Avventure nel Mondo

Meraviglie del Mangystau, dalla porta dell'inferno al lago Aral

canyon coloratissimi, guglie ardite, denti di roccia sfaccettata. I sassi sono pieni di fossili di conchiglie, qualche fiore spunta dalla terra riarsa in zolle secche. Le rare tracce di auto seguono percorsi molto impervi, a volte impossibili su falesie a picco ed in valli fangose
di Giuliana Bencovich
foto di Giuliana Bencovich

Ho modificato questo viaggio inserendo la visita di tre paesi: Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Un itinerario di 22 giorni e non 17 come il viaggio classico. È stato un viaggio duro, con mezzi scomodi, tanta tenda al freddo, yurta a volte con duri letti e stufa, a volte con tappeti e senza stufa o acqua. Molti giorni di 4x4 su strade pessime ed a volte neppure strade. Trasferimenti molto lunghi, sempre vento gelido, nessuna possibilità di lavarsi, polvere, campi diversi ogni notte. Ma è stato un viaggio molto coinvolgente ed appagante, che ci ha fatto conoscere le bellezze selvagge del deserto del Mangystau. Ci ha permesso di valutare le meraviglie ed i disastri del lago di Aral e vedere quel posto assurdo che è Darvaza detta la Porta dell’Inferno.Un viaggio certamente non per tutti ma sono stata fortunata: un gruppo di 7 viaggiatori di lungo corso, esperti e curiosi, agguerriti e rispettosi. Molte sono state le meraviglie viste, non ultime le tre splendide città della Via della Seta Samarkanda, Bukhara e Khiva, ma vi voglio raccontare tre momenti inediti ed unici nel loro genere, tre posti di cui difficilmente sentirete parlare perché poco noti e non visitati, luoghi che però hanno reso il nostro viaggio unico.

Avventure nel Mondo

Kazakistan - Il lago Tuzbair Sor in Mangystau

Il Mangystau è un mondo fatato e ad ogni angolo ci sono panorami diversi, picchi aguzzi che spuntano, montagne a righe colorate come dei budini o tiramisù. Correre sulle sue terribili piste è una gioia per gli occhi e per lo spirito, non per la schiena o la cervicale.

Uno dei punti di interesse è il lago salato Tuzbair, una distesa azzurra di acqua e bianca di sale molto grande. Sono le ore 14.00 e il tempo è un pò fosco quando ci affacciamo alle grandi falesie che racchiudono questo lago. Grandi zampe di gesso bianchissimo scendono sotto di noi scavate in mille rigoli non dalla pochissima acqua, ma piuttosto dalla sabbia che colpisce i suoi fianchi. Da questi balconi siamo come sospesi, sotto di noi una distesa abbagliante e lucida.

Scendere sul lago richiede un lungo giro. La calata non è per niente agevole e bisogna cercare un punto dove la falesia è più bassa scivolando e “sculettando” su un gesso friabile ed infido.

Ma finalmente siamo sul plateau del lago dove possiamo correre a 90 all’ora a patto di non sprofondare in pozze di fango che spuntano qua e là e sono molto pericolose per i nostri mezzi.

Il luogo del campeggio è in un’ansa molto scenografica tra zampe bianchissime di gesso che scendono dalle pendici dell’antico lago. In pochi minuti le nostre guide Eduard e Roman montano la tenda cucina che viene ancorata a terra con paletti e sabbia ed in un baleno compare la merenda: the, gallette, banane, formaggio affumicato, caffè ed incredibilmente la Nutella. Un vento gelido soffia dal lago e cosi i nostri accompagnatori ci devono aiutare ad alzare le tende e a piantare i paletti nel durissimo terreno. Enio è già disperso all’orizzonte con il suo eterno cavalletto per immortalare le zampe e gli archi illuminati dall’ultimo sole.

La sera scende con colori violetti, azzurri e rosa, la luna, quasi piena, rende i contorni nitidi e splendenti, le zampe bianche rilucono spettrali, si vede quasi come a giorno, l’astro d’argento crea ombre fantastiche in un paesaggio quasi lunare. Ma la cena è pronta, una buonissima pasta con ragù appare sul tavolo in piatti fumanti ed incredibilmente è al dente. Chi l’avrebbe mai detto? Non possiamo che fare il bis entusiasti!

E poi compaiono bottiglie di vino e vodka che i nostri gentili accompagnatori ci offrono. La notte è molto fredda, soffia un vento gelido ed i due sacchi a pelo che ho bastano appena.

La tenda sbatte, in lontananza un coyote ulula alla luna, fare la pipì a metà della notte diventa un’impresa impegnativa.

Verso le ore 07.30 l’aurora risplende con i suoi colori mirabolanti ed un altro giorno con nuove meraviglie ci attende. La tanica appesa alla ruota di scorta ha l’acqua calda per una rapida lavata, il bollitore fischia con l’acqua già pronta per il caffè.

Si smontano le tende e si fa colazione poi, mentre le nostre guide mettono via tutto, noi partiamo per una passeggiata verso il lago e verso un arco sospeso raccogliendo lungo la strada denti di megalodonte e fossili vari. Le macchine ci raggiungono e via verso nuovi scenari.

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Uzbekistan - L’attuale lago d’Aral

Perché ho pensato di visitare il lago Aral anche se alcuni mi avevano detto che non vale nulla? Dicevano che fai 200 km da Moynaq, l’ex grande porto oramai pura terra salata, per arrivare all’acqua, 200 per tornare, nel piatto più totale, per non trovare nulla, solo pozzi di gas metano e null’altro, ma per noi non è stato così.

Arrivati a Moynaq siamo alloggiati in uno scalcinato albergo, con i letti dalle molle che si infilano nella carne. Il nostro autista del pulmino ci comunica che lui da lì non può più andare avanti e che domani alle ore 08.00 arriveranno le 4x4.

Ma l’indomani alle ore 08.00 non si vede anima così devo telefonare in agenzia a Taskent... arrivano con calma alle 09.00. Sono 2 Nissan 4x4 piuttosto nuove e con i soliti guidatori che parlano solo uzbeko, traduttore di Google a tutto andare e buona volontà.

In effetti i 200 km di piatto ci sono, costellati da pozzi di metano, con una strada che strada non è, ma pista piuttosto malconcia. Qualche cimitero qua e là, resti di enormi caravanserragli quando la via della seta passava da questo luogo ameno e ricco ed i viaggiatori qui potevano riposare, rifocillarsi, lavarsi.

Il lago Aral era enorme, leggermente salato e pescosissimo. I grossi pesci venivano lavorati in enormi fabbriche, inscatolati ed inviati in tutta la Russia. Vediamo resti di fabbriche, moli e pontili e l’alto bordo dell’antico lago che era immenso. Sulle sue rive vivevano anche molti animali cavalli, pecore, cammelli che contribuivano alla ricchezza della zona. Ora i pesci sono scomparsi, gli animali pure, neppure i cammelli possono bere l’acqua che ha una concentrazione di sale molto alta ed i venti, che perenni spazzano l’altipiano, portano in alto il sale che ricade sul Turkmenistan, sul Kazakistan e sulle terre uzbeke vicine. Attualmente l’unico introito lo dà la Artémya Salina, un crostaceo le cui uova servono per test su medicine o sui prodotti di bellezza, pagate 5 euro ogni 10 kg. Tutta la terra attorno all’attuale lago brilla di cristalli di sale che al sole rilucono come diamanti ed è facile trovare cristalli più grandi o delle rose di sale brillanti e sfaccettate come le rose di sabbia del deserto.

Noi siamo alloggiati in piccole yurte su di un balcone sul lago, i servizi sono lavandini/comodini spesso vuoti ed i gabinetti sono un buco e stop. Fa un freddo polare, io ho due sacchi a pelo ed i ciocchi di legna della stufa della yurta non danno un gran conforto. Ma le notti sono stellate, la luna piena si specchia nel lago, che pur ridotto, sembra ancora enorme ed azzurrissimo, violetto e rosa.

Qualche piccolo percorso a piedi ci fa scoprire canyon coloratissimi, guglie ardite, denti di roccia sfaccettata. I sassi sono pieni di fossili di conchiglie, qualche fiore spunta dalla terra riarsa in zolle secche. Le rare tracce di auto seguono percorsi molto impervi, a volte impossibili su falesie a picco ed in valli fangose.

Ma se il grande lago orientale è ancora vasto e maestoso ad ovest ci sono piccoli laghetti residuali. La parte ovest si è spezzettata in 4 laghetti che appaiono a noi, spuntati dall’altopiano, come un vero Eden: canne, erba, acqua azzurra ed uccelli fanno sì che il luogo sia un’oasi di bellezza in mezzo a questo deserto di morte. Qualche barca distrutta ed una vecchia e diroccata fabbrica di pesce in scatola si trovano ancora sulle rive a testimonianza della ricchezza e dei traffici commerciali che c’erano una volta. Intere flotte di pescherecci approdavano ai moli scaricando quintali di pescioni.

Questi ameni ed idilliaci laghetti offrono ancora rifugio a uccelli migratori di passaggio che in questa stagione sono già fuggiti a latitudini più calde. Qui possono riposare, trovare riparo ed anche un po’ di cibo.

Il terzo giorno ci rifacciamo i 200 km tra pozzi di metano e tubature arrugginite per tornare alle strade asfaltate, si fa per dire.

Nel tardo pomeriggio il museo Savinsky a Nukus ci stupisce con la sua grande ricchezza di opere d’arte salvate alla distruzione stalinista. L’albergo, bellissimo e nuovo, ci accoglie con le sue mollezze, le docce calde, un bel ristorante.

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Turkmenistan - La porta dell’Inferno

È nell’aria già da alcuni anni l’idea di andare in quel posto assurdo che è Darvaza, in Turkmenistan.

Per questo ho deciso di aggiungere al viaggio classico Mangystau Uzbek questa deviazione in terra turkmena. Alle ore 06.30 partiamo da Nukus ed in due ore e mezzo siamo al confine di Shawat, un confine chiuso fino a pochi mesi fa e dove ancora non si sa se si potrà passare o no. Gli Uzbeki infatti ci hanno raccontato che spesso gruppi con visto sono rimandati indietro appena atterrati oppure trattenuti in dogana per giorni senza una vera motivazione. Il transito al confine per noi sarà senza alcun ausilio, infatti gli uzbeki non ci posso accompagnare oltre i loro confini ed i turkmeni non possono entrare alla frontiera. Ma il passaggio non si rivelerà troppo complicato: abbiamo la lettera di invito, ci fanno il tampone ed il visto e via. Non ci sono molti Uzbeki che passano il confine poiché per passare tra Uzbekistan e Turkmenistan, per andare a trovare i parenti, ci vuole ogni volta un visto a pagamento per loro piuttosto caro.

Dall’altra parte, dopo aver passato il tratto di terra di nessuno, ci attendono 3 lussuose 4x4 e ci imbarchiamo all’istante. La nostra destinazione è in mezzo al deserto del Karakul, il cuore interno arido del Turkmenistan, una scatola di sabbia di 500 x 500 km. La strada, asfaltata, ma a buchi e fossi, è veramente brutta, a tratti è meglio uscire dalla cosiddetta strada e volare sulla sabbia come sul ghiaccio tra dune e rari cespugli bassi.

Il Karakul è un deserto in prevalenza sabbioso dove i cammelli pascolano pacifici ma gli umani non possono viverci: 50/60 gradi in estate, -20/-30 in inverno. I 300 km che dobbiamo percorrere non finiscono mai e gli sballottamenti mettono a dura prova la nostra cervicale e le nostre budella.

Verso il tramonto finalmente compare il nostro campo: 2 yurte senza acqua, senza letti, solo tappeti, e senza stufa. Ma la visione che ci si presenta poco dopo ci ripagherà di tutti questi disagi: un ruggito sordo e minaccioso che viene da una voragine infuocata, la così detta Porta dell’Inferno.

Per chi non lo sapesse negli anni 50 qui fu scoperto un giacimento di metano. Il gas era poco e quindi le maestranze decisero di dare fuoco al piccolo deposito...ma sotto c’era una grande grotta piena zeppa di gas...il soffitto scrollò ed il metano sottostante si incendiò. Nei 70 anni passati numerosi sono stati i tentativi di spegnimento di questo enorme rogo, ma nessuno ci è mai riuscito. Di notte lo spettacolo è ancora più affascinante, le fiamme rosse guizzano fuori della voragine e l’alito di questo inferno lambisce chi è sul bordo. Il chiarore si vede da lontano, rosso e minaccioso nella notte.

La mattina seguente siamo pronti per affrontare altri 300 Km di avventura. Vediamo il famoso sito Unesco Konya Urgel ed il passaggio della frontiera è più complicato poiché c’è un lungo tratto di terra di nessuno che bisogna percorre a piedi e “dulcis in fundo” il nostro autista ci viene a prendere due ore dopo per un fraintendimento con le nostre guide. Due ore passate sui muretti della frontiera senza né acqua né cibo.

Arriviamo a Khiva stravolti alle ore 22.00.

Voglio concludere questo mio resoconto con le parole di Maresa Magnalbò, una coordinatrice di Avventure che mi sono ritrovata come partecipante. Parole che a caldo descrivono benissimo quello che è stato questo nostro lungo viaggio nell’Asia Centrale.

“Questa lunga Avventura è giunta al termine. Abbiamo attraversato deserti, formazioni rocciose straordinarie, visto quello che un tempo era il maestoso mare Aral, ci siamo spinti all’orlo del precipizio dell’inferno, i nostri occhi si sono beati delle meravigliose armonie architettoniche e decorative di mausolei, madrase e moschee; abbiamo abbracciato col cuore la gente incontrata nel nostro percorso, la loro gentilezza, la semplicità, la curiosità; abbiamo mangiato e bevuto tutto quello che il panorama gastronomico dei tre paesi attraversati poteva offrire nei suoi coloratissimi mercati… È stato impegnativo e rientriamo abbastanza provati e malconci. Ma ripartirei domani, anche con questa febbre che mi sta facendo delirare e scrivere cose quasi poetiche che non sono da me! Un abbraccio a tutti!! Vi voglio bene “

Vi voglio bene anche io… Giuliana.