Avventure nel Mondo

Diario e riflessioni da un Islanda Breve

da "Islanda Breve" di Avventure nel Mondo
di Marisa Da Re
foto di Marisa Da Re

ISLANDA

Terra sempre in movimento, perchè generata da eruzioni vulcaniche sottomarine della dorsale medio atlantica, la lunga spaccatura che separa la zolla nordamericana da quella euroasiatica, l’Islanda è terra giovane, emersa dai 17 ai 20 milioni di anni fa.

I vulcani sono un elemento essenziale del paesaggio, i più interessanti stanno sotto i ghiacciai e le manifestazioni estreme avvengono quando la lava fluida entra in contatto con il ghiaccio: si verificano allora inondazioni gigantesche, che trascinano via tutto nel loro percorso. Oltre alle eruzioni classiche, spesso attrazioni turistiche, sono diffusissimi i fenomeni di vulcanesimo secondario: solfatare, mofete, fumarole, geyser. L’ambiente è trasformato: si vede tutto attraverso una coltre di vapore e fumo, immersi in un penetrante odore di zolfo, si calpestano terre calde, si è sorpresi di fronte ai colori di colline e pianure. L’altra presenza fondamentale è data dai ghiacciai: anche la calotta del grande Vatnajokull, che ci accompagna lungo il sud est dell’Islanda, deriva dal compattamento della neve acccumulatasi nel corso dei millenni. E’ una calotta gigantesca, da cui si diramano, come le dita di una mano, vari ghiacciai, che scendono lentamente verso il mare. Essi, con il loro avanzare e ritirarsi, hanno inciso profondamente sul paesaggio, ridisegnandolo con ampie vallate e fiordi, con morene laterali e frontali, che limitano il perimetro glaciale e che tendono a contenere le acque delle lagune. Quello che è più preoccupante è il loro rapido ritiro dovuto all’innalzamento delle temperature e alle più scarse precipitazioni nevose. La laguna più celebrata, la Jokulsarlon, si è creata negli anni 30 del ‘900, perchè prima il ghiacciaio Breidamerkurjokull, che la genera, arrivava sino alla Hringvegur. Lo spettacolo che abbiamo goduto durante il tour in gommone in questo spazio lacustre di 25 kmq, profondo 260 m, fra icebergs grandi e piccoli dove le foche si riposavano, è stato affascinante. Quello che ci ha lasciato perplessi è che il grande iceberg che ammiravamo si sarebbe sciolto in una settimana! D’altra parte, ci ha detto la guida, la temperatura media invernale è sugli 0° anche se siamo al 63° lat. nord.

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Ci si muove fra ambienti contrapposti: neri deserti di lava e prati verdeggianti, montagne a picco sul mare, fiumi impetuosi che hanno scavato canyon profondi, rocce basaltiche che incutono timore. Nei fiordi settentrionali e all’interno, dove la presenza umana è relativa, c’è un’atmosfera rarefatta, si è avvinti dalla grandiosità della natura e da paesaggi infiniti, dove sembra scomparire il confine fra cielo e terra. Uno dei momenti più significativi del nostro viaggio è stato il contatto con il Kerlingarfjoll, regione altamente vulcanica, isolata negli altipiani centrali, accessibile percorrendo la mitica pista 35 di Kjolur, che attraversa gran parte del paese da Gulfoss a Blonduos. E’ una pista superba, ben tenuta e a tratti accidentata, percorribile solo in 4x4. A metà percorso circa si arriva all’intersezione con la F 347, che in una decina di km porta al Mountaneering Hotel (oggi in rifacimento) e, dopo una ripida salita, al secondo parcheggio, punto di partenza dei trekking a Hveradalir. Considerata l’ora e le nostre forze, non potevamo certo intraprendere il giro completo, ma almeno una “passeggiata” in questo mondo dovevamo farla. Siamo scesi allora lungo la ripida scalinata, abbiamo attraversato i due ponticelli a sinistra; fra sbuffi di fumo, fanghi ribollenti, striscie di neve bianchissima che sembrava appena caduta, rocce verdi e rosa, siamo saliti per altri gradini su una vetta aguzza per dare uno sguardo d’insieme a questo ambiente magico, da favola, sicuramente sede di troll ed elfi. Infatti il nome dell’intero gruppo viene da una roccia molto isolata, che sta nella parte meridionale del complesso: la leggenda narra di una donna troll, che non riuscì a salire sulla montagna in tempo prima del sorgere del sole e venne quindi trasformata in pietra.

Abbiamo apprezzato molto anche l’accomodation collettiva all’Arbudir Kjolur, perfettamente inserita nel nulla, stanzone unico con cucina, e servizi esterni, dove abbiamo potuto lavare calzoni e scarponi dopo il fango del Kerlingarfjoll. E gustare un’ottima birra alla reception! Il giorno seguente si è deciso di visitare la fattoria-museo di Glaumbaer, anche per capire qualcosa della vita quotidiana degli abitanti nel corso del tempo. Sono 13 edifici con il tetto in torba, gli ultimi dei quali aggiunti nel 1876-79, collegati da una strada di passaggio centrale; la gente vi abitò sino al 1947. Erano contemporaneamente casa e luogo di lavoro, come si può vedere all’interno, dove sono contenuti strumenti e attrezzi per falegnami, carpentieri, vinaioli. Nella stessa area ci sono due belle case in legno, Gilsstofa e Ashus, la prima contiene gli uffici del museo, mentre l’altra ha mantenuto gli arredi di fine ‘800, quando era abitata e richiama analoghi ambienti della Carelia.  Queste case sono “spostabili” e precedono la costruzione delle case in legno “stanziali”, tanto che la Gilsstolfa è stata spostata in altre fattorie per ben 6 volte. Il luogo è storico, perchè qui visse, nell’XII secolo (1010), Snorri Porfinnsson, primo nato in America (isola di Terranova), quando i suoi genitori erano in esplorazione. Fu uno dei due responsabili della cristianizzazione dell’Islanda e costruì la prima chiesa a Glaumbaer; la statua nel giardino è quella di sua madre, grande esploratrice! Mentre la statua di suo zio fa bella mostra davanti alla chiesa di Reykjavik, è Leif the Lucky (Leifur Eiricksson) , che scoprì l’America ben prima di Colombo.

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Dopo tanta cultura, ce ne andiamo verso la penisola dello Trollaskagi per raggiungere Siglufjordur, piccola città, sino alla fine degli anni ‘60 del 900 capitale della pesca alle aringhe, che venivano poi pulite dalle donne: era un’attività redditizia, tanto che erano impiegate più di 10000  persone. Poi quasi mprovvisamente, forse per overfishing, le aringhe scomparvero e fu il tracollo economico. Tuttavia gli abitanti non si persero d’animo: il sito è circondato da splendide montagne e sono stati realizzati numerosi impianti sciistici; il vecchio porto è stato rimodernato e allargato ed ora accoglie le navi da crociera con relativi turisti, che hanno rianimato gli alberghi; la pesca continua ad essere praticata.... il romanziere Jonasson ha ambientato qui alcuni noir e si è girata una serie televisiva, che ha reso il luogo popolare...  Abbiamo fatto una piacevole passeggiata, complice un bel cielo azzurro molto vacanziero. Due case d’epoca sono state restaurate e trasformate in ristoranti; i vecchi edifici di lavorazione dell’aringa sono diventati museo; sulla banchina grosse casse di pesce venivano movimentate e sistemate; il compound scolastico era in perfetto ordine...

Riprendiamo la strada: dopo un primo tratto lungo la linea di costa, siamo entrati nel sistema dei due tunnel recentemente completatiche uniscono Siglu e Olafjordur – togliendoli dal loro isolamento - per proseguire poi verso Dalvik e Akureyri e successivamente, fatta l’escursione balene a Husavik, con relativi raffreddori e bonchitelle, abbiamo proseguito lungo la 85 per raggiungere Kopasker sull’Oxarffjordur e completare così lo sguardo sui fiordi del nord. La strada 85 corre fra lagune y lagunillas a sinistra e prati bordati da  lupini nordici a destra e non c’è realmente separazione fra terra e acque. Ci aspettavano  il delizioso mr. Benedikt e la sua bella casa, con ampie stanze, cucina attrezzata e grande sala da pranzo piena di libri, di dischi, con il pianoforte e tanto relax. Verso mezzanotte è stato imperativo uscire, richiamati da Laura, per andare al mare dove, luce radente e tramonto rosso fuoco, decine di anatre si muovevano rapide nell’acqua, mentre gli uccelli svolazzavano impazziti.

I due giorni seguenti sono stati dedicati a piccoli trekking, Lasciamo Kopasker di  buon mattino per raggiungere il parco Jokulsargljufur, secondo la leggenda scavato da uno degli zoccoli di Sleipnir, il cavallo di Odino. E’ uno dei canyon più maestosi e profondi dell’Islanda, lungo 25 km, largo 500 m e profondo fra i 100 e i 120 m. Il canyon e i suoi dintorni furono “intagliati”nei fondali rocciosi da una serie di catastrofiche alluvioni glaciali, l’ultima delle quali risalente a 2000 anni fa. Il nome deriva dal fiume Jokulsa a Fjollum (fiume glaciale), che nasce infatti dal Vatnajokull e si getta dopo 206 km nell’Oxarffjordur, con andamento sud/nord, portando con sè e depositando nell’estuario ben 5000 tonnellate fra fango, ghiaia e sabbia. Mentre nel corso superiore attraversa placidamente un desolato plateau, poi la corrente guadagna velocità verso i bordi dell’altopiano ed il fiume precipita nel canyon, creando – fra l’altro – bellissime cascate. Lasciati i pulmini al parcheggio, iniziamo l’escursione per vedere le strane formazioni rocciose delle Hljodaklettar: rocce nere contorte, grotte che sembrano chiese dall’interno luccicante, colonne basaltiche orizzontali, tracce di antichi crateri, dovute ad una delle eruzioni vulcaniche che avvennero sul fondo del canyon 8/9 mila anni fa. L'area è detta delle “Scogliere Mormoranti”, perchè le rocce creano un particolare effetto acustico che varia a seconda della corrente del fiume. Ci piace talmente il percorso, che continuiamo a camminare sul gruppo dei crateri del Raudholar, con quel bel rosso della ghiaia lavica.

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Continua il giorno di camminate: ripresi i pulmini li portiamo al parcheggio della Dettifoss, idea che hanno avuto moltissimi turisti. La giornata è nuvolosa, non ci sono arcobaleni, ma la cascata è bellissima ed emana una forza straordinaria. E tuttavia quella che ci è piaciuta di più è la Selfoss, la prima delle tre grandi cascate che si incontrano sul Jokulsa a Fjollum dalla sua sorgente. Alta dagli 8 ai 12 m, si presenta come un velo d’acqua che cade – emanando vapore - lungo un altopiano a ferro di cavallo, dando luogo a decine di cascate e cascatelle: rimaniamo lì per un bel po’ nonostante la pioggia. 

Il secondo giorno di piccolo trekking ci porta dapprima alla grotta Grjgotaja, che non ci entusiasma, e poi, ma solo una parte del gruppo, al Hverfjall, il monte della sorgente calda, vulcano che appartiene al sistema del Krafla. Il cratere si è formato 2500 anni fa, in una breve, violenta eruzione; è un anello di tefrite, roccia magmatica effusiva, quasi perfetto, del diametro di 1 km: saliamo i 250 m per poter fare il giro completo, poi – recuperato il gruppo – andiamo al Leirhnjukur, sempre della vasta regione vulcanica attiva del Krafla, le cui eruzioni sono iniziate nel 1724 e proseguite poi sporadicamente (anche nel 1975), dando vita al più vasto e impressionante campo di lava di tutta l’Islanda. Al Leirhnjukur c’è un paesaggio inquietante, si cammina sulla lava solidificata, ma a tratti quasi la si sente ribollire, tanto il suolo è sottile, fra pozze fumanti, piccoli getti di vapore e conetti di zolfo; i sentieri si snodano in un terreno aspro, si scende e si sale sino a creste che consentono un panorama a 360°, la memoria corre all’Inferno Dantesco, si è soggiogati da questo mondo dell’aldilà.

Oggi è il giorno dell’Askja: partiamo dal Myvatn alle 7 insieme al gruppo Discovery per Modrudalur e ci fermiamo al Fjalladyrd g.h.   per avere notizie sulle piste e sui guadi. Le ragazze alla reception non sanno nulla, poi si materializza il padrone, che ci toglie ogni speranza: guado di 70 cm, possibilità di impantanarsi quasi certe! Soluzione il bus, che però non è disponibile oggi......e costa 180 euro. Discussione nel gruppo e con il Discovery, l’Askja ci attira molto, anche l’impantanamento ci preoccupa, 180 euro sono tanti, possiamo cmq solo oggi. Improvvisamente il bus è disponibile (e questo mi doveva far insospettire…) e decidiamo di prenderlo. Per farla breve la pista scelta è la F88, in teoria la più pericolosa, il I e il II guado sono bassi, al III il percorso da tenere è segnato da bandierine e  non è certo profondo 70 cm! al massimo 40. Il colmo è che al rifugio Dreki, dove arriviamo alle 13:30 e al parcheggio 8 km più su ci sono anche 3 Duster!!! Alle 14 iniziamo la salita al cratere, c’è molta neve, si fatica a camminare. Alla fine, si è ripagati da questa immensa caldera di 50 kmq, originatasi nel 1875 con il crollo di una camera magmatica, riempitasi poi di acqua: ed ecco il lago Oskjuvatn profondo ben 200 m, mentre il piccolo Viti – Inferno - pieno di acqua geotermale, deriva dall’esplosione di una bocca secondaria.  Lo spettacolo è grandioso: corona di montagne innevate, cielo plumbeo che si riflette sul grande lago, mentre il Viti è perlaceo, a tratti verde, siamo solo noi in questa immensità! Riguadagnato l’autobus, dopo tre ore di paesaggio desolato, dominato dai monti del Dyngjufjoll, rientriamo al Fjalladyrd g.h. per festeggiare con vino e crostata al rabarbaro il compleanno di Franca!

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Pioggia battente e vento infido ci aspettano il giorno seguente: impossibilitati a fare lo Studagyl canyon, andiamo direttamente al Borgarfjordur Eystri e ci sfoghiamo a fotografare le graziosissime pulcinella di mare, nella loro roccaforte, senza dimenticare i gabbiani, che nidificano nei pressi. Certo che vento e pioggia sono inclementi, temperatura percepita 0°, è imperativo qualcosa di caldo. Vediamo un’insegna un po’ precaria di “Guest House and Restaurant”nell’area dove stanno facendo dei lavori edili: ingresso da ospedale con una doppia porta e corridoio bianco asettico, ma interno davvero piacevole e cucina immacolata in attività. Dopo le foto con i due giovani cuochi e la cameriera, ordiniamo lo sformato di pesce, patate e formaggio: veramente ottimo! Osservando gli altri avventori: operai del cantiere, impiegati, ragazzi del posto ed è la pizza che va per la maggiore.

Dopo una mini-sosta al supermercato Netto di Engilsstadir, siamo a Seydisfjordur, all’Hafaldan Hostel o Vecchio Ospedale, molto accogliente e moderno. La cittadina è stata investita il 18 dicembre 2020 da un’impressionante frana, che per fortuna non ha provocato vittime, ma ha distrutto molti edifici storici, arrecato danni ad alle case, divelto strade e condotte, messo fuori uso il porto. Le tracce di tutto ciò oggi non si vedono già più, ma la città fatica a riprendere la normalità e, nonostante le case colorate, la famosa strada arcobaleno dove si stava girando un servizio fotografico, tutto è immobile e c’è un’aria sospesa.

Con un cielo grigiastro il nostro giro sui fiordi orientali prosegue al Mjiofjordur, ultrasolitario, pista impegnativa, stretta, con curve e controcurve, per raggiungere  Brekka, il paesino di 12 abitanti, e soprattutto il faro Dalatangi, che si erge in tutta la sua possanza di fronte all’oceano. Non c’è anima viva, nemmeno un animale, ma il paesaggio ci cattura, con cascate senza nome a destra e sinistra, pista nera e balze collinari verdeggianti, acqua del fiordo che lambisce la strada, mentre continua a soffiare un vento impetuoso.

Scendiamo a sud, verso Djiupivogur, è uscito un po’ di sole, ci fermiamo e ci diamo una mezz’ora per girare la cittadina. Bellino il porticciolo, ma soprattutto i due edifici più antichi, risalenti al XVIII-XIX secolo, in uno dei quali c’è pure un”museo” con libri contabili fine ‘800/primi 900 e oggetti di uso comune. Andiamo poi a vedere le uova famose, non ne capiamo il concetto, interessante lì vicino la bottega con legno e materiali di riciclo, che ha oggetti particolari (ovviamente costosissimi).

Verso le 15 siamo al Faro di Hvalnes, bella passeggiata in un sole accecante, poi laguna di Lon con centinaia di oche bianche selvatiche scintillanti nel sole e alle 17 siamo allo Stafafell hostel. Effettivamente di fronte c’è il cimitero, molto curato, mentre altrettanto non si può dire nè della parte esterna dell’ostello nè del padrone dello stesso, mr Sigurdur! Sembra Dario Argento! Stanze e servizi sono accettabili, la cucina è ben attrezzata: è il giorno del risotto, praticamente monopolizziamo il tavolo, c’è un gruppo di corpulenti russi, che sistematicamente accede al frigo ma solo per le birre!           

E’ il giorno più faticoso del viaggio per la quantità di km e le tre escursioni: il gommone alla Jokulsarlon, la ramponata, la passeggiata al Fjadragljufur canyon e l’ultimo tratto di strada in montagna. Conclusa la prima escursione, andiamo al Visitor Center dello Skaftafell N.P. e ci presentiamo all’Arctic Adventures per la ramponata. Il capo è italiano, altri tre italiani lavorano con lui, ci fa un po’ di sconto. La vestizione con ramponi, picozza e caschetto è fatta da una ragazza francese, che lavora a Londra e viene qui per l’estate, ed  è piuttosto lunga, non ci siamo solo noi. Finalmente partiamo, il bus ci porta al sentiero dove incontriamo le guide, veniamo divisi in più gruppi, noi tutti insieme + una famiglia con 2 ragazzini. La nostra guida è slovacca, il genitore francese, la genitrice armena! Bello! Gruppo misto. Una ventina di minuti a piedi per arrivare alla base del ghiacciaio, mettiamo i ramponi e iniziamo a salire: è molto semplice, camminiamo poi sul plateau di ghiaccio, ci sono serracchi e crepacci, il ghiacciaio presenta molte striature grigie, non è bianco come quello di stamane: questo perchè mentre il Breidamerkurjokull è “lavato” dall’ingresso dell’oceano, tanto che la laguna è un po’ salata, qui non avviene ed il ghiacciaio si è già molto ritirato. Evidentissime le tracce delle morene laterali e anche frontale, che chiudono a semicerchio la montagna.

Riprendiamo i pulmini e arriviamo al Fjadragljufur, ma si vede che non siamo fortunati con i canyon, perchè diluvia.  Il solito gruppetto cmq percorre una metà del sentiero, poi rientra e si parte per Vik y Mirdal 75 km e Pakgill, altri 15, strada di montagna. Carolina ed Elena sono alla guida, la pista 214 è nera a sassetti come la lava, siamo persi in mezzo al nulla fra montagne minacciose. Dopo una mezz’ora – sempre pioggia – è grande la sorpresa quando arriviamo ai nostri 4 cottages: la spianata è piena di tende, con bei servizi di docce e parecchie casette; alla reception un gentile ragazzo ci dà le chiavi, ci ripartiamo un po’ di vivande, ogni cottage ha angolo cottura e bagnetto, stiamo in 3 per casetta! 

Il giorno dopo apriamo la porta del nostro cottage e c’è un sole meraviglioso, Laura è già su per il monte, partiamo alle 8:30, le montagne hanno cambiato aspetto, sembrano accoglienti, il panorama è davvero strepitoso: ci fermiamo ripetutamente a fotografare. Siamo diretti alla spiaggia nera di Reynisfjara, dove arriviamo dopo un’ora. Molta gente, ci diamo un po’ di tempo in questo posto contrastato, oceano tumultuoso, forte vento, lunga striscia di spiaggia (molto pericolosa). In fondo c’è l’arco di Dyrholaev, che raggiungiamo poi in auto. Ancora paesaggio mozzafiato e bel faro a completare i due visti  Dalatangi e Hvalnes. A 40 km c’è Skogar, da dove inizia il tour cascate: Kvernufoss - Skogafoss - Seljandfoss – Gljufrabin. Effettivamente le cascate alla fine non ci entusiasmano, tranne la Kvernufoss e la Gljufrabin, che ammiriamo da dietro.

Il cielo è tornato nuvoloso e raggiungiamo la meta, ilParadise Cave Hostel, di Lucia Odorico, che qui vive da tempo con il marito ed ha trasformato una vecchia scuola in questo bell’ostello ecocompatibile. Un the e un dolce al cioccolato è quello che ci vuole per decidere cosa fare l’indomani. L’idea originaria di andare al Landamanagaur non trova più molti favori sia per la distanza chilometrica sia per l’incertezza del tempo sia per il fatto che la strada F26 non è in buone condizioni. Optiamo per le isoleVestmannaeyjar,  che stanno proprio di fronte  e ci si arriva in mezz’ora. Dato che il traghetto delle 8:30 è pieno, andremo domattina presto al porto per vedere se qualcuno si ritira. Intanto la pioggia è aumentata di intensità e le raffiche di vento fanno oscillare lampade e cartelloni.

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Il giorno seguente alle 8 siamo al porto, completamente vuoto, perchè non parte nessun traghetto in quanto c’è l’allerta meteo in tutta l’isola. Così, soluzione alternativa, andremo a Borganes a visitare il Museo della Colonizzazione e quindi a Reykjavik. I bagagli sono già nei pulmini, partiamo in mezzo ad una fitta nebbia che rende tutto ovattato e uniforme, sotto violenti scrosci di pioggia e gli autisti faticano a tenere in strada i pulmini. Dopo due ore e mezza ci infiliamo al Museo, che presenta due mostre distinte, una sulla storia degli insediamenti in Islanda ed una sull’era delle saghe, in particolare soffermandosi su quella di Egill e della sua famiglia. Apprendiamo che popolazioni norrene, provenienti essenzialmente dalla Scandinavia, colonizzarono l’Islanda a partire dalla fine dell’VIII secolo. Infatti, quel periodo segnò per la Norvegia il passaggio da un’antichità leggendaria della storia e da un’organizzazione oligarchica e policentrica ad una monarchia accentratrice. Molti nobili, proprietari terrieri e vichinghi, cioè uomini liberi, entrarono in contrasto con Haraldr “Chioma Bella”, il primo re vero e proprio, e furono costretti ad andarsene in maniera più e meno pacifica nel IX secolo. Haraldr, infatti, aveva soppresso il diritto ereditario dei singoli, per cui le terre, alla morte dei proprietari, sarebbero dovute andare a lui e non agli eredi. Questo diede un impulso straordinario alla navigazione nei mari del nord, dalla Norvegia alla Danimarca, dall’Islanda all’Inghilterra, dalla Groenlandia alle coste di Germania e Francia e a terre ben più lontane. Si trattava non solo di traffici e commerci, di scorrerie, di assalti ai ricchi monasteri e ai villaggi, ma anche di viaggi di esplorazione verso il Mediterraneo, il Nord Africa, l’Isola di Terranova. I Vichinghi erano abilissimi nel costruire navi, di varia tipologia, cmq snelle e flessibili, adatte a incursioni piratesche, a commerci a breve e lunga distanza, a esplorazioni e colonizzazione. Conoscevano i venti, si orientavano con il sole e le stelle, con il volo degli uccelli; cercavano baie riparate, acque tranquille, fiumi che si potessero facilmente risalire; in Islanda una delle prime zone colonizzate fu il Breidafjordur, sulla penisola di Snaefell. Praticavano i lavori più diversi: mercenari a tempo ed esattori delle tasse per conto dei vari re, pirati, contadini, pescatori, pastori. Le donne avevano una posizione riconosciuta, un peso giuridico e politico notevole: possedevano e armavano navi, godevano dei diritti ereditari, potevano essere proprietarie di terra. Tutto ciò viene narrato nelle Saghe, tramandate oralmente e messe per iscritto dopo il XII secolo. Sono componimenti epici in prosa, biografie collettive di importanti famiglie islandesi, che vogliono legittimare il proprio potere alla luce di un passato leggendario; narrano gli usi e i costumi, i momenti di vita sociale, le feste ed i banchetti solstiziali, segnati da circostanze rituali e sacrali, le assemblee, le cause giudiziarie; ma anche le lotte ed i contrasti che crebbero con la seconda e terza generazione di colonizzatori.

In tutte le Saghe la parte in prosa è interrotta da segmenti poetici; la poesia, infatti, aveva un ruolo fondamentale nei banchetti, in particolare la poesia “skaldica”, cioè quella prodotta dagli skald, i poeti di corte, gradita a sovrani e mecenati. Gli skald erano famosi, improvvisavano componimenti per le varie occasioni, narravano di battaglie, di armi, di esplorazioni, erano accolti ovunque con tutti gli onori. Egill Skallagrimsson fu uno dei più importanti skald dell’epoca e la Saga di Egill quasi certamente fu scritta da un suo discendente, Snorri Sturluson, fra il 1220 e il 1240.Tutti questi racconti si riferiscono ad un periodo che va dall’850 al 1000, quando viene adottato il cristianesimo e l’epopea delle Saghe termina.

Concludiamo la visita con un’ottima zuppa arricchita da pane e burro al ristorante che sta al piano superiore e poi andiamo a Reykjavik, dove – depositati i bagagli negli appartamenti e sistemati i pulmini nel parcheggio – ce ne andiamo a passeggio per conoscere questa città, piena di vita, di colori e di turisti.

La visita sistematica la facciamo però il giorno dopo, con Fabio, un italiano che vive là e che, oltre al giro classico – Chiesa, Parlamento, Cattedrale e piazza della Corona, Municipio e laghetto, la meravigliosa  Harpa – ci racconta la vita degli islandesi, le difficoltà dell’inverno, la necessità di adattarsi ad un tempo atmosferico che cambia repentinamente, i vantaggi per gli abitanti di una sanità e di una scuola gratuite, di bollette a basso prezzo...ma ci parla anche di elfi e troll.

Viaggio affascinante, di riflessione, impegnativo, nel quale i problemi sono stati superati grazie alla dispnibilità di ognuno e alla coesione del gruppo, desideroso di vedere, di inserirsi in questa natura indomita, di rendersi conto dei cambiamenti in atto nel paese.