Da costa a costa
San Francisco
San Francisco, situata a nord della California, è un meraviglioso “Sali e Scendi” su strade asfaltate, perché nasce come città collinare posta sulla punta di una penisola circondata dall’oceano Pacifico. La baia, nella quale sorge la città, oltre ad essere avvolta dalla nebbia perenne è celebre anche per il Golden Gate Bridge, i tram, Lombard Street, le case vittoriane dai colori più sgargianti e per aver dato i natali ad una delle case penitenziarie più famose del mondo: Alcatraz (carcere temuto da tutti, meno che da Clint Eastwood). Durante il primo giorno, abbiamo percorso un primo piccolo tratto in tram, poi a piedi una piccola parte della città attraversando Lombard Street – tratto famosissimo con i suoi otto ripidi tornanti denominati “Russian Hill” che gli sono valsi il binomio di strada più tortuosa al mondo - e successivamente, perlustrato il territorio sulle due ruote di una bicicletta. Arrivati alla riserva di biciclette, è bello stare in attesa della consegna, mentre si è posti di fronte al capolinea del tram, perché si osservano le antiche manovre manuali da parte dei tramvieri, che girano lo stesso tram, su di una pedana rotante in modo da poterlo porre sulla carreggiata opposta all’arrivo, e riprendere la partenza. I tram di San Francisco hanno un’interessante caratteristica: sono privi di motore, per cui lo spostamento è dato da un cavo di ferro che scorre sotto la strada e che va rilasciato al momento giusto, altrimenti, non darebbe lo slancio per oltrepassare il tratto collinare. Dopo queste strampalate curiosità, siamo partiti dalla riserva di biciclette, proseguendo verso nord, arrivando a Sausalito, piccola località marittima sempre sulla costa californiana, ma situata oltre il ponte dall’ingresso dorato, dove poi dopo una passeggiata, abbiamo preso il battello e siamo ritornati sul lato opposto della baia. Tra una pedalata e l’altra, è interessante fermarsi nelle apposite rientranze che danno sul panorama, fare selfie, godersi la baia e osservare la struttura del Golden Gate Bridge, progettato dalla mente ingegneristica di Strauss. Esso, è una meravigliosa costruzione sospesa in acciaio, di colore arancione (affinché non si arrugginisca) ed è annoverata tra le sette meraviglie del mondo moderno. Esso, mette in comunicazione la città di San Francisco, con l’immensità dell’oceano che si estende da ovest. Particolare e pianeggiante, è la via lungo il mare, dove dirigendosi verso il molo Pier 39, si può spendere parte del tempo tra negozi e shopping. Il più particolare è il negozio di Natale, aperto tutto l’anno, dove si possono acquistare addobbi personalizzati, palline decorate che rappresentano le attrazioni principali della città e per i più curiosi, spostarsi verso il pontile per incontrare da vicino, i grandi leoni marini, ai quali è stato dedicato uno spazio su dei galleggianti, dove sgomitano gli uni con gli altri, per riservarsi il posto migliore, a causa della bassa temperatura dell’acqua che potrebbe rischiare di favorirgli l’ipotermia. A tal proposito, si è reso necessario vietare il passaggio delle imbarcazioni per non mettere in pericolo i mammiferi semi-acquatici pinnipedi.
La seconda mattinata, è proseguita verso i quartieri della city californiana. Primo fra tutti, Chinatown. In un’unica via, si condensano i capisaldi della cultura cinese tra tetti trasformati in piccole pagode dove restano evidenti gli spigoli inferiori curvati verso l'alto, generalmente di forma quadrangolare o ottagonale, negozi di macelleria con pezzi di carne appesi ad adornare le vetrine, lampioni colorati con i draghi che si attorcigliano alle due estremità che sorreggono le lanterne allungate, che hanno come copertura sempre una pagoda e lanterne cinesi agganciate da una parte all’altra delle abitazioni, fino ad arrivare al grande arco decorativo che delimita la zona di Chinatown, con la grande baia californiana. Lasciata la cultura cinese e i suoi giochi di colore abbiamo proseguito verso Mission District. Anch’esso quartiere californiano, ancorato alle radici latine dove si denotano vivacità e culture appartenenti alle tradizioni spagnole dell’America del Sud. Passeggiando si è immersi in tutt’altro tripudio di colori, usanze, profumi. Infatti, la prima tappa, per comprendere più da vicino le loro usanze è dedicata ad una prima passeggiata tra i murales che colorano la via, dedicati soprattutto alle loro tradizioni e appartenenze etniche, alle figure femminili che hanno lasciato un segno nella storia del mondo e alla procreazione della donna. Uscendo dalla street art, ci si immerge nelle successive vie ricche di bazar posti l’uno a fianco all’altro fino a raggiungere il grande parco di Mission District Dolores. Tappa fondamentale, non solo per l’area verde che la caratterizza, ma anche perché seduti sul grande e morbido prato è possibile godersi un magnifico panorama sui raggruppati grattacieli di San Francisco, centro economico-finanziario della city californiana.
Proseguendo il nostro tour, ci siamo diretti a Castro, quartiere dedicato agli LGBT, dove tra bandiere con i colori dell’arcobaleno e sexy shop, pullulano annunci e richieste di vario tipo, nei punti più strategici del viale. Infine, abbiamo concluso il nostro giro alla scoperta dell’ultimo rione: Haight Ashbury. Esso è il luogo più originale tra quelli visti. Non solo per i colori o le vetrine stravaganti, ma anche per l’architettura che lo contraddistingue dove si respira il fenomeno del Summer Of Love, frase pionieristica dell’idea di Pace Amore e Serenità per la quale la gente hippy che la popola, vuole essere riconosciuta dai suoi visitatori. Terminata la lunga passeggiata tra le zone più eccentriche, ci siamo diretti verso i grandi grattacieli di San Francisco, distretto di fatturato economico-finanziario della California. Qui, sembra di essere catapultati in una piccola porzione della Grande Mela, dove l’essere circondati da queste alte torri ricoperte interamente da vetrate, ci ha fatto sentire come “puffi” con il naso all’insù, alla ricerca del grattacielo più alto. Ma una volta usciti tra questi “giganti di vetro” abbiamo proseguito nella penultima attrazione turistica andando verso le famosissime Painted Ladies. Se da un lato, ci sentivamo quasi impauriti di fronte allo skyline dove sentivamo addosso il loro dominio, qui, sembrava di essere entrati in un villaggio delle bambole. Queste casette, fanno saltare subito all’occhio le bay window, classiche finestre a tre vetri sporgenti. Sono così piccole, raccolte le une accanto alle altre, che richiamano il tipico stile vittoriano, perché costruite durante il regno della regina Vittoria. Impossibile non inserirle nel proprio day tour, perché ormai sono diventate famosissime tanto quanto le dimore dei personaggi illustri sulla collina di Bel Air.
In serata, con il calare della coltre di nebbia, per rendere ancora più spettrale lo scenario, abbiamo intrapreso una piccola traversata in traghetto verso l’isola di Alcatraz. Se all’esterno si presenta come impressionante e suggestivo, dove l’unica compagnia è lo stridio dei gabbiani che planano sulla antiquata struttura detentiva, dentro, soprattutto mediante il racconto veritiero dell’audioguida è stato possibile sentire e poi toccare con mano quanto vissuto dai detenuti, non solo attraverso la chiave che gira nella serratura ma anche quale fosse l’organizzazione della loro giornata, quali erano i pasti giornalieri, com’erano le celle di detenzione nei blocchi A B e C e le celle di isolamento, fino ad arrivare alla parte più sorprendente, quella dedicata al racconto dei tre detenuti che sono riusciti a darsi alla fuga eludendo i controlli notturni, scavando per lungo tempo un buco nel muro, permesso dall’erosione della calce ormai inumidita dal tempo, con solo l’ausilio di un cucchiaio e, costruendo tre fantocci con le loro fattezze, che sono serviti per coprire la loro fuga durante quella lontana notte del 1962. Negli anni’70, siccome l’istituto è stato chiuso a causa degli elevati costi di gestione, è stato successivamente trasformato in un museo, e visitato da moltissimi turisti ogni giorno.
Redwood Big Basin State Park e Carmel – By – The -Sea
Lasciata la coltre di nebbia, le fresche temperature e il Santa Ana, nonché il vento caldo e polveroso tipico della città californiana, ci siamo diretti verso l’aeroporto della città e armati di tanta pazienza abbiamo atteso che l’autonoleggio ci fornisse i suv che ci hanno consentito di spostarci verso nuove avventure americane! Dopo aver controllato lo stato delle macchine, al fine di evitare inutili rischi, abbiamo iniziato a macinare chilometri per raggiungere il primo degli innumerevoli parchi che ci attendevano. Il primo della giornata è stato dedicato all’attraversamento di una parte della costiera pacifica, per raggiungere il Red Wood Big Basin State Park. L’origine di questi altissimi alberi che risiedono nella parte occidentale del Nord America cresce spontaneamente lungo una ristretta fascia costiera tra la California e l’Oregon. Si tratta della specie vegetale più alta del mondo (può superare i 100m di altezza) ed è anche una tra le più longeve, potendo vivere oltre 2000 anni. Purtroppo, nel 2020 a causa del maltempo, un fulmine ha colpito il parco che ha causato un ampio incendio, devastando il 97% della sua bellezza, rendendo la visione più triste e cupa a causa delle fiamme, che hanno incenerito la corteccia arancione-rossastra che la contraddistingueva. Fortunatamente, mediante il lavoro dei ranger americani, i “giganti” della foresta, continuano ad essere protetti e salvaguardati, grazie anche alle continue visite dei turisti che non si dimenticano di ciò che era presente e che a livello economico, ne forniscono un sostentamento. Nel pomeriggio, ci siamo diretti verso una seconda chicca situata sul fronte maestoso dell’oceano Pacifico, Carmel – By – The – Sea. Il paesino che pare essere abitato da lillipuziani arricchiti è legato alla tradizione dei missionari spagnoli, dove hanno costruito la prima chiesa missionaria nella periferia della attuale città. Le vie, sono ordinate, pulite, con svariati negozi chic dai prezzi non sempre accessibili e numerosi bar o ristoranti che sorgono tra queste casette piuttosto basse dall’architettura fiabesca, in legno e con i graticci, o in elegante muratura, con finestre piccole, dalle quali è possibile vedere gli eleganti arredamenti interni, i giardini confortevoli con prati all’inglese e i balconi fioriti tutti colorati che donano uno stile signorile e raffinato a tutto il contesto. Osservando la struttura stradale, si capisce il progetto a scacchiera che è stato seguito, dove le macchine possono spostarsi agevolmente tra il traffico, ed essendo posto su di una leggera altura, facile è il sali e scendi che lo caratterizza. Esso, si affaccia verso la meraviglia delle meraviglie: l’oceano Pacifico. Per raggiungerlo basta discendere dalla strada principale e si possono già immergere i piedi nella fine sabbia bianca. Bellissimo è osservarlo nella sua vastità e ampiezza, facendo passeggiate sul bagnasciuga, cercando di evitare per gioco la forza delle onde che così impetuose si stagliano sulla riva. Lasciamo al tramonto questo terzo giorno, con gli occhi ancora pieni di meraviglia.
Yosemite Mariposa Growe of Giant Sequoias National Park
In questa quarta giornata, si va alla scoperta di una delle zone protette dagli Stati Uniti che copre parte dei monti della Sierra Nevada, nella parte orientale della California. Con una superficie di 3074km2, lo Yosemite, è il terzo parco nazionale più grande della regione. Esso, ospita uno dei macro-habitat maggiori e meno frammentati della Sierra Nevada, con riferimento sia a piante che animali. Al nostro arrivo, siamo accolti da una vasta foresta composta da sequoia che purtroppo, hanno vissuto anche loro il devasto da parte degli incendi, ma che fortunatamente, rispetto al parco precedente, è possibile vedere ancora gli alberi più longevi, sopravvissuti alla potenza delle fiamme. Ciò che principalmente colpisce (a conferma di quanto scrissi nel reportage del terzo giorno) è il colore tendente al rossastro e, al tatto, si presenta con una corteccia robusta, solida, ruvida e pelosa con un fogliame verde e luminoso, che si sviluppa sui rami più alti. È stato particolarmente interessante, poter rivedere queste specie di alberi nel loro totale splendore, soprattutto perché a Yosemite Mariposa vi sono posizionati gli arbusti più secolari dell’intero parco. La prima che abbiamo incontrato, è stata la Grizzly Giant. Rappresenta la ventiseiesima sequoia più grande e vivente al mondo, nonostante abbia subito un’importante bruciatura nella parte iniziale del tronco. Ha circa tremila anni e risulta essere una delle più longeve. La seconda sequoia per importanza è quella con il buco o tunnel nella quale è possibile attraversarla per continuare il percorso tra gli alberi nel parco. Ha uno scavo al suo interno davvero ampio e la sensazione di poterla valicare è meravigliosa, come se si lasciasse andare qualcosa, per raggiungere qualcos’altro che solo la natura può donare. Il suo interno è come una minuscola casa, fatta di legno, solo che non si ha la sensazione di avere sopra di sé il resto del tronco, per cui ci si sente come in un ambiente raccolto, sicuro, dove per chi vuole, può sentirsi libero di lasciar andare i propri pensieri, perché la fiducia che si ripone nell’albero è talmente grande da non aver paura di perderli. Terminata la visita, risaliamo in macchina per raggiungere Fresno.
Yosemite National Park
Il nostro quinto giorno alla scoperta dello stato californiano, lo abbiamo dedicato ad uno dei parchi naturali più affascinanti della costa ovest: lo Yosemite. Pareti rocciose, cascate roboanti, monoliti di granito e vette vertiginose creano un paesaggio da togliere il fiato. Le sue dimensioni, sono talmente immense che non lo rendono semplicissimo da visitare, dato che si calcolano quasi 2000km di percorsi e una grandezza pari alla nostra Valle D’Aosta! Senza parole, vero? Allora per scoprirne anche una sola piccola parte, proseguite nella lettura e ne rimarrete affascinati! Quando si dice Yosemite, dici natura, bellezza, animali simili ai nostri, avventura, vertigine, ma anche silenzio e imponenza. Ma soprattutto dici: El Capitain e Half Dome. Queste sono le due cime maestose che ci sono apparse più frequentemente ai nostri occhi, perché talmente alte, che erano visibili da quasi ogni punto panoramico. Ma si possono osservare anche le cascate che sgorgano da diversi punti rocciosi, dai quali spiccano in salti vertiginosi. Per osservarle, è possibile percorrere sia percorsi nei quali ci si avvicina allo sgorgare dell’acqua e sia percorsi dove si riesce a sentire il getto rinfrescante, tanto quanto potente che si infrange sui massi. Quest’ultima è la Lower Yosemite Falls alta circa 98 metri e raggiungibile da un piccolo percorso a piedi, con una prima parte molto semplificata e una seconda parte più ripida perché pervasa da massi rocciosi di diversa grandezza. Anche se somiglianti, è bello vederle una ad una. Sembrano tante spose, che con il loro “abito” bianco sono sinonimo di purezza e beatitudine. Siamo solo al quinto giorno, ma le avventure che viviamo sono indescrivibili tanto quanto la bellezza dei paesaggi diversi per climi, accoglienza, magia e pace. Tutto è quasi immobile, come a voler mostrare tutta la sua potenza e meraviglia. Come gli scoiattoli, perché abituati ai tanti turisti si fanno fotografare senza timore e camminano, mangiano, corrono tra le persone in totale sicurezza.
Death Valley
Lasciati i freschi getti d’acqua delle cascate, o la panchina all’ombra della sequoia, il giorno successivo allo Yosemite, abbiamo definitivamente lasciato la California, per attraversare il confine e raggiungere il secondo stato del nostro viaggio “Far West Breve”: il Nevada. Prima tappa, la Death Valley. Se è chiamata letteralmente Valle della Morte, il motivo è solo uno: il caldo asfissiante che la contraddistingue con i suoi 48° gradi nelle ore più calde e che, costringe a un “mordi e fuggi” i turisti nei vari point of view, i quali scendono velocemente dalle auto per farsi immortalare coraggiosamente nelle foto e, risalire altrettanto velocemente sulla stessa, per evitare colpi di calore. Il paesaggio appare ai nostri occhi come un dipinto. Il cielo azzurro infinito mantiene la stessa tonalità anche in lontananza, le nuvole, sembrano appoggiate sulla tela, come tanti batuffoli di cotone in rilievo e tutto intorno, la sabbia bianca, fine ed estremamente bollente al solo far passare qualche granello di sabbia tra le dita. I monti intorno, si mostrano con varie striature di sassi e rocce, sino a quelle più ondulate, come se fossero state modellate come creta tra le mani, a quelle colorate, le Artist’s Palette. Trovarsele a distanza ravvicinata fanno pensare ad una grande tavolozza, ma il miglior pittore in questo caso, non ha sembianze umane ma naturali. Si presentano come un arcobaleno, perché finemente striate, merito dell’ossidazione dei diversi metalli presenti nel territorio. Proseguendo in auto, ci si può avventurare verso il bacino della Badwater, ossia il punto più basso degli Stati Uniti perché si trova a 86 metri sotto il livello del mare. Le acque del lago sono così salate che non si possono né bere, né utilizzare per l’irrigazione, da qui il nome di “acqua cattiva”. In un punto vicino, è stato possibile camminarci sopra dove il colore bianco risalta particolarmente se illuminato dalla luce del sole. Infine, abbiamo raggiunto Zabriskie Point, uno dei punti più famosi della Valle della Morte (merito anche del film di Michelangelo Antonioni) e si tratta del luogo migliore da dove osservare la zona. Oltre al Dante’s View (chiamato così in onore di Dante quando nella Divina Commedia raccontò dell’inferno) perché dall’altura raggiungibile a piedi, è possibile godere di un meraviglioso paesaggio sulla salina sottostante, dalla quale sembra prendere forma un immaginario “lago bianco”.
Ormai arrivati a fine giornata, ci allontaniamo dalla “Valle della Morte” per raggiungere quella che è la città più viva di tutto il Nevada: Las Vegas. La tappa, in quella che è la città più luminescente e pacchiana di tutta la regione desertica, resta assolutamente obbligatoria. Camminando per la “Strip” nonché via principale, ci sembra di stare dentro un gigantesco flipper tra luci, suoni, colori, con le persone che schizzano come palline da una parte all’altra della strada. Las Vegas, è sicuramente riconosciuta per i matrimoni lampo, per le sale da poker e le macchinette dove la gente entra per giocare, divertirsi, o semplicemente per curiosare tra fish di diverso colore che strisciano sul tappeto verde del tavolo, o le immagini che si alternano agli slot tirata la “leva della fortuna”. Ma è anche la metropoli che vive di notte come una discoteca a cielo aperto, tra persone stravaganti, eccentriche, che attirano l’attenzione in ogni modo: o come ballerine tra lustrini e piume, o come cantanti e suonatori di musiche latine o jazz. Camminando per la via, lo sguardo si alterna tra destra e sinistra per ammirare i famosi alberghi, che richiamano i simboli più importanti delle città europee ed extra europee. Da Bellagio, con le sue elegantissime fontane in movimento a ritmo di musica, Parigi con la Tour Eiffel in miniatura e la struttura alberghiera che richiama il famosissimo museo del Louvre, fino a Roma, con la fontana di Trevi e il Colosseo, oppure Berlino con l’inconfondibile Porta di Brandeburgo, oppure l’Empire State Building, per non parlare di Venezia!! Tra ponti, canali, gondole in funzione, punti di approdo, il Palazzo Ducale, il Ponte di Rialto e ovviamente il campanile di San Marco. In cinque chilometri di strada, sono riusciti dal nulla, a ricreare parte dell’Europa in miniatura. Davvero fantastico!
Zion National Park
Ancora in marcia verso un altro meraviglioso parco. Questa volta, siamo in Utah, terzo stato dei cinque da visitare. Non appena giunti in questa zona sconfinata e meravigliosa, ci è scesa una lacrima dall’emozione. È davvero incredibile cosa geologicamente parlando sia riuscita a creare la natura. Qui, è possibile vedere le alte montagne dai colori e dalle striature più svariate, dove avendo una distanza pressoché ravvicinata, è possibile osservare i lati rocciosi, dove nel mezzo scorre il fiume che ne continua a modellare i contorni. Il Parco Nazionale dello Zion è situato nel sud-ovest degli Stati Uniti. Ha una superficie di 593km2. La visita in questo settimo giorno non è stata altro che un anticipo di ciò che si vedrà nei giorni a venire. Cuore del parco è il Canyon di Zion, una lunga gola di 24km e profonda 800m, scavata dal ramo settentrionale del Virgin River. Il Parco protegge un ambiente unico, dove si incontrano questi imponenti giganti rocciosi e profonde gole incise dalle forze dell’acqua del fiume e, dai suoi affluenti. La varietà degli ambienti naturali, fa sì che la flora e la fauna siano estremamente variegate, ma che purtroppo essendo a rischio di estinzione, necessitano di essere protette e tutelate.
Bryce National Park
Se fosse possibile, sarebbe alquanto doveroso lasciare uno spazio bianco per dare dimostrazione delle parole che sono venute a mancare quando ci siamo trovati davanti a tale splendore. Il percorso, che si snoda all’interno del Bryce Canyon, dove sembra di camminare tra stalattiti in risalita di colore arancione che variano a seconda dell’illuminazione giornaliera. Anch’esse, pareva fossero lavorate come la creta, poi lasciate lì a “colare” in attesa che il calore del sole le stabilizzasse. Il cielo azzurro e le nuvole bianche e paffute hanno fatto da cornice al paesaggio, facendo risaltare ogni singola sfumatura. Nel gergo geologico, i pinnacoli che contraddistinguono il Bryce National Park, si chiamano Hoodoos e si sono formati, sempre attraverso l’erosione millenaria delle rocce con il passaggio dell’acqua che le ha ancora una volta modellate rendendole uniche nel loro genere. Diversi sono stati i panorami e le passeggiate nel Canyon, che ci hanno permesso di vedere queste trasformazioni, perché i soli point of view, non avrebbero omaggiato a sufficienza la loro bellezza. Per cui, camminarci nel mezzo tra una parete e l’altra, toccandoli, ci ha permesso di scoprire ogni insenatura, ogni angolo diverso e, di scoprire cosa ci fosse dall’altro lato della roccia, anch’esso reso unico nel suo genere.
Grand Canyon
I giorni proseguono inesorabilmente, tanti quanti i chilometri che continuiamo a percorrere. Attraversata la California, il Nevada, l’Utah, eccoci in Arizona e anche oggi, è stato necessario osservare un minuto di silenzio per godere appieno di ciò che la natura ci ha offerto. Dagli animali liberi di pascolare e saltellare senza il timore di essere disturbati, alle immense distese rocciose che occupano il suolo davanti a noi. A tal proposito resta necessario ricordare una cosa importante: è estremamente impossibile dire che, se hai visto un canyon li hai visti tutti!! Per questo parco, non vale la stessa magia di ieri o del giorno prima, perché ognuno ha lasciato un’emozione diversa in noi. Per osservarlo in tutte le sue conformazioni, è necessario fare un volo in aeroplano (più soggetto alle turbolenze) o in elicottero (meno soggetto alle turbolenze) per capire meglio la sua profondità, che equivale a 1600m., la sua larghezza di 19km, e lunghezza di 450km. Rispetto ai due canyon precedenti, ci sono delle profondità e dei lineamenti diversi che ora provo a spiegare. La roccia del Grand Canyon è stata creata in parte dallo scorrimento del fiume Colorado che milioni di anni fa raggiungeva livelli altissimi, insinuandosi tra le pareti allargando lo stretto tra le due, e rendendo dall’alto il terreno verde e pianeggiante e poi nel mezzo, queste immense spaccature che scendono verso la conca, dove scorre ancora il fiume che segue la corrente, arginato dalle sponde. Il Grand Canyon comprende due diversi tipi di roccia, una prima base granitica e una seconda parte arenaria, sicuramente più fragile e di conseguenza più soggetta alle erosioni.
Horseshoe Bend, Antelope Canyon, Lago Powell
Siamo quasi a metà del nostro splendido tour della costa ovest americana ma le sorprese, non sono ancora terminate. La sveglia di questa mattina, non è suonata con particolare anticipo, dato che essendo già arrivati nella successiva destinazione, il giorno prima, ci aspettavano solo pochi chilometri di auto per raggiungere Horseshoe Bend. Cari avventurieri, ho una domanda da porvi: avete presente quando si prende in mano il giornale della National Geographic e ci si chiede dove i fotografi saranno mai andati a trovare tale meraviglia? Ebbene, la risposta è a Page in Arizona. Houseshoe Bend, è un vero miracolo della natura. Si tratta di un membro a forma di cavallo situato nel Colorado River e fa parte del Parco Nazionale del Glen Canyon. Il suo punto panoramico più alto è di 1300m. sopra il livello del mare, slanciandosi in altezza sulla superficie dell’acqua, per circa 300m. Quando ci si avvicina, non solo è possibile osservare il meraviglioso colore della roccia, nonostante il meteo per quel dì, poco favorevole, ma anche lo strapiombo che lo circonda dal quale, ci si vorrebbe avvicinare di più, solo per capire la sua fine, ma lo si può comunque immaginare guardando il perimetro circostante. Essendo una visita di breve durata perché si arriva a piedi direttamente al punto panoramico, a quindici minuti circa dalla curva a ferro di cavallo, sulla terra Navajo, c’era l’ennesimo Canyon ad attenderci. Se tutti gli altri li abbiamo scoperti tramite un volo aereo, trekking o panorami accessibili, per ammirare Antelope canyon, è stato fondamentale camminare nel tessuto roccioso. Arrivati a destinazione su di un pulmino guidato da una nativa americana, ci siamo trovati di fronte ad una montagna, dove era ben visibile una netta spaccatura, della quale non era tanto interessante l’esterno, quanto più l’interno. Dopo aver programmato le fotocamere dei telefonini affinché la luce potesse essere migliore al momento dello scatto, ci siamo addentrati nella meraviglia delle meraviglie. Antelope canyon, assume una forma di “V” rovesciata, che sta ad indicare la stretta fessura dall’alto, che poi si allarga al suo interno.
Durante il leggero trekking gli occhi dei presenti, si sono riempiti di stupore di fronte a questa lavorazione della pietra del tutto naturale e a differenza dei vari parchi visitati nei giorni precedenti, qui, non è stato nessun fiume a fare lo scavo, quanto le condizioni metereologiche (acqua piovana e vento soprattutto). Il corso d’acqua, con la forza del vento, ha letteralmente modificato un passaggio deformando queste pareti di arenaria (così decisamente fragili e modellabili) quasi come se una mano naturale, fosse passata al suo interno con una spatola. Per cui, restano ancora ben visibili le linee ondulate che hanno favorito e favoriscono tutt’ora questo splendido scenario.
Quando si è intrapreso il percorso, basta alzare il naso all’insù per vedere la luce che filtra dall’alto della spaccatura della roccia e dove solo nelle principali ore della giornata viene conferita alla roccia una splendida tonalità cromatica: le ombreggiature e le sfumature brillanti arancioni-viola delle pareti levigate dagli agenti atmosferici lo rendono uno spettacolo unico, fra i più suggestivi degli States. Più ci si addentra e più cresce la curiosità di osservare le diverse angolature, per capire dove portano comprendendone la prospettiva, che passo dopo passo, si fanno le une diverse dalle altre, e per ogni conformazione rocciosa, si possono intravedere tramite illusioni ottiche delle sagome, che possono rappresentare quel qualsiasi cosa uno voglia immaginarsi.
Nel pomeriggio, per riposarci dalle fatiche dei giorni precedenti, ci siamo presi una piccola pausa lungo le sponde del lago Powell. Esso, si è venuto a creare lungo le sponde del Colorado River, tra lo stato dell’Arizona e dell’Utah. Si tratta di un bacino artificiale, nato dopo la costruzione della diga di Glen Canyon. Dalle sponde è possibile osservare il lato opposto che si erge sulla riva e dove le rocce, riprendono le stesse conformazioni dei Canyon situati nelle vicinanze. Inoltre, il lago essendo balneabile, permette ai molti turisti di rinfrescarsi e di rilassarsi sulla spiaggia illuminata dal sole. Inoltre, è possibile prenotare delle imbarcazioni che si trovano poco distanti per effettuare delle mine crociere sul lago.
Monument Valley
Continua il nostro sbalorditivo tour negli Stati Uniti. In questa undicesima giornata, ci siamo diretti nuovamente tra l’Utah e l’Arizona, per scoprire più da vicino i luoghi dove tra la polvere rossa, si sono succedute le vicende tra cowboy e pistoleri che abbiamo sempre ammirato nei film western e, lo scenario che li ha resi protagonisti: la Monument Valley. Parcheggiate le macchine, si è aperto di fronte a noi, un monumento naturale, situato in un’immensa pianura di origine fluviale, caratterizzata da “testimoni di erosione”, ovvero guglie rocciose, dette “butte” o “mesas” a seconda della loro conformazione. Queste grandi sculture naturali, ormai celebri in tutto il mondo, hanno la forma di torri dal colore rossastro (causato dall’ossido di ferro) con la sommità piatta, più o meno orizzontale, dove alla base, si accumulano detriti composti da pietrisco e sabbia, che sembrano sollevarli da terra. In questa distesa, sono stati girati film come “Ombre Rosse”, “Ritorno al Futuro”, “Spaghetti Western” e il grande “Forrest Gamp” dove resta obbligatoria (macchine in corsa permettendo) la corsa seppur breve, su quella striscia di asfalto che ha reso tanto celebre il grande attore Tom Hanks. La Monument Valley, come detto prima, è di origine fluviale (il cosiddetto Colorado Plateau) ed è immersa in un’area abbastanza isolata, quanto infinitamente estesa. La strada che conduce verso questi grandi massi rocciosi posizionati qua e là è la 163 Highway, segue un percorso rettilineo in leggera discesa, come un calarsi all’interno della valle. Qui, vive tuttora una tribù Navajo composta da nativi americani. Questo viaggio continua a rivelarsi un’autentica scoperta ogni giorno che passa, dove si vive dal vero, una storia geologica lunga secoli. E allora, avanti tutta!!
Mesa Verde National Park
Il parco Nazionale di Mesa Verde, situato nel Colorado, è un’area naturale protetta degli Stati Uniti. È insignita nel patrimonio dell’Unesco dal 1978. Ha una superficie di 211km2 e comprende un’area in cui sono presenti i resti di numerosi insediamenti costruiti dagli antichi popoli ancestrali, una volta denominati Anasazi. Si tratta di villaggi costruiti all’interno di rientranze della roccia, denominati Cliff-Dwellings. Il più noto e più grande di questi insediamenti, è denominato Cliff-Palace. Dall’altura del parco è possibile dominare parte dei confini americani: dal New-Mexico, alla più vicina Monument Valley, al Canyonlands. Passeggiare tra questi resti, sembra di tornare lontanamente a Pompei, uno dei siti archeologici del territorio campano più importanti al mondo, perché è possibile osservare le pietre ancora incastonate, sopravvissute ai segni del tempo, che ci hanno aiutato ad immaginare cosa volesse dire, vivere in quella che è stata poi denominata riserva naturale: soprattutto nelle case scavate nella roccia, dove quelle in lontananza, viste dal punto panoramico, facevano riecheggiare i nostri presepi durante il periodo di Natale. Proseguendo, è possibile visitare il Tempio del Sole, probabilmente un tempo, il luogo di ritrovo per tutta la comunità. Il museo invece, raccoglie tutti i reperti storici scovati durante i sopralluoghi degli archeologi, i quali hanno voluto proteggere quanto trovato, rendendoli visibili all’interno di teche a tutti i visitatori curiosi di questo luogo, affinché si possano conoscere gli stili e le culture, di questa popolazione così remota, ma ancora viva, nei ricordi.
Canyolands National park e Dead Horse Point State Park
Siamo quasi agli sgoccioli di questa meravigliosa vacanza e anche queste ultime tappe, ci hanno ancora una volta stupiti ed emozionati. Di ritorno nuovamente in Utah, ci siamo fermati per effettuare la visita ad un parco nazionale situato nella zona sud-orientale, presso la città di Moab. L’area di Canyonlands preserva un paesaggio eroso in numerosi passaggi tra gole e rocce, dove nel primo percorso abbiamo raggiunto questo grande arco che si affaccia su una meravigliosa e immensa vallata. Sembra di stare di fronte ad una enorme finestra con un “vetro trasparente” dalla quale si può scorgere a sinistra dell’arco, tramite illusione ottica, una donna che fa il bucato e un gigante che la osserva intenta nel suo lavoro. Il resto del panorama, è così vasto che sembra non avere fine, nemmeno fissando il punto più lontano che ci sia. Gli strapiombi poi, sono da brividi! Guardando verso il basso, in confronto all’altezza, ci siamo sentiti piccoli e imponenti di fronte a tale maestosità e aprendo le braccia come a voler spiccare il volo, ci sembrava di accogliere tra noi stessi l’immensità. Lasciato Canyonlands, ci siamo diretti verso Dead Horse Point State Park. A sentirlo nominare, non viene in mente nulla, ma non appena si cita il titolo del film “Thelma e Louise” tutto riecheggia nella memoria di ognuno di noi. Il famoso film diretto da Ridley Scott ha toccato questo punto, per girare il finale, quel finale che le ha rese famose perché per raggiungere la tanto agognata libertà andata perduta a causa dell’inseguimento della polizia, hanno scelto di immettere la prima marcia e di gettarsi nel dirupo sottostante. Sicuramente è uno dei posti più conosciuti, se associato al film, ma in realtà il nome del parco lo si deve al fatto che questa zona era abitata da cavalli e domatori, i primi per sfuggire agli ordini e agli obblighi degli umani, si sarebbero lanciati nel dirupo pur di riavere la libertà. Quella stessa sorte che era toccata alle due interpreti.
Arches national park
Come da tabella giornaliera, ci siamo fermati all’ultimo parco nazionale prima del nostro arrivo a Denver. L’Arches national Park, nasce in un’area naturale protetta degli Stati Uniti, la quale conserva oltre duemila archi naturali di arenaria, includendo il famoso Delicate Arches, oltre ad una varietà di formazioni geologiche uniche che si sono sviluppate a seguito di trasformazioni del sottosuolo avvenute milioni di anni fa. Il parco, essendo costituito da questi sedimenti tanto belli, quanto friabili, nel corso dei secoli, hanno subito una pressione negativa causando una spaccatura, anche attraverso l’acqua piovana che ha provocato una prima modifica alle rocce. Successivamente l’erosione ha scavato l’interno della roccia favorendo una prima nascita degli archi. L’espansione dell’erosione poi, ha permesso sempre più la conformazione attuale, ma dal 1970 ad oggi, sono crollati quarantadue archi a causa di queste sempre frequenti trasformazioni. Il parco si trova nei pressi di Moab, nell’Utah e copre una superficie di 309km2. La visita è stata resa ancora più emozionante, dall’idea che sarebbe stato il nostro ultimo trekking in queste meraviglie geologiche per cui era necessario catturare con lo sguardo ogni minima conformazione, al fine di poter soddisfare ancora di più la nostra curiosità e per colmare quel vuoto non appena avessimo messo il piede in aeroporto prima della partenza. Anche qui, si sono osservate altre tipologie di rocce, le une diverse dalle altre. Durante il tragitto, proprio a causa delle loro conformazioni è stato possibile divertirsi ad osservare le loro sagome che attraverso l’illusione ottica prendevano forme diverse. Nel nostro immaginario collettivo, vedevamo pecore, organi, candele con la cera colante ai bordi, statuette degli oscar, fino al pallone d’oro, trofeo dei mondiali. Avvicinarsi agli archi, era l’attrazione principale, dove si trovava divertente fare foto sotto di essi, osservando la loro altezza e a 180°, la loro rotondità. Terminato il nostro ultimo giro, siamo saliti in macchina alla volta di Denver percorrendo cinque ore di macchina, per raggiungere il motel che ci avrebbe ospitato per l’ultima notte americana.
Lettera agli Stati Uniti
Cara America, si avvicina l’ora della partenza. Ritorniamo a casa, ripercorrendo in senso contrario il mezzo mondo che ci separerà definitivamente da te. Ti ringraziamo per l’accoglienza, per le meraviglie che ci hai mostrato, per l’idea che non ci sono confini, perché i tuoi luoghi, sono talmente ampi, da essere irraggiungibili e nonostante le infinite distese di brughiera che talvolta appesantivano il viaggio, ci hai regalato dei panorami sorprendenti. Dopo quasi 150km a piedi, circa 4000km in auto e l’attraversamento di cinque stati (California, Nevada, Arizona, Utah, Colorado) siamo consapevoli che, pur non avendo una storia millenaria, fatta di uomini, scienziati, conquistatori, pari alla nostra, hai comunque una storia geologica di altrettanti anni, che non ha nulla da invidiare alla nostra. Tienila stretta, proteggila, affinché non vada persa, credimi! Sarebbe un vero peccato! Ma voglio concludere con i ricordi più divertenti di questo Far West Breve, ricordando con piacere la ricerca forsennata alle targhe delle macchine, fotografate ai bordi delle strade, nei parcheggi, incontrando nel nostro lungo cammino quaranta su cinquantadue stati americani in viaggio in lungo e in largo nella costa ovest e dove anche solo in un rettangolo, hai mostrato la bellezza del paesaggio dal quale provenivano i diversi turisti. Oppure i “Danny’s” catene di fast food trovati in ogni angolo al di fuori delle autostrade, dove quel “cibo spazzatura” trasformato in piatti fumanti, con hamburger imbottiti di alimenti colorati, è stata una di quelle alternative alle serate dove non c’era anima o locale vivo. Anche le case, in lastre di legno cara America, le hai bellissime! Così racchiuse, con quelle finestre a scorrimento che non assomigliano alle nostre. O i motel, con le porte delle stanze che danno sulla strada, come quelli che si vedono nei film, esistono davvero! Per non parlare dei camion!! Che musi lunghi che hanno! Con la marmitta verticale in acciaio sempre tirata a lucido che gli dona un aspetto così elegante e particolare. Tanto ancora avrei da dirti, ma l’aereo ci aspetta! Questo è un arrivederci e non un addio, perché la speranza di rimettere piede in questa terra, così tardi conosciuta, non la vogliamo abbandonare. United States: Thank You So Much!!