Fiji
Le Fiji, una nazione nel Sud Pacifico, sono un arcipelago formato da più di 300 isole. È famoso per i paesaggi frastagliati, le spiagge costellate di palme e le barriere coralline con lagune limpide.
Leleuvia, paradiso e prigione
Quando la barca si avvicina veloce, Leleuvia ci appare come un panettone verde sull’azzurro del mare. Caqalai resta poco a sinistra, a un braccio di mare. Più indietro, il profilo verde di Moturiki è appena sfumato, davanti alle alture grigie di Ovalau.
Poggiati i piedi sul pontile, il quadro si mostra in tutti i suoi cromatismi, come un pavone che ha fatto la ruota. La sabbia, color crema, scricchiola sotto i sandali, le trasparenze dell’acqua sono ipnotiche. La spiaggia è orlata di casuarine e di uva caleta, mentre le palme si piegano sinuose verso il mare, come in ogni cartolina tropicale. Alla reception del resort ci danno la password del wifi, ‘YourParadise’, e quale altra sennò. Lasciati i bagagli nel lungo dormitorio, ci lanciamo verso il mare, come fanno tutti i bimbi del mondo quando arrivano in spiaggia. L’acqua ci avvolge fresca e ristoratrice, il sole brucia sulla pelle e i colori colmano di gioia tutti i nostri sensi. Siamo soli, padroni del nostro angolo di paradiso, ammaliati da un tramonto dai colori cangianti, che si affoscano sempre di più. Sì, il cielo sta diventando di piombo, le foglie delle palme iniziano a stormire al vento, cadono le prime gocce. Per tutta la notte, la pioggia picchia romantica sul tetto del dormitorio. Al mattino, tutto è imperlato, ma sopra le nostre teste il vento soffia sempre più impetuoso, ammassando il cielo di nuvoloni bigi. La cartolina vira in bianco e nero, il mare si fa grigio, la magia dei colori si dissolve con gli sbuffi di zefiro. Improvvisamente, siamo prigionieri di un lembo di terra adagiato sull’oceano, giriamo intorno all’isola, come fiere dentro una gabbia, sorseggiamo l’ennesima tazza di the e inganniamo il tempo ognuno con le sue ansie. I freddi canadesi, giunti al mattino, sembrano più a loro agio. Adesso, i padroni del resort sono loro.
I bambini di Silana
I bambini che vivono a Silana non hanno il cellulare.
Corrono e si inseguono sulla spiaggia del villaggio tutto il giorno, approfittando del giorno di vacanza a scuola.
I maschietti si divertono a far rotolare i copertoni delle auto; le femminucce giocano sull’altalena, arrotolando e srotolando le corde che pendono da un grosso albero.
Maschi e femmine sono tutti emozionati e felici per l’arrivo degli stranieri. La timidezza iniziale, piano piano, si stempera, la curiosità prende il sopravvento, gli occhi, dapprima spauriti, si fanno vivaci e brillano di gioia, l’aria, tutto intorno, si riempie di strilli e di urla a squarciagola.
I bambini di Silana non hanno il cellulare.
Si gettano tutti in acqua, con i panni che indossano, nuotano, schizzano, spruzzano l’acqua, schiaffeggiando il mare con le mani.
Seduti in cerchio, intonano cantilene intorno a un giro di chitarra.
Per i bambini di Silana, ieri è stato un pomeriggio di festa. Per noi stranieri, un deja-vu, un tuffo nei ricordi d’infanzia, quando anche noi non avevamo il cellulare.
Naufragar m’è dolce in questo mar
Provati da un paio di giorni di perturbazione, ai primi albori, i visi tradiscono l’ansia meteorologica. Oggi inizia il lungo viaggio per mare, che ci porterà da una perla all’altra di questo magico paese. L’attesa sembra interminabile e il cielo è ancora assai bigio. Il Fiji time, infine, partorisce un pick-up e un paio di malandate barchette. Scrutiamo la coltre di nubi che copre capricciosamente i raggi agognati. Il mare è calmo, la navigazione liscia. All’orizzonte si profila il contorno di sparse isolette e, lì in mezzo, uno sbuffo di sabbia bianca si circonda di azzurro. Come naufraghi, posiamo i piedi su questo fazzoletto di terra. Tutto intorno, il giardino di corallo brulica di pesciolini dai mille colori. Sotto il pelo dell’acqua, la natura si è divertita a modellare pietre di forme bizzarre e cromatismi sibaritici. Con un colpo di teatro degno dei migliori ‘lieti fine’, l’astro infuocato da’ una spallata alle nubi e si prende tutta la scena. E allora sì che il naufragar m’è dolce in questo mar.
Una collana di perle
Lasciato lo stupore di Monuriki, le barche corrono veloci sul mare immoto. Tutto intorno, le piccole isole dell’arcipelago stanno adagiate sull’acqua, senza un ordine apparente. Alcune dolcemente arrotondate, altre spigolose e increstate, tutte di verde vestite, con in basso un orlo di sabbia color zabaione. Quando il sole scompare dietro le nubi cotonate, il mare diventa alabastrino e il profilo delle isole si trasfonde sfumato nell’aria fresca della sera. Le Mamanuca sono una collana di perle che l’oceano indossa per farsi bello.
L’amaca di Beachcomber
Dopo ripetute abluzioni nelle acque limpide di Beachcomber, la pelle riarde di sale e di sole. Un’amaca legata al tronco di due palme, è la logica via di fuga dall’abbacinante nastro di sabbia bianca.
Sonnecchio un po’, cullato dalla rinfrescante brezza marina. Poi, uccelli dal lungo collo e dal verso squillante, vengono a curiosarmi intorno. Non sono San Francesco e non sono in paradiso, ma la mia mente è lontana mille miglia dalle ansie della nostra vita quotidiana.
In viaggio tra le isole Yasawa
Il viaggio per mare di questa mattina mi ha riportato indietro ai tempi della mia giovinezza, quando anche per arrivare sulle nostre isole bisognava fare il trasbordo dal traghetto alle barche. La bomba d’acqua di questa notte ha lasciato il segno e la tensione è palese sui volti del gruppo. Il cielo rimane grigio, il catamarano si fa attendere e l’ansia non si scioglie. Lasciate le Mamanuca dal dolce profilo, il panorama cambia. Le Yasawa sono più aspre, nere le rocce e alcune spiagge, la vegetazione, più fitta, scala le alture e non si limita a orlare le spiagge. Spesso le isole si fronteggiano o si intrecciano, lasciando in mezzo bracci di mare di diverse tonalità. Così, il profilo di Drawaqa, che ci accoglie premurosa, si interseca con quello di Narara, di Nanuya e di Paradise Cove, come in una staffetta di sabbia e di mare che riempie gli occhi di bellezza. Sulla nostra isoletta, abbiamo l’imbarazzo della scelta, la spiaggia dell’alba e quella del tramonto, secondo le inclinazioni personali. Il sole oggi è capriccioso, ma domani è un altro giorno.
Le mosche e i coralli
A pranzo, Iose mi chiede se scriverò una storiella sulle mosche. Così, d’acchito, potrebbe sembrare una domanda paradossale, ma Iose ha un cervello veloce e una capacità di osservazione fuori del comune e io so perché me lo ha chiesto.
Rosangela, di rimbalzo, mi chiede se scriverò una storia sull’immersione. Ebbene, lo confesso, la mia mente si è bloccata, tra me e me sto pensando, ma che c’entrano le mosche con i coralli? Nulla, apparentemente, ma non è così. Lo smagliante giardino che ci appare sotto il pelo dell’acqua, è un’ opera surreale. La policromia pietrificata brulica di vita, di palpiti, di fluido magnetismo, che incatena noi estranei osservatori, come pure la miriade di pesciolini dalle forme più bizzarre, che danzano incessantemente tra aghi, funghi, cervelli, alberelli di tutti i colori. Chi è il regista di questo magnifico spettacolo? A questa domanda, molti risponderebbero citando gli arcani misteri. Per me, più semplicemente, è la Natura, quella stessa ineffabile entità che ha creato le mosche, insetto affatto policromo e ben poco spettacolare, di sicuro insopportabile. Così, a chi professa le verità sovrannaturali, mi piacerebbe chiedere: ma siamo sicuri che il paradiso sia tutto rose e fiori? Le Fiji, queste isole, sono un paradiso, eppure ci sono le mosche.
Play it again Mare’
Diritto su due lunghe gambe, la chitarra a tracolla, camicia hawaiana e un fiore all’orecchio, Mare’ ama gigioneggiare, strimpellando motivi stranieri, per compiacere gli ospiti. Ci accoglie al resort di Drawaqa, con uno stralunato sproloquio, intrammezzato da ‘BULAAA’, strillati a squarciagola. Al nostro commiato, torna a intonare improbabili versioni di ‘O sole mio’ e altri ‘standard’ da strapaese. Quando gli chiedo di cantarci una canzone figiana, tutto cambia e si fa serio. Mare’ intona un motivo dolce e melanconico, accompagnato da un coretto ben affiatato. Le note adesso si fanno vere, cariche di patos, gli occhi del cantastorie illanguidiscono e l’emozione si trasferisce agli ascoltatori, creando un legame che trascende musica e parole. Ci accompagna fin sulla spiaggia e ci saluta ancora e ancora, finché la barca si fa sempre più piccola. Ciao Mare’, la tua canzone resterà in un angolino del mio cuore.
Il mio cuore è rimasto a Navotua
Quando il catamarano entra nel braccio di mare tra Matacawalevu e Nanuya, l’acqua trasmuta di colore. Sembra, improvvisamente, che l’oceano abbia indossato un sari dalle mille sfumature e luccichii. Gli azzurri, i turchese, virano al lapislazzulo, tra strie di un bianco opalescente e il nero dei coralli che occhieggiano sotto il pelo dell’acqua. La laguna blu è un luogo magico e non solo in pellicola. La lancia, che fende le onde come una spada, fila veloce tra spiagge deserte e una vegetazione più brulla. In fondo, la baia di Navotua ci accoglie con le sue rassicuranti acque basse. Il cielo si è fatto bigio, come la pancia di un mulo, e la tavolozza dei colori diventa conturbante. Appena qualche passo oltre la spiaggia, il villaggio ci appare subito mille miglia distante dai resort patinati che abbiamo visto sfilare durante la navigazione. Qui tutto è vero, anche la matematica di Teresa, receptionist e organizzatrice dal piglio pratico e senza fronzoli. Bimbi, cani, polli, capanni di legno e paglia, il tappeto erboso da campetto di periferia, compongono un quadro di vita semplice e naturale. Siamo accuditi, a turno, da una famiglia della comunità, che ci sfama con pietanze rustiche, su tavolacci imbanditi di mille colori. Dopo cena, dopo qualche giro di kava, il cielo apparecchia uno spettacolo per noi ormai inusuale. La Via Lattea scorre immota sopra le nostre teste, accompagnata da una miriade di stelle che disegnano arabeschi luminosi. Soggiornare a Navotua non è la cosa più semplice del mondo, ma lasciarla mi ha lacerato il cuore.
Kuata la dolce
Affacciandosi dal terrazzo del ristorante, il braccio di mare che separa Kuata da Wayasewa appare scintillante di luce. Il sole lo percorre per tutta la sua breve lunghezza, dando lustro alla vegetazione che si arrampica fitta sui fianchi delle due isole. A metà del profilo di Wayasewa, un grosso bernoccolo di roccia domina la scena, come uno dei Ciclopi, a custodire lo stretto dipinto di blu. Qui tutto avviene: le poche barche trovano riparo, il traghetto aspetta di essere abbordato dalle lance dei resort, gli ospiti vanno e vengono in questa strana transumanza, da un’isola all’altra. Il lungo nastro di spiaggia che contorna il villaggio turistico di Kuata è soffice e dolcemente declive, dal verde di palme e casuarine all’azzurro del mare. La sabbia color crema, di grana grossa, sfuma sul rosato, al lambire dell’acqua. Tutto è quiete, a eccezione del ‘dive center’, pervaso dalla frizzante eccitazione di chi si prepara a fronteggiare un branco di ammansiti squali leuca. Poche decine di metri più in là, la pace torna sovrana, fin sotto un costone di roccia, butterato da grosse caverne tondeggianti. Ai margini dell’arenile, gli alberi di uva caleta sono pronti a donare la loro frescura agli ospiti accalorati dal meriggio assolato. Kuata sa essere dolce, come un sonnellino ristoratore.
Una metropoli per niente banale
Alte torri di vetro e cemento dominano la frastagliata Baia di Sydney, a testimoniare un presente di ricca finanza e prospero benessere. I grattacieli si sforzano di non essere banali, mostrando volumi e profili non sempre lineari, in un gioco di specchi e di forme che intriga il viaggiatore. La sfera del sole, riflessa di giorno, lascia spazio di sera ai mille luccichii creati dal gioco di luci artificiali. L’ardito skyline si stacca in maniera netta e priva di compromessi dalla compassata architettura vittoriana del centro storico, a marcare la differenza tra il passato e il presente di questa affascinante città. Sulle acque scure della baia, le conchiglie dell’Opera House risplendono di luce propria, simbolo senza tempo di un sito strappato a una natura rigogliosa. Passeggiando dolcemente lungo la promenade a mare, Sydney può piacere o non piacere, ma il suo difetto non è di sicuro la banalità. Quando le ombre si allungano, la sera si fa languida e al vociare un po’ alticcio dei pub fa da contrasto il silenzio irreale di una metropoli dove non si sente un colpo di clacson, ma solo le sirene dei vaporetti.
Le nostre ‘rocks’.
A Sydney, dopo una lunghissima passeggiata, abbiamo visitato il quartiere ‘The Rock’. Molto carino e particolare, ma, a dire il vero, noi la nostra ‘roccia’ l’avevamo gia’. E sì, sto parlando della mascotte n.1 del gruppo, Lina. Gentilezza, buon umore, capacità di prendersi in giro, incredibile resistenza anche alle prove più dure, con un sorriso meraviglioso disegnato sul viso. Brava Lina, 10 e lode.
Di Elena
mi aveva colpito la preparazione del viaggio, nelle settimane che hanno preceduto la partenza. La gestione del gruppo e del viaggio ‘in itinere’ è stata fantastica. Grande attenzione, preveggenza, polso sicuro, nervi saldi, anche dopo qualche giro di kava, intraprendente e inesauribile, per giunta con il sorriso sulle labbra, la capogruppo che ogni avventuriero vorrebbe avere. 10 e lode e grazie 1000, anzi un milione.
Andrea ha un modo di discorrere piano e ficcante. La sua voce non sale mai di tono, non ne ha bisogno, è persona pacata e sa quel che vuole, soprattutto, sa quel che dice. Non mi fraintendete, perché non sono ‘troppo’ maschilista, ma, nel nostro amabile harem, Andrea è stato spesso l’albero maestro quando il vento ha preso a soffiare forte. Anna è una ragazza amabile, sorriso accattivante, gambe piccole, ma velocissime, volontà apparentemente ferrea, ma con una sigaretta elettronica appesa in permanenza al collo, che tradisce tutte le sue ansie. La sua capacità di cogliere immagini magnifiche è superlativa e questo denota grande sensibilità.
Giovanna, per quel che mi riguarda, è una ‘doppelgaenger’, una persona con due facce ma, contrariamente a quello che avviene spesso e cioè che la faccia bella nasconde quella brutta, le due facce di Gio’ sono entrambe affascinanti. Apparentemente distaccata, lascia vedere, tra le pieghe, fragilità e sensibilità, oltre a una notevole curiosità. A Port Denarau abbiamo dovuto faticare non poco per strapparla via dal pennone della bandiera del battello, a cui si era avvinghiata per prendere l’ultimo raggio di sole.
Iose è stato la radio ufficiale del viaggio. Tantissime chiacchiere, ma non banali, anzi, spesso, di contenuto. Uomo sempre in movimento, di giorno e di notte, soprattutto di testa, chi dice che Milano non dorme mai non è mai stato a Pinerolo. Personalità poliedrica, sempre sul pezzo, ma con la sensibilità degli animi buoni.
Patrizia è una ragazza bella e premurosa, femminile e materna. Grande riservatezza, senza alcun distacco, lei c’è sempre. Dietro la voce da fanciulla, mostra assoluta maturità e senso pratico. Così, se sulle prime potreste definirla un po’ naif, alla fine la sua naivete’ sarà un pregio rassicurante.
Rosangela è una milanese con il cuore caldo dei meridionali. Anche lei ha due facce, entrambe esplosive, contundenti, calde, a volte torride. La guardi e sprizza simpatia, gioia di vivere, buonumore. Benvenuta tra gli avventurieri, ce n’è strada da fare.
Vanessa è romana de Roma, ma vive e lavora in Svizzera. Non è la sua unica ‘contraddizione’, la sua forte personalità mostra anche altre bivalenze. Talvolta urticante e violenta nell’indirizzo verbale, ha un cuore dolce di bambina, che mostra il suo vero ‘animus’. Cervello da ingegnere e corazon latino. Ma che ce fai co’ svizzeri e canadesi, lascia perdere
Domenico, fuori dall’ordine alfabetico, perché recita due parti in commedia, partecipante e cantastorie. Ecco, chiedo venia se, per tutti questi giorni, vi siete dovuti sorbire le mie intemperanze verbali, nessuno è perfetto. In confidenza e per finirla, volevo solo dirvi che con voi sono stato molto bene e che mi piacerebbe tanto fare insieme qualche altra ‘avventura’. Vedremo, se son rose fioriranno.