Avventure nel Mondo

Arrivare in vetta è come... bere una coca-cola

da "Kilimangiaro 1 Marangu Route" con Avventure nel Mondo
di Erika Mattio
foto di Erika Mattio

Benvenuti ad uno dei viaggi più incredibili di sempre: Kilimangiaro Marangu Route. Siamo partiti in 7: Erika, Ilaria, Carla, Fabio, Massimiliano, Fabio e Francesco. Amanti della montagna, della fatica e dell’avventura. 

Il viaggio che abbiamo affrontato è il binomio perfetto per visitare un’Africa del tutto inusuale. 

La prima parte è stata una sfida con noi stessi per raggiungere Mama Africa: il Kilimangiaro. La santità di questa montagna e la sua importanza per le popolazioni che ogni giorno la osservano, è stata la spinta per raggiungere i 5895 metri della Vetta, passando per la famosa Coca-Cola Road. Anche se arrivare in Vetta non è semplice, come bere una Coca-Cola!! 

La seconda parte è stata pura scoperta. Abbiamo portato con noi quella sensazione di Mal d’Africa decantata dagli esploratori del passato, avvolti dai colori dei parchi nazionali, dalla vita che si consuma vicino alle pozze dell’acqua e dall’eco delle culture tribali. Ci siamo commossi nell’osservare la forza con cui gli gnu attraversano il fiume Mara, superando la corrente e i coccodrilli. Abbiamo portato con noi tante emozioni, fatica, spirito di adattamento, in un ricordo indelebile. 

In questo articolo vi portiamo sul Tetto d’Africa e, magari in un prossimo numero, potrete leggere delle nostre avventure fra il Ngorongoro e il Serengeti. Con grande orgoglio vi anticipiamo che siamo fra i primi gruppi di Avventure ad arrivare in Vetta al 100%. Ognuno ha affrontato i suoi fantasmi: il freddo, il mal di pancia, la sete ma, INSIEME, abbiamo raggiunto il ghiacciaio di Uhru Pick. 

Bando alle ciance, ora…concentriamoci sul viaggio. Chiudete gli occhi e iniziate a percepire il movimento dei corvi africani che sorvegliano il Kilimangiaro, il battito del magma che scorre nelle vene della montagna e la durezza della terra che, ad ogni passo, diventa sempre più ripida. Gioia e paura sono i sentimenti che accompagnano la salita. Ogni volta in cui si arriva ad un rifugio si esulta, ma la sera si fanno i conti con la paura di non farcela il giorno dopo, con i battiti alti e la necessità di bere costantemente, per evitare il mal di montagna. Tutti i giorni si è in ascolto del vento, si impara a conoscere il movimento delle nuvole e si entra in contatto con il proprio corpo: come se la scalata fosse in realtà il viaggio per conoscere sé stessi, più che il raggiungimento della Vetta. 

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LA TANZANIA OGGI

Con amarezza, abbiamo scoperto la falla che il Paese si porta dietro: la globalizzazione. I bambini ormai sono dei piccoli imprenditori, che preferiscono vendere perline invece di andare a scuola. Anche i Masaai sono diventati una pura attrazione. Siamo però riusciti a trovare purezza nella caccia con gli Hadazabe, una popolazione che mantiene il suo distaccamento dalla realtà più moderna, potando avanti antiche tradizioni e rituali ormai scomparsi. La scalata è il luogo più puro, he crea un legame profondo con questa terra, lontana dal caos e dalle tentazioni che si diramano a valle. 

La Tanzania che conosciamo oggi, è nata nel 1964, ed è l’unione fra gli stati di Tanganyika e Zanzibar. È uno stato costellato da vulcani inattivi, fra questi il Kilimangiaro, flora e fauna differenziate in base ai punti cardinali e uno sbocco sull’Oceano Indiano. Ha avuto una dominazione araba e poi europea e il suo passato la rende una delle culle degli ominidi.

Fu colonizzata dai portoghesi, ma nel 1800 passò sotto il controllo tedesco, insieme a Zanzibar, Tanganyika, Rwanda e Burundi. Con la sconfitta dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, passò sotto il mandato britannico; fu un periodo  di caos amministrativo: il Tanganyika divenne indipendente dal Commonwealth e il leader Julius Nyerere divenne presidente dal 1961 al1985.

Vi sarete domandati qual è la capitale della Tanzania. Ebbene l’ufficiale è Dodoma, ma sono ben 3 le capitali diquesta Repubblica. Capitale ammnistrativa, Dodoma, commerciale Dar el Saalam e turistica Arusha. 

Si parlano inglese e swaili; la popolazione è per metà cristiana e per metà islamica. La moneta è lo Scellino e se doveste chiamare i nuovi amici tanzaniani, fra i 363000000 residenti, il prefisso telefonico è +255.

Il presidente è una donna, Samia Suluhu Hassan, che è stata eletta il 19 marzo 2021, in seguito alla morte improvvisa del presidente Jhon Magufuli. Si è allontanata dal modello autocratico imposto dal governo precedente e il popolo la definisce “Colei che ha ridato il sorriso al popolo tanzaniano”. Le nuoveelezioni saranno nel 2025, ma il suo carisma mostrerà quanto in questi tre anni la Tanzania saprà riprendersi dal periodo post Covid e dalla imminente collaborazione cinese, che prevede la creazione di strade in tuttal’Africa.

La Tanzania appartiene alla regione dei Grandi Laghi; comprende infatti una fetta del Lago Vittoria, del Lago Tanganica e del Lago Malawi.

Questo la rende verdeggiante e legata ad una morfologia che si suddivide in 4 aree: la costa, l’altopiano centrale (saremo sempre intorno ai 1800 m), la Great Rift Valley e la savana.

La costa comprende le isole di Mafia, Zanzibar e Pemba. Confina con Rwanda, Burundi, Kenya, Malawi, Mozambico, Uganda, Repubblica Democratica del Congo ed è bagnata dall’Oceano Indiano. 

Direi che ce la siamo cavata in modo onestissimo e siamo quindi pronti per continuare il nostro viaggio, fatto di qualche disavventura, grandi gioie e nuove amicizie.

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DALLA VETTA AI PARCHI DEL KILIMANGIARO

8 Agosto

Dopo settimane passate ad organizzare il viaggio, fra video chiamate di gruppo, fatture sbagliate e corrette dal corrispondente un’infinità di volte ed escursioni in montagna per prepararci alla scalata, ci ritroviamo in aeroporto. Da Milano partiamo in 5, mentre Carla ci attende a Doha e Francesco direttamente a Dar el Saalam. 

Dopo lo scalo in Qatar pariamo alla volta di Dar el Saalam. Dormiamo accampati alla bell’e meglio in un’area dell’aeroporto, acciambellati sulle panchine, circondati dai nostri zaini colorati. Il viaggio non poteva che iniziare così, in perfetto stile Avventure!

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9 Agosto

Alle 4 a.m. ci riuniamo e incontriamo Francesco: ora il gruppo è completo! Partiamo alle 6 a.m., salutati dall’alba tanzaniana; in un’ora, arriviamo ad Arusha sorvolando il Kilimangiaro, avvolto dalle nuvole. 

Il clima ad agosto, non è come lo si immaginerebbe: spesso il cielo è nuvoloso e la temperatura fresca. Ci accoglie Enric, il nostro driver di oggi. Con un minivan raggiungiamo la sede della Parks Adventure e paghiamo le varie quote. 

Questa operazione ci fa perdere un sacco di tempo, fra fatture sbagliate e scene da film, riusciamo a risolvere tutto, iniziando la nostra avventura con un po’ di ritardo: una pena del contrappasso che ci accompagnerà per tutta la vacanza, regalandoci però, momenti unici. In Africa il tempo e l’organizzazione sono “Pole Pole”, “lenta lenta”. Abbandonando quindi la nostra frenesia da italiani, iniziamo gradualmente ad adattarci al ritmo afro.

Veniamo traslati nella sede in cui fare il cambio zaini. Qui prendiamo tutto il necessario per il Kilimangiaro e posiamo quello che ci occorrerà durante i safari. 

Intanto arrivano dei furgoncini da cui scende uno stuolo di ragazzi e uomini, che scopriremo essere i nostri portatori. Dopo una rapida presentazione partiamo alla volta del Marangu Gate. In circa un’ora arriviamo alle porte del Kilimangiaro, passando per strade pullulanti di tuc-tuc, negozi di letti (avete capito bene, Mastrota avrebbe fatto faville) e bambini in divisa di ritorno da scuola. L’ingresso ricorda quasi una pagoda buddista; il cielo è livido, c’è molta umidità (ci troviamo all’interno della foresta pluviale) l’animo è variopinto, perché tanta è la voglia di partire. 

Mentre attendiamo l’emissione dei permessi, pranziamo con il primo di tanti, ottimi, lunch box. Siamo tutti emozionati, frizzanti per la frenesia di arrivare in Vetta. Guardiamo con ammirazione le persone che scendono dall’impresa, domandandoci se anche noi riusciremo ad arrivare. Prima di partire, in molti ci hanno parlato del Kilimangiaro. Tanti l’hanno descritta come una montagna inaspettata, in cui all’ultimo ci si può sentire male per carenza di ossigeno, rinunciando alla salita. Ripetiamo come un mantra le tre cose da fare: prendere il Diamox, bere tantissima acqua e coprirsi quando si ha freddo. Avvolti da questi pensieri, veniamo chiamati dalla prima guida, Martin: un veterano chiamato Baba Martin (papà Martin), che ci riunisce. 

Nel giro di qualche tempo ci raggruppiamo accanto ai portatori, che sembrano tantissimi rispetto a noi, firmiamo il registro di partenza e, con il cuore a mille, iniziamo la scalata. Ogni portatore ha culle spalle due dei nostri zaini e sulla testa altri bagagli. Ci sono portatori, portatori-di-portatori e portatori-di portatori-di portatori: una scena alla Guzzanti. 

Il percorso è quasi amazzonico: umidità al 100%, scimmiette che smuovono le lucide e verdi foglie su un terreno rosso e scivoloso. Camminiamo con facilità, percependo gli abiti che si inzuppano di acqua e i piedi che scivolano sulla terra bagnata. In 3 ore appaiono, fra le foglie, delle piccole casette in legno, con i tetti alti ed estremamente spioventi: abbiamo raggiunto il primo rifugio, Mandara Hut. Primo selfie in questa nuova veste da trekkers e poi merenda a base di the e pop corn. Le guide ci raccontano cosa affronteremo nei prossimi giorni, ci spiegano l’utilizzo del Diamox, che inizieremo a prendere dopo cena, ci misurano la saturazione e i battiti cardiaci. Intanto il freddo e l’umidità investono le stanze: segno dell’arrivo delle stelle. Ci dividiamo in due casette e ci laviamo nelle bacinelle di acqua calda portate dai nostri assistenti: Castro e Jhon. 

Ceniamo, assaporando per la prima volta il cibo preparate dal cuoco Wilson; stanchi ma adrenalinici, andiamo a dormire nelle nostre due camerate.

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10 Agosto

Ancora increduli all’idea di essere sul Kilimangiaro, o meglio, alle sue pendici, veniamo svegliati da Castro e Jhon. Ci portano nuove bacinelle di acqua calda, con cui ogni giorno laveremo il più possibile le nostre membra e un the, per essere sicuri della nostra idratazione. In poche ore dividiamo il nostro zaino da quello che daremo ai portatori. Smontiamo i sacchi a pelo e ci dirigiamo nella casetta comune per fare colazione. 

La prima dose di preoccupazione invade il gruppo: Ilaria si sveglia con mal di stomaco e febbre. Da medico ci dice di non preoccuparci, perché ha preso una piccola congestione. Ovviamente ci allarmiamo! La soluzione di aver chiesto un giorno di acclimatamento in più si rivela più che mai provvidenziale. Parliamo con le guide, organizziamo la stanza e concordiamo che, se starà meglio ci raggiungerà al secondo rifugio a Horombo Hut, nel pomeriggio, altrimenti l’indomani. Il suo ragazzo, Massimiliano starà con lei. Un po’ preoccupati, ma frementi per continuare, partiamo. 

Il paesaggio cambia in poco tempo: dalle liane e gli alberi pluviali, arriviamo in un ambiente secco e bucolico. Il cielo è azzurro, la strada si è trasformata in una mulattiera e il ghiacciaio del Kilimangiaro brilla al sole, seducente come un diamante. 

Dopo 4 ore di camminata semplice, già quasi a 3000 metri e parecchie soste pipì dettate dal Diamox, pranziamo. Qualche conetto vulcanico mostra il suo profilo, ricordandoci che Mama Africa è viva e sotto di noi scorrono ancora fuoco e magma. 

Dopo tre ore arriviamo in quello che sarà il rifugio del cuore: Horombo Hut. Sotto di noi nuvole bianche, sopra una luna quasi piena che strizza l’occhio alla Vetta del Kilimangiaro. 

Ci laviamo con le bacinelle e, mentre ci ingozziamo di pop corn, arrivano Ilaria e Massimiliano. Abbracci e un sospiro di sollievo! Ora davvero l’avventura può continuare tutti insieme!

Ceniamo con la compagnia di spagnoli, svizzeri e francesi, consapevoli di essere parte di una spedizione, di un sogno che si realizza, di paure ed entusiasmi, in uno dei luoghi più belli di sempre.

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11 Agosto

Sveglia con la nostra consueta tazza di the in camera e bacinelle per la tolette. Oggi è una giornata a passo più comodo. Inizia l’acclimatazione vera e propria. Respiriamo l’aria secca e fredda dei 3700 metri di altitudine, ammirando il panorama incredibile. Ormai abbiamo imparato a conoscere il ritmo delle nuvole: all’alba tutto è limpido come se le nuvole si svegliassero con calma; nel pomeriggio le nuvole, bianche e gonfie, si accumulano sul Kilimangiaro, come se volessero proteggerlo dagli sguardi indiscreti di chi vive a valle; alla notte, sostituite dal buio e dalle stelle, le nuove scappano, consapevoli che la loro Montagna è protetta dalla luna, per poi ricominciare questo gioco il giorno successivo. Solo il sole può osservare e dialogare con la vetta del Kilimangiaro perché lì, le nuvole, non hanno il coraggio di arrivare, per regalare a chi è stato davvero resiliente la possibilità di ammirare il cuore dell’Africa. 

Il giorno trascorre veloce, con un trekking di due ore per arrivare a Zebra Rock: una roccia vulcanica su cui si alternano striature di bianco e nero, segno di millenni di attività magmatica ed erosiva. 

L’area si trasforma in un set fotografico. Scattiamo un numero incredibile di fotografie degne di un team di influencers. Ritorniamo morbidamente al campo, in un pomeriggio trascorso a recuperare la fatica. Questa è la giornata che dedichiamo anche al bucato e all’arte di conoscerci meglio. 

La sera inizia la preparazione per quella che sarà la tappa più impegnativa: la scalata della notte successiva. Misuriamo la saturazione, prendiamo il Diamox e chiacchieriamo con gli altri trekkers, per poi rimanere ancora qualche ora fra di noi, bevendo tisane, assaporando il relax e dimenticando la tensione per il giorno dopo. 

12 Agosto

La luna piena e bianca, saluta il sole: un buon segno, che ci dà energia. La partenza di buon mattino ci consente di viaggiare per qualche ora con i portatori. I loro corpi esili si muovono con il tipico passo africano, “Pole Pole”, in un sentiero che cambia ancora la sua forma: inizia una sorta di deserto, come se la luna avesse creato un suo riflesso davanti a Mama Africa. Intanto altri portatori, di ritorno dalla Vetta ci salutano: i loro profili si confondono fra l’ocra della strada e l’azzurro intenso del cielo. Chissà qual è la loro storia… Molti fanno questo mestiere per pagarsi l’università. Donano la loro forza a trekkers come noi, sperando in una condizione sociale migliore. Altri cercano di portare a casa una buona mancia per mantenere la famiglia. Ognuno ha la sua storia e la sua motivazione per salire sul Kilimangiaro: per tutti è però un viaggio da compiere con rispetto e devozione, come se fosse un’espiazione di colpe. Al termine la Vetta purifica gli oranti, portandoli a valle alleggeriti dal loro fardello.                              

Dopo circa 4 ore pranziamo, puntati da astuti corvi neri di montagna. Mentre contempliamo le nostre prodezze fisiche, un corvo ruba un muffin - per la precisione il mio muffin - tenuto con golosità fino alla fine del pasto. Fra risate e foto, mangiamo frettolosamente i resti del nostro packet lunch, per poi affrontare le ultime 3 ore di cammino. Si inizia a sentire la riduzione di ossigeno. Il terreno è sempre più sabbioso: la polvere ricopre tutto il nostro abbigliamento e penetra nelle narici. Il Kilimangiaro si sta presentando in maniera bruta, mettendoci alla prova.

In poco tempo il cielo si rannuvola e anche l’aria si fa più pungente. Spicca però, colorato e accomodante, come un miraggio nel deserto, il nostro ultimo camp: Kibo Hut. Qui è tutto più spartano; dalle casette che ospitano le spedizioni, ai bagni che sono dei semplici buchi nel terreno. I portatori sono arrivati e si sono già organizzati in tende per riposare. Dormono ammassati in piccoli spazi, gioiosi nel condividere questa avventura. Giovani ragazzi ci puliscono gli scarponi dalla sabbia, con energia e grandi sorrisi, complimentandosi per il nostro traguardo. 

La giornata trascorre molto rapida: the, un leggero pranzo e l’ordine di dormire almeno due ore, per poter avere l’energia per affrontare l’ultima scalata. Incredibilmente prendiamo tutti sonno e verso le 17, veniamo svegliati da Jhon e Castro: siamo in fase di preparazione al grande evento.

Saturazione, agitazione e un po’ di paura ci attanagliano. Nonostante ciò si chiacchiera e si confida nel domani. Ci viene servita una cena di Vigilia leggera, prepariamo gli zaini e, alle 21, torniamo a dormire, perché la sveglia sarà dopo 2 ore. Si percepisce un po’ di tensione nei sacchi a pelo che strusciano contro i materassi, negli sbuffi di chi vorrebbe prendere sonno ma non riesce, nella paura di avere i battiti alti e non riuscire a salire.

Alle 23 in punto bussano alla porta. Rimbambiti, ma consapevoli che è arrivato il momento, ci svegliamo. Beviamo altro the, mangiamo biscotti e toast e, come se partissimo per una missione degna di James Bond, ci vestiamo a strati: manca solo il papillon. 

Il freddo si percepisce nelle narici, sulle mani e nell’aria: ora tutti gli strati che abbiamo portato vengono indossati. Carichiamo le borracce con acqua calda, per evitare che ghiacci, prepariamo la mente alla scalata e scattiamo una foto pre-partenza. Il Kilimangiaro è nero, si distingue solo la vetta, che contrasta con il cielo, ancora più scuro. La luna piena, però, ci sorride: questa notte è davvero enorme, brilla come il sole, che quasi non serve la torcia frontale. Anche le stelle non si fanno sovrastare dal suo bagliore e, sfidandola, brillano più forti che mai. 

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13 Agosto

Su una strada di sabbia, avanziamo “Pole Pole”. Il sudore non deve congelare, quindi il passo è lento, lentissimo. Ogni 50 metri si sente il peso della carenza di ossigeno. Ogni tot ci fermiamo per fare pipì, idratarci, anche se i tubolari delle borracce iniziano a ghiacciare. Le pause servono per convertire la stanchezza in energia. 

Grandi massi ci riparano dal freddo, ma tutto ha assunto il colore della luce lunare. Osservando la strada non si vede più il Kilimangiaro, ma solo una ripida salita. Sembra che la montagna sia stata inghiottita dalla sabbia. Dopo circa 3 ore di salita spunta, luminoso e imponente, il ghiacciaio: oggi brilla ancora di più, ci sfida, cantando come una sirena, bello e pericoloso. 

Nessuno parla, ognuno affronta i suoi fantasmi; a volte vediamo trekkers che si fermano esausti o tornano indietro. Senza farci abbattere continuiamo, tutti uniti. 

Le ombre dei nostri compagni di viaggio danno sicurezza, ma a 5400 m non c’è più il tempo di voltarsi a controllare che ci siano tutti: ora è solo una sfida con se stessi. Superiamo delle rocce, i fasci delle torce illuminano una piccola serie di grotte e poi…con un cielo viola, segno dell’avvento del sole, raggiungiamo il primo cartello: Gilman’s Point, a 5600 metri. Esausti, iniziamo ad abbandonare la paura di non arrivare: ci siamo, il Kilimangiaro ci ha aperto le sue porte. 

I portatori ballano, alcune lacrime si scaricano sulle guance. Ora sarà solo testa per arrivare davvero in Vetta. Questo è un punto illusorio: siamo entrati nelle porte di Mama Africa, ma i duecento metri che ci separano alla cresta, sembrano non arrivare mai. 

Intanto il sole arriva impetuoso: il cielo diventa arancione, così brillante da sembrare una porta verso un mondo diverso. In pochi istanti il sole e la luna si fronteggiano, si guardano come solo possono fare sul Tetto dell’Africa, creando una luminosità alla pari; poi, la luna cede il posto al sole. 

In questa lotta fra i due elementi, raggiungiamo il secondo punto: Stella Point, a 5756 metri. Arrivano, come pellegrini, i trekkers della Machame Route. Siamo letteralmente sulle nuvole. Come in una celebrazione, penitenti ed esausti, rendiamo omaggio alla Regina dell’Africa. La luce del sole illumina i colori del Kilimangiaro: il nero del cratere, il bianco del ghiacciaio e l’oro della terra. 

In un ultimo, lunghissimo sforzo, arriviamo alla Vetta: Uhuru Peck. Il cartello, con scritto “CONGRATULATIONS YOU ARE AT 5895 M” è il diamante che finalmente abbiamo colto. Anche se in condivisione con altre decine di persone, ci abbracciamo, esausti. Scattiamo una serie infinita di foto e, consapevoli che il nostro è stato un breve saluto, iniziamo la discesa. Da qui, si comprende che la Terra è sferica: i contorni dell’orizzonte sono davvero tondeggianti. 

Durante la discesa il sole spicca ormai alto in cielo: i profili scuri che vedevamo durante la salita notturna, sono in realtà rocce dorate, poggianti su un fondo di sabbia. Il giorno crea quindi una nuova prospettiva e, avvolti dalla polvere della sabbia, ritorniamo a Kimbo Hut, alleggeriti negli abiti e nell’animo. Tutti applaudono il nostro arrivo: fra abbracci e stanchezza, dormiamo qualche ora. Veniamo svegliati dal delicato bussare di Jhon, che ci porta un the e il pranzo. In mezzo al tavolo compare una torta con scritto “Congrats”. In questo momento di grande spensieratezza, brindiamo con l’immancabile the, consapevoli di aver realizzato un sogno. 

Terminato il pranzo ci prepariamo a scendere. Riposati e felici, raggiungiamo in 3 ore, Hormobu Hut. La discesa è carica di energia, l’incremento di ossigeno si sente e il rifugio appare più luminoso che mai. Con la spavalderia di chi ce l’ha fatta, ceniamo e auguriamo buona sorte a chi dovrà partire, come dei maestri di fronte agli allievi. 

Dormiamo profondamente, salutando la luna piena e le stelle.

14 Agosto

La sveglia sul Kilimangiaro è diversa dal solito. Siamo tristi di dover scendere, ma anche curiosi per quello ci aspetta. Dopo la colazione partiamo di buona lena per tornare al punto iniziale. 21 Kilometri di discesa e non sentirli! Riusciamo a vedere il piccolo cratere prima di passare nella foresta, fra le scimmiette e le foglie madide di rugiada.                                        

Raggiungiamo il Gate: firmiamo i registri di ritorno e otteniamo i certificati. Poca pipì, tante risate e la leggerezza dello spirito. Qui, dopo aver consegnato le mance ai portatori disposti in cerchio attorno a noi, salutiamo il team, sotto il cielo avvolto di nuvole.

Ritorniamo alla civiltà, al caos di auto e moto che sfrecciano vicino ai ragazzi che tornano da scuola. Arusha ci accoglie, in un turbine di colori e odori. Tutto è veloce, caotico, come se il tempo, che scorreva al rallentatore sul Kilimangiaro, si fosse improvvisamente velocizzato. Pranziamo con Martin, la nostra guida, in un fast food, per poi recuperare i bagagli. In un’ora raggiungiamo, con la guida spericolata di Enric, il nostro hotel. Qui incontriamo Dario con il suo gruppo, raccontando ogni dettaglio, chiacchierando entusiasti per poi scoprire che…l’hotel è al completo!! Ricarichiamo allora i bagagli in jeep, salutiamo i prossimi trekkers e arriviamo nell’hotel giusto. Oramai ogni disavventura diventa una storia da raccontare. 

Il sapore dell’acqua calda e il profumo di shampoo, non hanno rivali: dopo una lunga doccia senza bacinelle, ma con un vero getto d’acqua calda, ci rilassiamo; cerchiamo un ristorante vicino all’hotel, vestiti a festa. I camerieri ci guardano con curiosità. Mostrandoci un menù che non esiste, ci portano dei panini casuali in due ore, ma oggi il ritmo “Pole Pole” è quello di cui abbiamo bisogno, per brindare all’impresa e affrontare la seconda avventura di questo viaggio. Una ragazza local, festeggia il compleanno, si avvicina a noi con gli amici e ci offre timidamente delle fette di torta iper glassate: persino i tanzaniani festeggiano con noi, ammirando i nostri certificati, che prontamente mostreremo a tutti coloro con cui parleremo. Brindiamo non con una Coca-Cola, ma con una birra locale, ebbri di orgoglio e felicità. 

Il viaggio continua a bordo di una sgangherata jeep a 7 posti, che ci condurrà attraverso paesaggi unici, alla scoperta di animali e tribù: ammirando la tenacia degli gnu nell’attraversare il fiume Mara e cacciando con arco e frecce insieme agli Hadzabe….ma questa è un’altra storia. 

Grazie ai miei strepitosi compagni di viaggio: Carla, Ilaria, Massimiliano, Fabio DP., Fabio M, Francesco e Davide.