Dancalia. Dove la terra si tinge di verde....
Non credo esista un posto più anomalo della Dancalia: colorata, calda, inospitale e vitale nello stesso tempo. Uno dei luoghi dove la Terra mostra tutta la sua potenza, fra laghi di sale e pozze di zolfo, fra vulcani attivi e montagne verdeggianti, ma anche uno dei luoghi più mistici del Mondo, frapposta fra la cultura Etiope e quella tribale, avvolta dai colori dell’oro, del verde e del rosso, fra milizie e dromedari, fra le stelle dell’Africa e l’eco della cultura copta. Chi partecipa a questo viaggio fa parte degli ultimi viaggiatori che possono vedere la Dancalia allo stato brado: cinesi ed europei, infatti, stanno violentando il sottosuolo e costruendo infrastrutture imponenti, che nei prossimi anni modificheranno completamente la regione, sostituendo le carovane di dromedari con moderni camion e sancendo la fine della popolazione Afar. Le key words he caratterizzano il mio viaggio sono: gruppo splendido, paesaggi incredibili, bianca santità. Il viaggio è stato un susseguirsi di emozioni e la vita da campeggio ha reso il tutto più autentico. Abbiamo scoperto il benessere di un lungo bagno nel fiume, dopo giorni passati senza lavarsi, la potenza della Terra che con violenza cerca di emergere dal cratere dell’Erta Ale, l’unicità del Dallol, testimoni della forza dei colori, la durezza delle condizioni di vita degli estrattori di sale contrapposta alla devozione delle migliaia di pellegrini vestiti di bianco che, ammassati nelle chiese di Lalibela, formavano un’unica voce e un’unica anima.
Giorno 1. Venerdì 27 Dicembre 2019 Partenza Milano e Roma
Dancalia Discovey…si parte!! Ho sognato questo viaggio per tanto tempo e finalmente si realizza. Gruppo misto, 6 ragazzi e 6 ragazze, provenienti da tutta Italia. Da Roma vengono caricate le casse viveri. Subito mille emozioni: voli in ritardo con il rischio di perdere le coincidenze al Cairo; fortunatamente tutto torna ad essere regolare, iniziamo a conoscerci e a capire che il gruppo è davvero strepitoso.
Giorno 2. Sabato 28 Dicembre 2019 Addis Abeba-Kombolchà
Arrivo alle 4 a.m. ad Addis Abeba; compriamo al Duty free sigarette da portare agli Afar come dono e cambiamo in aeroporto qualche soldo per avere un po’ di autonomia. , Alle 6,30 incontro con i driver e organizzazione mezzi. Carichiamo le Jeep e iniziamo l’avventura. Superiamo le montagne del Sinam, accompagnati da una nebbia anomala, che rede alternative le foto al paesaggio, ma che ci fa sentire come protetti dall’unicità. Dopo tre ore di viaggio ci fermiamo in un ristorante per la nostra prima colazione etiope: caffè tradizionale, uova strapazzate e injira, il pane tradizionale che verso la fine del viaggio diventerà parte integrante della nostra alimentazione. Impariamo il saluto etiope, che consta nello stringersi la mano e battere le spalle per tre volte, in un segno di grande affetto e rispetto. Conosciamo il cuoco e l’aiuto cuoco, apriamo insieme la mistery box, alias la cassa viveri, e indichiamo cosa comprare per integrarla. Riprendiamo il percorso, accompagnati dalla nebbia, ma riuscendo ad ammirare i cambiamenti di paesaggio e ridendo per le espressioni buffe delle scimmie di queste zone. Dopo cinque ore raggiungiamo Kombolchà. Prima cena tutti insieme ordinando cibi locali completamente a caso. Notte in albergo.
Giorno 3. Domenica 29 Dicembre 2019 Kombolchà-Sembete-Logya-Lago Afdera
Colazione in hotel davvero ricca e partenza per la Dancalia. Ci fermiamo al mercato di Sambete, attivo la domenica, attorniati dai colori d’Etiopia: è un brulicare di vita, fra il caos dei tuk tuk che sfrecciano sulle strade di terra battuta, il vociare dei compratori e i sorrisi delle persone del posto. Sui banchetti sono esposti cipolle, verdure, polli, ceste di frasche intrecciate, sandali e vestiti di ogni foggia e colore; le venditrici, dietro i veli colorati ci osservano, incuriosite ed intimidite; alcune ci concedono la possibilità di scattare qualche foto. Tutto è colore, tutto è vita. Dopo una sosta per il pranzo, in cui ordiniamo Coca-Cola, injira e birra locale, continuiamo su strade asfaltate, in direzione Lago Afdera, ammirando le saline e tuffandoci di corsa nella calda acqua salmastra, per non perdere il tramonto. Galleggiamo sui colori azzurro e lilla, senza più comprendere quale sia il cielo e quale sia l’acqua, salutando la palla infuocata, che lentamente scompare dietro il campo tendato, lasciano il posto ad una miriade di stelle. Ci sciacquiamo nelle adiacenti pozze di acqua dolce e calda e montiamo per la prima volte le tende, dimostrandoci subito abili campeggiatori. Stanchi e già abbrustoliti dal sole, ci gustiamo la prima cena preparata dal cuoco, trepidanti per la nostra prossima giornata.
Giorno 4. Lunedì 30 Dicembre Lago Afdera-Erta Ale
Svegliati dai primi colori dell’alba, ci tuffiamo nell’acqua del lago e ne approfittiamo per un ultimo bagno nelle pozze di acqua calda, con utilizzo di sapone e shampoo, come consuetudine locale; con una nuova energia ci prepariamo ad assaggiare la colazione a base di omelette e Nutella e smontiamo le tende in tempi record. Caricate le Jeep ci apprestiamo a seguire una guida locale in una passeggiata fra le saline; comprendiamo i processi di preparazione del prodotto che consente a questo territorio di poter emergere sulla scena internazionale grazie alle esportazioni e rimaniamo affascinati dai giochi di luce che si creano su questi specchi di acqua e sale. Terminata la visita facciamo una sosta nel villaggio Afdera, comprando acqua e Coca-Cola, sbirciando all’interno delle case e dei negozi, per strappare qualche scatto e conoscere le usanze locali; prima di rimontare in Jeep alcuni si fermano in un bar, facendo una rapida partita a biliardo con i ragazzi del posto (Italia 1, locali 0). Dopo il nostro ristoro, ci apprestiamo a raggiungere Logya per l’incontro con il capo Afar, il temibile Glysa. A pochi metri dalla partenza la Jeep del nostro Bob Marley si blocca; fra il divertito e il preoccupato osserviamo i tentativi per rianimarla e, dopo qualche minuto, la macchina riparte; per tutto il viaggio avrà problemi di accensione, dovendo essere spinta a mano prima di ogni partenza, ma questo diventerà una sorta di rituale. Dopo aver percorso una quarantina di kilometri su sterrato, raggiungiamo il villaggio Afar, dove veniamo circondati da bambini festanti e uomini con il fucile, un bel contrasto in queste terre così brulle e inospitali. Il maestro di inglese ci presenta i suoi studenti, mentre gli uomini discutono con il nostro capo driver sull’obolo da versare. Dopo un’animata conversazione Getewech, mi chiede di dare anche gli occhiali da sole e di versare la prima mazzetta; lo vedo un po’ agitato, come se ci fosse astio fra lui e gli Afar; ci raggiunge il figlio di Glysa, che prende i nostri omaggi e le mazzette; tutto si svolge rapidamente e in modo molto confusionario. Con un cenno gli autisti ci invitano a salire in auto, senza farcelo ripetere due volte ci mettiamo in marcia, con un senso di amarezza, ma anche di fascino, per questi rituali legati ad un modo tribale completamente africano. Il viaggio continua, il terreno cambia colore, passando dal rosso al nero, segno dell’avvicinamento all’area vulcanica. Anche l’odore dell’aria diventa acre, penetrando nelle narici con prepotenza: si percepisce il retrogusto di fumo e zolfo. Il profilo dell’Erta Ale appare davanti a noi, nitido e imponente. Raggiungiamo il primo campo base. Pranzo a base di fusilli al sugo, una specialità dello chef che non ci abbandonerà più e preparazione dei dromedari per portare il necessario per la notte al campo alto. Partiamo intorno alle 16,30 per arrivare al campo alto al tramonto e poter ammirare la grandezza del cratere del vulcano. Dopo aver contrattato con i custodi del campo il numero di capanne e posato gli zaini, ci dirigiamo sul bordo del cratere. La passeggiata è semplice e dopo qualche metro in questo paesaggio lunare, si inizia ad udire il brontolio del vulcano. La giornata è incredibilmente nitida, non c’è fumo, e rimaniamo per più di un’ora con la bocca spalancata ad osservare i lapilli di lava che esplodono come fuochi d’artificio; ogni tanto udiamo degli ‘Ohh’ e dei ‘Wow’, che accompagnano il nostro stupore, nell’ammirare questo spettacolo unico. La potenza del centro della Terra cerca di comunicare con noi; intanto, in cielo, compaiono milioni di stelle e rimaniamo sospesi fra le stelle che cadono copiose e la lava che cerca di salire verso l’alto. Ancora con gli occhi pieni di questo scenario incredibile degustiamo la nostra cena homemade a base di: tonno in scatola, sapientemente sgocciolato fra le capanne, Oro Saiwa e Nutella spalmata in grande quantità; ovviamente non abbiamo con noi le posate, quindi ci dividiamo quelle da campeggio che qualcuno ha diligentemente caricato nello zaino, ridendo e trascorrendo una delle notti più belle e spartane del viaggio. Prima di andare a dormire, ci destreggiamo in una benedizione dei materassini con il Biokill, partiamo per una spedizione di gruppo alla ricerca della toilette, superando abilmente i dromedari e le scorte che si sono accucciate fuori dalle capanne, e aiutiamo il cassiere a montare un inutile baldacchino realizzato con la zanzariera da campeggio. Ci addormentiamo sorridendo, baciati dalle stelle e da una sottile falce di luna.
Giorno 5. Martedì 31 Dicembre 2019 Erta Ale-lago Assale-Ahmed Ela
Ci svegliamo intorno alle 4,30 per ammirare ancora una volta la lava che arde e ribolle senza sosta. Gli occhi non sono ancora stanchi di ammirare i colori di questo incredibile spettacolo: giallo, rosso e arancione danzano ed esplodono sul fondo del cratere, indomabili e ruggenti. Ci prepariamo alla discesa intorno alle 5, per poter partire presto per il lungo spostamento che ci porterà al lago Assale. Accompagnati dall’alba raggiungiamo il campo base dove ci attende una ricca colazione; Jeep pronte e si riparte! Mettiamo a fuoco la scorta Afar, che ci accompagnerà silenziosamente per tutto il territorio dancalo; è composta da due ragazzi: Azwed che per tutto il viaggio indosserà una bizzarra camicia a fiori e poca voglia di sorridere e Mohammed, grande consumatore di chat, con lo sguardo da discolo e con il mano il kalashnikov. Ridistribuiamo le Jeep e partiamo alla volta di Ahmed Ela; saltiamo il Dodom per arrivare prima al lago Assale; durante il tragitto attraversiamo dei paesaggi completamente diversi rispetto a quelli visti finora: montagne verdeggianti e villaggi dalle case colorate. Ci fermiamo in un villaggio per pranzare: appoggiandoci ad un bar locale, dove il nostro cuoco ci serve da un grande pentolone la pasta fredda che ha preparato la notte precedente e del formaggio; compriamo palloni e penne per i bambini del posto; cambiamo altri soldi nella piccola banca rurale, dove sei cassieri ci seguono per un tempo lunghissimo e continuiamo il nostro viaggio, con una scorta mazzette da diecimila birr ciascuna da poter fare invidia ad un gangster! Poco prima del lago Assale incontriamo le ultime carovane del sale: i dromedari sono pochi, e per il resto del viaggio non ne vedremo più; ormai le ruote hanno preso il sopravvento e la presenza cinese si percepisce anche sulle strade, sulle quali sfrecciano i camion rossi, chiamati Al-Qaida, in quanto spesso si ribaltano causando incidenti. Le Jeep avanzano sul lago, sembra di essere sospesi fra l’acqua ed il cielo, senza sapere dove cominci l’uno e dove finisca l’altro. Rimaniamo per tantissimo tempo in questo angolo di mondo unico e magico, sui cui si riflettono i colori pastello delle nuvole e i raggi di sole, che a poco a poco scompaiono all’orizzonte. Con gli ultimi sprazzi di luce ci dirigiamo nella pozza del lago Assale e ci tuffiamo nell’acqua salata e calda, provando l’emozione di rimanere a galla senza il benché minimo sforzo. Galleggiamo per un bel po’ e, con il buio, raggiungiamo il villaggio di Ahmed Ela, ribattezzato La bidonville, in cui monteremo le tende. Il sale è come sabbia sulla pelle e per sciacquarci utilizziamo un catino e delle bottiglie. Un’ondata di vento si scaglia su di noi, proprio mentre montiamo le tende e, fra il disagio e le risate, ci accampiamo; il cuoco ci prepara un cenone a base di zuppa, pasta, prosciutto tagliato al coltello, come se fosse una bistecca di dinosauro e formaggio; ci prepariamo a brindare al nuovo anno, con le nostre scorte di Montenegro e masticando le amarissime foglie di chat. Il nostro driver preferito si pizzica un braccio nel bagagliaio, per fortuna, nulla di grave; ci apprestiamo a soccorrerlo con ghiaccio e creme di ogni genere, fiduciosi sul suo recupero. Anticipando di un po’ la mezzanotte ci addormentiamo nelle tende, cullati dall’ululato del vento.
Giorno 6. Mercoledì 1 Gennaio 2020 Ahmed Ela-Dallol-Asso Bhole-Lago Assale-Asso Bhole
Sveglia all’alba nel villaggio di Ahmed Ela e prima colazione dell’anno nuovo, a base di marmellata e dolcetti. Oggi ci apprestiamo ad ammirare il paesaggio più famoso della Dancalia, forse uno dei motivi per cui ci ha spinti a scegliere questo viaggio: la piana del Dallol. Esaltati ci muniamo di occhiali e guanti da donare agli estrattori del sale e partiamo. Superiamo il lago Assale, di un bianco accecante, quando, all’improvviso, compare davanti a noi un aglomerato di rocce scure e fumo…siamo arrivati!! Iniziamo con uno splendido trekking sul Dallol, calpestando il terreno fumante che su cui si alternano il rosso, il giallo ed il verde, sino a raggiungere i laghi di zolfo, da cui zampilla l’elemento, creando una danza in questo mondo surreale. Sgomento, gioia e incredulità guidano la nostra escusione; nessuna foto potrà mai rappresentare appieno la magia che abbiamo vissuto. Quasi di controvoglia ci dirigiamo nella piana oceanica, scoprendo rocce e resti di congliglie di questo antico oceano ormai prosciugato. Non ancora sazi, ma abbrustoliti dal sole, saliamo sul tettuccio delle Jeep e viaggiamo per kilometri in uno spazio senza confini, attorniati dal bianco accecante del lago di sale e dal blu intenso del cielo. Il lago cambia la sua consistenza ed iniziamo a riconoscere delle sagome: sono gli estrattori di sale, accucciati a terra, con le loro maglie colorate e i loro strumenti da lavoro. Più ci avviciniamo, più veniamo sopraffatti dalla consapevolezza che le loro condizioni lavorative sono brutali; accompagnati dal picchettare dei martelletti e dei falcetti, scendiamo dalle auto e ci dirigiamo in mezzo a loro. Le emozioni di gioia vissute fino a qualche attimo prima, vengono sostituite da tristezza e dalla disapprovazione della durezza della loro vita; a mezzogiorno, senza acqua, con strumenti rudimentali, rompono ed estraggono blocchi rettangolari di sale; alcuni ricevono i guanti e non sanno neppure da che parte utilizzarli; molti non hanno gli occhiali da sole, e lavorano con gli occhi ridotti a fessure, sudati e costanti. I volti sono irrigiditi dalla fatica, i corpi sono esili e nervosi, gli sguardi severi. Alcuni ci salutano e ci sorridono, ma è difficile non rimanere sopraffatti dalle emozioni; osservare le loro condizioni è stata una delle scene più forti del viaggio. Dopo aver salutato i lavoratori, torniamo al villaggio, con questo ricordo indelebile tatuato nella mente. Veniamo condotti in una “base militare” (una baracca dove sosta un camion dell’esercito e dove ci viene intimato di non fare foto-il problema minore, dato che con il buio molti di noi avevano scambiato l’area per una toilette a cielo aperto!!); sembra che tutto il villaggio si sia riunito per guardare una partita di calcio, proiettata su un grande televisore, sotto l’ombra delle frasche. Assaggiamo la dolcissima Fanta del luogo, di colore arancione fluo, e tornimo al campo per pranzare. Rimontiamo in Jeep e raggungiamo Asso Bhole, raccogliendo qualche fossile di conchiglia di questo antichissimo fondale marino. In una quarantina di minuti, su strada asfaltata, raggiungiamo il fiume Saba (ormai iniziamo quasi ad apprezzare il lavoro dei cinesi nella realizzazione delle infrastrutture, anche se non approveremo mai la loro colonizzazione che con violenza si è imposta alla cultura del luogo, comprando letteralmete le tribù, senza il minimo rispetto per le tradizioni e le necessità degli etiopi). Dopo giorni in cui non ci laviamo ci tuffiamo nel fiume, pervasi da una sensazione di incredibile benessere, felici di esserci perfettamente integrati alla vita spartana. Montiamo le tende e cuciniamo un risotto pronto, spodestando il cuoco. Festeggiamo nuovamente il Capodanno, esprimiamo milioni di desideri ad ogni stella cadente, accendiamo un falò e balliamo la salsa fino a notte fonda, scoprendo di avere del grande potenziale.
Giorno 7. Giovedì 2 Gennaio 2020 Asso Bhole-Saba River-Wukro- chiesa di Abriha Atsibha –Montagne di Gheralt-Desertaion village
Sveglia all’alba, con una rinnovata energia. Prepariamo i costumi per un nuovo bagno. Prepariamo i costumi per un nuovo bagno e seguiamo il corso del fiume in un trekking fra le alte rocce modificate dal vento e le capanne che compaiono qua e là; prima di ripartire ci concediamo un ultimo tuffo nell’acqua fresca del fiume, fra pesciolini famelici e bollicine di shampoo. Leghiamo le scarpe al tetto delle jeep (grazie ai velisti e alle loro “gasse d’amante”, ritroveremo tutte e 24 le scarpe a Mekallè) e ci apprestiamo ad abbandonare la Dancalia; accompagniamo il cuoco nel suo villaggio, salutiamo la scorta e pranziamo in un ristorante del posto. Il paesaggio inizia a cambiare: l’aria è più fresca e tutto è verdeggiante. Saliamo di quota, passando dal secondo punto più basso della Terra, a quasi 3000 metri. Ci dirigiamo verso Wurko, una cittadina caotica, in cui facciamo benzina, cambiamo gli ultimi soldi e conosciamo il nostro corrispondente, Kiros, che ci accoglie con un grande sorriso e la gioia, che caratterizza gli abitanti di questa regione. Iniziamo la scoperta delle chiese copte, dirigendoci nell’antichissima chiesa di Abriha Atsibha: è il primo impatto con la cultura copta e veniamo piacevolmente colpiti dai suoi dipinti perfettamente conservati; prevalgono i toni scuri e i grandi occhi dei santi dell’Antico e del Nuovo Testamento, che corrono lungo le pareti e le cupole di questa chiesa semi-monolitica. Immagini che ritroveremo in tutte le chiese, a volte restaurate, altre volte ricche della santità dei colori antichi. Al tramonto raggiungiamo le montagne di Gheralt e passiamo la notte presso le famiglie del villaggio di Desertaion, dove danziamo attorno al falò con ragazzi e bambini del posto, accompagnati da un clima di grande gioia. Per la notte ci dividiamo in due gruppi, dormendo all’interno delle case, o meglio, un gruppo in una casa e l’altro in una stalla. L’esperienza è incredibile, le famiglie riposano vicino a noi, in stanze adiacenti e, al risveglio, osserviamo gli animali e i bambini che iniziano la loro routine.
Giorno 8. Venerdì 3 Gennaio 2020 Desertaion-chiesa di Miryam, Daniel e Abune Yemata- -Korok
Ci svegliamo nella fredda alba del Tigrai, attorniati dalle montagne baciate dal sole. Osserviamo silenziosi alcuni momenti di quotidianità e il movimento degli animali. Dopo la colazione preparata dalla nostra cuoca preferita, Mary, ci prepariamo ai lunghi trekking della giornata, che ci vedranno dedicare la giornata alla visita delle chiese copte tigrine: Miryam, Daniel e Abuna Yemata. Partiamo alla volta di Miryam e Daniel, percorrendo un lungo trekking in un paesaggio spettacolare: è come se fossimo sul tetto del Tigrai, davanti a noi l’infinito e dietro di noi vette ancora più alte, che ci sfidano a raggiungerle. Si percepisce la grande devozione dei pellegrini, che per raggiungere queste chiese monolitiche devono camminare per ore, su strade impervie. Le chiese sono meravigliose e la camminata e la fatica vengono ripagate dalla grandiosità del luogo. Dopo un lungo pranzo a casa di Mary, assistiamo alla preparazione del caffè tradizionale, una pratica affascinate, ma eternamente lunga; dopo aver assaporato il caffè nero bollente, ci prepariamo al secondo trekking, che ci consentirà di raggiungere Abuna Yemata. Dopo una camminata a gradoni, iniziamo a scalare alcuni massi, sino a raggiungere la parete verticale, che porta al complesso ecclesiastico. Ci dobbiamo togliere le scarpe ma, scopriamo che il caffè fu galeotto: il sole si accinge a tramontare e dal momento che la scalata si rivela abbastanza complicata, decidiamo di rimandare al mattino successivo la salita. Scendiamo con le torce, vivendo un momento incredibile: ci troviamo in uno dei luoghi più sacri del Tigrai, avvolti dal silenzio e dal blu profondo della notte. Montiamo le tende nel villaggio di Korkor illuminati dalla luna, nel freddo della notte. Ceniamo a casa di Mary ed andiamo a dormire accompagnati dal respiro degli animali del villaggio
Giorno 9. Sabato 4 Gennaio 2020 Korok-Mercato di Fukusi-Chiesa di CharlesWukro-Mekalle
Sveglia prima del canto del gallo per il gruppo che ha deciso di ritentare la scalata, un po’ più tardi per chi decide di andare direttamente al mercato. Condividiamo la colazione con una signora giapponese, che si è svegliata circondata dalle nostre tende. Mentre ci dirigiamo verso Abuna Yemata, il secondo gruppo ha un’idea meravigliosa: grazie ad una piccola stampante, vengono fatte le foto agli abitanti della casa che vengono stampate sul momento. Un regalo graditissimo per queste persone semplici e pure, che forse non hanno mai posseduto una fotografia. La scalata si rivela spettacolare: dall’alto tutto ha un sapore di grandezza ed essere riusciti a raggiungere la chiesa è stata una grandissima soddisfazione. Ci ritroviamo tutti al mercato di Fukusi, intorno alle 11. Il mercato è grandissimo, colorato, polveroso, vitale, pieno. I venditori sono divisi in settori come in un gigantesco bazar a cielo aperto fra cui si alternano i colori delle stoffe, l’odore del cibo ed il movimento indisciplinato degli animali; osserviamo il paziente lavoro dei sarti, che cuciono in un’area centrale con macchine da cucire Singer; i venditori di polli si aggirano con sacchi di piume da una parte all’altra del mercato. Mangiamo qualche ciambella venduta dai bambini di strada, prima di raggiungere il mercato dei buoi dove, nel caos più totale, vengono venduti questi animali. Sostiamo in un bar per rinfrescarci e ci dirigiamo a Wurko. Qui, pranziamo in un ristorantino, salutiamo Kiros e ci dirigiamo alla chiesa di san Charles; la camminata è rapida, la chiesa piccola e ricca di colori. Con la sera arriviamo nella caotica città di Mekalle. Questa è la prima doccia calda della vacanza, ne approfittiamo, quasi nostalgici dalla mancanza delle tende. Dopo una lunga contrattazione con i guidatori di tuk-tuk, veniamo condotti in un ristorante individuato sulla guida, per poi scoprire che il posto è un altro, ma ci divertiamo tantissimo: siamo incappati in un locale frequentato da etiopi, dove c’è musica dal vivo; il meglio deve ancora venire: i ballerini ci assalgono sfidandoci in danze bizzarre, mentre assaporiamo il cibo locale. Una piacevole serata prima di salutare il Tigrai e le sue meraviglie.
Giorno 10. Domenica 5 Gennaio 2020 Mekalle-Lalibela
Sveglia alle 4 per il trasferimento più lungo in direzione Lalibela. I colori dell’alba si innalzano in una strada meravigliosa, fra vette montuose e grandi tornanti che, come giganteschi serpenti, si snodano per kilometri. Iniziamo a percepire che tutta l’Etiopia si sta dirigendo verso la “seconda Gerusalemme”: durante il tragitto incontriamo bus carichi di pellegrini, da cui svettano le bandiere con i colori dell’Etiopia e altoparlanti dai quali fuoriescono canti e urla di esaltazione. Facciamo alcune brevi soste e ci godiamo un brunch a base delle ormai immancabili uova e caffè tradizionale. Durante il viaggio vediamo tantissimi pellegrini che camminano curvi e silenziosi per cercare di arrivare in tempo a Lalibela. Carichiamo due monache che, scalze, erano in marcia da mesi per raggiungere la città santa. Avvolti da questo clima di devozione e caos, intorno alle 16 arriviamo nella chiesa di Yemerehanna Kristos. La chiesa è architettonicamente diversa da tutte quelle viste sino ad ora: sita in una grotta, presenta una costruzione molto moderna; in una nicchia sono sepolti degli scheletri risalenti all’esodo dei pellegrini che scapparono da Gerusalemme alla ricerca di una nuova e ma trovata libertà di professione della fede; si percepisce santità e misticismo. Veniamo benedetti dalla pioggia (caso davvero raro) e, in serata, raggiungiamo la Lalibela, fra il traffico ed i milioni di pellegrini che si preparano a festeggiare la vigilia del Gennà. Salutiamo i drivers e ceniamo in albergo, dove conosciamo la nostra guida, Abi. Consultiamo il meteo che sembra essere minaccioso, ma veniamo rassicurati sul potere del Gennà e sull’impossibilità della pioggia. Veniamo alloggiati in camerate e trascorriamo la viglia di Natale piacevolmente.
Giorno 11. Lunedì 6 Gennaio 2020 Lalibela
Sveglia presto e colazione in hotel: indossiamo tutti un abito bianco e delle sciarpe etiopi che abbiamo comprato nel Tigrai. Agghindati da Dì di festa, veniamo raggiunti dalla guida e ci buttiamo nel caos festante della città. Le chiese sono divise in due settori: quello nord e quello sud. Ci apprestiamo a dirigerci a nord, osservando il cielo, che appare limpido e terso. Gennà 1, Meteo.it 0. Ci sono moltissimi pellegrini, e la visita delle chiese è un momento davvero emozionante: veniamo travolti dalla devozione degli oranti e dai canti che continuano, incessanti, a vibrare nell’aria. Grazie all’impetuosità di Abi, che ci consente di entrare all’interno delle chiese nonostante la disapprovazione delle guardie, ci inoltriamo in un agglomerato di umanità e di vita davvero singolare: l’interno delle chiese monolitiche è piccolo, ma milioni di teste bianche si stagliano contro le buie pareti di roccia; scavalchiamo corpi, pestiamo falangi, veniamo sorretti dai devoti, che ci sorridono curiosi e ci ringraziano per essere vestiti di bianco e per aver preso parte alla loro festa. Ci siamo sentiti invadenti, ma anche coinvolti in questa incredibile esperienza. La gente rimane per giorni all’interno delle chiese, per non perdere il posto e poter essere benedetta dai preti e dalla forza che trasuda dalle rocce, che dal X secolo vegliano sulla città; molti riposano, accovacciati in questo spazio che odora di piedi, incenso e sudore. Accompagnati dalla fiumana umana, che con disperazione e foga si muove sulle polverose e rocciose strade della città, raggiungiamo un altro dei motivi che ci ha spinti a visitare la Lalibela: la chiesa di San Giorgio, che da sola vale il viaggio. Questa chiesa monolitica, a forma di croce, spunta dal suolo come se fosse stata creata dalle profondità della Terra. Percorriamo una strada semi-scavata nella roccia e assistiamo alle benedizioni con l’acqua santa nel cortile esterno, accompagnati dai canti e dalle preghiere dei festanti. Ci perdiamo nelle stradine, comprando oggetti in legno, bastoni da preghiera e pergamene, e festeggiamo il Natale con un pranzo etiope in uno splendido giardino. Nel pomeriggio visitiamo l’altro complesso di chiese, concedendoci, poi, del tempo libero per scoprire altri angoli misteriosi della città e un po’ di ristoro prima della veglia notturna. Ceniamo nel ristorante con il servizio più lungo e lento della storia e, a notte fonda, raggiungiamo la chiesa di Emanuele. Ci viene spiegato che questo è un anno particolare: essendo bisestile il Gennà viene festeggiato in due giorni, nella notte fra il 6 e il 7 e nella notte fra il 7 e l’8. Sul bordo della chiesa, insieme a centinaia di pellegrini, osserviamo le danze e le sfide fra le forze del bene e del male: preti vestiti di nero e di bianco, danzano creando forme geometriche perfette, seguendo il ritmo dei tamburi e dei keburo, agitando bastoni ed ombrelli. Un rito che durerà con intensità sino all’alba.
Giorno 12. Martedì 7 Gennaio 2020 Lalibela-Addis Abeba
Sveglia alle 5 per prendere parte al sacrificio delle capre e ammirare le processioni di Natale, prima del banchetto. Entriamo all’interno della chiesa, dove i pellegrini sono ormai esausti e molti dormono appoggiati ai bastoni da preghiera, ma i più devoti continuano ad intonare canti, leggendo le piccole Bibbie rosse scritte in aramaico e battendo le mani. Le voci sono roche, ma le preghiere salgono ancora forti fino al cielo. Quando i colori dell’alba tingono il cielo di rosa, i pellegrini si dispongono in fila indiana e camminano per le stradine contorte per affrontare l’ultima processione che li porterà nelle case o nei chioschi realizzati dai volontari del Gennà, dove ribollono salse appetitose, cucinate all’interno di giganteschi pentoloni, che sfameranno i pellegrini per tutto il giorno; l’aria odora di incenso e sangue, e si sentono riecheggiare le grida degli animali che vengono sgozzati. Partecipiamo ad un sacrificio e rimaniamo sgomenti nell’osservare l’uccisione degli animali, in un ciclo di ritualità brutale, ma affascinante. Per colazione rientriamo in albergo e ci godiamo un’ultima passeggiata fra le strade sterrate di questo baluardo della santità copta, che ci ha accolto in uno dei momenti più importanti dell’anno. Siamo felici di aver potuto prendere parte a questi rituali, ci riteniamo dei privilegiati, per aver condiviso insieme le emozioni e la stranezza di questa notte. Montiamo su un minibus che ci conduce all’aeroporto. Saliamo su un piccolo aereo, che fa scalo tecnico a Gondar, sorvolando l’immenso lago Tana e, per le 15,30, arriviamo ad Addis Abeba. I bagagli arrivano rapidamente e in poco tempo usciamo, pronti per l’ultima escursione della nostra Avventura. A bordo di un minivan percorriamo le strade, stranamente deserte, della capitale. È il giorno di Natale e molte attrazioni sono chiuse. Visitiamo la Holy Trinity, la chiesa di San Giorgio, il monumento Lion, entriamo nella stazione dei treni per Gibuti, fotografando l’antico vagone, fermo da tempo inesorabile, segno di un ricco passato di scambi e vitalità; dopo aver riconosciuto alcuni segni del passaggio italiano, e individuato alcuni palazzi da cui emerge la moderna classicità del Novecento, ci buttiamo a capofitto nell’unico negozio di souvenir aperto, per comprare qualche magnete. La stanchezza e la tristezza per la fine del viaggio ci accompagnano, e brindiamo alla nuove amicizie cenando in un bellissimo ristorante in centro città. Rientriamo in albergo per qualche ora di ristoro e ci dirigiamo in aeroporto.
Giorno 13. Mercoledì 8 Gennaio 2020 Addis Abeba-Italia
Partenza all’1 a.m. dall’albergo, alle 4 volo di rientro. Scalo al Il Cairo in cui continuiamo a parlare delle emozioni del viaggio. Decolliamo in direzioni diverse, consapevoli che ci rivedremo presto.
Ringrazio i mie compagni di avventura: Marta, Giulia, Cecilia, Elisa, Marica, Luca P., Matteo, Nicolò, Valerio, Damiano e Luca C. Appassionatamente, Erika Mattio