De Filippi ed io
Il primo incontro
“Il 27 settembre uscivamo dalle strette gole che terminano la valle Gumber nel gran circo di monti dov'è Dras, a 3066 m. sul mare, ed in brev'ora arrivavamo alla stazione. V'è un piccolo gruppo di pioppi e salici, vicino alla casetta della posta e del telegrafo e ad un basso e lungo edificio, il serai o ricovero per le carovane indigene di passaggio. Li dappresso, un poco più in alto, è la casa per gli Europei ed i funzionari, che sembra una casetta svizzera piuttosto che un bàngalo indiano.
Dras era un'altra delle stazioni progettate per le osservazioni gravimetriche, astronomiche e magnetiche coi connessi lavori topografici e le osservazioni meteorologiche. Il bàngalo albergò noi, in due per camera, il laboratorio fotografico e la camera oscura. …
Il carvan serai è scomparso, forse anche il “bàngalo”[1] oppure sorgeva proprio qui e si è trasformato nella polverosa tourist rest house dove alloggiamo, anche noi distribuiti in camerette a due posti. Non è la prima volta che transito da Drass, ma in quest’anno di grazie 1985 mi sono fermato per verificare se nei dintorni esistano ancora i bassorilievi fotografati da Cesare Antilli[2]. Anche se non ho portato con me il pesante volum[3], trovarlo è facile ma quanto è mutato il paesaggio attorno! Non solo, ma anche le steli si spostano, come documentano successivamente le fotografie di Giulia Nuvoloni[4], prima moglie di Giuseppe Tucci[5] e del Capitano Ghersi[6] qualche anno dopo.
All'estremità del pianoro di Dras, il sentiero passa dinanzi ai due grandi pilastri di pietra coperti di bassorilievi religiosi tante volte notati. Il Cunningham[7] li crede monumenti braminici, il Francke[8], buddisti. Ne faccio cenno solo perché li accanto v'è un terzo blocco, più piccolo, con su scolpito un guerriero a cavallo, che quasi nessuno ha notato, perché giaceva rovesciato a terra da tempo indefinito. Non sfuggì al Cunningham, che lo crede un monumento sati, cioè dedicato ad una vedova che fece olocausto di se sul rogo per devozione al defunto marito. Noi lo rizzammo, e potemmo così fare, credo per la prima volta, una illustrazione completa dei tre monumenti”[9]
Nel 1980, primo viaggio in Himalaya, conoscevo poco o nulla di Ladakh, ma anche di Nepal e di Tibet: ma ogni viaggio è stato stimolo a progettarne altri ed a studiare sempre più. Leggere i diari delle spedizioni di oggi e di ieri porta a fantasticare: come saranno stati accolti i nostri intrepidi visitatori? Con una tazza di tè salato (magari con il burro) che avranno cortesemente accettato e poi versato con noncuranza guardandosi attorno nella speranza di non esser visti? Od avevano già imparato a sorseggiarlo, soffiando sulla superficie in modo da spostare la chiazza gialla? Si saranno impastati i baffi con il burro? In fondo in fondo, il sapore del tè tibetano alle mie papille sembra differire dal tè kashmiro solo dall’aggiunta di un cucchiaio di burro, per il resto entrambi sono resi salati da un pizzico di bicarbonato di sodio, ma poiché è più semplice tradurre dal ladakho in inglese come “salt tea” il turista e l’esploratore rimangono ignari del bicarbonato che conferisce al tè anche un colore leggermente rosato. Nel breve soggiorno a Srinagar, capitale del Kashmir, gli esploratori-scienziati avranno probabilmente preferito, e lo preferisco anch’io, un altro tipo di tè kashmiro più fragrante ed aromatico, con il cardamomo verde, i pistilli di zafferano e la cannella.
Srinagar è cambiata in cento anni. La fotografia della moschea Khanqah, detta di Shah Hamdan, la riproduce circondata da un giardino come pure il non lontano tempio hindu con la cupola a shikara: è uno degli edifici più antichi di Srinagar, la costruzione risale al 1395, quando Shah Sikandar volle commemorare la visita di Mir Sayyid Ali Hamdani. Lo stile è localmente detto indo-saraceno. Distrutta dal fuoco nel 1479, riedificata e nuovamente bruciata nel 1731, fu ricostruita seguendo rigide norme che escludevano l’uso di chiodi e viti, come materiale fu usato esclusivamente il legno con un sapiente uso degli incastri. L’artigianato della cartapesta contribuì alla decorazione delle pareti e dei soffitti con miniature e disegni. Alta trent’otto metri, si riflette nelle acqua del fiume Jelum.
Sono tornato a visitarla alcuni mesi fa, quasi dopo trent’anni, in un pomeriggio domenicale relativamente tranquillo. In mattinata era stata bruciata un camionetta della polizia, ma ora l’aria era pulita ed il quartiere quasi deserto, ma quanta tristezza provo nel vedere il vicino quartiere, un tempo abitato da pundit, abbandonato e deserto, con le case vuote e le finestre che rammentano teschi vuoti. Dopo le violenza degli anni “80 più di 90.000 hindu hanno abbandonato il Kashmir e solo poche migliaia oggi sono ritornate. Anche quella che seguo quest’anno è una spedizione medico-scientifica: i partecipanti sostano a Srinagar, capitale estiva del Kashmir adagiata sulle sponde del lago Dal, per acclimatarsi prima del volo aereo per Leh posta a 3.600 metri.[10] Ma poi, che differenza! Spostamenti a cavalcioni di una potente Royal Enfield e non a dorso di un mulo come i nostri eroi. Ma torniamo appunto a Dainelli…
La più grande spedizione scientifica italiana
Nell’autunno del 1912 il Council della Royal Geographical Society, presieduto dall’On. Conte Curzon di Kedleston, già viceré dell’India, si trovò, nel corso di una delle sue ordinarie sedute, ad avere all’ordine del giorno l’esame e la discussione di una proposta di progetto proveniente dall’Italia e concernente una spedizione scientifica da compiersi in Asia Centrale: il sogno di un medico torinese iniziava a trasformarsi in realtà.
Con l’esperienza acquisita insieme al Duca degli Abruzzi in precedenti esplorazioni in Alaska e nello stesso Karakorum, nel settentrione dell’Himalaya, egli progetta e realizza una propria spedizione con finalità altamente scientifiche, tanto da essere presentata anche all’Istituto Internazionale di Fisica a Bruxelles. Ottenuto anche in Italia l’appoggio di Accademie e Società scientifiche, la pianificazione dell’impresa richiese più di un anno di accurato lavoro e la sua realizzazione fu possibile soprattutto grazie al finanziamento della Real Casa. Il realistico sognatore si chiamava Filippo De Filippi, torinese naturalizzato fiorentino. I breve forma il gruppo, oltre che con topografi del Genio Militare, con docenti dell’Ateneo di Firenze e una guida valdostana.
L’obiettivo puramente scientifico è il rilevamento di entrambi i versanti del Karakorum visitati dai viaggiatori inglesi e dei quali non si conosceva l’esatta conformazione. De Filippi vuole principalmente misurare l’effetto dell’imponente massa rocciosa sui campi magnetico e gravitazionale, ed effettuare anche rilevazioni su fenomeni atmosferici; infine si vogliono colmare le notevoli lacune ed imprecisioni delle carte di quella regione al confine tra Cina ed India, ed è per questo che ai sette italiani, si aggiungono anche due topografi britannici del Servizio Trigonometrico Indiano e due indiani appartenenti alla famosa serie di pundit che sotto vari travestimenti avevano rilevato l’Himàlaya nepalese e tibetano, quest’ultimi giunsero accompagnati da due gurka nepalesi. Il piano originale contemplava l'esecuzione di una catena di stazioni geofisiche nella regione compresa tra l'India nord-occidentale e il Turkestan orientale, attraverso i grandi sistemi orografici dell’Asia Centrale - Himalaya occidentale, Karakorum e Kun-Lun.
Cent’anni dopo, partendo alle nove di sera da Milano, si riesce ad essere nella propria stanza sulla house boat al mezzogiorno successivo, possiamo quindi solo immaginarci il clima di confusione che regnava quel giorno sulla banchina dinanzi al piroscafo, con i bauli, le sacche e gli involti ammucchiati da tutte le parti, la folla urlante, i saluti, gli ultimi abbracci, i fazzoletti che sventolano nell’addio e poi il ritiro della passerella, le manovre di liberazione dagli ormeggi, l’arrivederci finale con gli ultimi curiosi che se ne vanno. Il piroscafo inglese Arabia della compagnia P.&O. salpa il 23 luglio 1913 dal porto francese di Marsiglia: “Viaggiavamo nell' agosto del 1913, liberi dalla folla triviale dei viaggiatori sfaccendati, perché di questa stagione vanno in India solo coloro che hanno ragioni imperiose di affari e di servizio”[11]. Padre Desideri aveva impiegato quasi due anni a raggiungere il Kasmir nei primi del ‘700, la spedizione vi giunge l’8 settembre. Il Baltistan, dove De Filippi vuole svernare, faceva allora parte del Kashnir, avendo seguito la sorte del regno di Ladakh occupato sessant’anni prima ed annesso al piccolo principato, ricco di bellezze naturali e foreste. Prima di ripartire vengono inviati indumenti pesanti e tonnellate di cibo da distribuire tra varie stazioni lungo l’itinerario previsto, e là si utilizzeranno centinaia di portatori, in numero imprecisato.
L’organizzazione di una spedizione è oggi giorno in gran parte delegata ai corrispondenti ed partecipanti sono liberi dai pensieri della logistica. De Filippi si occupò anche di questa e vi accenna brevemente: “Il bagaglio dei viveri formava infatti duecentosettanta carichi del peso complessivo di seimiladuecento chilogrammi, richiedenti centotrentacinque cavalli pel trasporto ; mentre il materiale da campo, i corredi personali e il bagaglio scientifico avrebbero necessitato di per sè un largo concentramento di tutti i mezzi di trasporto disponibili, sia nel Bàltistan come nel Làdak. Perciò le provviste partirono dall'Europa due mesi prima di noi, indirizzate direttamente al Cashmir. Di qui vennero subito distribuite da speciali carovane fra Scardu, Carghil e Lè, nella quale ultima città vennero provvisoriamente depositate le serie 4a, 5a, 6a e 7a di cassette. In questo modo, alla nostra partenza dal Cashmir, non solo non avemmo con noi 1' ingombro delle provviste per l' intiera campagna, ma ritrovammo liberi e disponibili i portatori e gli animali da carico prima impegnati per il trasporto di quelle”[12] e rileggendo torna alla mente i miei primi trekking in Himalaya quando scarsità di soldi e percorsi affrontati per la prima volta, mi impegnavano nello studio del peso dei viveri e della attrezzatura per risparmiare sui costi DI trasporto.
Lontani dal mondo
Raggiunta Skardu, la spedizione vi sverna mentre Giotto Dainelli[13] termina il rilevamento di alcune zone del Baltistan, raggiungendo poi gli altri partecipanti a Leh; lungo il percorso Dainelli studia le popolazioni del Purig, i Dardi ed i Baltì. Un tentativo guidato da Petigax[14] di raggiungere l’altopiano delle Rupshu fallisce per la troppa neve mentre si riescono a rilevare nella primavera del 1914 le zone dell’altopiano Depsang e tutta la zona orientale del Karakorum esplorando i ghiacciai Rimu e Siachen[15]. La spedizione prosegue e valica la catena entrando nel Turkestan cinese, raggiunge Yarkand e Kashgar, continua verso il Turkestan russo ed arriva a Taskent. Veniva così collegata il sistema trigonometrico indiano a quello europeo: un successo di portata internazionale. Lo scoppio delle ostilità costringerà i partecipanti ad un ritorno precipitoso, ma i risultati scientifici, raccolti in una imponente documentazione, erano rilevanti, ma il ritorno in Italia fu amaro: dopo aver assaporato spazi infiniti e cieli stellati in terre allora così lontane, partiti in tempi di pace e appoggiati dall´opinione pubblica, gli scienziati trovarono un’Italia che si apprestava ad entrare in guerra e che aveva ben altre preoccupazioni che conoscere i dati della gravità sull´Himalaya[16].
Marco Vasta - CAI Brescia
Coordinatore Avventure nel Mondo n° 193
Didascalie:
Le steli di Drass (destra: Cesare Antilli 1913 – sinistra: Vasta 1985)
La moschea Shah Hamdan (destra: neg. Vittorio Sella 1909 – sinistra: Tonino Besozzi 2012)
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[1] Sta per “bungalow”, De Filippi italianizza alcuni vocaboli inglesi, ma non tutti, ne è esempio il caravanserraglio che viene indicato all’inglese.
[2] Fotografo ufficiale della spedizione. Le foto sono opera principalmente sue e di Giorgio Abetti e Giotto Dainelli. Una parte ristretta di Alfred Spranger e Olinto Marinelli.
[3] Il volume può essere consultato su internet all’indirizzo: http://dsr.nii.ac.jp/toyobunko/VIII-1-A-100/
[4] Giulia Nuvoloni sposa Giuseppe Tucci nel 1927 e vive con lui in India fino al 1931 seguendola anche come fotografa in molti viaggi fra cui il Ladakh e Spiti nel 1929 e nel 1930.
[5] Giuseppe Tucci, il maggior tibetologo italiano, fondatore dell’ISMEO, sotto l’ala protettrice di Mussolini prima e Andreotti poi; a lui è intitolato il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.
[6] Capitano di Marina, segue Tucci in alcune spedizioni in Himalaya, fotografa le steli di Drass nel 1935.
[7] Sir Alexander Cunningham (1814 – 1893) fondatore del Servizio Archeologico dell’India.
[8] A. H. Francke, A History of Western Tibet; Londra, 1907, pag. 52. Francke è un missionario moravo che operò in Ladakh e Spiti ai primi del 900.
[9] De Filippi, Filippo “Storia della Spedizione Scientifica Italiana nel Himàlaia, Caracorùm e Turchestàn Cinese (1913-1914) : vol.1” p.30, Bologna, 1924, rist. an. 1955
[10] Alla missione partecipava Mieko Namiki, vedova di Fosco Maraini, che ha presentato un suo libro in una serata organizzata dalla nostra biblioteca sezionale il 26 ottobre scorso.
[11] De Filippi pag 14.
[12] De Filippi pag, 10.
[13] Giotto Dainelli, fiorentino brillante ed estroverso, viaggiatore, geografo, geologo dalle capacità lavorative immense, studioso dei ghiacciai e della morfologia alpina, paleontologo. Acceso fascista, partecipò alla Repubblica di Salò e per questo venne prima epurato e poi abbastanza dimenticato dai suoi colleghi, che evitavano di citarlo.
[14] Molti esploratori inglesi si erano avvalsi dell’aiuto della guida alpina Giuseppe Petigax al quale ricorse anche il naturalista e topografo italiano Cesare Calciati per i ghiacciai di Hispar e quelli a sud del Baltoro fra il 1908 ed il 1911. Nel 1909 partecipò alla spedizione del Duca degli Abruzzi con il fotografo Vittorio Sella.
[15] M. Vasta, Ladakh, p. 154, Roma 2009 4a ed.
[16] Molto materiale oggi in circolazione su De Filippi fu ritrovato grazie all’interessamento dell'amico pistoiese Gualtiero Bargiacchi, maggior studioso di Ippolito Desideri suo conterraneonei meandri dei depositi della Società di Studi Geografici.