A caccia di aurore
Il racconto di questa Avventura inizia da Bodo, città tristemente nota ai tifosi di fede giallorossa per una disfatta europea che rimarrà epica. Triste è anche la città, industriale, fatta di container e di un porto dove attenderemo il nostro traghetto “postale”. La sala di attesa è spoglia e non capirete che è proprio lì che dovete aspettare la nave finché non vedrete l’adesivo di Avventure nel Mondo che abbiamo appiccicato! Non c’è deposito bagagli e così facciamo a turno un giro per la città per ingannare l’attesa. Io è un paio di ragazze tiriamo fuori il coraggio per una passeggiata nell’aria gelida del corso principale, tutto chiuso perché è domenica. Arriviamo fino a un piccolo molo, uno scorcio che arriverei a dire anche gradevole, ci sediamo in questa casupola-bar e sorseggiamo una cioccolata soluzione, sfondo di vecchi marinai che parlano rugosi del più e del meno norvegese. ”Buda” – come si pronuncia qui la città con la O sbarrata – ci congeda verso le tre, quando inizia l’imbarco sul postale Havila. È questa una vera nave da crociera, quasi lussuosa, con tanto di bar e shopping corner. Dopo un paio d’ore sonnacchiose sui comodi divani dell’imbarcazione, il capitano sferra l’annuncio. A prua c’è una bellissima aurora boreale sul mare! E sarà l’aurora più bella, colorata, movimentata e duratura di tutto il viaggio.
Arrivo a Svolvaer, piccolo paese di ex pescatori e dopo 15 minuti di cammino (bagagliati) siamo alle Svinoja Rorbuer. Lo Svinoja è una specie di villaggio vacanze, posto su un’isola da loro dominata. Tutte è molto curato, dalla mappa delle abitazioni, alle scritte dei cartelli tutte fatte con lo stesso lettering, la brochure perfetta in bianco e rosso.
Negli anni hanno ristrutturato decine di case, un tempo utilizzate dai pescatori che qui facevano la stagione. Di quelle casupole d’appoggio oggi rimane solo la scocca, una scorza di legno riverniciata in rosso (il colore originario, quello più economico). Dentro è tutto - e finemente - ristrutturato. Modernissime case hi-tech, con cucine scintillanti di piani a induzione. Tutte cablate, rispondono alle esigenze di un turismo piuttosto ricco e dell’occidentale che a fatica rinuncia all’adsl o la musica in Bluetooth. Completa il quadro un riscaldamento sempre al limite del plausibile e le luci perennemente accese, un po’ perché qui è sempre buio, un po’ perché i norvegesi sono 5 milioni e tutti ricchi, senza lesinare su petrolio (che esportano) e una vasta produzione idroelettrica. La casa è bella e confortevole, una passerella esterno in legno da’ sul fiume e ci permette di gustare lo spettacolo del cielo, a dispetto delle luci del paese. Click, swipe, poggia il telefono sul display, gira l’orologio, guarda in camera, crash bum bang. Tra un po’ schioccheremo gli occhi e il pagamento sarà effettuato. Come parte infinitesimale della materia, i soldi si smolecano e passano da un corpo all’altro. Potere divinatorio dello strumento POS, all’anagrafe Point Of Sales. La Norvegia è un Paese pressoché cashless e chiuderemo la vacanza senza aver toccato una corona, che richiama quella reale ma più virtuale di così, si muore. Quasi tutti i pagamenti avvengono così, con carte e strumenti di moneta elettronica. Ed è perfettamente normale pagare il biglietto del bus…con la sola impostazione delle mani. Si rintracciano così lacerti di futuro, di quando i soldi saranno (e già sono!) solo un numero, nemmeno un bit, trasferito da un uomo all’altro. Se il futuro è questo, singolare è il fatto che nel nostro, di Paese, si parli di estendere l’uso del contante. Pago un caffè maledettamente caro, ma la plastica della carta è isolante e il dolore si attenua.
Oggi prendiamo parte al giro in bus delle Lofoten, guidati da Andrea, altro italiano estirpato a Biella per mettere radici qui. Voler immergersi nella cultura locale, parlare con la gente, è un aspetto fantastico del viaggio. Sarebbe bello poterlo fare davvero…e non interagire solo con i nostri compatrioti o gestori hotel e ristoranti.
Facciamo un bel giro in bus, toccando un paio di spiagge significative e alcuni scorci panoramici, dove ci fermiamo per fare foto. Siamo fortunati perché avvistiamo un’aquila è una famiglia di alci. Chiudiamo il giro ad Henningsvaer, cittadina diventata famosa grazie alla portata di Instagram ed una ben riuscita foto di un campo da calcio ad occupare tutta l’isola. A onor della cronaca, la foto è bella ma scattata con un drone; visto dal basso, il campo potrebbe essere Torpignattara, con la strada appiccicosa di fango e un buio imperante alle 3 del pomeriggio. La cosa che più mi resterà di Henningsvaer è il simpatico nerd dell’unica caffetteria aperta, un virgulto vichingo rosso, sprovvisto di fisic-du-role e simmetria oculare. Lasciato solo, ultimo baluardo del bancone, faticherà non poco con la valanga turistica pervenuta simultaneamente, accendendosi di energia solo per parlare delle centinaia candele appese ai muri, in vendita, perché questa era l’attività originaria del luogo.
Andrea è docile, ci racconta la sua storia e quella della Norvegia contemporanea, entrambe recenti e corte, senza grandi acuti. Permane in me, costante, il dubbio di cosa spinga un italiano a rifuggire dal sole e da un posto fisso (o quasi), per vivere la gran parte dell’anno col buio, col gelo, col fango sotto i piedi, o comunque una combinazione di esse. In Norvegia gli stipendi sono alti e ti permette di risparmiare, cosa non concessa in Italia dove sei sempre al filo. È questa sì, una motivazione. Dettata anche, a mio modestissimo avviso, da una mancanza generale di intrattenimento, se eccettuiamo un cinema a km di distanza con proiezioni una volta al mese o un pub dove bere birra a 10€ al boccale. Qua i vizi costano tanto. L’alcol è sotto l’amministrazione dello Stato e può essere venduto al dettaglio solo in appositi shop a prezzi ovviamente decisi dal monopolio. La monarchia norvegese tiene alla salute dei propri cittadin, che annoiandosi diventano più lascivi, ragion per cui l’alcol è costoso e fortemente perseguitato alla guida.
Il problema di vivere qui sono “loro”…mi disse Maurizio il primo giorno e il tema ritornerà più volte nel viaggio. Ritornerà quando chiedo informazioni per la strada, scegliendo di spegnere internet. Ritornerà al bancone di qualche bar. Ritornerà al museo di Andenes, quando l’affabilità di molti norvegesi viene sovrastata dalla ritrosia, dalla malcelata diffidenza nei confronti dell’altro, da quella chiusura ermetica che confina le persone nella propria membrana, un po’ ovunque ma più spessa per chi vive in disparte.
Distanza, chiusura, dedizione all’alcol fine a se stessa, indifferenza, dis-integrazione, sono le caratteristiche che lampano in quelle 3 battute che scambiamo, complici noi della conterraneita’. A onore del vero e delle battute della moglie, Maurizio viene da Oriolo Romano, dalla provincia, e si è trasferito assieme a lei - Claudia, nome e provenienza certi - 15 anni fa. Non avevano idea di cosa avrebbero fatto e il debutto fu con lavori umili nel campo mercatile ed edile. Oggi l’agenzia Lofoten Lights è la principale di Svolvaer e aiuta tutti i gruppi di Avventure, soprattutto quando la stagione è alta e far combaciare le cose diventa difficile.
Il cielo è nuvoloso e, con molta onestà, ci consigliano di evitare l’escursione e muoverci in autonomia. Così, dopo una buona cena italiana di orecchiette e affettati, passeggiamo lungo il molo dell’isola, alla ricerca di un posto al buio. È freddo ma non così tanto, le Lofoten godono della corrente del golfo che mitiga la loro latitudine.
La qualità di quello che vedremo dipende da 2 fattori, l’intensità dell’attività aurorale e la pulizia del cielo. C’è qualche nuvola e il riverbero della città ma lo spettacolo non delude.
Danzano in cielo drappi di vento verde, cambiano posizione, si muovono per non essere intercettati. Ogni tanto si accendono improvvisi, fuochi bianchi verticali, fiamme rigide di una lanterna a olio. Di olio bianco impalpabile è la fettuccia nel cielo, copre un manto di stelle lucide, orlato di un rosa appena percettibile. Cielo terso e libero, uno spettacolo in continuo divenire, ineluttabile, imprevedibile.
Abbiamo preso abbastanza freddo, torniamo quindi verso casa. Lungo la strada attraversiamo gli essiccatoi del merluzzo, enormi piramidi lignee che a breve saranno riempite con il pescato stagionale. Qualcuno di noi si gira inconsapevolmente e lancia l’allarme: l’aurora! Ci giriamo tutti e godiamo di un bis inaspettato, aurora teatrale in proscenio di legno.
La giornata inizia con il RIB Safari, escursione in gommone nei dintorni di Svolvaer. Fino a qualche anno fa, i gommoni uscivano per vedere le orche. Oggi la Norvegia è più calda, nel brodo del fiordo c’è meno pesce e le orche se ne sono andate. Cosicché i poveri proprietari di gommone isolani hanno dovuto ritarare il business sulle aquile.
La giornata inizia al porto e parte dalla vestizione, veniamo infatti attrezzati con tutoni spaziali e occhiali per fendere l’aria del fiordo. Gli incauti si siedono avanti, prendendo schiaffi di vento. Lo scenario è comunque meraviglioso, con pareti rocciose fatte di gneiss, materiale magmatico datato milioni di anni e reso così dalla metamorfosi subita da pressioni e temperature ipogee elevatissime. Ci sono poi sparute casupole, residenze oggi esclusive o abbandonati anfratti di pescatori. Il gommone arriva fino all’imboccatura di un fiordo, che si sta man mano congelando per l’inverno. E le aquile ? Le aquile ci sono e sono tante, sono aquile di mare che nidificano qui, sopra le pareti o gli scogli isolati. E se pure non nidificassero, volteggerebbero in cerca di nutrimento. Il darwiniano compito è oggi agevolato dai sapiens come il Capitano Findus, il nostro barbuto nocchiere che ha piglio deciso e voce stentorea, qualità tipiche di chi ha confidenza con quello che fa tutti i giorni da tempo, fin da quando il suo viso non era grinzoso. I muscoli del Capitano li librano al cielo, come un prestigiatore, ricade una sardina, gonfia di gelo per galleggiare. Da lì al passaggio dell’aquila è un attimo! Ridda di click e sorrisi festanti dei turisti che si guardano l’un l’altro compiaciuti.
Compiaciuto è anche il Capitano, si diverte a far prendere i pesci acefali ai rapaci in volo, schiocca la lingua per richiamarli e loro ricambiano, puntando diretti in volo le nostre teste. Il gommone rientra in porto, passando vicino al faro dove abbiamo visto l’aurora la sera prima. Ci aiuta a scendere il giovane gestore a cui è difficile stringere la mano per il troppo mangiare. Ricorderò a lungo la sua voce baritonale mentre ci dava le istruzioni iniziali, chissà che dentro quel corpo da cetaceo non si nascondesse un novello tenore.
Finita l’escursione, la luce sta già scemando e sembra ora di cena. Ci sediamo al Bacalao, un bel ristorante tipico, pettinato, che ci sfama con una fiammante zuppa di stoccafisso e verdure. Saluto Maurizio, Claudia e Eleonora presso l’agenzia, saldiamo i conti ed è già tempo di ripartire. Ci aspetta il pulmino organizzato da Avventure per questa tratta.
Andenes
Abbiamo già cambiato arcipelago e siamo alle Vesteralen. In realtà, Lofoten e Vesteralen così come quasi tutte le isole sono ben collegate da un complesso sistema di ponti. La cura del ferro, qui, si è fatta sentire. Lungo la strada è palpabile la mano dell’uomo, un uomo procace per la precisione, che ha dotato tutti i cittadini non solo di ponti, ma di gallerie, strade di scorrimento, asfalto ovunque anche se su strade strette, che quarant’anni fa difficilmente si pensava sarebbero servite le due corsie opposte. Tutte le case, anche negli angoli più remoti, sono dotate di acqua, elettricità, un collaudato sistema di riscaldamento e internet always on. Questa è la Norvegia che attraversiamo prima di giungere all’orlo di Andenes, indifferenziata periferia di supermercati, negozi industriali e container contenenti nerboruti scolpitori del proprio corpo.
Prendiamo possesso di uno degli appartamenti di Kristina, nostro anfitrione sarà il marito Erik che alla fine ci regalerà la permanenza l’ultima notte, quando non abbia dove stare.
L’appartamento è a livello strada, come un negozio. Il soggiorno da’ proprio sul marciapiede e a giudicare dagli infissi grigi e le veneziane, non è trascorso troppo tempo da che fosse un ufficio. Ci sono 5 stanze, tutte protette da un lucchetto nel caso di affitto a più soggetti, spazi comuni come la cucina, il divano e la tv su cui trasmettono gli insoliti mondiali di calcio invernali.
Kristina ed Erik hanno fatto fortuna. Loro possiedono mezzo paese, un paese di cui si è accorto il mondo 10 anni fa, prima d’estate e ora anche d’inverno, grazie alla storia delle aurore.
La sera ci aspetta Sara, ultima italiana che incontreremo sul nostro cammino. Lei stessa ci accompagnerà per l’escursione Aurora Hike, termine accurato perché si tratta di una discreta scarpinata fuori città, breve nel chilometraggio ma molto ripida. Il cielo è nuvoloso e siamo piuttosto certi che l’aurora si farà desiderare. In compenso, passiamo qualche ora con lei e ascoltiamo la sua storia. Lei ha studiato scienze naturali a Genova e voleva fare un lavoro attinente, qua era bello, le piaceva la natura… è un attimo che ti svegli una mattina e sono passati sei anni. Sono anni di lavoro, anni in cui metti qualcosa da parte, anche perché gli svaghi sono quello che sono. L’aeroporto è lontano, gli incontri con i locali si concretizzano in qualche cena a casa e la birra a completare la sbronza. I rapporti sociali sono all’osso e qui…sì, “loro” vanno dritti al sodo.
Ci dirigiamo con un comodo bus (i biglietti si acquistano scontati a 4€ con l’apposita app) a Bleik, una simpatica cittadina dove tutto sembra girare intorno al supermercato-bar del capolinea. Qui, tutti si conoscono. E passano santi che pagano il proprio conto, eroi, pescatori, camionisti in trattoria, ragazzette in tuta e famiglie in assetto feriale. Non sono nemmeno le 9 del mattino ed è ancora buio come fossero le 9 di sera. Partiamo alla ricerca del sentiero che non fatichiamo a trovare a dispetto delle tenebre. In questo periodo dell’anno il sole sorge e tramonta quasi contestualmente, lasciando all’orizzonte una luce fioca, simile al bagliore, spesso tappata da una coltre di nubi. Ci restano 4 ore di luce dacché inizieremo a vedere qualcosa, non proprio un toccasana per l’escursionista medio. In compenso la riserva naturale ha tutta una rete di sentieri, solcati e chiari, sebbene senza segnaletica. La giornata è mite e ci permette di stare con maglietta e goretex, non c’è praticamente ghiaccio e quindi si può andare. Avevo studiato un percorso che arrivava a un punto panoramico, Matind, ma non riusciamo ad arrivare al traguardo perché dalla cresta in poi il versante è ghiacciato e c’è molto vento. In compenso la vista ci regala splendidi campi aperti, circhi glaciali e montagne scolpite dall’erosione. In lontananza un faraglione e il paese che si è fatto piccolo piccolo. Torniamo indietro e prendiamo la strada costiera, incontriamo anche una lepre, già bianca per la muta sebbene la neve non ci sia nemmeno in quota. Le rocce sulla spiaggia sono un’ultima sorpresa, un promontorio aggrovigliato, strati sedimentati, fuoco di rosso come in un’istantanea.
Visivamente il paesetto è carino, qualche Rorbu di pescatori messa a nuovo, il safari per i puffin in altre stagioni, SUV per gli indigenti, Tesla per i meno. Anche la nostra domenica del villaggio finisce al Mel’s Dinner di Bleik, dove passiamo le ore che mancano al prossimo bus, tra la spesa per la cena e un panino al salmone, tra i sorrisi, sorprendentemente affabili, delle cassiere sorprese dal nostro incontro.
Il giorno più lungo del nostro viaggio...
Siamo ancora confinati ad Andenes. Il nostro “postale” c’è ma il biglietto reca una sentenza: 2 dicembre ore 4:50. Stavolta abbiamo un Hurtigruten, quello ufficiale, oggigiorno una vera nave da crociera usata prevalentemente dai turisti. In senso etimologico, Hurtigruten significa “via diretta” ed è ancora, in certi momenti dell’anno, la via più sicura e veloce per andare di porto in porto.
Sapendo di questi orari, organizzo un’escursione notturna che ci farà passare le ultime 4 ore. Non abbiamo l’appartamento riservato, ma ho fatto gli occhi da gatto di Shrek ed Erik ci fa stare in un’altra casa fino a sera, ottimo per una doccia e un ultimo pasto in convivialità.
La giornata passa veloce, a dispetto dei pronostici. Ho un gruppo discovery e ho la sensazione che i giovani di oggi temano un po’ il tempo non che non sia fittamente organizzato. Horror vacui da riempire. Di fatto, la giornata passa bene tra una passeggiata in libertà, un buon ristorante quando è’ già buio (ovvero alle 13:30) e le visite del pomeriggio.
In contatto con Hitsel, che scopro poi essere il padrone del trascurabile polar museum, mi metto d’accordo per la visita al faro. Il faro di Andenes è molto suggestivo e uno dei più alti di Norvegia. Si può visitare all’interno e si arriva fino alla lanterna, con una mirabile vista dall’alto della cittadina attraversata dalla luce girevole. A guidarci sopra le ripide scale dei 7 piani sarà George, un allegro ex posto-fisso in pensione, povero in nozioni (rimane leggenda la domanda sul colore dei fari) ma ricco in empatia.
Tappa successiva al museo di Hitsel che, di fatto, è casa sua. Al pian terreno, ha allestito 3 sale con oggetti da museo degli orrori, utensili delle spedizioni nordiche, manichini umani e animali impagliati. Nel mio gruppo ci sono 2 canare e 2 vegetariane, spaventate fin dal mattino delle pelli d’orso bianco che spiccano dall’uscio. Lui si risente del fatto che molti di noi non vogliono visitare il suo “luogo” e il suo aspetto non lo aiuta. Ha i capelli lunghi e canuti, rasati ai lati alla moda di ora. Una barba speziata con peli lunghi ribelli, forte di pancia sotto il cardigan, un’ascia norrena tra calamite e gadget. Come tutti, anche lui sta cercando il proprio business. Si stupisce che il mio gruppo non sia di 16 (si era fatto i conti con il “per”) e cerca a tutti i costi il proprio upselling, fatto dell’aggiunta al pacchetto di caffè e waffles, cotte sul momento alla modica di 6€ tutto. Chissà che anche lui non abbia letto Kotler.
A cena consumiamo gli avanzi è l’ultima pasta, una semi-amatriciana fatta col prosciutto del Todis e la pasta Estudiante, una marca spagnola che qui distribuisce olio e altro real Italian food. Nei supermercati si trova davvero un po’ tutto, con effetti della globalizzazione ben evidenziati dai moltissimi brand noti e da tanti altri che riecheggiano nomi italiani o spagnoli inesistenti ma buoni per il suono. Ciò che conta, è avere le cose. Ed è singolare il fatto che ci sia tutto, tranne Amazon. Probabilmente è un mercato troppo ristretto, in un territorio troppo vasto, affinché l’impresa metta radici. Ma mi piacere pensare che sia per incentivare le economie locali.
Partiamo per l’escursione serale che si svolge nei dintorni di Bleik dov’eravamo il giorno precedente. La guida, Rolf, è un uomo affabile e coinvolgente. Si cammina per circa 1h (abbastanza in piano) di notte e il paesaggio è molto suggestivo, il buio permette di avvistare l’aurora se c’è! Per brevi tratti, camminiamo su laghetti ghiacciati. Attraverso una piccola trivella, Rolf ci fa bucare lo strato superficiale per mostrarci quanto è spesso. Alla fine della camminata, si va nella casetta di Rolf, un luogo molto suggestivo e caldo, ottimo per aspettare il momento giusto per l’aurora. Per ingannare l’attesa (e rendere più polposo il pacchetto dell’escursione) il figlio di Rolf cucina per noi del merluzzo, first quality (come ci dicono in un inglese dirupato) ma soprattutto cotto in acqua e sale, alla semplicissima, forse effetto della specializzazione pluriennale nell’incontro coi gruppi di Avventure. Lo chalet dove siamo è tutto in legno, ha una piccola cucina e un camino chiuso che trasmette calore. Fuori da un freddo boia, la differenza è tangibile quando esco a fumare. Rolf senior e junior sono uguali; sembrano fratelli calvi con 20 anni di differenza, stesso fisico e stessa propensione all’incontro. Completa la famiglia il cucciolo di Rottweiler che non smette di girare intorno alla stanza, scodinzolando incurante della mole e della razza. Non profuma propriamente di fresco ed è terzo di una trilogia di rottweiler, voluta dalla famiglia Rolf. Sopra la nostra testa campeggia la foto-ritratto del secondo, con tanto di catena al collo. Del primo non c’è traccia epigrafica.
Il figlio di Rolf è stato 2 anni alle Svalbard, ci racconta girando una sigaretta dalla tasca di tabacco che qui costa 30€. Faceva il carpentiere ed è lui che ha risistemato tutta la baracca, costruendo un appoggio per accogliere i turisti anche d’inverno, quando il turismo dei puffin (sì, erano loro i proprietari dell’attività vista a Bleik!) non è in funzione. Il marketing mi perseguita, anche se me l’hanno tolto dal biglietto da visita: destagionalizzazione. Come Bauli che fa i cornetti per colazione, i Rolf si dedicano ai turisti invernali. E lavorano solo con i gruppi di Avventure. Aspetteremo invano un’aurora che non vuole saperne.
A mezzanotte viene a prenderci il nostro autista e iniziamo ad andare, nella notte buia come la pece. Quando meno te l’aspetti, un’aurora coi fiocchi ci piomba addosso quando siamo in mezzo al nulla. Noi scendiamo insonnoliti, infreddoliti, ripagati solo da un incredibile spettacolo di fuochi verdi dentro al nostro cielo.
Arriviamo col postale puntuali a Tromso, ultima tappa del viaggio. Arriviamo alle 2 del pomeriggio e la giornata è già finita. È buio, più buio che sulle isole, più freddo e trafficato.
Dal molo si muovo avanti e dietro i tassisti, le auto scricchiolano sull’asfalto per effetto dei pneumatici chiodati, la strada è ghiacciata e si scivola forte, c’è tutta una pasta di fango e neve. La città è avvolta in una fitta caligine, tagliente, rende ancora più inquietante il buio e lo sferragliare dei tir sui cavalcavia.
Rispetto ai paesi che abbiamo visitato, qui c’è un centro cittadino fatto di negozi e addobbi natalizi. Tromso è diventata con gli anni una vera e propria disneyland dell’aurora boreale, essendo il posto più facile per vederla dotato di aeroporto internazionale. Da qui si organizzano gite notturne per vedere l’aurora, gite in battello, escursioni in slitta coi cani, senza cani, con le renne e con le motoslitte! Non potremmo chiedere di più! Di fatto però, sia già sazi di aurore è troppo stanchi per organizzare un’escursione strutturata. Abbiamo poche ore e le trascorriamo per la città tra una caffetteria ben sistemata e qualche souvenir.
Visitiamo anche la famosa cattedrale del ghiaccio, una delle chiese di architettura moderna più celebrate degli ultimi anni. Io sono un estimatore delle chiese del genere, ho apprezzato tantissimo Le Havre in Normandia e il Renzo Piano di Padre Pio. Qui però siamo ai limiti del difendibile…contando anche i 5€ dell’ingresso, cifra irrisoria per i canoni del Paese ma soverchiante per l’esperienza.
Facciamo anche un salto al museo polare, citato dalla lonely ma altra delusione. Anche qui imperano gli animali impagliati per la gioia dei vegani…e hai voglia a spiegargli l’arte della tassidermia… in ogni caso, l’allestimento è caotico e kitsch, con alcune (solo alcune!) didascalie in inglese, che pur volendo in norvegese ci sarebbe poco da capire sulle spedizioni al polo nord, sepolture primordiali, metodi di cattura di orsi e foche.
Per fortuna, il gran finale è un crescendo al ristorante Full Steam, autentica istituzione portuale di Tromso. Da qui, arriviamo verso casa e sono le ultime ore prima di congedarci. La nebbia si è dileguata completamente, sui nostri occhi il cielo è terso e stelle lucide attraversano tutta la volta. La notte di Tromso ci regala così un’ultima spettacolare aurora boreale, ultimi istanti per riempire gli occhi di bellezza prima di tornare alla nostra lontanissima realtà.