Avventure nel Mondo

Cappadocia: nella terra delle fate

da "Cappadocia Discovery" con Avventure nel Mondo
di Giulio Seva
foto di Giulio Seva

Una scenografia fantastica di foreste pietrificate e valli plasmate dalle intemperie, un viaggio onirico indietro nel tempo dove natura, arte e scienza non hanno limiti d’orizzonte.

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27/05/22: Italia/Istanbul

Quest’avventura che più che un viaggio si rivelerà una grande emozione ha finalmente inizio.

Incontro una prima parte del gruppo a Malpensa, dove ritrovo Valentina conosciuta l’anno precedente alle Eolie, qualche ora di aereo e atterriamo a Istanbul dove recuperiamo il resto del gruppo.

Siamo nel cuore culturale della Turchia, in una vasta città che si estende tra due continenti, adagiata sulle rive del Bosforo con un profilo segnato da cupole e minareti.

Discendente dalle illustri Bisanzio e Costantinopoli racchiude in sé 2700 anni di storia in un’incredibile fusione di Oriente e Occidente, presente e passato. 

Oggi Istanbul e la stessa Turchia rappresentano un ponte tra due mondi, sono il passaggio geografico e culturale tra il mondo europeo e quello arabo, ed è forse questo essere una città di confine, una sorta di cerniera geografica, che la rende da sempre tanto affascinate e misteriosa, un luogo proteso al futuro ma ancora ben ancorato alle sue antichissime radici.

Nel 1850 Gustave Flaubert entrando in quella che era ancora appellata come Costantinopoli dichiarò che entro un secolo quella città sarebbe diventata “la capitale del mondo”. Quel famoso secolo è trascorso e Istanbul non è riuscita nel suo intento egemonico sulle altre ma con il trascorrere del tempo è diventata, oltre che una città ricca di storia e cultura, anche una metropoli sfavillante di forza e di vita.

Istanbul si trova dove è sempre stata ma se un tempo era alla periferia dell’Europa ora è al centro del mondo. L’antica Bisanzio è oggi la città che evolve più rapidamente. Se da un lato non sono state annullate quelle che erano le meraviglie di Costantinopoli che hanno fatto la sua storia e che visiteremo, dall’altro si sono aggiunte nuove zone da scoprire con boutique, gallerie d’arte contemporanea, musei ricavati da spazi industriali e locali con vista su uno degli skyline più belli al mondo. Siamo nella New York d’Oriente, una città da 15 milioni di abitanti, quasi il doppio della Grande Mela, un posto che si arricchisce ogni anno di nuovi quartieri sempre più alla moda.

Tuttavia questa è anche una città ricca di contrasti e intrisa di segreti e tristezza, una città doppia con un eco inquietante, quello delle brutalità del potere che vanno in scena nascoste mentre al di fuori la vita scorre veloce e con una parvenza di modernità. Purtroppo l’integralismo qui è presente e il respiro laico di una democrazia sperata è ormai storia purtroppo.

Arriviamo in albergo a metà pomeriggio, una rapida doccia e ci spostiamo in centro per la cena.

Avevo prenotato dall’Italia nella terrazza di un ristorante con vista sul Bosforo. Ci arriviamo che ormai è sera e la vista della città illuminata fa da cornice perfetta alla nostra prima cena tutti insieme.

Siamo nel quartiere di Beyoglu, al di là dell’insenatura che disegna il Corno d’Oro, collegato alla città vecchia dal ponte di Galata. Dopo Sultanahmet questa è la zona più frequentata dai turisti per i suoi bar e locali sempre affollati. Siamo in un quartiere dall’anima antica e dagli scorci pittoreschi dove si respira il fascino europeo della belle epoque.

È il quartiere in cui vissero gli emigranti, la cui parte alta fu ceduta ai genovesi durante l’epoca delle Repubbliche Marinare e che qui eressero nel ‘300 un’imponente fortezza difensiva, la torre di Galata, che domina coi suoi 63 metri la collina di fronte alla vecchia Costantinopoli. 

Risaliamo i vicoli di questa sorta di Little Italy che tanto assomigliano ai carrugi genovesi e arriviamo alla sua base trovandola illuminata coi colori della bandiera turca.

Riscendiamo la via pedonale circondata da edifici in stile liberty e andiamo a terminare la serata al 360°, un locale con vista panoramica sulla città dove i giovani chef della città propongono una cucina con prodotti bio coltivati nei loro orti. Noi ci arriviamo dopo cena e ci godiamo il dj-set in terrazza.

Torneremo a casa sul tardi con evidenti difficoltà nel placcaggio di un taxi: non si fermano e quelli che si fermano non parlano alcuna lingua indoeuropea (gesti inclusi) e ti scaricano due metri dopo. Well but not very well.

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28/05/22: Istanbul

La giornata comincia in salita. Incontriamo la nostra guida, una giovane e bella ragazza trentenne, e dopo 5 minuti lei ha memorizzato tutti i nostri segni zodiacali, mi ha chiesto davanti a 16 sconosciuti se sono circonciso e mi tiene avvinghiato a sé che manco le mie fidanzate quando devono marcare il territorio. Verso le 9.30 già mi domando come arrivare a sera mentre lei studia l’affinità di coppia tra la Vergine ed il Leone e capisce se si può fare un Brit Milà express.

Io oggi non ho un nome, non sono Giulio, io sono amore e “amore” lo sentiremo echeggiare per ogni angolo della città mentre mi imbocca con sale e chiodi di garofano della cui utilità, a parte allapparmi la bocca, non ne è dato sapere.

A Istanbul è sbocciata la primavera. Se aspettava ancora una settimana nessuno si sarebbe lamentato.

Incominciamo il nostro tour per questa città il cui curriculum è di tutto rispetto essendo stata nei secoli capitale dell’Impero Romano, Bizantino, Latino e Ottomano.

Qui la Storia si respira in ogni anfratto della città e la bellezza si trova ovunque: nel volo dei gabbiani tra le cupole delle moschee, nelle fontane senz’acqua, nei vapori degli hammam, nei sorrisi della gente.

Visitiamo dapprima la Moschea blu, oggi in ristrutturazione. Le ragazze in segno di rispetto indossano un foulard che vada a coprire testa e spalle e che la Vale per non lasciare nulla al caso si è portata in tinta con gli occhi.

Davanti a noi si erge la solennità di sei minareti e un gioco di cupole decorate in maioliche blu di Izmir che ne fanno la moschea più iconica della città. Non la più grande in quanto nel 2020 è stata inaugurata l’immensa Moschea Camlica con la sua cupola alta 72 metri a testimoniare le 72 nazionalità che convivono nella capitale, un edificio dalla connotazione moderna nato dalla volontà del governo turco di testimoniare una fantomatica grandezza economica del paese.

La Moschea Blu fu costruita a partire dal 1609 per volere del sultano Ahmed I di fronte all’allora chiesa cristiana di Santa Sofia con l’obiettivo di competere con lei in maestosità e bellezza per riaffermare il potere ottomano.

Attraversiamo quindi i giardini che col caldo si colorano dei tulipani, fiori simbolo della città, e in pochi minuti arriviamo a Santa Sofia, uno dei più grandi edifici al mondo, nonché il monumento più rappresentativo di una città complessa come Istanbul.

Rappresenta il simbolo di un passato che non c’è più e di un presente che cerca con fatica gli equilibri per sentirsi vivo.

Fu edificata nel VI secolo per volere dell’imperatore romano Giustiniano rappresentando per anni la chiesa più importante della cristianità prima di diventare dapprima moschea nel 400 per opera degli Ottomani poi museo nel 1935 e poi ancora moschea nel 2020 per un decreto del presidente Erdogan. 

Quest’ultimo passaggio arrivò e con parecchio polemiche; il 10 luglio del 2020 ne fu annunciata la decisione ed il 24 dello stesso mese fu celebrata la prima preghiera in un luogo che aveva perso le suggestioni di un tempo con i mosaici simbolo della Cristianità oscurati da veli bianchi. In meno di due settimane il governo reggente era riuscito a cancellare 84 anni di Turchia laica, di cui il museo ne era il più importante esempio.

Ci troviamo in un vero e proprio monumento della discordia che, nonostante tutti questi mutamenti, è riuscito comunque a non perdere le varie anime che ancora oggi coesistono nel testimoniare il suo essere allo stesso tempo chiesa, moschea, museo e tesoro architettonico. Si possono quindi ammirare mosaici bizantini col tempo “svelati” e medaglioni enormi dalle scritte arabe.

Per terminare la mattinata ci spostiamo sopra il Promontorio del Serraglio a Palazzo Topkapi, immensa residenza imperiale che testimonia l’opulenza degli ottomani.

Sono più di 400 gli ambienti sfarzosi snodati in quattro corti, ognuna delle quali rappresenta una vera e propria città d’arte, che hanno ospitato 26 dei 36 sultani che hanno guidato l’Impero.

Tra tutte queste aree noi rimaniamo particolarmente affascinati dall’Harem dove si trovano le stanze private dell’imperatore e delle sue odalische che sono arrivate ad essere più di 300. È un luogo che regala ricchezze nascoste e aneddoti sconosciuti e intriganti che Sole ci racconta con dovizia di particolari. Molto lontano dall’immagine romanzata che in Europa abbiamo dell’harem questo era il luogo dove vivevano la madre del sultano e le sue concubine; nessun altro uomo, a parte gli eunuchi, poteva accedervi. Era un posto con rivalità e gerarchie rigide che vedevano la mamma a dominare e le mogli legittime subito dopo, donne con l’unico obiettivo di dare un figlio maschio al sultano per aumentare il proprio status. Queste potevano essere massimo 4, poi venivano le 40 concubine ed altre molto giovani che ricevevano di rado visite dall’unico uomo al comando. Tutte queste donne erano recluse ma doviziosamente istruite e, soprattutto, erano tutte straniere con varia provenienza in quanto la legge islamica proibiva la schiavitù delle donne musulmane.

È ormai pomeriggio e siamo affamati.

Ci fermiamo a pranzo al Gran Bazar, uno dei mercati coperti più grandi al mondo con i suoi 4mila negozi raccolti in 55mila metri quadri. Risalente all’epoca ottomana è uno dei più antichi del mondo e al suo interno in quel dedalo di stradine, circa una sessantina, si possono trovare souvenir di ogni tipo: ceramiche e lampade di vario genere, tappeti kilim, gioielli in oro e argento, dolci di vario tipo come i lokum, una sorta di gelatina aromatizzata ai vari gusti, e tanto altro.

Mentre le ragazze piene di aspettative si buttano in uno shopping che le vedrà uscire con al braccio il solo nazar boncuğu, il famoso amuleto turco contro la malasorte, io mi defilo dalla guida per avere qualche minuto di tranquillità da questa vita coniugale che in qualche ora mi ha già oppresso che manco 12 anni di matrimonio.

Dopo una brevissima sosta al Bazar delle Spezie andiamo a visitare la Moschea di Rustem Pascia; questa non rientra nei normali itinerari turistici ma ne avevo letto le particolarità e fatta quindi inserire nella già serrata programmazione odierna. E menomale. Questa gemma architettonica che sorge in prossimità del Corno D’Oro e la cui entrata è nascosta dietro il carretto di un venditore di kebab si presenta rivestita con alcune delle più squisite maioliche di Iznik, piastrelle con quel colore rosso che era l’invidia di tutti gli altri fabbricanti in quanto di difficile realizzazione.

Raccolta, minuta, silenziosa, raffinata. Questa è apparsa a noi la più bella moschea visitata a Istanbul.

Sono quasi le 18 e a breve parte la barca che ci porterà a fare un giro del Bosforo al tramonto. Andiamo al porto, salutiamo la nostra guida con sollievo degli astanti e cominciamo la navigazione.

Nessun soggiorno a Istanbul può risultare completo se non integrato con una delle più classiche attrazioni che ti regala questa città e che ti permette di apprezzare quello stretto passaggio che divide i due continenti. 

Partiamo e abbiamo l’Europa alla nostra sinistra e l’Asia a destra e questo ha un fascino tutto particolare. Arriviamo fino a Anadolu Kavaği, l’ultima località prima del Mar Nero per poi tornare indietro.

Sbarchiamo e andiamo a cenare a Eminönü, all’estremità del ponte di Galata, dove con 2/3 euro mangiamo il balik ekmek, uno dei classici panini col pesce alla griglia cucinati sulle imbarcazioni ormeggiate al molo.

Terminiamo la serata in zona Taksim improvvisando un picnic a base di baklava nei giardini davanti alla Nuova Moschea.

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29/05/22: Istanbul/Ankara/Tuz Lake/Goreme

Sono appena passate le 4 e suona la sveglia.

Ci trasciniamo giù dal letto e andiamo in stazione dove prendiamo il treno veloce che in poco più di 4h collega Istanbul con Ankara, capitale della Turchia frustrata da una sempre più pressante debolezza economica e da un costante rischio di isolamento.

Qui conosciamo la guida che ci accompagnerà per il resto del nostro viaggio, Brigitte. 

A prima vista pare normale, non mi chiede di che segno sono o altro di più sconveniente e già questo mi tranquillizza. Ma nei giorni seguenti scopriremo la fortuna che abbiamo avuto nell’incontrarla.

Brigitte è una bella donna bionda, molto raffinata, nata in Turchia ma cresciuta in Europa tra Francia e Italia, una guida preparata dal perfetto italiano, curiosa, divertente, caparbia. Arriva da Izmir, cittadina sulla costa occidentale del Paese, un luogo liberale e moderno di cui lei è un esempio lampante.

Saliamo quindi sul bus e partiamo verso la Cappadocia.
Spezziamo il viaggio con una veloce visita del lago Tuz, il secondo più grande della Turchia, un bacino ipersalino che nella stagione calda attira fenicotteri ed altri uccelli che qui vengono a riprodursi. Purtroppo anni di politiche agricole dannose, irrigazioni non sostenibili e il cambiamento climatico hanno portato ad un esaurimento delle riserve idriche sottostanti con un conseguente ritiro del lago, il cui destino, come quello di altri bacini turchi, pare ormai segnato. 

Ci arriviamo che non è ancora inaridito dal caldo estivo ma il bianco delle sue saline è già accecante.

È finalmente arrivato il momento di partire per la Cappadocia, regione dell’Anatolia centrale, il cuore fatato della Turchia, un luogo dall’aurea quasi magica.

La Cappadocia è un capolavoro unico al mondo, nato dall’incontro tra la forza della Natura e l’ingegno dell’uomo, un paesaggio modellato in milioni di anni dalla lava, dall’acqua e dal vento. Qui è la natura a regnare sovrana e incontrastata e la sua energia, malgrado uno sviluppo incontrollato e inevitabile portato dal turismo, si sente ancora predominare in ogni angolo.

Ci arriviamo nel primo pomeriggio, siamo in anticipo e ci concediamo una passeggiata nella Valle di Pigeon, un pittoresco labirinto con il vulcano Ercives sullo sfondo, così chiamata per le centinaia di finestre scavate nel tufo costruite nel passato per attirare i piccioni e ospitarne i nidi. Infatti un tempo questi non erano considerati solo animali da compagnia ma venivano addestrati come messaggeri ed il loro guano utilizzato come concime in quanto rendeva dolce la frutta.

Qui si trova anche un albero dell’amore e la leggenda vuole che baciandosi qui si esaudiscano i desideri. Peraltro quest’usanza di alberi detti “fortunati” in Cappadocia è parecchio diffusa e ne vedremo altri a seguire, perlopiù ornati con nastri bianchi, colorati e nazar bonjuk, ossia gli occhi di Allah, veri e propri amuleti contro malocchio e invidia

Dopo una breve sosta in albergo ci rechiamo nella piccola cittadella di Uchisar. Siamo nel punto più alto della regione e già da lontano questo piccolo villaggio ci appare nella sua magnificenza col suo enorme picco di tufo perforato da mille cavità che con la sua enorme mole lo domina quasi soffocandolo dall’alto. Quello è il castello di Uchisar, una finissima trina di roccia che sembra perforata ad arte e che un tempo era utilizzata a scopo difensivo.

Ci saliamo per goderci uno dei tanti tramonti che hanno arricchito e arricchiranno quest’avventura e da qui la Cappadocia ci appare stranamente brulla e orgogliosamente sconfinata.

Riscendiamo mentre i bagliori della notte stanno sostituendo i colori caldi del sole ormai quasi scomparso all’orizzonte e ci rechiamo in paese dove oggi assisteremo ad uno spettacolo folcloristico accompagnato da una cena tradizionale.

Ci sediamo in un anfiteatro dentro una struttura in pietra, al centro si susseguono ballerini dai costumi folgoranti e danzatrici del ventre. Noi approfittiamo dell’open bar per degustare il raki, una tipica bevanda turca al gusto di anice e menta ottenuta da un distillato a base di mais, patate, prugne o uva, diventata un simbolo di amicizia e ospitalità. Soprannominato “il latte del leone”, probabilmente per la sua gradazione alcolica superiore al 40%, lo si beve miscelandolo in eguale quantità con l’acqua. Mentre lo spettacolo al centro della sala prosegue le danzatrici del ventre coinvolgono qualcuno di noi in una iniziazione alla disciplina. Siccome la Dea bendata ci vede benissimo quando la sua presenza non è altrettanto gradita sono io del nostro gruppo ad avere la fortuna d’essere accompagnato al centro della scena per una performance che ricorda molto da vicino uno che ha il bacino rotto ed è in preda alle convulsioni. 
La serata si conclude in pista ballando canzoni lunghe quanto una raccolta dei migliori successi di Claudio Baglioni e di cui non conoscevamo nemmeno l’esistenza, senza disperarcene peraltro.

Torniamo in albergo che l’indomani la sveglia sarà nuovamente molto presto.

Queste poche ore di sonno ce le concediamo in un caratteristico albergo della Cappadocia, interamente scavato in quella roccia che ha finemente disegnato la regione.

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30/05/22: Goreme/Valle Rossa

Quando si pensa alla Cappadocia l’immagine più iconica che sovviene alla mente sono decine di mongolfiere che lievitano leggiadre nel cielo in un paesaggio da cartolina.

Bene, oggi la nostra giornata comincia vivendo da protagonisti quel sogno.

Usciamo dal nostro albergo che è notte, sopra di noi una magnifica stellata.

Ci sistemiamo tutti dentro il cestello del nostro balloon coloratissimo e comincia così l’attesa della partenza. Il cielo pian piano inizia a schiarirsi con timide striature rosacee e all’improvviso una fiammata: è la forza del propano che riscalda l’aria e che gonfia quei palloni che prendono così forma. Prendiamo il volo senza accorgercene, senza fretta. Come piume trascinate dal vento.

Sembra di galleggiare, si percepisce il movimento ma allo stesso tempo ci sembra di essere immobili mentre ci solleviamo fino a 600 metri di altezza, immobili come le altre mongolfiere che vediamo in lontananza e che ci appaiono come incollate a quel cielo che si sta colorando sempre più del giorno.

Quello che vediamo sotto di noi non sembra assolutamente un paesaggio terrestre, la sensazione è quella di essere finiti in una delle più belle favole che si possano vivere.

Un’ora passa molto velocemente ed è arrivato il tempo di tornare coi piedi per terra, un salto in albergo per colazione e poi cominciamo con la visita di quello che dall’alto abbiamo solo intravisto.

Incominciamo dal museo a cielo aperto di Goreme, una versione istantanea e ben confezionata di quello che l’area ha da offrire.

Ci troviamo in un posto unico, affascinante e misterioso, ai confini tra scienza e realtà. Patrimonio Unesco dal 1985 questo universo rupestre è un enorme complesso di chiese e monasteri scavati nella roccia vulcanica che furono operativi tra il IX e i XII secolo.

La topografia della zona è infatti costituita da una roccia molto friabile, il tufo, che può essere facilmente sfondata e plasmata; fin dall’antichità l’uomo non ha potuto far altro che adattarsi all’asprezza di quel territorio e questo ha portato alla creazione di diverse strutture, abitative e non.  Si calcola che nell’intera Cappadocia ci siano più di 500 tra chiese, monasteri e cappelle scavate nella roccia, la maggior parte delle quali sono proprio a Goreme, che può essere definita una città monastica a tutti gli effetti.

Quello che vediamo oggi è il frutto del lavoro degli uomini che hanno abitato questo piccolo angolo della Turchia. Tutti gli edifici sono riccamente addobbati con affreschi che hanno quasi mantenuto la colorazione originaria.

La chiesa più grande e più bella si trova appena prima di entrare nel museo ed è quella di Tokai o chiesa della Fibbia, risultato della fusione di ben quattro chiese e con all’interno affreschi riguardanti la vita di Gesù con un blu cobalto come colore dominante. La prima cosa che si nota in queste magnificenze sulle pareti sono alcuni volti dei Santi cancellati, probabilmente nel corso delle passate persecuzioni di cui i cristiani furono vittime. Infatti la Turchia, malgrado oggi sia a maggioranza islamica, nella storia fu una delle culle del Cristianesimo e proprio qui nacquero le prime comunità al di fuori della Palestina.

Dopo aver camminato un paio d’ore per il villaggio passiamo ad un altro must to do in Cappadocia: i camini delle fate, dei pinnacoli di roccia lavica con un’altezza variabile dai 2 ai 40 metri e una forma conica caratterizzata da una sottile base prismatica rastremata verso l’alto estremamente friabile e delicata sormontata da un cono dello stesso materiale ma più grande, duro e resistente. Anche queste piramidi di terra furono scavate per creare dei rifugi, prima dagli anacoreti nel IV a.C. e poi dai cristiani in fuga dai romani.

Ad un primo sguardo possono apparire come formati da una colata di materiale caduto per sbaglio dal cielo, invece non sono altro che il frutto di un processo geologico incominciato milioni di anni fa a causa dell’eruzione di due vulcani ormai inattivi, l’ Erciyes e l'Hasan, la cui intensa attività ha portato alla stratificazione lavica, ossia alla formazione di diversi strati di cenere e lapilli organizzati con colori e consistenza diversi. Le erosioni causate dalle piogge nel tempo hanno poi permesso un continuo rimodellamento della terra intono alla roccia con la conseguente formazione di queste insolite e oniriche strutture.

Il loro nome si fa risalire ad una delle tante leggende che aleggiano sul parco di Goreme, ossia che queste loro punte aguzze e svettanti altro non fossero che i comignoli delle case di fate, gnomi e altri personaggi fiabeschi e che i massi sulle sommità fossero stati depositati da divinità celesti.

Ma questa non è l’unica leggenda su queste creazioni; un’altra racconta di un profeta che, mentre attraversava queste terre inseguito da decine di soldati, pregò con così tanta forza Dio o di trasformarlo in uccello per poter fuggire dai suoi nemici o di trasformare proprio questi in roccia. Dio esaudì il suo desiderio e da qui nacquero i camini.

Queste mirabolanti strutture architettoniche non sono esclusive della Cappadocia ma sono presenti anche in altre regioni del mondo, come nella Val di Cembra in Trentino ad esempio; tuttavia è solo qui che sono state trasformate dall’uomo in architetture come case e chiese dalla bellezza senza tempo.

Questa giornata si sta dimostrando meravigliosamente intensa (o” indensa” come direbbe Valeria).
Ci spostiamo a nord di Goreme  da dove si possono ammirare questi camini dall’alto; siamo in uno dei punti panoramici che danno sulla valle dell’Amore, probabilmente chiamata così per via della forma di quelle rocce scolpite che ricordano e poco vagamente i membri maschili.

Trascorriamo qualche minuto facendo quel centinaio di foto dentro i cuori che sembrano incorniciare il paesaggio e poi ci dividiamo in due gruppi, una parte per una passeggiata a cavallo nella valle e l’altra in quad.

Io sono nel secondo e porto con me Giuliana che è rimasta a lungo indecisa se affidare la sua incolumità nelle mie mani o in quelle di Giulia; dopo la prima curva penso abbia capito di aver puntato sul cavallo vincente, dopo la seconda ha cominciato ad affidarsi alle benevolenze celesti.

C’è da dire che un po' tutti a confronto di Laura che ha guidato per soli 30 secondi riuscendo a tamponarci senza ritegno sembravamo dei talenti nella disciplina.

Terminata questa divertentissima esperienza ci riuniamo e decidiamo di terminare questa bellissima giornata in un hammam nel centro del paese.

Il punto forte è il massaggio esfoliante che a quanto pare era molto apprezzato dai sultani turchi. Dimenticatevi i massaggi fatti in Thailandia o dalle cinesi sotto casa che questi hanno tutt’altro aspetto. Innanzitutto a farveli sono uomini di discutibile aspetto che probabilmente in una vita precedente erano dei torturatori e non pensate nemmeno a sedute comode o massaggi rilassanti sulle spalle. Questi prima si armano di un guanto di materiale ignoto, probabilmente cartavetro, e ti incominciano a sfregare come se volessero toglierti la pelle di dosso, poi ti insaponano creando una nuvola di schiuma e incominciano a tirarti di tanto in tanto secchiate di acqua fredda a tradimento e qualche sberla sulla schiena per gradire. Poi ti lavano la testa, sempre con la delicatezza che li contraddistingue, e quando hanno finito controlli se ti sono rimasti dei capelli e non ti sembra vero sia così. 

Se ne esce rigenerati eh ma non è stata tutta questa passeggiata di salute.

Ormai è tardi e ci dirigiamo verso la Valle Rossa che prende il nome dalla tonalità che le formazioni rocciose che la costituiscono assumono quando sono illuminate dai raggi del sole al tramonto che da queste parti è uno dei più belli della regione. Noi ci arriviamo proprio alla golden hour e riscendiamo la valle per recarci al rifugio che ci ospiterà per la notte.

Siamo lungo la strada che dal villaggio di Cavusin conduce a Orthisar dove la valle Rossa e quella delle Rose si aprono e corrono quasi in parallelo, rendendo praticamente impossibile capire dove finisce una e comincia l’altra; questa è un'area di circa 3 km quadrati con ripidi sentieri e scale incise nella roccia, terrazzamenti di alberi da frutto e vigneti. Siamo avvolti da un paesaggio onirico, ai limiti della realtà.

Il rifugio è gestito da Ibrahim, un uomo delizioso che ci accoglie da gran padrone di casa.

Ha riservato tutta la struttura per noi, quindi chi vuole si può sistemare sulla terrazza costruita sul tetto per dormire completamente fuori, gli altri nelle grotte antistanti, ossia degli anfratti scavati nelle pareti chiusi alla bene meglio da coperte appese su stendini della biancheria.

Io, Serena, Elisabetta, Federico e Francesco prendiamo il nostro sacco a pelo e, impavidi della grandinata che c’era stata poche ore prima mentre eravamo nell’hammam, decidiamo di dormire con la sola compagnia delle stelle, in mezzo al nulla. Era l’esperienza che più volevo fare in queste terre e finalmente è arrivata.

31/05/2022: Valle Rossa/Derinkuyu/Valle Ihlara/Konya

Ci svegliamo alle prime luci dell’alba..

Sono i primi momenti del mattino, i più magici. Il sole si sta alzando nel cielo affrescandolo di colori pastello sempre più intensi. Il paesaggio intorno è unico, ci rigiriamo nei nostri sacchi a pelo che ancora ci proteggono dalla brezza mattutina e tutto ad un tratto rimaniamo abbagliati. In lontananza si stanno librando in cielo tanti puntini colorati. Sono le mongolfiere, le stesse che ieri avevamo domato ora ci sovrastano dall’altro ondeggiando nell’infinito dell’orizzonte. La prospettiva è cambiata ma la magia di quel momento è sempre la stessa e la viviamo in silenzio con gli occhi proiettati verso l’orizzonte.

Ci alziamo e ci addentriamo per la valle, come per cercare di raggiungerle. Le vediamo passarci sopra, volando in quell’incredibile paesaggio che non smette mai di stupirci

Il sole è alto nel cielo quando le mongolfiere spariscono all’orizzonte oltre i tufi e le valle verdeggianti. Sono ormai le sette, torniamo al rifugio, una veloce colazione e ripartiamo.

Il nostro tempo in questo luogo magico è ahimè terminato.

Lasciamo quindi Goreme e più ci allontaniamo più i turisti cominciano a diradarsi e i paesaggi ad apparire più autentici con i venditori di tappeti kilim ad oziare e bere il the all’ombra delle strade. Arriviamo a Derinkuyu, un microcosmo che si estende per 460km quadrati sino a 60 di profondità, ritenuta essere la più famosa tra le 200 città ipogee della Cappadocia che si presume venissero utilizzate come nascondigli durante i periodi di guerra per difendersi dai numerosi tentativi di invasione che si sono succeduti da queste parti. 

Strutturata su ben 18 livelli fu scoperta per caso nel 1963 quando un cittadino della zona nel ristrutturare la sua casa-grotta dietro alla parte della cantina trovò una stanza che conduceva a questo dedalo di tunnel che vennero fatti risalire al 1400a.C.

Il complesso era un nascondiglio perfetto, organizzato meticolosamente con varie stanze, ognuna adibita a qualcosa di specifico (camere, bagni, magazzini, stalle, chiese, cimiteri...); sembra potesse contenere fino a 20.000 persone ed era strutturato in maniera tale da poter rimanere indipendente dai rifornimenti esterni per circa tre mesi. 

La sua visita è una catabasi nelle viscere della terra, una ricerca di un mondo perduto dove si può ancora spaziare con la fantasia dato che molto non è stato ancora scoperto e spiegato. Ad oggi sono solo 5 i piani illuminati e attrezzati per la visita, per gli altri bisogna ancora attendere.

Ci spostiamo quindi nella valle di Ihlara che ospita uno dei sentieri escursionistici più famosi della Cappadocia, un percorso di 8 miglia che collega l’omonimo villaggio con Selime.

Un tempo chiamata Peristrema la valle era uno dei luoghi di ritiro più amati dai monaci bizantini ed è per questo che lungo il suo percorso si trovano ancora un’ottantina di chiese scavate nella roccia, perlopiù piccole e semidistrutte, dodici delle quali possono essere ancora visitate. Ci troviamo in un canyon profondo 150mt e largo 200, una drammatica gola formata migliaia di anni fa dal fiume Melendiz che ancora la attraversa.

Il percorso serpeggia tra vigneti, alberi di pistacchio e rupi torreggianti; gli unici suoni che echeggiano sono il canto degli uccelli ed il frinire delle rane.

Siamo sovrastati da quelle pareti rocciose che nella storia furono nascondiglio sicuro per i monaci; seguiamo il fiume fino a Belisirma dove ci fermiamo a pranzo in un dei classici locali sospesi sulle acque per poi andare a visitare nel primo pomeriggio il bellissimo monastero rupestre di Selime, una sorta di castello che si incunea nel fianco della rossa montagna, uno dei più grandi edifici religiosi della regione, costruito nel XIII secolo dai monaci cristiani. Degli affreschi che un tempo lo ornavano rimane ben poco ma scopriamo le varie stanze inerpicandoci e perdendoci nei vari cunicoli che lo formano.

Ripartiamo in direzione Konya fermandoci in uno dei tanti caravanserragli di cui è disseminata la strada; se ne contano uno ogni 35km circa.  Un po' come nei tempi passati anche noi spezziamo le lunghe ore di viaggio in questi che un tempo erano i luoghi di ristoro di mercanti e viandanti che si dirigevano verso la Persia. Tra i tanti quello di Sultanhani è sicuramente uno dei meglio conservati e dalla fattura più elaborata., una meta irresistibile per i tanti viaggiatori che vogliono rivivere le magie della via della seta.

Torri alte e mura in mattoni a proteggere dall’attacco dei briganti questo gioiello del periodo selghiucide, una roccaforte dai colori caldi del deserto, in perfetta palette coi territori circostanti. 

Ultima ora di strada e arriviamo a Konya, una dei luoghi in Turchia dove è più forte la presenza spirituale. È una città di pellegrinaggio per tutti i devoti di Mevlana, teologo musulmano sunnita del XIII secolo, che ha fondato la confraternita dei Mevlevi, i famosi “dervisci rotanti”, e il cui mausoleo, un bell’edificio dalla cupola dalle piastrelle turchesi, si erge al centro della cittadina.

Nel panorama islamico non è raro trovare confraternite religiose che cerchino un contatto con il divino e proprio quella dei dervisci è sicuramente una delle più famose. Loro tramite una famosa e ipnotica danza diventata patrimonio dell’Unesco nel 2007, un misto di arte e spiritualità, si elevano nell’animo distaccandosi dalle passioni mondane e dalle lusinghe terrene. È una forma di meditazione spiritualmente attiva che qui ancora viene svolta una volta a settimana nel grande Centro Culturale costruito in onore di Mevlana durante la cerimonia della sema, un viaggio spirituale verso la perfezione attraverso una pratica spirituale ove questa coreografia di danza viene accompagnata da canti tradizionali.

Facciamo quindi un giro per questa città cresciuta secondo i criteri disordinati del Medio Oriente e sviluppatasi all’ombra dei beneplaciti governativi, essendo da sempre roccaforte di Erdogan. Qui infatti troviamo tram moderni, aiuole ben tenute e strade pulite, segno di interventi statali che da sempre l’hanno aiutata nella sua crescita. 

Quasi ovunque in Turchia le tendenze politiche sono mutate ma qui nella “cittadella dell’Islam” sull’altopiano centrale dell’Anatolia quell’aria di rinnovamento che ormai scuote un Paese dove il suo presidente ha percentuali di gradimento ai minimi storici non sono ancora arrivate.

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Avventure nel Mondo

01/02/2022: Konya/Pamukkale

Oggi ci tocca un lungo viaggio. Sono quasi 400 i km che separano Konya da Pamukkale, le stupende piscine naturali dell’Anatolia sud-occidentale, nella provincia di Denizli.

Qui su una collina alta circa 160metri bagnata dal fiume Menderes sorgono queste pozze di acqua termale che salgono a terrazza lungo il fianco della montagna. Siamo in uno dei paesaggi più visitatati e spettacolari della Turchia, una distesa di calcare e travertino dispersa in un luogo che solo la natura poteva disegnare talmente perfetto da renderlo magico e ovattato.

Pamukkale in turco significa “castello di cotone” ed è questo che sembrano da distante queste scogliere di nuvole bianche luccicanti da cui sgorga acqua dalle proprietà benefiche che arriva fino a 35°C e che l’ha resa la SPA naturale più bella del mondo

Ci arriviamo all’ora di pranzo dopo un viaggio di quasi sette ore, una piccola sosta e cominciamo la visita partendo da Hierapolis, una città ellenistico-romana le cui rovine sorgono sulle candide sommità delle piscine.

Fondata nel II a.C fu una delle città più importanti dell’Asia Minore e raggiunse il suo apogeo durante la dominazione bizantina; la sua importanza tuttavia è da far risalire anche al fatto che qui nell’80 d.C. l’apostolo Filippo morì e sopra la sua tomba fu eretto la prima Chiesa facendo diventare la città un importante centro del Cristianesimo.

Tra le rovine la principale è sicuramente il teatro romano che domina il sito dall’alto. Con una capienza di 12000 spettatori riusciva ad ospitare tutti gli abitanti della città. Ci arriviamo dopo una breve arrampicata ma, dopo tutti questi giorni di cielo color cobalto, l’orizzonte comincia a iscurirsi ed in lontananza si sentono dei rumori che fanno presagire che a breve non saremo più a lamentarci del caldo e del sole cocente.
Rivediamo quindi i tempi della nostra escursione nel sito e cominciamo a scendere verso le piscine, ben 2700mt di vasche, una sorte di cattedrale di zucchero filato. Il vero incanto è infatti il bianco calcare simile al marmo su cui scorrono quelle acque dove noi camminiamo a piedi nudi e su cui il sole riflettendosi arriva quasi ad accecarci.

Ovviamente le ragazze danno il meglio di sé con shooting da influencer; la quota Bielorussa di Julia e Olga mostra una certa expertise con scatti e video mentre camminano leggiadre con lo sguardo perso verso l’orizzonte sui bordi delle piscine ma Giulia non è da meno e tenta il sorpasso da subito col vestito portato da casa per l’occasione. Insomma c’è un professionismo di tutto rispetto da queste parti.

Siamo tutti talmente concentrati sullo scatto perfetto che ci dimentichiamo del temporale che ci sorprende in pieno e ci costringe ad una rapidissima ritirata verso il bus.

Andiamo così nel nostro hotel rilassandoci prima di cena nelle terme dell’albergo. Alcuni di noi si concederanno un rilassante massaggio, preventivamente prenotato. Infatti nella stessa struttura ci ritroveremo con altri 5 gruppi di Avventure ma noi che avevamo subodorato l’occupazione coatta della struttura avevamo scongiurato l’overbooking chiamando in mattinata la SPA e riservandoci i trattamenti desiderati. Giovani faine crescono.

02-3/06/2022: Pamukkale/Kusadasi/Efeso/Izmir/Italia

Anche oggi la sveglia per alcuni di noi suona ad un orario imprecisato intorno alle 4. 

Qualora decideste di fare questa bellissima avventura ricordate di partire riposati con diverse ore di sonno a credito che qua l’estinzione sarà a perdere e anche abbastanza rapida. Più che impavidi...sonnambuli!

Tra le varie attività che si possono fare a Pamukkale sicuramente una delle più belle è il paragliding, una sorta di parapendio che si effettua in tandem. Questi sorvolano le piscine dall'alba al tramonto ma noi per regalarci questa che ormai più che una sofferenza è diventata una tradizione mattutina lo facciamo col primo turno che parte quando il cielo è ancora stellato. Io addirittura mi alzo prima della sveglia (e questo comincia ad essere preoccupante) in modo che i miei compagni possano dignitosamente svegliarsi verso le sette che, visti i tempi, sono un traguardo invidiabile.

Ci vengono a prendere in albergo e ci portano in cima alla collina che domina la vallata. Con le prime luci dell’alba incominciamo a lanciarci, sorvoliamo Hierapolis e quei travertini bianchi di Pamukkale  che solo ieri abbiamo attraversato a piedi nudi discendendo poche centinaia di metri di dislivello.

Siamo tutti entusiasti, anche Martina che era una delle più riluttanti all’idea per via delle vertigini ma che invece è stata la prima a effettuare il lancio. Peraltro si vocifera che sia anche riuscita a non parlare per qualche minuto durante quest’esperienza che per una come lei che non conosce il significato della parola silenzio è un traguardo da ricordare.

Io ho avuto anche la fortuna di passare in mezzo alle mongolfiere che qui come in Cappadocia si librano nell’aria la mattina presto. È stato quasi come toccarle.

Ritorniamo in albergo, una rapida colazione e ripartiamo in direzione Efeso.

Oggi ci regaliamo un tuffo nella storia.

Tuttavia prima di arrivarci facciamo una sosta a Kusadasi, città portuale situata sulla costa egea, una delle destinazioni turistiche più gettonate del Paese. Qui infatti, oltre a lunghe spiagge sabbiose e parchi acquatici di cui i turchi sono clienti abituali, attraccano le principali navi da crociera internazionali che sfruttano la vicinanza a siti archeologici di fama internazionale come la stessa Efeso e Aphrodisias.

Ci concediamo così qualche ora di relax tra mercatini, spiaggia e un buon pranzo nella via principale, un lungo susseguirsi di hotel e ristoranti.

Ripartiamo verso metà pomeriggio e arriviamo in poco più di trenta minuti a Efeso, la metropoli classica più completa in Europa, un sito dove il mondo greco-romano torna in vita. Sono circa le 16 e la temperatura esterna ricorda quella di Dubai ad agosto. Incominciamo quindi il nostro corso di sopravvivenza e visitiamo le rovine di questa città che era una delle più grandi città ioniche in Anatolia, talmente importante da essere paragonata ad Alessandria, Antiochia e persino Roma.

Fu abitata per 9000 anni durante l’età ellenistica, romana, bizantina e ottomana e la sua posizione sulla foce del fiume Caistro la fece diventare da subito un prestigioso centro commerciale e culturale. Fu tuttavia solo quando passò sotto il controllo dei romani (129 a.C) che raggiunse il suo apogeo, diventando anche un centro d’eccellenza per i politici e filosofi, una sorte di microcosmo dell’area mediterranea e dei suoi popoli.

La città ebbe tuttavia un rapido declino tra il VII e VIII secolo, ossia quando il fiume si ritirò con conseguente insabbiamento del porto che costrinse gli abitanti a migrare altrove.

Camminare su queste grandi (e molto scivolose!!) pietre ancora oggi evoca percorsi millenari: è come fare un salto indietro nella storia e vivere l’atmosfera di quei meravigliosi tempi.

Fra tutti i resti ancora ben conservati spiccano la biblioteca di Celso, considerata nell’antichità la terza per grandezza dopo Alessandria e Pergamo e dove venivano custoditi più di 10000 esemplari fra rotoli e pergamene, e il Grande Teatro costruito da Traiano con le sue 22 file che può ospitare fino a 25000 spettatori, il più grande dell’Asia Minore. Famoso per la sua acustica negli anni a venire era ancora stato utilizzato per eventi come concerti, balletti e spettacoli di vario genere, mentre oggi è sotto tutela e alcune parti sono state chiuse per restauro.

Qui si trovano anche il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del periodo classico andato distrutto dopo un’invasione dei Goti e la Casa della Vergine Maria dove si ritiene che la donna morì all’età di 101 anni, fatto che ha reso il luogo sacro per i cristiani.

Noi che abbiamo il livello culturale di una locusta (ad eccezione di Mirko che ci guarda col pietismo di un padre che vede il figlio ripetere per la terza volta la prima ginnasio) siamo più attratti dalla porta Erculea, la cui leggenda dice che bisogna toccarla da entrambi i lati per diventare forti come lui. Crederci sempre.

Terminato il tour nel sito ripartiamo alla volta di Izmir, terza città portuale della Turchia, un tempo nota come Smirne.

Siamo sulla costa del mar Egeo, sul lato occidentale del Paese, in quella che la storia vuole sia stata la patria di Omero. Izmir è una città moderna, un luogo avveniristico se confrontato col resto del Paese e che negli anni ha saputo reinventarsi trovando un’identità moderna, giovane e spensierata con conseguente impennata del turismo internazionale.

Qui troviamo lunghe spiagge bianche che nulla hanno da invidiare a quelle greche che sorgono oltre l’Egeo e un lungomare vivace ed in costante crescita.

Malgrado Simone abbia tutte le intenzioni di prendersi un’intossicazione alimentare mangiando le cozze dai venditori di strada che affollano le vie della città (prontamente bloccato dalla nostra attenta guida) decidiamo di concederci l’ultima cena scegliendo un bel ristorante di pesce fronte mare per poi terminare la serata in uno dei bar all’aperto che affollano il boulevard e attraggono ogni sera i giovani del luogo.

Dopo parecchie giornate in cui la sveglia è suonato ad orari compresi tra le 3 e le 5 a.m. questa mattina ci destiamo con comodo ma purtroppo la ragione è che l’unica attività in programma è raggiungere l’aeroporto.

L’ultimo giorno di questa incredibile avventura è purtroppo arrivato.

Decolliamo volgendo lo sguardo a quella Terra che tanto abbiamo apprezzato e che ci ha affascinato con i suoi maestosi paesaggi, la sua storia, le sue contraddizioni, i suoi misteri: una Turchia tutta da scoprire di cui abbiamo provato a carpire alcuni di quei segreti che sono alla base di quel melting pot di culture che la rendono da sempre unica agli occhi del mondo.

A presto, al prossimo bellissimo viaggio. Appassionatamente. Giulio