per la scelta più classica e meno rischiosa: il pollo, ma in questo caso la capra era la scelta migliore rispetto alla gallina spennacchiata e gommosa servita in una brodaglia, di cosa non si sa, che è arrivata a chi ha scelto il pollo. Sazi e con lo stomaco brontolante, proseguiamo il lungo tragitto. Attraversiamo Kibirizi, altra cittadina sconosciuta al turista, c’è fermento per via del mercato allestito in città, una tentazione irrinunciabile addentrarsi tra bancarelle coloratissime e la gente del luogo. Con la giusta cautela ci infiliamo tra la folla indaffarata a fare acquisti, per cercare di rubare qualche scatto fotografico, ma ben presto ci accorgiamo che la vera attrazione siamo noi, i Mzungu, termine con il quale i locali chiamano noi uomini bianchi. In effetti siamo gli unici stranieri e ben presto, l’interesse nei nostri confronti si fa sempre maggiore al punto che diventiamo noi stessi gli obbiettivi delle fotocamere di cellulari, si purtroppo ci sono anche qua, tutti ci guardano con curiosità, alcuni in modo divertito, a qualche bambino piccolo, che probabilmente non ha quasi mai visto un Mzungu, facciamo spavento. Arriviamo a destinazione, Kisoro, cittadina famosa per essere il punto di partenza per l’escursione ai gorilla di montagna, domani è il grande giorno. In serata arriva l’uomo del corrispondente incaricato dell’organizzazione per la visita ai gorilla, un certo George, da me subito soprannominato George della Giungla (per i più vecchi cartone anni settanta di Hanna-Barbera), il quale ci convoca le informazioni riguardanti l’indomani. Ci riferisce che domani potranno andare a fare l’escursione solo otto persone e non nella Bwindi Impenetrable Forest come confermato più volte dal corrispondente anche il giorno prima della partenza, ma al Mgahinga Gorilla Nat. Park. Il resto del gruppo faranno lo stesso il mattino seguente. E’ chiaro che scoppia il putiferio, primo perché tutti si aspettavano di andare alla Bwindi, secondo perché dividerci in due giorni diversi vorrebbe dire di rinunciare inevitabilmente all’escursione al Bunyonyi Lake prevista successivamente. George, visibilmente impacciato e forse anche non proprio lucidissimo, ci propone che saremmo potuti andare anche tutti insieme chiedendoci: “se sta bene a voi andare tutti insieme, sta bene anche ai gorilla”, ci lasciamo con questa insensata frase, avrebbe chiesto e dopo cena ci avrebbe comunicato la soluzione finale. In definitiva funziona cosi: in fase di prenotazione non diranno mai no “non c’è più posto”, troppo importante la cifra che ognuno deve sborsare, il problema poi è fare coincidere tutte le visite prenotate nei giorni e nei parchi, la verità, nonostante conferme rassicuranti, la si sa solo il giorno prima a seconda di come riescono ad incastrarci. Alla sera come promesso abbiamo avuto la conferma da George di quanto comunicato qualche ora prima: il gruppo diviso in due visite differenti, uno l’indomani, l’altro il mattino seguente e al Mgahinga Gorilla Nat. Park. Avendo avuto qualche ora per rifletterci su, mi sono convinto, ed ho cercato, non senza difficoltà, di fare lo stesso con il gruppo, che fosse la scelta migliore per noi. A parte l’averci diviso in due giorni differenti, ecco perché ho pensato che andare al Mgahinga Gorilla Nat. Park anzichè alla Bwindi Impenetrable Forest fosse la scelta migliore: La Bwindi dista ben 3 ore di strada, una cosi lunga distanza metterebbe a rischio la partenza dopo l’escursione, con conseguente ulteriore notte a Kisoro, il Mgahinga solo 30 min., la prima ha una superficie di oltre 300 kmq, la seconda è grande un decimo quindi le possibilità di vederli meglio e da più vicino non possono che essere maggiori, cosi ho pensato, cosi ho riferito agli altri, cosi (per fortuna!) è andata.
I GORILLA DI MONTAGNA
Raccontare l’escursione della visita ai gorilla di montagna è impossibile, non so quante volte in questi 10 anni di attesa ho sognato, immaginato il momento dell’incontro, quello che è certo è che non ci sono andato minimamente vicino alla realtà, eppure io di fantasia ne ho parecchia! Giovedi 15 Agosto 2019, Kisoro, ore 07.00 la partenza dal Virunga Hotel, il nostro autista carica il primo gruppo di cui faccio parte, devo dire che sono abbastanza tranquillo, al momento l’emozione è sotto controllo, sono concentrato. Dopo circa 30 minuti di (pessima) strada ci scaricano ad un bivio dove inizia un sentiero pietroso in leggera salita. Qua ci sono le nostre due guide ad attenderci più altri curiosi. Inizia la preparazione; lo voglio dire un po’ alla Fantozzi prima della partita di tennis con il rag. Filini: abbigliamento Abe: cappellino da safari di taglia inferiore comprato nel 2001, compagno di ogni viaggio e per questo mai cambiato, magliettina tecnica bianca della Decatlon, maglia color cachi a manica lunga da esploratore, pantaloni elastici antiacqua color grigio topo, scarponcini da trekking usciti dall’armadio dieci anni dopo averli usati per l’ultima volta, calzettoni blu da trekking della Lidl, ghette con laccio sottoscarpa ed elastico al polpaccio, guantini grigi in gomma non traspiranti da apprendista giardiniere, marsupio porta documenti anni ottanta con tasca bucata, macchina fotografica a tracolla con zoom, collanina con africa in argento comprata a Zanzibar nel 1997, zainetto con borraccia militare all’aroma di cantina, lunch box fatto preparare dall’hotel, poncho nero modello batman. Iniziamo la salita, la più impegnativa della giornata, le pietre sono grosse e mettono a dura prova le nostre caviglie. Davanti a noi si erge “la nostra montagna” il Monte Muhabura. Passiamo attraverso campi ed abitazioni, persone intente a svolgere operazioni quotidiane, i bambini ci vengono incontro, tutti ci salutano, a volte anche con il solo sguardo. Dopo circa mezz’ora ci lasciamo le abitazioni alle spalle e ci addentriamo nella boscaglia, ci fermiamo subito ad un casotto, una sorta di gate del parco. Ci viene presentata la foto di ogni gorilla della famiglia che ci avrebbe “ospitato”, la famiglia Nyakagez, e il nome di ogni singolo elemento, come noi, cognome e nome. Ci viene fatto un briefing con le principali regole da rispettare: distanza di sicurezza da tenere 7 metri, non mangiare in loro presenza, non pisciare in loro presenza, abbassare lo sguardo se ti fissano diritti negli occhi, non correre o scappare se vi vengono contro, è vietato toccarli ma loro possono toccare voi….. solo a questo punto mi rendo conto probabilmente dove sono, mentre la guida spiegava ero assente, mi sentivo già tra loro, io ero già partito. Tutto ok? avete capito? ci chiedono le guide, ritorno in me e dico ovviamente! Muniti di bastoni, partiamo con le nostre guide (armate) a capo e in coda del gruppo, siamo in otto, seguiamo il sentiero e ci inoltriamo nella foresta, la salita è continua ma leggera, oggi non vedo altri animali, altri uccelli, eppure ci sono, non riesco ad avvistare nulla, ho un solo pensiero, la fatica e il sudore mi sono estranei. Dopo circa un’ora ci fermiamo, le guide in contatto radio con i trekkers, guardiaparchi che vivono a contatto perenne con i gorilla per monitorarne gli spostamenti e per proteggerli dai bracconieri, ci dicono di proseguire, i gorilla stanno scendendo…verso di noi. Dopo altri 20 minuti incontriamo i Trekkers, quattro o cinque, non ricordo, sono fermi, ci aspettavano, la mia guida va avanti, chiede il permesso ai gorilla di poterci avvicinare, gli parla!!! Mi dice di posare i bastoni per terra, con la mano mi fa un cenno, mi invita a seguirlo…da questo momento il mio cuore va a mille, un sogno lungo 10 anni sta per realizzarsi. C’è un movimento in un cespuglio davanti alla guida, una macchia nera si intravvede per poi scomparire, lo seguo, aggiro il cespuglio e boom!!! come una bomba che mi esplode dentro mi trovo un silverback, un capobranco dalla schiena argentata a non più di sette metri, la distanza minima di sicurezza. Avanzo, supero la guida, che mi dice “stop here”, frase che mi dirà altre cento volte in un’ora, gli arrivo a tre/quattro metri, infrangendo la prima regola, tra me e lui non c’è nulla, una visuale perfetta. Il gorilla, indaffarato a mangiare, si accorge della presenza, si gira e mi fissa dritto negli occhi, rimango imbambolato, inebetito, immobilizzato come fossi sotto ipnosi per mano di Giucas Casella. Non riesco a distogliere lo sguardo da quegli occhi che mi stanno comunicando di tutto ed infrango la seconda delle regole, la macchina fotografica è ancora ferma, com’è possibile? Esco dall’incantesimo, il gorilla non deve avermi ritenuto cosi importante e riprende a mangiare, comincio a scattare, una dopo l’altra decine di foto. A pochi metri sulla destra spunta anche un cucciolo, un tenero mucchietto di pelo arruffato. Si muovono e li seguiamo, presto incontriamo gli altri componenti della famiglia, altri cuccioli, altri silverback; giocano, si grattano il muso, le orecchie, si scaccolano il naso, si coricano e rotolano per terra, assumono posizioni ed atteggiamenti assolutamente umani, non sento nulla, a fatica gli “stop here” della guida che più che guardare i gorilla è impegnato a seguire i miei spostamenti, mi ha lasciato spesso avvicinarmi più del dovuto, ha capito quanto e da quando aspettavo questo momento, ma a volte sono fuori controllo. Abbiamo visto il silverback che con un breve scatto si è eretto in piedi e battuto i pugni sul petto, un avvertimento per ricordarci chi fosse il padrone di casa e chi gli ospiti, un suono inaspettato, come dei legni picchiati con forza su superfici metalliche. Lo stesso silverback, il primo visto, è fermo a pochi metri di distanza, improvvisamente si muove verso di me nella classica postura con le nocche a terra, l’istinto è quello di girarmi ed indietreggiare (per non dire darsela a gambe levate), la guida, diventata oramai la mia ombra, mi dice “don’t run”. Mi fermo appoggiandomi ad un albero alle mie spalle, il gorilla punta verso di me e a meno di un metro cambia direzione e si corica poco più in la. Pochi minuti dopo si rialza e mi ripassa davanti, stavolta più vicino, ne sento il respiro, l’odore, il suo manto mi sfiora, la tentazione è enorme, la guida ha già capito, allungo timidamente la mano sinistra, lo sfioro accarezzando timidamente il manto argentato, mi da un colpo con l’anca spostandomi di mezzo metro, mi ha “detto”: non esageriamo, sono io che comando qua. Restiamo in loro compagnia un’ora abbondante, l’ora più breve della mia vita, finchè la guida mi dice che può bastare cosi, “salutateli” ci dice, dobbiamo rientrare. Volgo lo sguardo verso di lui, sempre lui, il primo silverback visto, mi fissa negli occhi alcuni secondi e lentamente svanisce, per sempre. E’ finita, mentre lo guardo allontanarsi scrosci di lacrime di tristezza e felicità insieme sgorgano dai miei gonfi occhi, Alessandra capisce e mi avvolge da dietro in un abbraccio che non dimenticherò. Le mie emozioni coinvolgono tutti, salutiamo i trekkers e ci avviamo al rientro. Arrivati alla capanna consumiamo il lunch box, le guide ci chiamano per nome uno ad uno e, come durante una premiazione, ci consegnano gli attestati della visita. Nel delirare frasi del tipo che mi sentivo invincibile, che mi sentivo talmente forte da poter scalare l’Himalaya o prendere a sberle un leone, racconto alla guida che erano dieci anni che aspettavo questo momento, mi ha risposto semplicemente “allora ci rivediamo tra altri 10 anni”. I volti arrossati dal caldo, gli occhi ancora gonfi dalle lacrime di emozioni, nessuno dice niente, nessuno ha la forza di dire niente, io sono il coordinatore, prendo a fatica la parola e con voce strozzata accenno: ragazzi e questa come la raccontiamo?… io ci ho provato cosi.
KISORO, INASPETTATE SORPRESE
Al rientro dai gorilla, andiamo a fare un giro per la città di Kisoro, descritta come poco invitante e priva di valide attrattive. Passeggiamo per la grande via principale la Kisoro-Kabale Road, curiosiamo tra qualche negozio di artigianato e ci fermiamo a scegliere i motivi delle stampe per la maglietta commemorativa, che ora assume un importanza ancora maggiore, ce le porteranno l’indomani in Hotel. Proseguiamo verso i Mayor’s Garden e notiamo uno strano assembramento di gente fuori dalla recinzione che delimita i giardini. Avvicinandoci cominciamo a sentire della musica, forse una festa?, sarà un matrimonio? Avvicinandoci scopriamo che si tratta di una funzione religiosa, capiremo poi che è una messa Anglicana. Il Predicatore seguito dall’orchestrina intona canti da sopra un palco, le migliaia di persone che affollano i Garden ballano, saltano, cantano “Alleluja” rispondendo al predicatore. In fondo sulla destra noto l’entrata, e come possiamo perderci una cosa del genere? Ci addentriamo e ci mescoliamo a loro come delle mosche bianche, balliamo, applaudiamo, nessuno ci guarda male, siamo i benvenuti, ci guardano stupiti e si sprecano i sorrisi, partecipiamo anche noi. Colpisce davvero la passione, la fede che coinvolge tutti bambini, adulti ed anziani, in un caleidoscopio di canti balli e colori, un’altra esperienza davvero toccante. La funzione finisce, in modo ordinato escono tutti dai giardini, noi proseguiamo la passeggiata e poco più in la c’è un grande mercato all’aperto, anch’esso recintato. Un classico mercato Africano coloratissimo, con in vendita di tutto dal cibo al vestiario, affollato, confusionario, con forti odori, sgargianti colori e suoni indecifrabili. Sarà una buona idea entrarci? Non ci penso un attimo, ci addentriamo ancora in mezzo a “loro” cercando di usare la massima discrezione nel fare le foto, ma nessuno dice niente, a nessuno diamo fastidio. Dopo il mercato arriviamo alla rotonda in fondo al viale, facciamo delle foto con una statua di gorilla a grandezza naturale, un gruppo di ragazzi ci osserva divertiti, ci fotografano e noi andiamo a scambiare qualche chiacchiera con loro. In questo momento il mio sguardo viene attirato da una serie di Boxer fermi sul nostro stesso lato della rotonda, “non posso rientrare dal viaggio senza provare” penso, “se non lo faccio ora non lo farò mai più”, con Alessandra contrariata mi avvicino ad uno di loro e gli chiedo posso provare? Senza alcun tipo di problema mi fa spazio, ovviamente dietro di lui, mi invita a salire,…al volo! Attraversiamo la grande strada e ci infiliamo in strade meno trafficate, gli dico “anche io in Italia ho una moto, una grossa moto”, senza indugiare si ferma e mi consegna il mezzo, “prova” mi dice. Ci scambiamo i posti e al primo tentativo di partenza si ferma la moto, beh devo prenderci un po’ la mano sai com’è. Provo a riaccenderla con la pedalina, manovra che non facevo da almeno vent’anni, ed infatti di lascio mezzo stinco sulla carrozzeria, ma oggi non sento dolore. Con cautela ci riprovo e al secondo tentativo parte, mi faccio un po’ spiegare dove sono le frecce, il clacson e via si parte. Trovo qualche difficoltà con le marce, scopro per strada che sono come 30 anni fa da noi; schiacciando il cambio a pedale in avanti ci sono le marce superiori, schiacciando dietro si scala a quelle inferiori. Ma il mio piede ormai abituato diversamente và per conto suo e non sono mai nella marcia giusta. Attiro subito l’attenzione di tutti e per strada echeggiano svariati “Mzungu Driver”. Dopo 15 minuti di giro, passando anche per il nostro Hotel dove un gruppo di Avventure mi vede e fa il tifo per me, ritorno per la Kisoro-Kikale Road, azzardo anche dei sorpassi ed arrivo trionfante dagli altri suonando a tutto spiano il clacson. Che dire, davvero un ferragosto da ricordare.
VERSO IL RIENTRO AD ENTEBBE
Il mattino seguente tocca al secondo gruppo, a fatica non abbiamo raccontato nulla della nostra esperienza per non condizionarli. Anche loro scoprono solo al mattino di andare al Mgahinga Gorilla Nat. Park, per fortuna la giornata è splendida ed anche loro avranno un’esperienza positiva come la nostra. Per fortuna, ho provato ad immaginare il contrario, se per caso fosse diluviato, se non li avessero visti bene, se qualcos’altro andava storto, sarebbe stato un bel problema. Io con il primo gruppo facciamo l’escursione consigliata dagli altri ed andiamo al vicino Lake Mutanda (si proprio Mutanda). Una bella e piacevole escursione, giro in barca e sbarco con facile passeggiata fino in cima ad una collina con splendido panorama del lago da una parte, campi coltivati dall’altra e di fronte a noi loro, i Monti Virunga. Nel primo pomeriggio dopo pranzo partiamo per il Bunyonyi Lake, la nostra prossima meta, ben sapendo che sarebbe stato difficile, se non impossibile, arrivare in tempo per il giro in barca che non avevo prenotato vista la facilità di reperire barche sul posto. A rendere la cosa definitivamente impraticabile, ci pensa il mio autista che al posto di proseguire le la strada asfaltata che porta a Kabale, decide per una deviazione su una pessima strada sterrata che costeggia il lago. La strada ha anche un bel panorama ma la velocità non supera i 20 km/h. Ovviamente arriviamo tardi, alle 19.00 in tempo solo per una doccia veloce prima di cena. Il mio autista, forse un po’ risentito o più probabilmente ricevendo ordini dall’alto, mi propone il giro in barca l’indomani, ma ormai è persa gli dico e preferisco seguire il programma. Peccato perché il posto meritava. Messo un po’ alle strette dal gruppo, decidiamo con l’autista l’orario di partenza di domani mattina per arrivare in tempo al giro in barca nello Mburo Lake National Park. Ci consiglia di partire alle 08.00, siamo tutti puntuali, come al solito, ma con il passare delle ore ci rendiamo conto che la strada è lunga e stiamo tenendo una velocità inferiore ai giorni scorsi. Arriviamo tardi, alle 15.00 siamo sulle sponde del lago all’interno del parco, la barca è già partita, a malincuore optiamo per un game drive senza aspettare un altra ora abbondante per il prossimo giro. Con non pochi mugugnii ci apprestiamo ad iniziare il game drive ma buchiamo, ci mancava solo questa, gli autisti sentendosi ovviamente in colpa per i ritardi si danno un gran daffare per cambiare la ruota e in poco tempo siamo di nuovo pronti. Facciamo un giro nell’unico parco dell’Uganda in cui sono presenti zebre ed impala rientrando nel bellissimo campo tendato dopo il tramonto. E’ arrivato l’ultimo giorno, nonostante parte del gruppo avesse abbastanza ore di agio da dedicare ad un altro giro nel parco, siamo costretti a rientrare tutti verso Entebbe, l’altra parte del gruppo rientra oggi e gli autisti non possono dividersi. Facciamo pausa pranzo all’Equator Point ed ovviamente foto di gruppo, tutti con tanto di maglietta commemorativa. Alle 15.30 arriviamo in aeroporto, siamo in anticipo di un’ora, è la prima volta in corso di viaggio che arriviamo prima del previsto. Salutiamo con rammarico chi deve partire prima, noi otto rimasti andiamo al Resort a sistemarci, quindi ci facciamo portare sulle sponde del Lago Victoria. Facciamo una piacevole passeggiata, siamo un po’ tristi, siamo di meno e ce ne accorgiamo, un ultimo aperitivo sulla spiaggia, un ultima birra Nile Special, una delle tante, la più buona. Ringrazio tutti i miei compagni di viaggio, persone che si sono ben inserite, che hanno ascoltato i consigli e rispettato gli altri, sempre puntuali ed efficienti, ognuno ha fatta la sua parte e dato la propria disponibilità, un ottimo gruppo che anche nei momenti difficili ha sempre saputo fare squadra, ed usare l’intelligenza, cosi com’è nella migliore tradizione di Avventure.
Il viaggio della mia vita è finito, ancora non mi sembra vero, penso che ora debba trovare subito un altro obbiettivo, un altro viaggio, un’altro sogno da realizzare, ma con calma mi sono dato 10 anni di tempo.
Appassionatamente
Abe